"Dalla Fede il Metodo"

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(Zacuff)
00mercoledì 23 settembre 2009 12:47
Se potessimo deciderlo, figuratevi che risparmio quando ci sono i saldi (ma non ci sarebbero i saldi, proprio perché ognuno adatterebbe il criterio di giudizio)!
Ci viene da ridere, ma è così.
 È così evidente che non lo decidiamo noi, che dobbiamo sottometterci al criterio che troviamo m noi: non c'è un'altra scarpa che quella che mi corrisponde.
Perciò il criterio e dentro di me, è nel mio piede, tanto è vero che se mi metto una scarpa che è piccola, il piede grida: «Non è questa!».
 È un giudizio- «Non è questa».
Questo è oggettivo o lo decidiamo noi (alcuni mi hanno detto che lo decidono loro: «Compro le scarpe più economiche che poi magari si adattano». Va benissimo, arriviamo a questa follia, tanta è la confusione!)?
Il criterio di giudizio è dentro di noi, ma non lo decidiamo noi, e oggettivo.
E qual è il criterio di giudizio che abbiamo dentro di noi e che non decidiamo noi, per entrare in tutto e potere fare esperienza, cioè emettere un giudizio su quello che proviamo?

Don Giussani l'ha chiamato "esperienza elementare": l'insieme di esigenze e di evidenze che costituiscono il nostro umano (verità, giustizia, amore, felicità).

ESPERIENZA ELEMENTARE
insieme di esigenze e evidenze
(verità, giustizia, amore, felicità)

Possiamo usare sinteticamente la parola biblica "cuore" che non è soltanto, come nel linguaggio comune solitamente viene ridotta il sentimento, ma e questo insieme di ragione e affezione.
Proprio quello che don Giussani intende con l'insieme di esigenze e di evidenze.

CUORE

 Questo criterio, l'esperienza elementare, è oggettivo.
E qui ciascuno deve rintracciare nella sua esperienza esempi di questo.
Quante volte uno ha pensato: se riuscissi a trovare quel lavoro, o (quando eravamo più giovani) se potessi andare a quella festa...
Tante volte il lavoro o la testa erano andati alla grande, eppure siamo tornati a casa tristi Come dice Giacomo Leopardi ne La sera del dì di festa: «Già slmilmente mi stringeva il core».
Quante volte le cose vanno alla grande, abbiamo tutto quello che progettiamo, e non ci basta.
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(Zacuff)
00mercoledì 23 settembre 2009 12:53
Fate esperienza qualche volta di questo?
Vedete come non è soggettivo?
Letteralmente come le scarpe: così oggettivo che, se non trovo corrispondenza, non sono a posto. Per questo la parola-chiave è la parola corrispondenza.

 ESPERIENZA

PROVARE + EMETTERE UN GIUDIZIO
 
CRITERIO DI GIUDIZIO

• Dentro di noi •
Ma non lo decidiamo noi
 
ESPERIENZA ELEMENTARE
 Insieme di esigenze e evidenze
(verità, giustizia, amore, felicità)

CUORE

CORRISPONDENZA


Io ho dentro di me il criterio per sapere che cosa corrisponde alle esigenze del mio cuore. Ma spesso noi ci fermiamo al provare (sento nostalgia, ho desiderio di avere), e allora diciamo:
«Questo è quello che mi corrisponde».
 E questa è la modalità con cui tra di noi si giustifica qualsiasi istintività (diciamola, la parola).
Ma questa è una presa in giro, prima di tutto per te!
Non semplicemente perché sbagli moralmente: sbagli moralmente perché non ti corrisponde, anche se te ne infischi della morale!
 Perché il problema non è che te ne infischi della morale; è che finisci nel nichilismo! La morale è niente rispetto al nichilismo in cui uno finisce rispetto a quell'evidenza che ha dentro di sé.
Provare nostalgia o desiderio di avere non è ancora esperienza.
 Lì vengono suscitate le domande: ma questo è la felicità?
Questo coincide con le mie esigenze, con il criterio che ho dentro di me?
Come quando vai a provare le scarpe: questo paio corrisponde con l'esigenza dei miei piedi?
La confusione che abbiamo si vede chiaramente in come noi usiamo la parola "corrispondenza".
Lo vedevo chiaramente quando mi invitavano a celebrare un matrimonio, e nel dialogo con i fidanzati veniva fuori come, in fondo, pensavano che l'altro li avrebbe resi felici.
E allora io facevo loro capire che l'altro non ti può rendere felice, perché la tua esigenza di felicità - questa esperienza elementare che ti trovi addosso, questa esigenza di verità, di bellezza, di giustizia - è più grande di tutto l'universo, e che provare l'insufficienza e la nullità è la questione più grande della vita.
(continua)
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(Zacuff)
00giovedì 24 settembre 2009 13:01
Capite perché don Giussani ci invitava a leggere Leopardi?
Per comprendere che cos'è questa esigenza elementare, che Leopardi aveva così presente, così carnalmente presente.
 Mi stupisce sempre che don Giussani a tredici anni non trovasse altro compagno di strada che un Leopardi.
 Che razza di esperienza del suo umano aveva don Giussani per non trovare altro compagno di strada che uno che diceva così: che tutto è poco, piccino, per la capacità dell'animo!
E don Giussani questo ce l'ha detto sempre, ma noi non lo capiamo! Tutto è poco, piccino, per la capacità dell'animo: la moglie, il lavoro, il successo, la politi-ca... Tutto è poco, piccino, per la capacità dell'animo! Se non capiamo questo, noi siamo come tutti. Perché? Perché confondiamo quello che ci piace con quello che corrisponde. E se noi non incominciamo a giudicare, ci inganniamo in continuazione: non soltanto perché facciamo il male o perché non siamo coerenti con una norma morale.
Ti inganni - il che è peggio - perché non ti corrisponderà mai, non corrisponderà all'esigenza di felicità che provi!
 Dobbiamo decidere se vogliamo prendere sul serio il desiderio di felicità, l'esperienza elementare che ci troviamo addosso, se vogliamo prendere sul serio il nostro umano!
O vogliamo fare - come fanno tutti - quello che ci pare e piace?
Perché per questo non abbiamo bisogno di venire qua, e soprattutto, poi, dire che lo facciamo perché «me l'ha detto Carrón»!
Ma va', va'! Io della corrispondenza ho detto e posso dire solo quel che sto dicendo adesso. Non prendiamoci in giro.
Allora capite che gran lavoro ci sta davanti, se abbiamo questo minimo di tenerezza con noi stessi, questa affezione a noi stessi, se veramente vogliamo il nostro bene, la nostra felicità, la felicità dei nostri amici, la felicità dei nostri figli, la felicità del mondo.
Se noi non facciamo esperienza, non possiamo capire qual è la differenza tra qualsiasi cosa che ci passa per la testa (le nostre immagini) e Cristo.
Perché, alla fine, se il criterio è soltanto quel che mi pare e piace. Cristo diventa un pensiero che mi pare e piace più o meno; non è Chi mi rende possibile la corrispondenza di cui diceva don Giussani, l'unica vera corrispondenza, quella che è impossibile all'uomo se non Lo trova.
Per questo occorre celebrare Cristo, festeggiare Cristo.
Senza questo, capisco bene che tante volte rimaniamo nella confusione rispetto a ciò che abbiamo incontrato.
Perché o non lo abbiamo sperimentato o resistiamo a riconoscere che cosa veramente ci corri- sponde e abbiamo bisogno di giustificare qualsiasi nostra istintività.
È chiaro?
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(Zacuff)
00giovedì 24 settembre 2009 13:11
Prosperi. Alla luce di questo, le prossime domande si chiariscono meglio. Seconda. «Manca l'umano: questa espressione è tornata più volte nelle tue lezioni. Ma cosa significa, al contrario, avere l'umano?
A volte questa parola sembra avere contorni molto confusi. Cosa ci aiuta a distinguere l'umano come ne parli tu dalle continue immagini che inevitabilmente ci sorgono?».

 Carrón. La confusione, come vedete, è rispetto a questo criterio di giudizio, perché esso non viene fuori da ciò che provo, ma davanti a ciò che provo: in me umanamente impegnato in ciò che provo. Per questo occorre l'umano.
Se io riduco il mio umano soltanto a quello che mi pare e piace, è il crescere costante della confusione.
Grazie alla corrispondenza, al di là delle immagini, uno comincia ad avere un criterio per giudicare quando c'è veramente l'umano e quando no.
 Ma quante volte vi è capitato di tornare da una festa o di ottenere il lavoro o di finire l'università, eppure di sperimentare una profonda insufficienza?
C'è bisogno che vi dica io l'esperienza che fate voi?
Non la condividiamo tutti?
La questione è se noi, quando ci rendiamo conto di questo, siamo leali con l'esperienza che facciamo, con quello che viene fuori nell'esperienza. Perché per continuare ad andare dietro alle cose che ci paiono e piacciono dobbiamo negare l'esperienza della non-corrispondenza.
Non è che non abbiamo tutte le spie accese, ma tutte!
E siamo ben coscienti della differenza tra le immagini e il vero giudizio di corrispondenza! Occorre che ci aiutiamo in questo, che ci sfidiamo a questo in continuazione, perché altrimenti noi rimaniamo sempre nella confusione, tanto più in una situazione generale come quella di cui parlavamo ieri.
Per questo occorre fare un lavoro veramente importante. e non incominciamo a fare esperienza e a essere leali così con la nostra esperienza - per distinguere quello che mi pare e piace da quello che mi corrisponde -, rimaniamo sempre più confusi.
 E la cosa non è senza conseguenze: facciamo quello che ci pare e piace e non siamo contenti, raggiungiamo quello che bramiamo e non siamo contenti.
Cioè manca la corrispondenza col cuore.
Come si distingue?
Si distingue essendo leali con l'esperienza.
Non è che devo spiegarvelo io adesso: guardate, guardate la vostra esperienza. Come l'esempio del gesso: non devo spiegarvelo io quando vi fa male o meno. Sapete voi quando il gesso vi fa male, o no?
Sapete voi quando siete contenti, o no?
Sapete voi quando siete veramente realizzati nella vostra vita, o no?
Allora, se noi non giudichiamo (non vediamo che cosa è quello che ci corrisponde), rimaniamo sempre più confusi.
(continua
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:36
Prosperi. «Si può approfondire il concetto di ascesi, inteso come lavoro dell'intelligenza e della volontà?
Come questo lavoro sostiene la certezza che Cristo salva la mia circostanza?
Come la compagnia sostiene questo lavoro personale di ascesi?».

Carrón. Il lavoro dell'ascesi è giudicare, ci ha detto don Giussani.
L'unica modalità per incominciare ad avere esperienza della liberazione è giudicare. Se noi non giudichiamo, rimaniamo sempre più confusi e sempre più incastrati.
La vita è questo continuo giudizio su tutto quello che accade.
Noi dobbiamo decidere o meno di partecipare a questa avventura offertaci da don Giussani, perché altrimenti ripetiamo soltanto frasi sue senza capire, e alla lunga questo ci stufa perché non cambia niente della vita, perché è come se non si potesse imparare più niente dalla vita.
Il lavoro dell'ascesi è questo paragone costante di quello che io ho in mente, le mie immagini, quello che io penso che sia la vita, quello che io penso che mi renda felice, con quello che realmente mi rende felice.
E questo occorre che io ve lo spieghi, di nuovo, o lo riconoscete voi stessi? Mettere in gioco questo è la decisione della vita.
La nostra vita, appartenere al movimento, è partecipare a questa avventura. Altrimenti il carisma è morto e sepolto - capite? -, al di là del fatto che siamo qui in ventiseimila, perché quello che ci ha comunicato don Giussani come esperienza, come strada umana, noi non lo facciamo.
 E questa è la grande decisione che occorre prendere alla fine degli Esercizi:
siamo disponibili a fare questo lavoro, a partecipare a questa avventura della conoscenza (in modo da potere incominciare a distinguere il bianco dal nero), o no? Perché ciò su cui facciamo più fatica è questo giudizio.
 E poi, siccome non giudichiamo, domandiamo a un altro che risolva le questioni per noi.
In che cosa la compagnia ci sostiene?
Se, invece di spiegare, ti sfida.
Gesù che cosa ha fatto con i discepoli?
 Ha forse risparmiato loro il lavoro del giudizio?
Dal primo istante:
«Venite e vedete, giudicate voi».
 Non ha perso neanche un minuto a spiegare: «Venite e vedete, giudicate voi».
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:40
Gesù parte dal presupposto che loro non sono così scemi da non capire se quello che vedono corrisponde loro o meno.
 E quando - nell'episodio che abbiamo tante volte richiamato - tutti Lo abbandonano. Gesù ancora una volta non risparmia nulla:
«Anche voi volete andarvene?».
Non dice, quando resta solo con i discepoli: «Almeno voi restate, per carità, non lasciatemi solo!».
Corre il rischio di rimanere da solo, pur di non risparmiare il giudizio ai suoi: «Anche voi volete andarvene?».
Dicendo questo li sta forse incoraggiando ad andarsene?
No, sta aiutandoli a fare quel lavoro di ascesi: perché senza questa domanda di Gesù, i discepoli sarebbero potuti anche rimanere, ma formalmente, senza capire. Gesù, sfidandoli, che cosa fa?
Fa prendere loro consapevolezza dell'esperienza che hanno fatto, e fa uscire dalle viscere della loro esperienza il perché rimangono:
«Se andiamo via da Te, dove andiamo?».
 Questa consapevolezza è venuta fuori grazie a Uno che è veramente un amico: non si è messo a spiegare, li ha sfidati, e così loro sono rimasti con una consapevolezza e una certezza che prima non avevano. Tra di noi siamo amici così, o no?
Altrimenti ci prendiamo in giro, perché l'amicizia è la sfida costante al rapporto col Mistero.
Questo è sconvolgente di don Giussani, perché l'unico che prende sul serio tutti i fattori di quello che il Mistero ci ha dato (questo cuore per giudicare tutto) è lui.
 Ci mette nelle condizioni migliori di fronte alla sfida di Gesù ai discepoli:
 «Volete andarvene o no?
Devo spiegarvi Io che cosa sono per voi?
 Che cosa avete avuto voi nell'esperienza? Che cosa avete conosciuto voi?».
Così, nei discepoli, è venuta fuori la ragione per rimanere.
Noi non rimarremo cristiani, la nostra fede avrà una data di scadenza - ve lo assicuro -, se non facciamo questo lavoro, perché non sapremo perché rimaniamo qua e quando cambieremo l'umore penseremo che stiamo meglio da un'altra parte.
Senza questo lavoro di ascesi non capiamo la ragione ultima per cui siamo qua.

Prosperi. «Tu dicevi che non manca Cristo, ma manca l'umano.
Sembra quasi che l'umano sia una precondizione per riconoscere Cristo come risposta alle proprie esigenze del cuore, mentre se guardo la mia esperienza mi accorgo che la mia umanità è stata fatta fiorire dall'incontro con Cristo e che prima era molto più rattrappita e incapace di individuare le mie esigenze originali.
 Puoi chiarire questo rapporto tra Cristo e l'umano?».
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:45
Carrón. Per potere riconoscere Cristo, per potere riconoscere la diversità di Cristo, occorre in contemporanea l'umano.
 E l'umano ce l'abbiamo tutti. Nessuno può dire che non ha l'umano, perché vorrebbe dire che non è una persona.
Insomma: smettiamo di dire che non ce l'abbiamo!
 L'umano l'abbiamo tutti - possiamo usarlo o no, questo è un altro problema -, e per questo possiamo trovare Chi ci corrisponde.
Se ciascuno di noi pensa al perché è qua, vede che ha almeno intravisto in qualche modo che nell'incontro con certe persone c'era una speranza per sé: che la vita poteva essere più grande, più bella, vissuta in un modo più umano.
Questa condizione c'è perché Dio, che aveva deciso di farci partecipi della felicità inviando il Suo Figlio, ci ha costituito con questo cuore perché noi potessimo riconoscerLo quando Lo avessimo a incontrare.
 Era tutto nel disegno di Dio: ci ha fatto per Lui, per quella pienezza che può darci soltanto Lui.
Ce lo dice la prima pagina della Bibbia: ci ha creati a Sua immagine, cioè ci ha fatti per Lui.
In quel Giardino era tutta la struttura dell'io: ci ha fatto per una convivenza con Lui, per trovare la felicità nel rapporto con Lui.
Secondo tutta la tradizione cristiana il nostro io è questo desiderio di bellezza, di pienezza, che trova il suo compimento nell'Unico che gli corrisponde.
Per questo, fin quando non lo troviamo, il nostro cuore è inquieto.
Allora sì, l'umano - dice don Giussani, e ci risparmia molti ragionamenti - è necessario per riconoscere Cristo, perché è questo paragone che uno fa tra l'esigenza di bellezza che ha e quel che incontra.
 Ed è vero quello che dice la seconda parte della domanda: l'incontro con Cristo fa fiorire l'umano.
 Fa fiorire l'umano perché mi rende consapevole di cosa desidero io, mi ridesta.
Per questo tanta gente poi si arrabbia con il movimento:
«Mi ha ridestato l'umano e poi non compie».
Ma se l'ha ridestato!
Se l'ha ridestato siamo ancora più noi stessi, più umani, e quindi più in grado di cogliere la corrispondenza.
 Perciò, quanto più uno vive l'esperienza cristiana, quanto più uno vive questo rapporto con Cristo, tanto più viene fuori tutta l'ampiezza del desiderio.
Non è che cancella il desiderio, ma siccome è Colui che mi attira di più, mi soddisfa di più, mi rende più felice, allora viene di più fuori tutto il mio desiderio.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:49
Per questo mi stupisce se poi diciamo che qualsiasi cosa ci corrisponde.
 Questo fiorire dell'io - come vedete - è la condizione per riconoscere Cristo.
Per questo ho bisogno di trovarLo ogni mattina. Cosa sarebbe un giorno - dopo averLo incontrato - in cui io non potessi fare memoria di Lui, cosa sarebbe una mattina senza poter dire Tu a Cristo?
Come per uno che si è innamorato, cosa sarebbe una mattina senza la persona che ama?
Come per il bambino senza trovare il volto della mamma, cosa sarebbe la vita?
Allora la memoria di Cristo non è aggiungere una cosa pesante in più («Uffa, devo anche fare memoria!»).
Sono io a chiederti: ma come fai a vivere senza fare memoria?
 Come riesci a guardare te stesso, ad avere affezione a tè stesso senza fare memoria di Cristo dopo averLo incontrato e aver visto che è l'unico che soddisfa la vita, è l'unico che veramente corrisponde all'esigenza di felicità, di compagnia che hai?
Come fai?!
 Come puoi vivere senza fare silenzio?
Perché il silenzio per noi nasce dall'Avvenimento, che uno resta senza parole davanti all'accadere di questa corrispondenza: ma chi sei Tu, Cristo, in grado di riempirmi la vita così?
Tutto si riempie di silenzio, la Tua presenza mi riempie di silenzio.
Uno resta senza parole, come quando si trova davanti un'esperienza di bellezza, di pienezza, di gratuità, che colpisce così tanto da lasciare senza parole.
Questo è il silenzio.
Il silenzio cristiano nasce dalla Presenza, dalla pienezza della Presenza: non ho altro da dire che fare silenzio per non perderLo.
 Se noi non abbiamo bisogno di questo silenzio, non è che non siamo bravi ciellini: è che non è successo e non succede niente che ci riempia di silenzio.
Non è una serie di precetti: nasce tutto come espressione dell'Avvenimento che riempie la vita di silenzio.

Prosperi. Hai detto che la forma della risposta al nostro desiderio è Cristo stesso. «Quando uno si trova male nel proprio lavoro e ne desidera uno più bello, oppure desidera incontrare una donna con cui fare famiglia, oppure due sposi desiderano un figlio, cosa vuoi dire che la forma della risposta al nostro desiderio è Cristo stesso? Cristo è la consistenza della mia vita, ma cosa significa che è la forma del mio desiderio?».

Carrón. Che quel che io veramente desidero è Lui!
Noi tante volte confondiamo i nostri desideri parziali con il desiderio ultimo del cuore, tanto è vero che abbiamo il lavoro e non basta, ci sposiamo e non basta, abbiamo i figli e non bastano.
Perché non bastano?
Perché quello che desideriamo - come dice Leopardi - è qualcosa di più grande.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:53
Questa è la nostra grandezza, e noi cerchiamo sempre di ridurre la nostra grandezza, perché la nostra grandezza è la grandezza del nostro desiderio.
La vera grandezza dell'uomo, il vero mistero dell'uomo, il vero paradosso dell'uomo è che, essendo limitato, desidera l'infinito.
Questo è quello che non capiamo, amici.
Se noi non capiamo che quello che desideriamo è l'infinito, ditemi: perché dovremmo essere cristiani, perché dovremmo perdere il tempo a stare qua?
Se noi non sperimentiamo che quello per cui il Mistero ci ha fatto è per riempirci di una felicità assolutamente al di là di tutte le nostre previsioni, perché vale la pena essere cristiani?
Se è legittimo avere tutti questi desideri parziali, l'unico che veramente compie il desiderio costitutivo di infinito è Lui.
Per questo la forma della risposta al nostro desiderio è Cristo.
Se non è questo, che cosa significa per noi rincontro con Cristo?
Non avremmo capito la portata dell'incontro con Cristo, e perciò non avremmo chiara la ra-gionevolezza della nostra adesione di fede.
Per questo parlo di data di scadenza se uno non capisce qual è il vero problema a cui ci ha educato sempre don Giussani citando Cesare Pavese: quello che cerchiamo nei piaceri è l'infinito, e nessuno potrà mai smettere di cercare questa infinità.
 E questa è la nostra esperienza: che possiamo avere tutto quello che vogliamo, ma non ci basta, e sempre più ci rendiamo conto che non ci basta.
Perché possiamo dire che non ci basta?
Perché è così oggettivo il criterio in noi, che ci rende evidente che quello che desideriamo è più grande di quello che noi riusciamo a ottenere.
Questo è il paradosso: che il nostro cuore è questo desiderio, ma noi siamo limitati e tutto quello che facciamo è piccolo, è limitato, è incapace di soddisfare questo desiderio dell'infinito.
E per questo o c'è Cristo (Uno che viene da fuori e riempie il cuore) o possiamo incominciare a piangere, perché quello che desideriamo non c'è.
 Ecco perché può festeggiare Cristo solo chi capisce qual è la natura infinita del desiderio. Qualcuno come Leopardi, come sant'Agostino, come la Samaritana.
 Finché non ci rendiamo conto di questo, non possiamo capire che grazia abbiamo avuto incontrando Cristo; non restiamo stupiti che Qualcuno abbia avuto pietà del nostro niente e ci abbia dato quella grazia, assolutamente inaspettata, che nessuno di noi merita e che tanti uomini cercano a tentoni.
Noi abbiamo ricevuto la grazia, ma molte volte è come se non l'avessimo ricevuta, perché viviamo nella confusione, pensando che qualsiasi altra cosa possa rispondere alla natura, alla profondità, alla portata di questo desiderio.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 13:57
Quando dico che manca il desiderio nella vita dico che noi non capiamo qual è la natura del nostro desiderio.
Ci manca il Mistero.
Questo ci rende consapevoli che o facciamo questo lavoro, questa ascesi, oppure innanzitutto non potremo essere contenti (anche se riusciamo a ottenere quello che ottengono gli altri), e soprattutto non capiremo veramente e non ci riempirà di gioia il fatto che ci sia Cristo.
 E di avere incontrato don Giussani.

 Prosperi. «Vorremmo capire meglio il passaggio per cui uno segue non la persona, ma l'esperienza della persona, e come questo non diventa un ultimo alibi per applicare comunque la propria misura.
 Per esempio, se segui la persona e questa ti delude o tradisce, spesso nasce l'obiezione sull'esperienza».

Carrón. Bisogna fare il paragone con quello che si vive.
Don Giussani ci ha comunicato l'esperienza che lui ha fatto, e questa è vera anche se io domani tradisco.
 Questo è vero e sarà sempre vero, perché quello che decide della corrispondenza o meno non è quello che dico io o quello che dice don Giussani, ma è quello che ciascuno di noi prova nella propria esperienza quando la giudica.
 Per questo uno segue l'esperienza dell'altro, che te la comunica come può, a tentoni.
Non si segue la persona per un personalismo, perché l'ha detto il capo.
 Questo non è umano, non è umano! Ma se lui ti sta comunicando un'esperienza che sta facendo e a te interessa imparare, seguire lui coincide col seguire l'esperienza che lui fa, in modo che tu possa farla diventare tua.
 E rimarrà tua anche se lui dovesse tradirla.
Io non voglio che ripetiamo le frasi di don Giussani (o le mie), ma che sia nostra questa esperienza, che diventi nostra, perché quando vogliamo qualcosa vogliamo che diventi nostro, come noi desideravamo che quello che ci spiegava l'insegnante di matematica diventasse nostro. Voi non desiderate questo?
 Lo dice don Giussani spiegando l'obbedienza: seguire fin quando, a un certo punto, uno segue se stesso colpito dall'esperienza che fa un altro, perché è così tutt'uno con se stesso, che alla fine segue se stesso colpito dall'esperienza di un altro.
Se non facciamo così, continuiamo a ripetere le frasi di don Giussani, ma non facciamo l'esperienza che fa lui.
Noi seguiamo l'esperienza che fa uno.
 E questo non vuoi dire che allora rimaniamo sulla nostra misura, perché se uno rimane sulla propria misura è perché lo vuole, andando contro quello che emerge con chiarezza dall'esperienza che fa.
Se poi vuole giustificarlo con le sue obiezioni agli errori degli altri, è un problema tutto suo.
 64
(continua)
(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 14:02
Prosperi. «Se il cristianesimo è l'Avvenimento, che senso ha impegnarci e difendere i valori cristiani?».

Carrón. Questo è il terzo punto della seconda lezione, su cui voglio soffermarmi un attimo per approfondirlo: la questione della cultura.
Mi sembra che adesso, dopo il percorso di quest'anno, possiamo capire un po' meglio che cosa c'è in gioco.
Prendiamo, per esempio, il caso dell'esperienza che abbiamo fatto rispetto alla vicenda di Eluana.
Tante volte noi che cosa abbiamo fatto?
 Una cosa giustissima, da un certo punto di vista: difendere il valore della vita.
 Ma io vi chiedo sinceramente: se qualcuno di noi fosse stato in quella situazione, gli sarebbe bastato difendere la vita?
Noi avremmo potuto stare davanti a una situazione così soltanto con la difesa del valore della vita? Ditemelo!
Guardiamo, amici: per difendere la vita don Giussani che cosa ha fatto con noi?
Non è che non abbia affermato l'importanza della vita, l'importanza dell'uomo e della persona.
Ma per farci capire questo - lo dico sinteticamente - ci ha comunicato una febbre di vita. Cristo, per spiegarci che cosa è la vita, che cosa è il valore dell'uomo, è diventato carne, è diventato uomo!
I principi e i valori sono diventati carne e sangue, come continua a insistere il Papa. Ma tante volte noi, non avendo capito che i principi e i valori li abbiamo compresi grazie all'incontro che abbiamo fatto con Cristo nel movimento, che ci ha riempito la vita di significato, cambiarne metodo.
Uno è il metodo che il Mistero ha usato con noi per farci capire (e che noi abbiamo sperimentato nell'incontro); un altro è il metodo che noi vogliamo applicare agli altri. Allora non abbiamo capito la portata conoscitiva dell'incontro, cioè che a noi questo amore alla vita viene dall'incontro fatto!
 E questo è quello che Romano Guardini ha detto molto bene nel suo La fine dell'epoca moderna:
«Dall'inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non-cristiana.
Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso [per tanto tempo si sono difesi i valori anche se non si era cristiani]. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori».
Gli illuministi non volevano abolire i valori cristiani, avevano capito che erano una conseguenza della cosa più grande che era successa nella storia, ma non volevano seguire la Chiesa, non volevano continuare a riconoscere Cristo come decisivo per la vita.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 14:05
Allora difendevano i frutti che Cristo aveva portato separandoli dall'origine; hanno voluto fare un cristianesimo senza Cristo, difendendo i valori cristiani a prescindere dalla fonte, dalla sorgente di questi valori.
«In verità questi valori [...] sono legati alla Rivelazione», e noi lo capiamo bene, perché noi penseremmo come tutti, se non avessimo incontrato il movimento.
 Che cosa avremmo detto noi sulla vicenda di Eluana, se non avessimo incontrato il movimento?
Ditemi... Come tutti! «Così si liberano nell'uomo delle forze che sono per sé "naturali" [noi possiamo raggiungere quasi naturalmente il riconoscimento di questi valori , ma che non si svilupperebbero al di fuori di quell'economia [del cristianesimo].
 L'uomo diviene consapevole di valori che per sé sono evidenti, ma divengono visibili solo in quell'atmosfera».
Se noi non capiamo questo, che sono di per sé evidenti ma che noi possiamo capirli soltanto all'interno di quell'atmosfera dell'incontro cristiano, poi cerchiamo di bastonare gli altri con i valori pensando che così li capiranno.
E poi ci lamentiamo chiedendoci perché non arrivano a capire. Anche noi non l'avremmo capito così!
 Non è che Gesù si è fatto carne per sbaglio! No, è diventato carne perché senza di questo noi non avremmo capito.
Non è che non siano veri i valori, ma è che la strada per accoglierli, per capirli, per vederne l'umanità, l'abbiamo incontrata solo riconoscendo Cristo.
Guardini annota, parlando di decenni fa (figuriamoci se vivesse adesso...), che si è «rivelato un vuoto che esisteva ormai da lungo tempo. |...|
II tempo che viene creerà qui una chiarezza terribile, ma salutare.
Nessun cristiano può rallegrarsi dell'avvento di una radicale negazione del cristianesimo [...].
 Ma è bene che si metta a nudo quella slealtà (operata dalla cultura moderna: volere difendere i valori senza Cristo; adesso, ormai, neanche più i valori, come vediamo]. Poiché allora si vedrà quale è effettivamente la realtà, quando l'uomo si è distaccato dalla Rivelazione, e vengono a cessare i suoi frutti».
Adesso lo stiamo già toccando con mano, adesso che hanno incominciato a cessare i frutti.
 Quello che nessuno poteva immaginare - che si sarebbe potuti arrivare a negare la vita e le cose più evidenti - lo abbiamo davanti (infatti per noi rimangono evidenti per un uso della ragione educato all'interno della Chiesa).
Le ambiguità vengono a cessare e ci portano a una purificazione e a un approfondimento della fede.
Noi dobbiamo essere consapevoli di questo, perché ci troveremo sempre più a vivere senza patria, a non essere capiti.
Allora qual è la modalità per resistere nel pericolo?
Guardini ci indica, quali due condizioni, «la maturità del giudizio e la libertà dell'opzione».
Senza questo tra un po' noi ci ritroveremo come tutti.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 14:07
Don Giussani era ben consapevole di questa situazione quando ha creato il movimento, perché lui si era reso conto che questo processo era già incominciato nel 1954, quando tutto sembrava fiorire; e ha creato un ambito in cui noi potessimo riscoprire i valori attraverso la scoperta della fede.
 Allora noi non dobbiamo difendere astrattamente i valori, ma dobbiamo fare il movimento, come ha fatto don Giussani con noi: e questo si chiama testimonianza. Se non facciamo così, non siamo leali con la modalità con cui il Mistero ci ha introdotto a Sé.
 Per questo viene a crearsi il dualismo nella cultura, nella nostra espressione culturale.
Invece don Giussani diceva della cultura che «la linea educativa del movimento tende a destare un avvenimento di vita».
È soltanto all'interno di questo avvenimento di vita che possiamo comunicare i valori. Non è che non dobbiamo difendere i valori, ma dobbiamo capire che è soltanto un avvenimento di vita che li può fare destare in noi e negli altri.
«Perché la vita si ridesti è necessaria l'abolizione di ogni dualismo.
 [... Ciò che distrugge il dualismo è il giudizio che l'amore a Cristo è la ragione per cui vale la pena vivere [capite? questa è la nostra vera espressione culturale].
Se viene a mancare la fede come il valore adeguatamente unitario emergono giudizi di valore parziali e questo divide [...].
 Se viene distrutto il dualismo avviene una reale presenza culturale [una diversità visibile e pubblicai»."
 Questa è la questione fondamentale che noi dobbiamo capire.
Dunque, come ha detto il cardinale Angelo Schola in un suo articolo su Avvenire la strada è proporre l'avvenimento cristiano in tutta la sua interezza e irriducibilità, arrivando a esplicitare anche gli aspetti, le implicazioni, i valori.
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(Zacuff)
00sabato 3 ottobre 2009 14:10
Per questo ci interessano tanto le elezioni europee, perché ne va di questo, tenuto conto che in tante leggi che si fanno adesso a livello europeo il primo bersaglio è la Chiesa.
 Per questo difendere nell'Europa la libertas Ecclesiae è la ragione del nostro interesse alle elezioni.
Non perché pensiamo che una legge giusta possa risolvere da sola il problema umano - abbiamo visto che siamo partiti da leggi giuste sulla famiglia, sulla vita, e questo non ha fermato la distruzione che vediamo davanti ai nostri occhi -; se possiamo fare le leggi tanto meglio, ma anzitutto dobbiamo difendere la libertas Ecclesiae per potere continuare a fare un'esperienza di vita che ci consenta di recuperare l'evidenza dei valori che adesso si sono persi.
E per questo abbiamo bisogno anche in Europa di testimoni che possano fare capire questo.
Quel che ci giochiamo non è secondario. Ci giochiamo la possibilità di vivere, che l'istituzione non soffochi l'esperienza che facciamo.
E questa la dobbiamo difendere a tutti i costi.

FINE
 
(In questo piccolo opuscoletto ho tralasciato, per comodità (mia), alcune pagine di omelie; messaggi ricevuti; telegrammi inviati e anche riferimenti a versetti biblici o di autori vari e me ne scuso).
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