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Le paure degli italiani

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2010 23:15
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05/05/2010 23:15

La paura di rifugiarsi nell`uomo forte
DEMOCRAZIA SCREDITATA
I CATTOLICI DOVE SONO?
Il clima politico che si respira in Italia ricorda da vicino quello degli inizi del secolo passato. La democrazia oggi è screditata. Nessuno la attacca direttamente, anzi è ancora d’obbligo proclamarsi democratici. C’è però un fastidio diffuso per il Parlamento e per le sue lungaggini. La classe politica è del tutto priva di prestigio per gli scandali, per la corruzione diffusa, per la incapacità di offrire risposte alle domande dei cittadini. Davanti al marasma, alla corruzione, al cattivo funzionamento delle istituzioni molti saluterebbero volentieri l’avvento di un “uomo forte”, capace di decidere e di risolvere problemi, di spezzare la protervia dei prepotenti. Per di più sta invecchiando ed è ormai uscita dalla politica quella parte della popolazione che ha sperimentato sulla propria pelle nel periodo 1922/1943 gli svantaggi e gli errori del potere di un uomo solo. Cresce allora una deriva plebiscitaria che nasce dalla stanchezza delle procedure democratiche e dalla sfiducia per i partiti.
È indubbio che questa deriva plebiscitaria oggi spinge verso l’alto Silvio Berlusconi. Sarebbe però un errore pensare che egli l’abbia creata. Semplicemente ne ha intuito le potenzialità ed è stato capace di sfruttarle. Sarebbe anche un errore pensare che Berlusconi sia l’unica figura plebiscitaria sulla nostra scena politica. A sinistra il successo a suo tempo di Bassolino in Campania e di Vendola in Puglia ha avuto egualmente un elemento plebiscitario e la politica di Di Pietro cerca di attingere allo stesso bacino di consenso. Non intendo denigrare le personalità sulle quali si è accentrata la deriva plebiscitaria e l’attesa messianica della pubblica opinione. Non solo esse non hanno colpe della situazione che si è determinata ma anche, fino ad ora, sono rimasti “grosso modo” nei limiti della legge e della legalità democratica. Rimane vero tuttavia che questa situazione è pericolosa per la democrazia e se non si corre ai ripari c’è il rischio di superare un punto di non ritorno.
Sono molte le voci che si levano a deprecare questo stato di fatto. Pochi sono coloro che tentano un’analisi per capire le ragioni di questa situazione e poche sono le proposte su ciò che bisogna fare per uscire dalla crisi della nostra democrazia. Io vorrei osservare prima di tutto che non esiste nessuna garanzia sulla permanenza delle forme democratiche di governo. La democrazia classica in Atene durò circa 170 anni, dalla riforma di Clistene alla battaglia di Cheronea. Le crisi della democrazia italiana o di quella tedesca nella prima metà del secolo XX sono note a tutti. Platone ci ha lasciato nella Repubblica una teratologia della democrazia, cioè una descrizione della sua malattia mortale. Questa malattia è il relativismo etico, che al tempo di Platone si chiamava “sofistica”. Quando i dirigenti si convincono che non esiste nessuna differenza fra il bene ed il male e non esiste nessun bene oggettivo e nemmeno un bene comune della comunità politica, allora cambia la natura della politica. La politica diventa strumento per promuovere l’interesse privato di singoli e di consorterie organizzate. La corruzione diventa non più l’eccezione ma la regola. Non ci facciamo illusioni sul fatto che la corruzione sia un fenomeno permanente della vita politica. Non esistono società senza corruzione e senza abuso di potere da parte dei ceti dirigenti. Esistono però società nelle quali la corruzione è piuttosto l’eccezione che la regola. Esistono società in cui anche il criminale è consapevole del fatto che ciò che fa è sbagliato. Non riesce a resistere alla tentazione ma sa che ciò che fa è male.
Se cade la differenza fra bene e male allora la corruzione, la prevaricazione, l’uso del potere pubblico per fini privati non conosce più limiti, avviene pubblicamente e quasi alla luce del sole. Quando questo avviene il popolo si distacca dalle istituzioni e perde fiducia nella democrazia ed è pronta a seguire il primo demagogo che agiti la bandiera della restaurazione dell’ordine e della legge.
Qualcosa del genere avviene anche in un altro ambito. Decisioni necessarie per il bene comune sono continuamente dilazionate perché ogni fazione politica vuole una contropartita particolare in cambio del suo consenso alla misura di interesse generale. Anche diverse corporazioni (giudici, sindacati, diversi organi territoriali…) hanno poteri di veto che usano in modo spregiudicato per promuovere i loro interessi o le loro convinzioni particolari. Il popolo si convince che il potere politico democratico è impotente e si guarda intorno alla ricerca dell’“uomo forte” che sia capace di far prevalere il bene comune sull’interesse dei singoli e delle fazioni.
Che fare? Bisogna rendere di nuovo efficienti le istituzioni democratiche. Serve una riforma dei regolamenti parlamentari. È incredibile quali guadagni di efficienza si possano ottenere anche senza riforme istituzionali. Servono però anche le riforme istituzionali.
Tutto questo certamente va fatto ma non è sufficiente. Abbiamo bisogno di un rinnovamento morale della classe dirigente. Abbiamo bisogno di una classe dirigente che emargini i corrotti prima che di essi si occupi la magistratura. Abbiamo bisogno di partiti che selezionino questa nuova classe dirigente, che abbiano un prestigio sufficiente a garantire per essa, che svolgano un’opera culturale di educazione alla democrazia.
La cosa più importante però deve avvenire fuori dai partiti e fuori dalla politica. Abbiamo bisogno di una nuova cultura della verità e del bene, una cultura che sappia riscoprire un giusto principio di autorità. La cultura dominante identifica libertà con licenza e crede che la filosofia implicita della democrazia sia il relativismo etico. È vero esattamente il contrario: la nostra democrazia non si salverà se non prevarrà una cultura della responsabilità e del bene comune. È difficile che questo possa avvenire in Italia se il popolo cristiano che c’è in questo Paese non sentirà il desiderio di esercitare fino in fondo la propria responsabilità politica, magari attraverso lo strumento di un partito laico di forte ispirazione cristiana, come quello che, nel corso di una crisi non molto diversa dalla nostra, fondò nel 1919 don Luigi Sturzo chiamandolo Partito Popolare Italiano.
Rocco Buttiglione

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