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Le paure degli italiani

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2010 23:15
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05/05/2010 20:00

La paura della povertà e del declino
RIFORMISTI CERCANSI
PER UN "BLOCCO SOCIALE"
La prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco all’apertura dei lavori del Consiglio Episcopale permanente ha riportato nuovamente al centro dell’attenzione il tema del declino dell’Italia. Esiste una profonda connessione tra il mancato slancio nella crescita, la paura per il futuro e un senso di fatalistico declino. Ci sono motivi di seria preoccupazione, dovuti in gran parte alla crisi economica che ha messo in ginocchio piccole e medie imprese e grande industria. La caduta del Pil italiano nel 2009 è stata pari a quella tedesca o britannica e più seria di quella francese, ma quest’anno la nostra ripresa sarà più modesta: i dati statistici evidenziano che la crisi economica ha accentuato il declino italiano.
In particolare desta seria preoccupazione la realtà del lavoro. Il lavoro, come ha ricordato Benedetto XVI nel suo recente discorso agli imprenditori, è un «bene per l’uomo, per la famiglia e per la società, ed è fonte di libertà e responsabilità».
Ed è proprio la precarietà lavorativa ed economica la «grande paura» che assale gli italiani. La paura della “povertà” che nella tempesta della crisi e nelle sue ricadute successive ha portato molte famiglie alle soglie minime di reddito e di consumo: famiglie di pensionati, di giovani gravati dal mutuo per la casa, famiglie in difficoltà per le spese della vita quotidiana e che stentano ad arrivare a fine mese. Povertà che investe soprattutto giovani, donne, immigrati, precari, lavoratori del Mezzogiorno e delle piccole imprese.
Gli italiani sembra stiano progressivamente perdendo la fiducia in se stessi, assumendo stati d`animo che finiscono col gravare sulla società, indotti da un pessimismo favorito anche da alcune lobby di intellettuali.
Ma il declino economico è la spia di un malessere più generale: sociale, culturale, politico e istituzionale. E su questo noi cattolici impegnati al servizio della società dobbiamo interrogarci e agire. Dobbiamo contrastare il dilagare della cultura del relativismo e del pessimismo e far emergere con forza la cultura del bene comune, della responsabilità, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione, della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità, della difesa della dignità della persona, della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, della libertà di educazione e dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche fino alla difesa della scuola cattolica. E, soprattutto, della difesa della vita.
E’ necessario uno scatto morale per affrontare con coraggio i tanti problemi: reagendo ad ogni tentazione di torpore e d’inerzia.
Il cardinal Bagnasco ha ricordato che il Paese “ha bisogno di una speranza più grande delle altre per ritrovare la direzione verso il futuro”. Per realizzare questo obiettivo c’è bisogno di una rivoluzione culturale: la “cura” dell’altro, la gratuità, il dono sono elementi basilari di una civiltà, consolidano i rapporti interpersonali sui quali è poi possibile costruire relazioni più ricche sia dal punto di vista umano sia da quello economico. Eppure tutto questo non compare nel Pil o nelle statistiche della produttività e, nonostante questi valori siano le fondamenta celate del sistema, hanno un modestissimo riconoscimento.
Per uscire da questo vicolo cieco in cui è piombata l’Italia sono necessarie le riforme. La riconciliazione e la modernizzazione del Paese necessitano di riforme urgenti: da quella fiscale al welfare, dal mercato del lavoro autonomo e dipendente, alle liberalizzazioni, a quelle della scuola, dell’università e della formazione professionale. Non c’è sufficiente coraggio riformatore e ci si accontenta del conforto di quegli indicatori ancora positivi per il Paese.
La società italiana ha parti sane che sono poco visibili: parti importanti del mondo industriale, della società civile, del mondo scientifico ed accademico elaborano e vivono sul campo soluzioni al problema, ma le migliori pratiche fanno una grande fatica a diventare cultura condivisa. Senza l’aiuto e la sintesi della politica, senza “un blocco sociale” di riformisti, senza l’ancora dei valori è praticamente impossibile trasformare queste realtà in orizzonti di speranza capaci di trainare tutto il Paese.
Il declino è reversibile, come dimostra la storia di altri grandi Paesi d’Europa, ma è necessaria la volontà di contrastarlo.
Carlo Costalli

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