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I venticinque anni del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2010 18:34
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08/02/2010 19:42

I venticinque anni dell'istituzione del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

Una felice intuizione


di José Luis Redrado Marchite
Vescovo titolare di Ofena
Segretario del Pontificio Consiglio
per gli operatori sanitari

11 febbraio 1985. Una data importante per la Chiesa, per gli ammalati, per gli Istituti religiosi sanitari e per tutti gli operatori sanitari. Papa Giovanni Paolo II, con il motu proprio Dolentium hominum, istituì la Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari. Una grande intuizione che affonda le sue radici nella lettera apostolica Salvifici doloris (11 febbraio 1984) e accompagnò l'ann0 santo della redenzione. ""Completo nella mia carne - scrisse nell'introduzione citando l'apostolo Paolo per spiegare il valore salvifico della sofferenza - quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa". Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo cammino che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell'uomo ed illuminata dalla Parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una scoperta, accompagnata dalla gioia; per questo l'apostolo scrive:  "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi". La gioia proviene dallo scoprire che la sofferenza ha un senso per tutti. L'apostolo comunica la propria scoperta e ne gioisce a motivo di tutti coloro che essa può aiutare - così come aiutò lui - a penetrare il senso salvifico della sofferenza".
E proprio queste motivazioni di fondo sono alla base del motu proprio Dolentium hominum con il quale, solo un anno dopo, dette vita al dicastero. Tre anni più tardi, con la riforma della Curia romana (Pastor Bonus, 28 giugno 1988), la Pontificia Commissione è divenuta Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, raggiungendo l'autonomia che la costituzione apostolica dà a tutti i dicasteri.
Scriveva il Papa nel motu proprio:  "Da parte della Chiesa pare anzitutto importante un'opera di più organico approfondimento delle sempre più complesse problematiche che gli operatori sanitari debbono affrontare, nel contesto di un maggior impegno di collaborazione fra i gruppi e le attività corrispondenti. Esistono, oggi, molteplici organismi che impegnano direttamente i cristiani nel settore della sanità:  oltre e accanto alle congregazioni e istituzioni religiose, con le loro strutture socio-sanitarie, vi sono organizzazioni di medici cattolici, associazioni di paramedici, di infermieri, di farmacisti, di volontari, organismi diocesani e interdiocesani, nazionali e internazionali sorti per seguire i problemi della medicina e della salute. Si impone un migliore coordinamento di tutti questi organismi. Motivazioni che hanno portato il Papa a istituirlo".
Tra le motivazioni il Papa citava l'interesse della Chiesa per l'uomo che soffre, i grandi progressi realizzati dalla medicina e la necessità di coordinare tutti gli organismi dediti al mondo della salute. Riconosceva che, a motivo della complessità della problematica, l'azione individuale non era sufficiente, anzi era necessario un lavoro congiunto, intelligente, programmato, costante e generoso. Soprattutto capace di produrre frutti a livello delle Chiese locali.
Tra i principali compiti assegnati al Pontificio Consiglio il Papa indicò infatti specificatamente la necessità di stimolare, promuovere, coordinare, collaborare con le Chiese locali e seguire con attenzione i programmi sanitari e le loro ripercussioni nella pastorale della Chiesa. Si legge nel documento costitutivo:  "I compiti della Commissione saranno i seguenti:  stimolare e promuovere l'opera di formazione, di studio e di azione svolta dalle diverse o.i.c. nel campo sanitario, nonché dagli altri gruppi, associazioni e forze che, a diversi livelli e in vari modi, operano in tale settore; coordinare le attività svolte dai diversi dicasteri della Curia romana in relazione al mondo sanitario e ai suoi problemi; diffondere, spiegare e difendere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità, e favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria; tenere i contatti con le Chiese locali ed, in particolare, con le commissioni episcopali per il mondo della sanità; seguire con attenzione e studiare orientamenti programmatici ed iniziative concrete di politica sanitaria, a livello sia internazionale che nazionale, al fine di coglierne la rilevanza e le implicazioni per la pastorale della Chiesa".
Ciò naturalmente comporta una lunga serie di impegni che il dicastero porta avanti quotidianamente e che trovano in tanti modi diversi:  incontri con le diverse realtà, relazioni con le Conferenze Episcopali e gli organismi sanitari, numerosi viaggi per conoscere le diverse situazioni nel mondo e per partecipare agli incontri internazionali in materia di salute; inoltre si curano diverse pubblicazioni:  dalla rivista "Dolentium hominum", la Carta degli Operatori Sanitari, l'Index che cataloga i centri sanitari di proprietà della Chiesa o dove la Chiesa lavora; l'organizzazione di una conferenza internazionale annuale su un tema sanitario di attualità che riunisce luminari sanitari e scientifici, premi Nobel ed uomini politici responsabili della sanità; altri convegni e programmi - circa cinquanta - che sono indicati nel libro del dicastero "piano di lavoro". Di particolare significato è l'organizzazione della Giornata mondiale del malato, che si celebra  ogni  anno l'11 febbraio, memoria liturgica della Madonna di Lourdes.
Impegno prioritario del dicastero è rendere la Chiesa sempre presente nel mondo della sofferenza. Oggi prende su di sé maggiore coscienza e responsabilità. È consapevole che per affrontare le sfide del futuro deve impegnarsi per consolidare, animare e coordinare queste realtà. Il Pontificio Consiglio è chiamato ad essere un concreto interprete di questa missione.



***

Al passo con i tempi
per rispondere a sfide nuove


di Mario Ponzi

"Un luogo di soccorso e di pietà in cui ogni malattia viene curata con animo lieto e disponibile a tutti, dove la disgrazia viene considerata felicità e viene sperimentata la misericordia". È la prima definizione di un ospedale. Risale al quarto secolo dopo Cristo. Si deve a san Gregorio Nazianzeno. È contenuta nell'omelia funebre in suffragio del fratello Basilio di Cesarea (329-379 dopo Cristo), vescovo, padre della Chiesa e del monachesimo orientale, primo vescovo a fondare un vero e proprio ospedale. Anzi una cittadella ospedaliera, fornita di reparti di degenza, di chiesa e di ospizio, chiamata Basiliade. Da quel momento in poi il vescovo ha continuato a essere elemento unificatore e coordinatore delle varie opere assistenziali della Chiesa, che nel codice di Giustiniano (534) trovano la loro prima suddivisione:  nosocomi, gerontocomi, orfanotrofi e brefotrofi. Papa Fabiano, quando divise Roma in sette rioni, affidò a sette diaconi la responsabilità dell'assistenza in ciascun rione, pur evocando a sé il coordinamento della specifica pastorale. Nulla di nuovo. Basilio non aveva fatto altro che seguire le indicazioni del primo medico della storia cristiana, Gesù stesso, "il guaritore".
La pastorale nel mondo della salute risale dunque agli albori dell'era cristiana. Il percorso compiuto negli anni è segnato da testimonianze straordinarie e comuni del dono di sé offerte da religiosi, religiose e fedeli laici accanto alle persone sofferenti, in ogni angolo della terra. Alcuni di loro - per lo più fondatori di ordini e di congregazioni religiose, religiosi dediti al servizio dei malati - hanno meritato l'onore degli altari. Altri hanno sacrificato la loro vita nel nascondimento, tra le corsie di un lazzaretto o di un grande ospedale, in chissà quale parte del mondo,  in  quale missione sperduta nel cuore di una foresta inesplorata. Niente più di una lapide per ricordarli ancora.
Poi, dal tempo di san Giovanni di Dio, è giunta l'era delle grandi congregazioni ospedaliere. La croce rossa stampata sul petto dei religiosi figli di san Camillo de'Lellis, è divenuta simbolo internazionale dell'assistenza ai feriti gravi, ai malati. Pian piano sono fiorite, ovunque nel mondo, piccole o grandi strutture sanitarie costruite da ordini e congregazioni religiose, dove il malato era amato ancor prima che assistito. Papa Wojtyla, che alla sofferenza dava del "tu", ebbe la felice intuizione di convogliare questa grande spiritualità, espressa da tanti figli della Chiesa, in un unico grande concetto ispiratore, quello che ha dato vita alla Dolentium hominum e al dicastero per la pastorale della salute, del quale oggi si celebra il giubileo d'argento. Siamo convinti però che nell'anima di tanti protagonisti di questi anni, oggi si affaccia non tanto la soddisfazione per gli obiettivi realizzati quanto piuttosto una sfida che si rinnova perché "i tempi sono cambiati". Gli sviluppi della scienza infatti comportano, soprattutto nell'ambito delle scienze mediche, un succedersi di eventi e di avvenimenti tutt'altro che prevedibili, in cui le varianti sono molto più numerose delle costanti.
Guardando avanti allora si vede il profilarsi di due sfide principali, con le quali per forza di cose ci si dovrà confrontare. La prima, a più breve scadenza, riguarda le criticità tuttora irrisolte. La seconda, a più vasto raggio, si riferisce all'orizzonte della pastorale sanitaria in questo terzo millennio dell'era cristiana e alla progettualità che si va delineando.
La prima tra le criticità irrisolte, nemmeno a dirlo, attiene al complesso sistema sanitario, così come si presenta nel mondo. Basterebbe fermarsi a quanto sta accadendo nell'America di Obama su questo argomento, come del resto in tanti altri paesi del mondo per capire l'impatto politico che la materia comporta, soprattutto nei sistemi sociali più deboli economicamente. Limitandoci all'approccio pastorale a suscitare perplessità e preoccupazioni è la deriva tecnicistica di certe applicazioni della bioingegneria. Da quando, alla fine degli anni Settanta, la bioetica è esplosa nel mondo si sono moltiplicate talmente tante iniziative da riproporre, in questo nuovo settore disciplinare, un pluralismo di opinioni che ha caratterizzato la società contemporanea. Troppi infatti si sono improvvisati bioeticisti e hanno sentenziato, senza peraltro il conforto di una contropartita professionalmente accettabile, supportata da una concreta formazione.
E proprio la formazione potrebbe essere proprio il primo campo di confronto. La seconda sfida, riguarda molto da vicino la progettualità. Dovrebbe coinvolgere in primo luogo proprio le figure stesse degli operatori pastorali nella sanità. Intanto non dovrebbero più essere considerati nelle dimensione riduttiva proposta da alcune legislazioni che ne confinano i contorni nella figura del cappellano di ospedale.
C'è bisogno di una moderna concezione, che includa diaconi, suore, laici impegnati. Proprio l'operatività di queste figure, già presenti del resto in tante strutture, potrebbe costituire una valida risposta alle attese. Ne deriverebbe anche il rinnovamento di forme e modalità dell'assistenza pastorale in senso lato, diversificata in rapporto alle strutture e aperta al territorio circostante, nell'ottica di una pastorale d'insieme che veda coinvolti i diversi elementi della comunità ecclesiale. Insomma dall'ospedale alla parrocchia, passando attraverso la cappellania e il volontariato. Un adeguamento concreto in questo senso, ricco di creatività pastorale potrebbe costituire un punto di forza e un fiore all'occhiello nella stessa Chiesa locale. Infine,  ma  non  ultima, la prospettiva ecumenica,  interreligiosa e interculturale.
Si tratta di una di una prospettiva in parte, resa concreta dalla presenza e diverse comunità religiose, cristiane e non, impegnate nella gestione di istituti di cura in diverse parti del mondo. Si tratta indubbiamente di un arricchimento reciproco. Non a caso il Pontificio Consiglio invita rappresentanti delle diverse religioni ad ogni conferenza che organizza sul tema della salute, proprio per favorire questo scambio continuo di esperienze.
Ideale sarebbe che questo stile di operare insieme non si risolvesse solo negli aspetti istituzionali, ma che si trasformasse nel vissuto di un'accoglienza reale, che tenga conto e recepisca le diversità etniche, religiose e culturali, affinché non abbia mai più a ripetersi quanto, purtroppo, ancora continua ad accadere in diverse parti del mondo, dove gente bisognosa di aiuto viene respinta e si vede negare assistenza perché non offre garanzie di solvibilità, o non gode di diritto di cittadinanza.



***

Presenza missionaria tra l'umanità sofferente


Tra i frutti più significativi della costituzione di un dicastero pontificio dedicato alla pastorale sanitaria, c'è naturalmente la conferma dell'insostituibile ruolo della Chiesa nell'assistenza a malati e sofferenti nel mondo. Non è un caso se, quando si parla del significato della presenza della Chiesa in Paesi in cui i cristiani costituiscono una minoranza, cittadini e governi non esitano ad esprimere la loro sincera gratitudine per l'opera che sacerdoti, suore, religiosi e volontari cattolici svolgono in questo campo. A volte, come capita nei territori di missione, la Chiesa è l'unica istituzione capace di aprire e gestire se non altro un dispensario. Le centodicassettemila strutture religiose socio-sanitarie sparse nel mondo, sono una testimonianza concreta. Da quando il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute è stato costituito, si sono triplicati gli uffici diocesani dedicati a questa pastorale. E quando i vescovi vengono a Roma, soprattutto in occasione delle loro visite ad limina, nell'incontro con i responsabili del dicastero vivono un momento concreto di arricchimento reciproco dallo scambio di informazioni. Naturalmente l'impegno maggiore è rivolto verso i Paesi del terzo mondo, nei territori di missione in particolare, dove la questione salute è di primaria importanza. Ne è testimone la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli alla quale è affidata la sollecitudine per le chiese di recente fondazione, che si trovano alle frontiere antropologiche e sociali dell'umanità, e che raccoglie richieste che vengono da Chiese di frontiera. Si tratta di comunità ecclesiali che testimonino e proseguono la missione messianica di Cristo, cercando di portare il messaggio salvifico a quella parte dell'umanità che patisce per condizionino di estrema indigenza.
È innegabile che in certe parti del mondo la situazione sanitaria sia gravissima. Il diritto alla salute è fondamentale e appartiene a tutti; per di più è uno degli areopaghi dell'evangelizzazione per moltissimi paesi dell'Africa e dell'Asia. I vescovi, infatti insieme alla cura pastorale dei fedeli, portano avanti progetti di pastorale della salute molto articolati, in cui impegnano le poche risorse di cui dispongono, il personale, in buona parte volontario, e creano strutture, quali ospedali e cliniche, centri specializzati per la cura dell'Hiv - Aids e della lebbra, e tanti dispensari nei villaggi lontani dai centri urbani. Molte volte si tratta delle uniche strutture sanitarie esistenti. Uno degli esempi più belli è quello della Chiesa nel Malawi, che, nonostante l'estrema povertà del paese, ha elaborato un piano pastorale per la salute, in cui tutti i cattolici sono coinvolti per limitare il contagio del virus Hiv e per la cura degli ammalati dell'Aids, di cui è affetta una buona parte della popolazione.
Insieme alla situazione e ai bisogni della cura pastorale dei suoi fedeli i vescovi locali finiscono per essere l'unica fonte di notizie sui gravi problemi, sulle deficienze e sulle emergenze della situazione sanitaria dei diversi paesi in cui sono presenti le comunità cristiane, che il più delle volte sono una minoranza religiosa. In questi ultimi decenni poi il quadro internazionale della sanità si è aggravato, anzi è divenuto drammatico, a causa del debito internazionale dei paesi più poveri, costretti a impiegare le poche risorse che hanno per ripagare il debito, e a causa della crisi finanziaria i cui effetti si sono fatti sentire specialmente sui paesi in via di sviluppo. È un fatto che le nazioni gravate dal debito internazionale non possono disporre di risorse per la sanità e l'educazione. E si è costretti ad assistere a scene disumane di piccoli e di anziani che muoiono anche per una banale influenza. Fanno molte volte chilometri a piedi per raggiungere gli cosiddetti ospedali civili, che teoricamente dovrebbero garantire medicine a tutti. In realtà talvolta non possono somministrare nemmeno una compressa di aspirina.
Propaganda fide, che ha il compito è promuovere ed orientare tutta l'attività di evangelizzazione, assume come priorità anche questa attività e fornisce, per quanto è nella sue possibilità, i mezzi per intervenire. Incentiva e finanzia attività specifiche, quali il sistema di medicina preventiva, la fondazione di strutture sanitarie, e la cura di quelli che per pregiudizi sociali e culturali sono ignorati e abbandonati dalla società.
Con la creazione del Pontificio Consiglio per la Salute Giovanni Paolo II volle che la Chiesa tutta assumesse la sanità come parte integrante della sua presenza e missione nell'umanità sofferente, e che esso fosse l'organismo che la coordinasse, animasse e promuovesse, in collaborazione con gli altri dicasteri della Chiesa.
È su questa strada che si deve operare per favorire la sinergia tra il Pontificio Consiglio per la Salute e tutti gli altri dicasteri. Un passo significativo è stato fatto, è per esempio rappresentato dal corso biennale di studio per gli operatori pastorali dei paesi del Terzo Mondo. L'obiettivo è ora proseguire nella ricerca di nuove sinergie e di nuove forme di collaborazione tra tutti gli organismi che hanno in comune alcuni settori della missione evangelizzatrice, e gli stessi destinatari, anche se con compiti e mete specifiche. E questo è necessario realizzarlo specialmente tra alcuni dicasteri, più direttamente coinvolti nella liberazione integrale dell'umanità.



(©L'Osservatore Romano - 8-9 febbraio 2010)
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