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La Chiesa post conciliare

Ultimo Aggiornamento: 27/05/2010 12:31
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Il padre Congar (progressista) fece il punto della situazione con una frase: "Grazie al Concilio, ciò che prima era la posizione di un'élite intellettuale [quella condannata da Pio XII con l'enciclica "Humani generis"] è diventata opinione comune nella Chiesa". Qual era la sostanza di questa opinione comune? La conciliazione della dottrina cattolica col pensiero contemporaneo, ossia con le idee liberali, relativiste e fondamentalmente anticristiane (perché elaborate in contrapposizione al cristianesimo) che hanno preso piede dal 1789. Una volta stabilito un principio, questo va avanti per conto suo, fino a giungere alle sue logiche conseguenze. Com'è stato possibile fare, pochi anni dopo il Concilio, una riforma liturgica che disattendeva le regole esplicitamente stabilite dal Concilio stesso? E come si è fatto a presentare tutto questo come riforma del Concilio? Semplice: con la coerenza al principio di fondo. La "Sacrosanctum Concilium", che dei documenti conciliari è il più tradizionale, rovescia la concezione tradizionale del culto (chiaramente espressa, pochi anni prima, da Pio XII nella "Mediator Dei"), spostando il centro dalla gloria di Dio alla partecipazione dei fedeli. Il principio-guida del documento è questo, e non si può negare che la riforma postconciliare l'abbia tenuto presente. Se poi alcune norme pratiche (la conservazione del latino, per esempio) sono state disattese, c'è forse da stupirsene. Un padre che dicesse al figlio: "Il cibo è la cosa più importante della vita" e poi cercasse di farlo stare a dieta, non contraddirebbe se stesso? Non sarebbe normale se il figlio rispettasse il principio e disattendesse la norma?

Gli atti del Concilio, è vero, sono materia da addetti ai lavori. Ma la loro sostanza, i principii su cui si fondavano, vennero immediatamente messi in luce dai giornali e portati all'attenzione del grande pubblico. Penetrarono nei seminari e nelle università. Diedero origine ad una nuova classe clericale, imbevuta dei nuovi principii. Addirittura si chiese e si ottenne il pensionamento dei Vescovi anziani, per introdurre più facilmente le novità.

Insomma, l'abilità dei progressisti preconciliari fu quella di approfittare del Concilio per aprire la strada alle loro idee. Lo disse esplicitamente un altro noto innovatore, il padre Schillebeckx: "Al Concilio diciamo certe cose in modo diplomatico, ma dopo il Concilio ne trarremo tutte le necessarie conseguenze". Dopo il Concilio, i progressisti, forti dei generici richiami al "rinnovamento" contenuti nel Concilio, hanno saputo prendere il controllo dei gangli dell'istruzione cattolica, col consenso tacito o a volte esplicito della Santa Sede (non dimentichiamo che i più noti teologi del neomodernismo, allontanati dall'insegnamento da Pio XII, furono chiamati come periti conciliari da Giovanni XXIII), hanno modificato la liturgia, hanno intaccato secolari abitudini di preghiera, di pietà, di costumi. Tutto questo è stato grandemente agevolato dalla piega che la mentalità secolare stava assumendo in quegli anni. Infine arriviamo ad oggi, con la crisi diventata strutturale.

Per meglio capire le connessioni tra Concilio (al quale, certamente, non si possono dare tutte le colpe, ma del quale non si può dire che non ebbe un ruolo decisivo nella consacrazione della nuova mentalità secolarizzante) e deviazioni postconciliari, vi consiglio l'ormai notissimo libro di Mons. Gherardini, "Concilio Vaticano II. Un discorso da fare", acquistabile ad offerta libera presso i Francescani dell'Immacolata.
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