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Il Papa costretto a retromarce ingloriose: il curato d'Ars non è più 'rappresentativo' per i sacerdoti

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2010 18:10
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17/06/2010 17:13

IL SANTO CURATO D'ARS: UN MODELLO DI SANTITA' ADEGUATO AI TEMPI O ADEGUATO A CRISTO?


di Don Matteo De Meo

Il povero curato d’Ars, può essere un modello per tutti i sacerdoti nel nostro travagliato e confuso tempo?

Per il Santo Padre Benedetto XVI sì! E’ la prima cosa che afferma nella sua omelia durante la S. Messa in chiusura dell’anno sacerdotale: “...modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo”.

Qualcuno, però, lo ritiene un modello “non abbastanza universale”; lo è già per i sacerdoti in cura d’anime, ma per tutti i sacerdoti sarebbe un pò eccessivo! Un sacerdote oggi ha a che fare con mille problematiche, e con una realtà pastorale molto complessa (viviamo nell’era dell’informatica, del mondo virtuale e altamente tecnologizzato, con altri modi di sentire e vivere la Chiesa e la stessa fede); insomma altri tempi, i nostri, molto dissimili da quelli del povero Curato d’Ars, che trascorreva gran parte della sua giornata a dir messa, a confessare e a far penitenza per le sue pecorelle.

Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: quale modello potrebbe corrispondere universalmente al ministero sacerdotale dei nostri tempi?

Sicuramente molti sono i modelli sacerdotali di santità, e di questo bisogna ringraziare Iddio che non smette di inviare alla Chiesa e al mondo i suoi santi, in ogni tempo. Ma sembra si stia diffondendo uno strano pensiero: un modello ha una sua scadenza! Vi sono modelli nuovi e modelli vecchi! Santi moderni e santi arcaici: ad esempio S. Pio da Pietrelcina è ritenuto un modello di santità arcaica rispetto a madre Teresa di Calcutta che invece rispecchierebbe un’idea più moderna di santità. Quindi, Santi più adeguati ai nostri tempi e santi meno adeguati. Ma Cristo non è lo stesso ieri oggi e sempre? Un Santo, canonizzato dalla Chiesa, non diventa forse un modello di santità universale, che va oltre lo spazio, il tempo, le culture?

In una prospettiva meramente umana, orizzontale, il santo diventa un modello tout court; un semplice personaggio storico che è sottoposto all’usura e alla polvere dei secoli.

Solo se ci lasciamo abbracciare dal Mistero presente e operante nella sacra liturgia della Chiesa si viene salvaguardati da questa ottica insidiosa.

I santi dei primi secoli, i santi delle contrade più sconosciute e remote sono più presenti e più vicini, più intimi di coloro con i quali conviviamo o che incontriamo ogni giorno. Ogni distanza di tempo, di luogo, di condizione sociale è vinta. La Chiesa ne celebra la festa perchè il Santo non è affatto un personaggio storico ormai lontano nel tempo, ma perchè l’unione viva con lui fa parte della sua medesima vita. É il meraviglioso mistero della Comunione dei Santi: “...Mai Ella (la Chiesa) perde i suoi figli, mai il tempo li allontana da lei e i suoi figli le sono vicini non in ragione degli anni ma in ragione della loro santità. ...” (Don Divo Barsotti, Il Mistero cristiano, p. 359).

In un tempo di forte crisi per l’identità sacerdotale, un modello come quello del Curato d’Ars è sicuramente ciò di cui noi sacerdoti abbiamo bisogno.

Se è stato proclamato patrono di tutti i parroci, se il Santo Padre lo ha scelto come modello fra tanti, durante l’intero anno sacerdotale, se a conclusione di esso lo ha definito modello per tutti i sacerdoti-non solo parroci-non è tanto perchè pregava e faceva penitenza (una prassi che ogni cristiano è chiamato a riscoprire, e ancor di più un consacrato); non è tanto perchè se la vedeva con il diavolo, che, per non dargli tregua, gli sfasciava il letto anche di notte; non è tanto perchè aveva una particolare abilità nell’attuare “strategie” e “obbiettivi” pastorali, ma perchè è stato un sacerdote autentico, ha corrisposto in pienezza al suo ministero sacerdotale, fino all’eroismo. Cioè, ha realizzato in pienezza la missione apostolica ricevuta con il Sacramento dell’ordine, che è propria di ogni sacerdote, parroco o meno! Se così non fosse non avrebbe avuto senso neanche proclamarlo patrono dei parroci...

Il suo essere sacerdote non era, malgrado certa agiografia, un sorta di contorno della sua persona. Il prete non è un monaco, ma non è neanche definito innanzitutto da un suo particolare ufficio: parroco, vicario, teologo, accademico, chiamato a fare anche un pò di ministero chi più o chi meno. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non è conferito primariamente in vista della santità personale, o di un particolare ruolo, bensì perchè uno diventi apostolo. Deve perciò perseguire e rincorrere la propria santificazione personale attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale e una chiara consapevolezza di esso; questo poi può anche esprimersi in una molteplicità di forme disposte dalla Provvidenza divina che guida e sostiene la Chiesa nella storia, e nella mutevolezza dei tempi.

Ciò che il prete deve salvare ad ogni costo, per diventare una persona capace di affrontare la grande sfida della nuova evangelizzazione della società contemporanea, senza andare in crisi, è l’unità tra la sua identità sacerdotale e la missione apostolica.

Una identità di sacerdote fondata sull’idea di una santificazione personale soggettiva, o sulla specificità di un ufficio particolare, o di una particolare inclinazione (preti di strada, di frontiera, del sociale, e chi più ne ha più ne metta......), più che sulla necessità di santificarsi attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale, in obbedienza a Cristo attraverso la sua Chiesa, ingenera un dualismo pernicioso. Non è raro oggigiorno vedere preti esaltati dai media perchè totalmente immersi nel sociale, ma che non parlano mai di Cristo, dei sacramenti, della Chiesa, della messa! O, peggio ancora, diffondono una propria immagine di Cristo, dei Sacramenti, della Chiesa e della stessa Fede. La pretesa di realizzare una propria immagine di prete, quindi, spesso costruita dalle esigenze e dalle richieste del mondo, diventerebbe più importante della stessa vocazione apostolica e missionaria. Oggi più che mai c’è bisogno di recuperare non tanto una capacità pastorale del sacerdote nel proprio tempo, ma l’identità essenziale del sacerdote e del ministero a lui affidato. La particolarità con cui questo ministero può svolgersi nei tempi, nei luoghi e nelle circostanze è grazia di Dio; e la sua autenticità dipende più dalla fedeltà al ministero stesso che alle proprie capacità, o inclinazioni personali.

Mi sembra che il santo Padre nel proporci un modello sacerdotale come quello del Santo Curato d’Ars, ci stia dicendo una cosa fondamentale, ma poco considerata: il prete non è prete solo per essere un cristiano migliore degli altri. Per questo basta qualsiasi fedele, con una personalità vera e propria. Il prete deve essere prima di tutto una persona, che nella sua vita realizza le ragioni per cui gli è stato affidato il ministero sacerdotale. La sua specificità si radica nel fatto oggettivo del Sacramento dell’Ordine, che ha ricevuto e che lo distingue da tutti gli altri fedeli.

E di questo il Curato d’Ars è sicuramente un esempio eccezionale! Viveva nel continuo desiderio di essere liberato da una responsabilità che gli sembrava spaventosa: la responsabilità di essere parroco. Per tutti i quarant’anni che passerà ad Ars, Giovanni Maria sarà ossessionato dall’idea di andarsene. Sogna la trappa, o un ritiro in solitudine e preghiera. Ma, soprattutto, ha una profonda consapevolezza dell’immensità del mistero che è racchiuso nel sacerdote: “Ah, che cosa spaventosa essere sacerdote! La confessione! I Sacramenti! Che peso! Oh, se si sapesse che significa essere sacerdote, si fuggirebbe nel deserto, come i santi, per non esserlo!”. “Oh, quando si pensa che il nostro grande Dio si è degnato di dare questo incarico a dei miserabili come noi!”.

Nello stesso tempo è però consapevole della bellezza a cui si è chiamati senza alcun merito, e questo lo rende felice, e tale felicità lo contraddistinguerà sino alla morte. Morirà parroco e, in definitiva felice di esserlo. “Il sacerdote è un uomo che tiene il posto di Dio, un uomo rivestito di tutti i poteri di Dio”. Egli ne è convinto. E la fonte della sua felicità sta nella sua vocazione. La coscienza della sua dignità di sacerdote - “Mio Dio, che onore!”, esclamava - non toglie nulla alla sua umiltà.

Chi più del povero e santo Curato d’Ars può dire a noi sacerdoti del terzo millennio di quale dignità siamo stati senza merito investiti, e di quale umiltà dobbiamo rivestirci per essere autentici testimoni della paternità e della guida di Dio per gli uomini che incontriamo sul nostro cammino. Uomini innamorati di Cristo e della sua Chiesa.

Siamo sempre più preoccupati di adeguarci al sentire del mondo, dei tempi, finendo per confonderci con esso: siamo sempre più preoccupati, fino all’affanno, di essere utili al mondo e invece siamo chiamati a servire il regno di Dio nel mondo, un regno che il mondo non riconosce perchè non gli appartiene! Ciò significa che oggi, se vogliamo ancora trovare penitenti attorno al confessionale, come al tempo del Curato d’Ars, dobbiamo essere fedeli fino all’eroicità all’identità del nostro ministero; un ministero che ci separa dal mondo e che ci radica totalmente nel mistero di Cristo per continuare la sua opera di salvezza, e non perseguendo i nostri vani ragionamenti. Diciamocelo chiaramente: noi sacerdoti dobbiamo combattere ogni giorno con la tentazione individualistica e soggettivistica propria del cammino della cultura del nostro tempo; noi guardiamo alla vita di fede come a uno sforzo individuale, come l’esprimersi di opzioni (teologiche, etiche, pastorali) noi guardiamo alla nostra vocazione così come si svolge nella nostra giornata come il prodotto della nostra iniziativa. Invece il sacerdote - e questo emerge prepotentemente nell’immagine del Curato d’Ars - è tutt’uno con la Chiesa e con Cristo, e quindi è singolarmente espressivo del mistero di Cristo, perchè è nella Chiesa e per il mondo egli è l’immagine obiettiva di quel Signore Gesù Cristo, per cui vive e agisce, attraverso il Sacramento e la parola.

Separati dal mondo per portare Cristo al mondo. Solo in questa prospettiva amiamo coi fatti e nella verità: “...Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via.”, dice il Pontefice in un prezioso passaggio della citata omelia.

É pur vero che, nella sua vita, il sacerdote ha un compito; è un compito ascetico-spirituale ancor prima che pastorale, perchè la pastoralità sarà l’effondersi, il traboccare di quella verità di fondo che il sacerdote continua ad attuare, assimilandosi al Signore. Credo che in questa prospettiva si situi la volontà del Santo Padre di indicare il Curato d’Ars, come modello per tutti i sacerdoti in questo nostro mondo dove imperversa una vera e propria “dittatura”, quella del relativismo. Ripartire dalla fondamentale dedizione a Cristo che diventa poi, nella saggezza della Chiesa e per la saggezza della Chiesa, impegno anche pubblico, e canonico, con maggiore o minore intensità (secondo gli intendimenti della Chiesa).

Allora quale figura di sacerdote potrà esse fonte di ispirazione e modello autentico?

Un modello di sacerdozio adeguato ai tempi o adeguato a Cristo?

Grazie, Santità, per averci indicato il Santo Curato d’Ars come modello sublime di quell’alter Christus, che nella tradizione cattolica dice questa singolarissima configurazione del sacerdote a Cristo, e che sempre più oggi si tenta di mettere nell’ombra per una presunta modernità di essere, di stile e di forma.

S. Giovanni Maria Vianney, prega per noi!

Fides et Forma

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