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I cinque anni di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 01/05/2010 16:59
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27/04/2010 19:01

L'arazzo multicolore di un umanista raffinato


di Gianfranco Ravasi

Il suo corpo era stremato dalla gotta e dalle bronchiti che da anni lo tormentavano; s'era aggiunta la fatica del trasferimento da Roma; ora s'era insinuata anche la peste. I suoi occhi, ormai appannati, dall'alto del colle di San Ciriaco di Ancona sogguardavano la distesa dell'Adriatico, ove finalmente s'avvicinava la flotta veneziana, tanto attesa, del doge Cristoforo Moro. Ormai, però, il respiro del Papa si faceva sempre più affannoso e così nella notte che si affacciava sulla solennità dell'Assunta del 1464 Pio II si spegneva. Con lui moriva anche il progetto di un'ultima crociata:  il Papa stesso un anno prima l'aveva annunciata ai cardinali di Curia con un discorso appassionato e l'aveva bandita proponendosi come il "Goffredo della nona crociata". La morte, però, aveva posto fine anche a questo suo sogno, per altro accolto molto freddamente dalle potenze occidentali che poco si curavano dell'espansionismo  turco in Europa orientale.
In quelle ultime ore il Pontefice forse ripercorreva le vicende che l'avevano condotto a quell'approdo. Il suo pensiero poteva risalire a quel gesto compiuto verso la fine del 1461, quando egli aveva deciso di inviare una Epistula ad Mahometem, cioè una lettera ufficiale al
sultano Maometto ii, il cui profilo è a noi noto attraverso l'efficace ritratto del pittore veneziano Gentile Bellini. Si trattava di uno scritto che tentava un dialogo interreligioso un po' particolare, ovviamente legato a quel clima culturale e spirituale. Al sultano turco si offriva la corona di imperatore di tutte le terre d'Oriente purché si convertisse al cristianesimo, la cui superiorità teologica era dimostrata attraverso una puntigliosa trattazione apologetica.
Ebbene, proprio in quello stesso anno, quasi astraendosi per qualche momento dalla bufera internazionale che soffiava dai confini orientali, Pio II aveva ripreso tra le mani per un'ultima redazione-edizione un testo già parzialmente elaborato quand'era cardinale. Era la Cosmographia, una vera e propria panoramica geopolitica del mondo, articolata in un trittico i cui titoli erano già emblematici:  De ritu, situ, moribus et conditione Germanorum, al quale subentrava il De Europa, che ora proponiamo rispolverandolo da un lungo oblio, e infine un De Asia. Questo interesse così vivace per l'orizzonte geografico e storico era quasi connaturato nell'anima di un Papa, da un lato, simbolo dell'umanesimo e, d'altro lato, dotato di una biografia fittissima di incarichi diplomatici internazionali.
Eppure Enea Silvio Piccolomini proveniva dalla provincia toscana, da quel Corsignano in Val d'Orcia che sarebbe  poi  divenuto, in onore di questo  suo figlio celebre, Pienza. Là egli era nato il 18 ottobre del 1405 e di là, dopo gli studi a Siena, aveva iniziato un pellegrinaggio fatto dei più disparati incarichi sotto i più diversi signori nelle più differenti sedi d'Europa, a partire da quella Basilea ove si stava celebrando un concilio ecumenico talmente travagliato da giungere all'atto estremo dell'elezione di un antipapa, l'allora duca di Savoia Amedeo viii che assunse il nome di Felice v e che nominò come suo segretario proprio il Piccolomini. Non è nostro compito ricostruire questo itinerario esistenziale che costantemente s'accompagnava a un'intensa produzione letteraria, pronta a inoltrarsi persino su sentieri moralmente proibiti. La guida ideale per ricomporre questa trama di eventi e di opere è quel capolavoro, spesso riedito, che sono i Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, un monumentale e affascinante diario destinato al pubblico, mirabile saggio di storiografia umanistica, specchio di un'anima dai mille interessi, di un'intelligenza fremente e di una forte coscienza di sé, tanto da essere definito un testo "auto-agiografico".
Certo è che la prima svolta nella vita di Enea avvenne attraverso il suo legame con l'imperatore Federico iii d'Asburgo (1415-1493) la cui figura sta sull'ideale frontespizio letterario del De Europa. Fu durante il servizio presso questo sovrano che Piccolomini divenne sacerdote, il 4 marzo 1447, e fu con Federico che egli riuscì a ritessere il ritorno dei principi tedeschi sotto l'autorità del legittimo Papa di Roma, Eugenio iv, riconosciuto come unico pastore supremo della cristianità nella Dieta di Francoforte del 1446. E fu ancora con lo stesso imperatore che si ricompose pienamente lo scisma del concilio di Basilea, quando ormai sul soglio di Pietro, nel 1447, era asceso Niccolò v che aveva per questo conferito a Enea la sede episcopale di Siena. Anche nella nuova veste Piccolomini continuò il suo servizio a Federico iii attraverso diverse legazioni. All'orizzonte intanto incombeva un evento epocale, che avrebbe segnato una seconda radicale svolta nell'esistenza del Nostro.
Il 29 maggio 1453 Costantinopoli cadeva in mano ai Turchi:  sbocciava, così, nel cuore del vescovo Piccolomini quel progetto di riscossa che sarebbe stato trascinato in deviazioni e dilazioni e che alla fine sarebbe abortito con la sua morte, come abbiamo sopra indicato. Ormai egli era un dignitario non più dell'impero ma della Santa Sede. Il nuovo Papa, Callisto iii, lo nominava nel 1456 cardinale e quel breve pontificato apriva la strada al conclave dell'agosto 1458 ove, dopo un veemente scontro con la candidatura del potente cardinale normanno Guillaume d'Estouteville, Enea Silvio Piccolomini veniva eletto Papa dai diciotto (su ventiquattro) cardinali riuniti a Roma. Era il 19 agosto 1458, l'eletto aveva 53 anni, il nome prescelto era stato modulato, certo, sul Pius Aeneas virgiliano, ma ormai con una connotazione marcatamente cristiana, tant'è vero che lo stesso Pontefice non aveva esitato a proclamare:  Aeneam reiicite, Pium suscipite!
Doveva, dunque, morire l'Enea umanista e diplomatico e nasceva il Pio vicario di Cristo. In realtà la complessa personalità di questa figura non perdeva le molteplici iridescenze della sua formazione intellettuale e politica. E l'opera [sua] (...) è una testimonianza, accanto alla multiforme attività ecclesiale e internazionale svolta nei sei anni del suo pontificato da Pio II. Lasciamo, perciò, tra parentesi la storia di quel periodo che va dall'elezione combattuta al papato sino all'amaro epilogo sul colle di Ancona, ed entriamo in questo scritto, per altro incompiuto, che è una mappa geopolitica dell'Europa percorsa e studiata dall'allora alto funzionario di Federico iii ormai cardinale del titolo di Santa Sabina. Era il marzo 1458, quattro mesi prima dell'elezione al pontificato.
L'arazzo multicolore di nazionalità, (...) attraverso le pagine del cardinale Piccolomini, raffigura l'Europa, un nome che era stato rinverdito e applicato al nostro continente proprio da Papa Niccolò v, Tommaso Parentucelli (1447-1455), l'indomani della presa di Costantinopoli, un Papa colto e raffinato, il fondatore della Biblioteca Apostolica Vaticana. Era un nome che attingeva alla tradizione mitologica classica ove era portato da varie eroine:  da una nipote di Zeus, amata da Poseidone, da una delle Oceanine, che erano figlie di Teti e dell'Oceano e incarnavano i ruscelli, dalla madre di Niobe, figlia del primo uomo e quindi "madre dei viventi", da una figlia del dio fluviale Nilo, ma soprattutto dalla celebre fanciulla amata da Zeus che l'aveva vista giocare sulla spiaggia fenicia rendendola madre di Minosse, re di Creta. Il Papa umanista Niccolò v non aveva esitato ad attingere alla grande eredità classica, anche se sul continente europeo ormai svettava e dominava da secoli la croce di Cristo. Non per nulla Goethe dichiarerà che "la lingua materna dell'Europa è il cristianesimo".


(©L'Osservatore Romano - 28 aprile 2010)
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