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TUTTI I CONCILI RICONOSCIUTI DALLA CHIESA GODONO DELLA STESSA INFALLIBILITA'?

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2009 11:40
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25/08/2009 11:37

La sorella Caterina in questi giorni ha postato dei messaggi, che, secondo le sue spiegazioni, dimostrerebbero che tutti i Concili, Ecumenici e non, sono di uguale importanza, cioè infallibili.
Inoltre afferma, interpretando alcuni documenti ecclesiali, che non vi è differenza tra Magistero Straordinario e quello Ordinario.
Poiché questi testi sono interpretati erroneamente, sposto qui il topic rispondendo definitivamente alla sorella Caterina, e chiudendo definitivamente la questione, quindi non accetterò altri messaggi.
E giusto, che le persone che leggano ascoltino tutte e due le campane, per poi esaminare il tutto studiando teologia dogmatica, spero non su internet ma su testi universitari.
Spero che nessuno se ne risenta, ma come Amministratore di questo forum reputo giusto che il lettore legga la controparte e che la questione sia chiusa dignitosamente senza presunzione, da entrambi le parti.
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24/08/2009 12.31

Oggi va di moda sostenere l'errata teoria che un Concilio se non è Ecumenico NON è infallibile ed è dunque reformabile... si aggiunge confusione su confusione senza capire bene come nasce il termine ECUMENICO per un Concilio il cui significato NON è quello che si attribuisce all'ecumenismo attuale... inoltre NON ci si sforza neppure di comprendere cosa significa l'infallibilità e il reformare...

TUTTI I CONCILI RICONOSCIUTI DALLA CHIESA HANNO LO STESSO VALORE, LA STESSA INFALLIBILITà LA MEDESIMA CREDIBILITA' e rientrano in quello che chiamiamo: MAGISTERO UNIVERSALE DELLA CHIESA

Altro punto da chiarire è il seguente:
magistero straordinario o ordinario? quale è quello infallibile?
ENTRAMBI, lo spiega dettagliatamente Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem
                          
cliccando qui troverete il testo:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8071772&...

dice il Papa:

Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente
.

Da dove nasce la teoria errata che un Concilio se NON è ecumenico non ha valore e che il magistero ordinario non va applicato dai fedeli?
DA ALCUNE FALSE INTERPRETAZIONI DEL DOPO CONCILIO VATICANO II...

Dopo l'ultimo Concilio e a partire proprio dalla Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, gruppi di teologi trovando campo fra molti sacerdoti confusi dal caos culturale di quegli anni, iniziarono a spargere semi avvelenati CONTRO IL MAGISTERO PONTIFICIO... diabolicamente iniziarono a far filtrare l'opzione che attraverso il Concilio NON ERA PIU' NECESSARIO OBBEDIRE, MA AGIRE ESCLUSIVAMENTE CON LA PROPRIA COSCIENZA...e cominciarono ad insegnare che solo il Magistero Straordinario era vincolante e che il Magistero Ordinario era invece opinabile a seconda delle proprie opinioni...

Paolo VI richiamò all'ordine molte volte questi teologi ma con scarso successo...un esempio di tale disastro lo troviamo nei famosi vescovi olandesi di quegli anni quando, avanzando con le proprie opinioni, inventarono un nuovo catechismo dentro il quale si giunse a dubitare perfino sulla Persona di Cristo...

Prima del Concilio Vaticano II NON si pose MAI in dubbio la validità di TUTTI i Concili riconosciuti dalla Chiesa, bastava infatti il semplice riconoscimento di questo per renderlo infallibile e non il termine "ecumenico"...

L'Enciclopedia Cattolica spiega come nasce il termine Ecumenico:
www.enciclopediacattolica.it/wiki/Concilio_Ecumenico


Nei primi secoli di vita della Chiesa cristiana, nessuno si pose il problema di stabilire dei criteri per definire quando un concilio può dirsi veramente ecumenico. Il problema sorse solo più tardi, quando diversi sinodi o concili iniziarono, a torto, a definirsi “ecumenici”. A rendere necessario un intervento chiarificatore fu inoltre la tendenza sempre più evidente e marcata fra la Chiesa occidentale di Roma e la Chiesa orientale di Costantinopoli a diversificare le loro dottrine ecclesiologiche, in rapporto soprattutto al primato papale e alla preminenza dell’una o dell’altra sede apostolica.

Fu proprio durante il VII Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea del 787, che per la prima volta furono stabiliti dei criteri di ecumenicità dei Concili. Nella sesta sessione di quel concilio, per confutare la pretesa di ecumenicità del Sinodo di Hieria del 754, i Padri conciliari affermarono che quel sinodo non poteva dirsi ecumenico, per i seguenti motivi:

« Non ebbe come collaboratore il papa della Chiesa romana di allora, o i sacerdoti che sono con lui, né per mezzo di suoi legati, né per mezzo di una sua enciclica, come è la norma del concilio. »


« Neanche vi acconsentirono i patriarchi dell’Oriente, di Alessandria, di Antiochia e della Città Santa, o i consacrati che sono con loro e i vescovi. »

« Le loro dichiarazioni sono state fatte come in un luogo segreto, e non dal monte dell’ortodossia. Per tutta la terra non si diffuse la loro eco, come quella degli apostoli, e fino ai confini del mondo le loro parole (cfr Salmo 18,5), come quelle dei sei santi concili ecumenici. »

« Come può essere settimo quello che non è in armonia con i sei santi concili ecumenici prima di esso? Infatti quello che sarebbe stato celebrato come settimo, deve essere coerente con il novero delle cose decise prima di esso. Ciò che non ha niente a che vedere con le cose computate, non deve essere computato. Se uno per esempio mette in fila sei monete d’oro e poi aggiunge a queste una monetina di rame, non può chiamare quest’ultima settima, perché è fatta di materia diversa. L’oro infatti è prezioso e di grande valore, mentre il rame è materiale a buon mercato e senza valore. »
(Secondo concilio di Nicea, VI sessione.)

Così i Padri conciliari definirono come ecumenico un concilio che avesse queste caratteristiche:

- deve avere il papa come collaboratore, o direttamente, tramite la sua presenza, od anche indirettamente, tramite dei rappresentanti, o legati papali; inoltre devono essere presenti i rappresentanti di tutti i Patriarchi della cristianità;
- deve essere accettato dagli altri Patriarchi della Chiesa, cioè, oltre che da quello di Roma, dai Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria;
- deve essere recepito dai fedeli, dalla base;
e soprattutto deve essere coerente con i precedenti concili ecumenici, porsi cioè in linea di continuità teologica, morale e disciplinare.

L’attuale ecclesiologia cattolica pone alcuni principi nella definizione e nella composizione di concilio ecumenico:

- esso è sede dell’esercizio supremo della potestà sulla Chiesa universale da parte del Collegio dei Vescovi (Codice di diritto canonico 337,1; Lumen Gentium 22,3; Catechismo della Chiesa Cattolica 884);
- spetta solo al Papa di Roma convocare, presiedere, trasferire, sospendere, sciogliere un Concilio ecumenico, come pure approvarne i decreti (Codice di Diritto Canonico 338,1; Lumen Gentium 22,3);
- spetta solo al Papa di Roma determinare le questioni da trattare nel Concilio ecumenico, ed approvare eventuali questioni aggiunte dai Padri conciliari (Codice di Diritto Canonico 338,2);
- possono partecipare al Concilio ecumenico i Vescovi membri del Collegio dei Vescovi, (Codice di Diritto Canonico 339,1) ed altre persone chiamate a parteciparvi (Codice di Diritto Canonico 339,2);
- se la Sede Apostolica diventa vacante durante la celebrazione del Concilio, questo è interrotto fino all’elezione del nuovo Pontefice (Codice di Diritto Canonico 340);
- solo i decreti conciliari approvati e confermati dal Papa e da lui promulgati hanno forza obbligante (Codice di Diritto Canonico 341,1).

Nel 1586 Roberto Bellarmino nella sua opera “De conciliis et ecclesia militante”, riprese una lista di concili medievali già proposta dallo spagnolo Pontac in una cronografia pubblicata una ventina di anni prima, e la consacrò con il proprio prestigio e la propria autorità teologica.
Così il catalogo di Bellarmino affiancò ai concili del primo Millennio cristiano, 7 concili medievali, che egli qualificò col titolo di ecumenici: d’ora in avanti l'approvazione dei cinque patriarcati antichi non sarà più ritenuto un criterio necessario per l'ecumenicità, essendo sufficiente l’azione e il consenso papale
.

ergo...la canonicità di un Concilio non è la sua "ecumenicità" bensì IL CONSENSO PAPALE...tutti i Concili riconosciuti dalla Chiesa e con l'approvazione del Pontefice, portano in sè l'ecumene, l'UNIVERSALITA' di cui necessitano perchè i Documenti da essi scaturiti possano trovare applicazione in tutto il mondo...

riguardo poi al Magistero straordinario o ordinario, rispose appunto Giovanni Paolo II proprio con il MP Ad Tuendam Fidem postato sopra....

E' necessario pertanto comprendere, per chi vuole dirsi Cattolico, che c'è stato un vero attentato all'obbedienza magisteriale attraverso false interpretazioni dell'ultimo Concilio e che MAI la Chiesa, riconoscendo un Concilio, lo ha definito reformabile solo perchè non aveva il titolo di "ecumenico"...

Soggetti depositari dell'infallibilità.

Sono il Papa e tutto l'episcopato, cioè l'insieme dei vescovi in unione col Papa, loro capo.

a) Il Papa.
Il Papa è infallibile quando parla ex cathedra. De fide.Lo è anche nell'ordine del Magistero sia straordinario quanto quello ordinario quando esprime lezioni e catechesi di ordine etico, morale e dottrinale per il bene della Chiesa e di tutti gli Uomini.

b) I vescovi.
L'insieme dei vescovi è infallibile quando, o riunito in Concilio ecumenico o disperso sulla faccia della terra, in unione con il Papa, propone una dottrina di fede o di morale come verità a cui tutti i fedeli devono attenersi. De fide.

Il Concilio di Trento insegna che i vescovi sono i successori degli Apostoli (D. 960 [D S. 1768]); similmente il Concilio Vaticano I (D. 1828 [DS. 3061]).
Quali successori degli Apostoli, essi sono, al par di quelli, i pastori ed i maestri dei fedeli (D. 1821 [DS. 3050]).
Essendo per ufficio maestri della fede sono titolari dell'infallibilità attiva assicurata al magistero ecclesiastico.

Si distinguono due forme di attività nel magistero dell'episcopato, l'una straordinaria, l'altra ordinaria:

1) In modo straordinario i vescovi esercitano il loro infallibile potere magisteriale nel concilio generale o ecumenico in unione con il Papa; ed è proprio nelle decisioni dei concilii generali che l'attività dei loro magistero, istituito da Cristo, ha la più chiara manifestazione.
Nella Chiesa fu sempre viva la convinzione che le decisioni dei concilii generali sono infallibili.

2) I vescovi esercitano il loro infallibile potere in modo ordinario quando, nelle proprie Diocesi, uniti moralmente con il Papa, annunciano concordemente le medesime dottrine di fede o di morale. Il Concilio Vaticano I dichiarò espressamente che anche le verità rivelate proposte dal magistero ordinario ed universale della Chiesa devono essere credute per fede divina e cattolica (D. 1792 [DS. 3011]), decreto ripreso da Giovanni Paolo II nella Ad Tuendam Fidem.

Ora chi detiene il magistero ordinario e universale è precisamente l'episcopato diffuso su tutta la faccia della terra. La concordanza dei vescovi nella dottrina può essere stabilita dai catechismi che essi redigono, dalle loro pastorali, dai libri di preghiera che essi approvano e dalle decisioni dei sinodi particolari. E' sufficiente una concordanza moralmente universale in cui non deve mancare l'espressa o tacita approvazione del Papa, quale capo supremo di tutto l'episcopato.

Il singolo vescovo nel proclamare le verità di fede non è infallibile. La storia della Chiesa mostra che singoli membri dell'episcopato sono caduti in errore e in eresie, per es. Fotino, Nestorio. Per conservare integra la dottrina tradizionale, è sufficiente l'infallibilità collegiale dell'intero episcopato. Il singolo vescovo è però per la sua diocesi, in forza del suo ufficio, l'autentico, cioè autorevole maestro della fede, purché sia in comunione con la Santa Sede e si attenga alla dottrina generale della Chiesa.

Ricapitolando:

NON esiste un Magistero ecclesiale o Pontificio fallibile, sia quello straordinario, quanto quello ordinario devono trovare nel fedele che voglia dirsi Cattolico la piena adesione;

la confusione e la disobbedienza nascono da false interpretazioni attribuite al Concilio Vaticano II che Paolo VI condannò aspramente...

Così disse il card. Bertone spiegando l'autorità della Dominus Jesus:

" una dottrina può essere insegnata dal Magistero come definitiva sia con un atto definitorio e solenne ( dal Papa "ex cathedra" e dal Concilio ecumenico) sia con un atto ordinario non solenne (dal Magistero ordinario e universale del Papa e dei Vescovi in comunione con lui). Entrambi questi atti sono tuttavia infallibili.


È inoltre possibile che il Magistero ordinario del Papa confermi o riaffermi dottrine che appartengono d'altronde alla fede della Chiesa: in questo caso, il pronunciamento del Papa, pur non avendo il carattere di una definizione solenne, ripropone alla Chiesa dottrine infallibilmente insegnate come da credersi o da tenersi definitivamente, ed esige quindi dai fedeli un assenso di fede o definitivo.


Nella fattispecie della Dichiarazione "Dominus Iesus", si deve dire che esso resta un Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che non gode quindi della prerogativa dell'infallibilità, in quanto emanato da un organismo inferiore al Papa e al collegio dei Vescovi in comunione con il Papa. Tuttavia gli insegnamenti delle verità di fede e di dottrina cattolica in esso contenuti, esigono da parte di tutti i fedeli un assenso definitivo e irrevocabile, non già in forza e a partire dalla pubblicazione della Dichiarazione, ma in quanto essi appartengono al patrimonio di fede della Chiesa e sono stati infallibilmente proposti dal Magistero in precedenti atti e documenti.



 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/08/2009 11:40

La linea di pensiero espressa da quel documento si rifà ad un’impostazione manualistica del problema dell’infallibilità che è quella del documento della Congregazione per la dottrina della fede chiamato “Professione di fede e Giuramento di fedeltà” (29.6.1998), in esso non si distingue tra gradi di verità del magistero ma solo tra le pene che comporta la disobbedienza ad esso. Vale a dire che mentre rifiutare un dogma porta alla scomunica, il rifiutare posizioni insegnate dal magistero non infallibile è definito erroneo, temerario, e non da insegnare, anche se non rompe la comunione con la Chiesa.

Questo modo di impostare la questione della differenza tra i vari livelli di magistero non come una differenza tra livelli di certezza bensì solo come differenza tra i livelli di pena in teologia ha un preciso nome, si chiama “ultramontanismo” (col senso contemporaneo del termine, ovviamente, non quello che aveva ai tempi di Utrecht), è una corrente tra le tante, specie perché cade nel circolo logico di citare un documento fallibile per avvalorare delle conclusioni circa la portata del magistero ordinario. E’ un modo di impostare la questione da manuale. Che il magistero del papa non possa mai errare è una posizione che gli autori di questa corrente riprendono da molto lontano, dai Dictatus Papae di Gregorio VII, altro documento non infallibile. Una simile pretesa è contraddetta dalla storia, visto che ci sono stati papi dichiarati eretici, ad esempio Onorio, o papi che pur non essendo stati dichiarati eretici professarono dottrine oggi ritenute erronee, es. la dottrina di Giovanni XXII sullo stato delle anime. O che dire della disputa sui Tre Capitoli che vide un papa scomunicato?

In realtà non si può discutere di teologia pescando da internet a caso se non si è al corrente di quali sono le varie scuole, e dunque senza sapere che cosa si sta leggendo. Questo poi è un punto delicatissimo, su cui c’è tutto un dibattito che scoppiò negli anni settanta per colpa di Hans Küng e che va assolutamente conosciuto. Il punto, che portò come è noto alla compilazione di un testo in risposta a Küng opera dei maggiori teologi cattolici dell’epoca (compreso l’attuale papa) è che, secondo la dottrina del Vaticano I, non è che il papa sia infallibile in quanto persona, bensì al papa spetta l’infallibilità della Chiesa, cioè è solo portavoce dell’infallibilità che appartiene alla Chiesa di Dio. Bisogna dunque vedere se il papa quando parla sta riportando il parere della Chiesa, e, qualora pretenda di impegnare il carisma dell’infallibilità, per la teologia cattolica è certo che allora quello è il parere della Chiesa (e che dunque è infallibile). Scriveva Yves Congar (a quel tempo professore ordinario di teologia dogmatica a Strasburgo): “Bisogna ricordare il memorabile intervento del cardinale Guidi, arcivescovo di Bologna, al Concilio Vaticano, il 28 giugno 1870. Il cardinale domenicano criticava la formula proposta, che sembrava attribuire l’infallibilità al papa come una proprietà di cui egli sarebbe investito, per poi dedurne l’infallibilità delle sue definizioni. L’infallibilità, diceva, è il risultato di un “auxilium transiens et estrinseca quaedam, sed specialis custodia divinae providentiae”. Non bisogna dunque dire: il papa è infallibile, perché non lo è, ma: certi giudizi, e dunque certi atti del papa sono infallibili.” (Infallibile? ,Roma, 1971, Paoline, p.93)
Sull’equivoco ultramontanista, sempre Congar: “E questo ha permesso, tra Pio IX e il Concilio Vaticano II, con un momenti di intensità maggiore sotto Pio XII, di trasportare praticamente al magistero ordinario del papa questo attributo di infallibilità che si riconosceva in generale al papa. (…) Il Concilio Vaticano del 1870 non aveva trattato la questione del magistero ordinario del Pontefice romano. Di fatto, gli sono state applicate le qualità enunciate riguardo a definizioni “ex cathedra”: ex sese, irreformabiles, senza contare l’idea di una illuminazione equivalente quasi a delle rivelazioni (la parola è stata pronunciata più di una volta). Vi è anche stata una vera inflazione della categoria d’infallibilità come se, tra l’infallibilmente vero e l’errore, non esistesse un immenso campo di verità parziale, di certezza probabile, di ricerca o di approssimazioni, persino di preziosissima verità non garantita dai rischi della finitezza umana. Il professore A. Vergote ha ragione di scrivere: “L’abuso teologico dell’infallibilità viene dalla patologia della verità, proprio come il legalismo è una patologia della morale.” (op. cit., p. 95)
Sulla natura del magistero ordinario, e la sua autorevolezza, mi rifaccio ad un bello studio di Elmar Klinger. Bisogna distinguere due errori: il credere che tutto sia dogma, e il credere che, su ciò che non è dogma, l’adesione sia del tutto indifferente, come se qualsiasi dottrina del magistero che non sia coperta dall’infallibilità scadesse al rango di mera opinione. E’ il magistero ordinario stesso che deve dire se ciò che presenta è fides divina oppure no, perché le due cose non coincidono. “Tra magistero ordinario e straordinario c’è identità e nello stesso tempo differenza: identità a motivo della medesima verità rivelata che viene proposta, differenza per la diversità della forma in cui viene presentata l’autorità ecclesiastica.
Perciò M. Caudron osserva che la dottrina del magistero ordinario riguarda “in recto” l’oggettività della fede. Essa sta a significare che il messaggio cristiano può esigere un assenso assoluto solo quando viene presentato dalla Chiesa come una verità di fede, anche nel caso ciò avvenga in forma ordinaria e non definitoria.” (op. cit. p. 275) Karl Rahner, il maggior teologo cattolico del XX secolo, così commenta: “Viene esplicitamente dichiarato che si può parlare di un insegnamento infallibile del magistero ordinario (e corrispondentemente anche di quello straordinario) solo quando la sentenza unanime dell’episcopato universale presenta una res fidei et morum tamquam definitive tenenda (da tener per vera definitivamente), ossia esige per essa anche esplicitamente un assenso assoluto ed irreformabile” (K. Rahner, Kommentar zu Lumen Gentium, n. 18-27 in LThK (supplmento al), Francoforte, 1966, v. I, p. 237)

Tirando dunque le fila possiamo ben dire che ha ragione Giovanni Paolo II nell’affermare che sono da credersi sia le cose tramandate nella Traditio orale sia nella Scrittura, ma è proprio questo il problema: che cos’è che fa parte della Traditio orale? Nell’Enciclica Ad Tuendam Fidem il papa disse “sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale”. Ma questa frase è stata interpretata erroneamente, perché essa non dice che tutto il magistero ordinario sia infallibile, bensì che quando il magistero ordinario riporta la Parola di Dio (Traditio scritta o orale), allora, anche se la forma in cui è riportato la parola di Dio è il magistero ordinario, essa è comunque infallibile, in quanto ciò che viene riportato era già stato definito infallibilmente in precedenza. Vale a dire che se un papa si mette a pregare in un udienza del mercoledì e dice “preghiamo Gesù, vero Dio e vero uomo”, quel contesto, la preghiera del mercoledì, non è certamente un pronunciamento infallibile, e tuttavia, poiché al suo interno riporta frasi definite infallibilmente altrove, allora quelle frasi infallibili, pur essendo pronunciate all’interno del magistero ordinario, sono da credere.
Vale a dire, in soldoni, che il magistero ordinario è infallibile quando riporta ciò che fa parte della Parola di Dio, ma il dibattito dei teologi riguarda per l’appunto quali siano gli articoli di fede che costituiscono questo depositum fidei. Come è noto è da considerarsi Parola di Dio nella Traditio orale ciò che è stato creduto “sempre, ovunque, e da tutti”, e dunque espressione della Chiesa. In questo senso anche il contenuto della Dominus Iesus di cui parla Bertone, in quanto riporta contenuti di fede dogmatici, è infallibile, ma non perché quel documento sia in è infallibile, ma perché il suo contenuto era stato definito già altrove infallibilmente, e dunque il fatto che in questo caso sia stato presentato come magistero ordinario non ne muta la natura irreformabile. Non esiste invece una definizione dogmatica che chiarisca il contenuto di che cosa si intenda con la formula “vergine ante in et post partum”. Come già spiegato la formula è dogma, non quale sia il suo contenuto però, non è infatti da intendersi necessariamente come una verginità fisica.

La definizione del sinodo lateranense sotto Martino I, 31.10.649 (D 503) è stata discussa (la parte che segue la cito da un mio amico patrologo dell’università di Torino, Andre Nicolotti, che s’è occupato della questione in uno scritto): “Si quis secundum sanctos patres non confitetur proprie et secundum veritatem Dei genetricem sanctam semperque virginem et immaculatam Mariam, utpote ipsum Deum Verbum specialiter et veraciter, qui a Deo Patre ante omnia saecula natus est, in ultimis saeculorum absque semine concepisse ex Spiritu Sancto, et incorruptibiliter eam genuisse, indissolubili permanente et post partum eiusdem virginitate: condemnatus sit”, “Se qualcuno secondo i santi padri non confessa propriamente e secondo verità che la santa genitrice di Dio sempre vergine ed immacolata Maria negli ultimi tempi concepì senza seme dallo Spirito Santo lo stesso Dio Verbo, in modo speciale e verace, il quale nacque dal Padre prima di tutti i secoli, e che ella generò senza corruzione, restando inalterata la sua verginità anche dopo il parto, sia condannato”.
Questo canone fu promulgato soprattutto perché i monofisiti e i monoteliti si erano appoggiati alla verginità nel parto per mettere in luce la perfetta sovranità del Verbo sul suo corpo, che implicava secondo loro la dottrina dell'unica natura e dell'unica energia. Gli ortodossi spiegavano al contrario che il Cristo è nato veramente corporalmente, cercando di evitare il docetismo; è per questo che la permanenza della verginità è precisamente un miracolo. Quale contenuto abbiano queste “senza corruzione” (afthoros in greco) e “integrità della verginità” non è determinato più esattamente. D'altra parte lo stesso Papa Martino (Mansi X,963 ss.) sottolinea contro il monofisita Teodoro di Pharan che il bambino non è nato “incorporalmente”, né “senza corporeo gonfiore”, e che il Cristo non è passato, come diceva Apollinare, attraverso Maria come “attraverso una canna”.

Il papa si appoggia anche a Gregorio di Nazianzo che dice che Maria è sotto la “legge della gravidanza” (nomos kueseos) (Mansi X,966 D). È difficile dire come questi differenti elementi presenti nel pensiero del
Papa, orientati verso una realtà corporale della gravidanza e rispettosi della verginità fossero assimilabili in maniera non contraddittoria. La spiegazione del Mitterer o quella spirituale farebbero chiarezza, invece. Ma
per ora si potrà concludere che una fissazione dogmatica e una spiegazione di questo dogma non erano nelle intenzioni del sinodo: un sinodo particolare ripete la dottrina della verginità perpetua senza fissare dottrinalmente una interpretazione più precisa.

Vorrei poi sapere in base a che cosa si interpreta quanto si sta dicendo con un “Da dove nasce la teoria errata che un Concilio se NON è ecumenico non ha valore?”, quando nessuno ha mai qualificato così i Concili non ecumenici. Come già detto tra l’infallibilità e l’errore ci sono ampie zone di grigio. Non sono riuscito a trovare in tutto il documento l’affermazione del magistero che qualunque concilio provinciale sia infallibile, ma solo che il magistero ordinario è da credersi qualora proponga dottrine che fatto parte del depositum fidei, cosa che come già detto non discuto minimamente ma che non ha nulla a che fare col problema in esame.



Mi sembra che abbiamo sviscerato sufficientemente l'argomento.

Il forista potrà, leggendo i vari interventi, farsi un'opinione personale, essendo stati esposti

tutti i punti di vista possibili.

Grazie, chiudo.

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