Profilo dell'antipapa

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martinicm
00mercoledì 7 aprile 2010 23:44
Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.

In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?

Questo lo afferma Marino

martinicm
00mercoledì 7 aprile 2010 23:47
MARTINI – Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi.

Caterina63
00giovedì 8 aprile 2010 01:07
Re:
martinicm, 07/04/2010 23.44:

Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.

In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?

Questo lo afferma Marino





Non so chi sia "Marino"....ad ogni modo lo studio scientifico della Chiesa parte dal fatto che anche un ovocita non vive di per se stesso...per mantenerlo infatti al di fuori dell'organismo, occorrono tecniche inventate dall'uomo altrimenti l'ovocita sarebbe inutilizzabile OSSIA MORTO... ergo il concetto di VITA E DI CIO' CHE LA TRASMETTE non può essere soggetto a manipolazioni...

La Chiesa va ben oltre e per questo condanna anche il congelamento degli embrioni o di ciò che darebbe loro la vita...

Ma nel caso della Fecondazione avvenuta è venuta meno anche la teoria che il concetto di vita possa giungere "DOPO" mentre è scientificamente dimostrato che la nuova vita ha inizio nel momento del concepimento, per questo si chiama CONCEPIMENTO....
infatti esso può avere un DOPO e un termine se l'uomo interviene per interrompere il lavoro della natura...e la natura stessa può interromperlo con ciò che chiamiamo "cause naturali" (aborto naturale)
e questo non perchè ci sia un difetto nella CREAZIONE, ma proprio perchè anche la natura stessa è contaminata dal PECCATO IL QUALE E' LA CAUSA DELLA MORTE, DELLE MALATTIE, DELLE DEFORMAZIONI ecc...


Nell'ultimo intervento, la citazione di Martini non la comprendo nel contesto, cioè....il forumista "martinicm" cosa vuole dimostrare?


S_Daniele
00giovedì 8 aprile 2010 06:43
Martinicm alias Enricorns sta citando un dialogo tra Martini e Marini (esponente del PD) che uscì se non erro nel 2005 nell'Espresso, dialogo che non fu molto felice e fu criticato da alcuni esponenti ecclesiali poichè non propriamente ortodosso.
Vilucchio.
00giovedì 8 aprile 2010 09:15
Una premessa :sia chiaro che il cardinal Martini va sempre rispettato perche' cmq e' un sacerdote di Dio e ci è stato chiesto di pregare per i sacerdoti.Tuttavia nn posso che concordare con Tea qdo fa un distinguo tra le opinioni personali di un semplice fedele e quelle di un cardinale il quale dovrebbe essere molto piu' a conoscenza della Dottrina vera della Chiesa Cattolica ,conscio anche del ruolo che svolge.E qte opinioni personali ( anche se espresse dopo il suo vescovado)si son tradotte in libri ...il che da private son diventate pubbliche.E qdi nn sono piu' tanto personali se poi hanno un seguito tra chi milita nella parte non propria ortodossa sennonche' tra i cattolici cosiddetti adulti( cioe' che vogliono pensare con la propria testa e nn con quella del Papa,come se i cattolici semplici diciamo ortodossi nn ce l'avessero la testa) che guarda caso fanno parte del Partito Democratico ( mi pare che il termine cattolico adulto l'avesse coniato il Prodi ,sbaglio?cerchero' la fonte).
Credo che ognuno di noi poi rispondera' a Dio delle proprie opinioni personali che hanno avuto una certa risonanza sugli altri...
Qdi per onesta' intellettuale sarebbe bene approfondire( cioe' vorrei che qualcuno piu' preparato di me le approfondisse...) alcune frasi che Martini avrebbe detto nell'intervista con Marino ,il genetista cattolico militante nel Partito Democratico .
Vilucchio.
00giovedì 8 aprile 2010 09:25
Qte sono alcune frasi ( che ho evidenziato in rosso)che mi hanno colpito e fatto pensare.
Chi mi aiuta a "decifrarle".E' solo per avere conferma se ho interpretato giusto .

Ecco il testo integrale:


Dialogo sulla vita

Colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino


MARTINI – Caro professor Marino, ho letto con molto interesse e partecipazione il suo libro “Credere e curare”. Mi ha colpito da una parte il suo amore per la professione medica e il suo interesse dominante per il malato e dall’altra la sua obiettività di giudizio, il suo equilibrio nel trattare problemi di frontiera, là dove le esigenze mediche si incontrano e talora sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non vuole rinunciare né alla sua oggettività professionale di medico né alla sua coscienza di uomo e anche di credente.

Tutto ciò mi pare molto importante per quel “dialogo sulla vita” che interessa giustamente tanto i nostri contemporanei, soprattutto per quei casi limite in cui gli ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte meraviglia e gratitudine e dall’altra suscitano preoccupazione per la specie umana e la sua dignità.

Tutto questo rende necessario e urgente un “dialogo sulla vita” che non parta da preconcetti o da posizioni pregiudiziali ma sia aperto e libero e nello stesso tempo rispettoso e responsabile.


MARINO – Vedo anch’io molte ragioni per un dialogo oggettivo, approfondito e sincero sul tema della vita umana. Viviamo infatti un momento storico particolare in cui il progresso scientifico ha rivoluzionato la posizione dell’essere umano nei confronti della vita, della malattia e della morte.

Oggi, diversamente da ieri, si può nascere in molti modi diversi, si può essere curati con terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un reparto di rianimazione, in uno stato che può essere chiamato “vita” semplicemente dal punto di vista delle funzioni fisiologiche. La morte è sempre più considerata come un evento eccezionale da evitare e non il naturale traguardo a cui giunge inevitabilmente ogni vita umana.

Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della nostra esistenza ma anche il modo di concepire la vita, la malattia e la morte. Per questo non è possibile ignorare gli innumerevoli quesiti etici che emergono dai continui cambiamenti legati alle nuove tecnologie e alle possibilità che la scienza mette a disposizione degli uomini.

Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di diversa formazione e con differenti ruoli all’interno della società può contribuire alla circolazione di idee e posizioni volte ad individuare punti di incontro e non di divisione.

Su temi così delicati, infatti, il rischio è di cadere in facili contrapposizioni e strumentalizzazioni che non portano alcun vantaggio se non quello di creare fratture nella società. Invece, se il ragionamento viene condotto onestamente e con spirito di sincera apertura, è possibile individuare percorsi comuni o per lo meno non troppo divergenti.


L’inizio della vita


MARTINI – Sono pienamente d’accordo sulle sue premesse. Là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell’uomo e della donna, sia di questo singolo sia dell’umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni.

Penso che potremmo iniziare qualche esperimento di un simile dialogo partendo dall’inizio della vita e in particolare da quella prassi, oggi sempre più comune, che si chiama “fecondazione medicalmente assistita” e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a questo scopo. Su ciò vi sono non poche divergenze di pareri e anche incertezze di vocabolario e di prassi. Vuole chiarire un poco questo punto, sulla base della sua competenza?


MARINO – Oggi è possibile creare una vita in provetta, ricorrendo alla fecondazione artificiale. In presenza di problemi di fertilità all’interno di una coppia, la fecondazione artificiale può servire allo scopo di completare una famiglia con un figlio. Tuttavia, questa pratica si è diffusa in Italia e in molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione prevista dalla legge. La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato più rapidamente dei legislatori e, per questo motivo, ora ci troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni umani congelati e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l’infertilità, senza che si sia deciso quale dovrà essere il loro destino.

L’attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la produzione di embrioni di riserva che non vengono utilizzati, ha scelto una via semplicistica: crearne solo tre alla volta e impiantarli tutti nell’utero della donna. Ma questo numero, se si ragiona su base scientifica, dovrebbe essere flessibile e determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche della coppia.

Però, la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative alla creazione e al congelamento degli embrioni. Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.

In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?


MARTINI – Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi.

Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce.

Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l’atteggiamento almeno teorico di molti credenti. Ritengo comunque opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione eterologa. Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione artificiale fosse basato soprattutto sul problema della sorte degli embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare un superamento.


La fecondazione eterologa


MARINO – Lei ha accennato anche alla distinzione tra fecondazione omologa ed eterologa. Il problema è molto discusso. Infatti, se il desiderio di una coppia di creare una famiglia non può essere compiuto a causa di problemi di infertilità o per la presenza di malattie genetiche in uno dei due potenziali genitori, perché non ricorrere al seme o all’ovocita di un individuo esterno alla coppia? Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare incontro a quel desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque di più?

Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in favore della fecondazione eterologa, se questa è l’unico mezzo per avere un figlio e se per la donna è importante avere una gravidanza. Però mi sono confrontato anche con chi sostiene che la fecondazione eterologa non di rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il genitore biologico, che trasmette al figlio parte del proprio Dna e l’altro.

Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e condotti in paesi dove la fecondazione eterologa è ammessa, hanno evidenziato che si può effettivamente creare un nucleo familiare psicologicamente sbilanciato a favore del genitore che ha trasmesso al figlio una parte del proprio patrimonio genetico, come se in qualche modo un genitore valesse più dell’altro.

Un’altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da una fecondazione eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta è affermativa, è giusto seguire un percorso che può creare traumi psicologici, anche se nasce dal desiderio di avere un figlio? Vietare per legge il ricorso alla fecondazione eterologa significa limitare la libertà dei cittadini o va interpretata come una tutela per il futuro di chi verrà dopo di noi?


MARTINI – Le obiezioni di natura psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi che hanno bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione eterologa, anche se ciò può comportare sofferenze per alcuni. Si aggiunge dal punto di vista etico la protezione del rapporto privilegiato che col matrimonio si viene ad istituire tra un uomo e una donna.

Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni che si vengono a creare con le varie forme di adozione e di affido, dove al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore nel senso fisico del termine. Sarei dunque prudente nell’esprimermi su quei casi che lei ricorda, dove non è possibile ricorrere al seme o all’ovocita all’interno della coppia. Tanto più là dove si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire e la cui inserzione nel seno di una donna anche single sembrerebbe preferibile alla pura e semplice distruzione.

Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo sopra, in cui la probabilità maggiore sta ancora dalla parte del rifiuto della fecondazione eterologa, ma in cui non è forse opportuno ostentare una certezza che attende ancora conferme ed esperimenti.


La ricerca sulle cellule staminali embrionali


MARINO – I problemi connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni anche sull’utilizzo a scopo di ricerca delle cellule staminali prelevate dagli embrioni stessi. Il referendum sulla procreazione medicalmente assistita del giugno 2005 chiedeva, tra le altre cose, di abrogare l’articolo della legge 40 in cui si vieta l’utilizzo di queste cellule staminali.

Dal punto di vista scientifico è ipotizzabile, anche se non ancora confermato, che le cellule staminali embrionali siano le più adatte ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare malattie molto gravi, dal morbo di Parkinson all’Alzheimer ecc. Esistono altri tipi di cellule staminali, prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale, che già oggi vengono utilizzate con qualche successo.

Quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che non sia necessario creare embrioni con il solo scopo di prelevarne le cellule staminali: si possono infatti acquistare linee cellulari per condurre le ricerche, e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato la possibilità di ottenere cellule che abbiano le stesse caratteristiche delle staminali embrionali senza dover creare degli embrioni.

Resta in sospeso la questione che riguarda gli embrioni conservati nelle cliniche per l’infertilità e che con ogni probabilità non verranno mai utilizzati da nessuna coppia. La loro fine è certa, ma è meglio lasciarli morire nel freddo oppure utilizzare le preziose cellule per scopi di ricerca? In una visione di ortodossia religiosa, si tratta di vite e come tali non possono essere soppresse per prelevare le cellule a scopo terapeutico, anche se un giorno quegli embrioni saranno comunque distrutti. Si tratterebbe della diversità tra uccidere e il lasciar morire.

Questo punto è eticamente superabile? Non è opportuno chiedere la donazione delle cellule staminali embrionali da destinare ai laboratori per sostenere la ricerca a favore di malattie oggi incurabili?


MARTINI – Innanzi tutto sono impressionato dalla prudenza con cui lei parla dell’efficacia terapeutica delle cellule staminali. Mi pare di capire che siamo ancora nel campo della ricerca e che quindi non è onesto propagandare certezze sull’efficacia curativa di queste cellule prima che ciò sia stato debitamente provato. Mi rallegro anche per il fatto che non è più ritenuto necessario creare degli embrioni con lo scopo di produrre le cellule staminali e che sono stati eleborati metodi alternativi che non pongono problemi alla coscienza. È un motivo in più per avere fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all’uomo perché superi i problemi che la vita pone. È nel nome di questa stessa intelligenza che non vedo possibile pensare a una utilizzazione di cellule staminali embrionali per la ricerca. Ciò sarebbe contro tutti i principi esposti finora.


Gli embrioni congelati esistenti


MARINO – La sua risposta mi permette di allargare la riflessione alla sorte degli embrioni esistenti anche al di là di quanto sopra ipotizzato. Quando essi non vengono utilizzati, che cosa sarebbe etico fare?

Attualmente non è stata individuata una soluzione, se non quella di abbandonare le provette nei congelatori. Ma è eticamente corretto ed accettabile tollerare che migliaia di embrioni umani restino congelati nelle cliniche per l’infertilità, attendendo semplicemente che si spengano nel freddo con il passare degli anni?

Non potrebbero per esempio essere destinati a donne single che desiderano avere una gravidanza? Oppure a coppie con problemi legati a malattie genetiche che non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale per evitare il rischio di trasmissione del difetto genetico?


MARTINI – Mi pare che qui siamo di fronte a un conflitto di valori, più evidente nel caso della donna single che desidera avere una gravidanza, ma esistente anche, per i motivi che ho detto sopra, per coppie che per gravi ragioni mediche non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale. Là dove c’è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si scontrasse sulla base di principi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici.


Adozioni per single


MARINO – Ci sono poi altri problemi, connessi allo sviluppo della vita, in particolare alla cura che la società deve avere per i bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre la possibilità e l’utilità, anzi quasi la necessità di un’adozione. Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse per i single e, più in generale, la legislazione è molto complessa e rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se, dal punto di vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato dai genitori passi la vita in un istituto o sulla strada piuttosto che avere una famiglia composta da un solo genitore? Siamo sicuri che sia questa la strada giusta per garantire la migliore crescita possibile a quel bambino?

Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo figlio, nessuno pensa che il bambino non debba continuare a vivere nel suo nucleo familiare anche se il genitore è solo uno. O ancora, la Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in qualunque circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la gravidanza, anche se il padre è assente o contrario, e quindi si tratterà di sostenere una madre che nei fatti sarà single. Perché allora non sostenere anche le adozioni per i single, una volta accertata la motivazione, i mezzi e le capacità del potenziale genitore di assicurare una crescita serena al bambino adottato?


MARTINI – Lei si pone domande serie e ragionevoli su un tema complesso, sul quale non ho sufficiente esperienza. Ma penso che il punto di partenza è la condizione che lei esprime in chiusura. Occorre cioè assicurare che chi si prende cura del bambino adottato abbia le giuste motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita serena.

Chi è in tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio.


Aborto


MARINO – Uno dei temi più difficili da affrontare, su cui ci si interroga in continuazione proprio per la sua delicatezza e complessità, è l’aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la materia, sforzandosi di coniugare il principio dell’autodeterminazione delle donne con la libertà di coscienza dei medici che possono scegliere l’obiezione.

In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della legislazione sull’aborto. Per quanto ciascuno di noi riconosca che l’aborto costituisce sempre una sconfitta, nessuno può negare che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell’utero fatte dalle “mammane” per indurre l’aborto. Di fronte a casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza in un’adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche di allevare un bambino, come si pone la Chiesa? Se si ammette il principio della scelta del male minore e, come suggerisce la Chiesa cattolica, quello di affidare la risposta all’intimo della propria coscienza (“conscientia perplexa”: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione), non sarebbe eticamente corretto spiegare apertamente questo punto di vista? E sostenerlo anche pubblicamente?


MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana. Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe però comprendere l’importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della persona umana.

Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che “la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere paura “di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (cfr Matteo 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto. Nel vangelo secondo Giovanni Gesù proclama: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 6,25). E san Paolo aggiunge: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Romani 8, 18). V’è dunque una dignità dell’esistenza che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita eterna.

Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell’aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno stato moderno non intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo stato non possa non porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente. Ciò non vuol dire affatto “licenza di uccidere”, ma solo che lo stato non si sente di intervenire in tutti i casi possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo qualche tempo dall’inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause dell’aborto e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse comunque di compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte. Ciò avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso degli aborti clandestini, e quindi è tutto sommato positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a eliminarli.

Comprendo che in Italia, con l’esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per questo l’aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrapopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo.

Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.

Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della “conscientia perplexa”, che non so bene che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non può, per diversi motivi, sostenere la cura del suo bambino, non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo. Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento di approvare.


Compensi per la donazione di organi?


MARINO – C’è un argomento che mi tocca da vicino, dato che da più di venticinque anni mi occupo di trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi migliaia di persone, altrimenti destinate a morte certa, guariscono e conducono un’esistenza piena da tutti i punti di vista. Il limite principale ad una maggiore diffusione di questa terapia è legato all‘insufficiente numero di donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di conseguenza molte persone muoiono in lista d’attesa.

Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e principalmente in Gran Bretagna, è stata avanzata l’ipotesi di stabilire un compenso per le famiglie che accettano di donare gli organi del proprio parente dopo la morte. Il dubbio è se sia eticamente corretto proporre vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli organi. Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero delle donazioni e dei trapianti e rispondere così alle esigenze dei malati che attendono in lista un organo che salverà loro la vita. Eppure questa ipotesi contiene in se il presupposto per un comportamento non equo. Non si rischia di instaurare una situazione in cui solo i meno abbienti, incentivati da un compenso, saranno disposti a donare gli organi mentre i più ricchi si limiteranno a riceverli? E la donazione, proprio in quanto tale, non dovrebbe sempre e solo basarsi sul principio dell’uguaglianza?


MARTINI – Personalmente sento molto ciò che lei afferma in conclusione, cioè l’importanza del principio dell’uguaglianza e i pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione per gli organi. Mi pare che la strada è invece quella di propagandare il più possibile il principio della donazione e far crescere la coscienza collettiva su questo punto. C’è davvero da auspicare che non vi sia più chi muoia in lista d’attesa, mentre vi sono organi disponibili.


Hiv e Aids


MARINO – La questione dell’uguaglianza ci porta direttamente ad interrogarci su problemi e malattie che affliggono milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più poveri e svantaggiati per i quali l’idea di uguaglianza rimane un sogno molto lontano se non una mera utopia. Come non pensare subito all’Aids? Circa 42 milioni di persone nel mondo sono portatrici del virus dell’Hiv. Nel solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell’Onu, 3 milioni di persone sono morte di Aids mentre si sono registrati 5 milioni di nuovi infetti. Il 60 per cento dei portatori del virus vive nei paesi più poveri dell’Africa Sub-Sahariana, con un’incidenza media nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino al 25-30 per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe.

L’Hiv è la piaga di un continente che genera non solo ammalati ma orfani, povertà, impossibilità di migliorare le condizioni di vita. Nel mondo occidentale, oggi il virus viene tenuto sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche che permettono ad un sieropositivo di condurre un’esistenza del tutto normale, con un’aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone non affette dal virus. Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci di una persona sieropositiva si aggirava intorno a dieci mila euro, una cifra proibitiva che poteva essere sostenuta soltanto dai paesi dove era presente un sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di concorrenza, hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a metà 2003 su 700 euro per i farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali farmaceutiche) e intorno a 200 euro per i generici di fabbricazione indiana, brasiliana e tailandese. Nonostante questi importanti passi avanti, in molti paesi africani la spesa procapite in sanità non supera i 10 dollari l’anno per cui, nei fatti, l’accesso ai farmaci e alle terapie per contrastare l’Aids è negato e il virus continua a diffondersi.

Sappiamo che l’Aids si può in parte contrastare con la prevenzione e l’utilizzo dei profilattici.
Come è accettabile non promuovere l’utilizzo del profilattico per contribuire a controllare la diffusione del virus? È o non è un dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su questo tema? E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si tratterebbe comunque di optare per un male minore e contribuire alla salvezza di tante vite umane?


MARTINI – Le cifre che lei cita destano smarrimento e desolazione. Nel nostro mondo occidentale è assai difficile rendersi conto di quanto si soffra in certe nazioni. Avendole visitate personalmente, sono stato testimone di questa sofferenza, sopportata per lo più con grande dignità e quasi in silenzio.

Bisogna fare di tutto per contrastare l’Aids. Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore. C’è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da Aids. Costui è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere. Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la considerazione delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di contribuire efficacemente alla lotta contro l’Aids senza con questo favorire i comportamenti non responsabili.

Ma credo che è giunto il momento per il nostro dialogo di passare ad un’altra serie di problemi che riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla fine di essa. È necessario vivere con dignità, ma per questo morire anche con dignità. Ora, come lei sa, qui si pongono, soprattutto in Occidente, problemi molto gravi.


La fine della vita


MARINO – Lei pensa certamente anzitutto all’eutanasia, una parola attorno a cui si crea sempre molta confusione attribuendole diversi significati. Per questo preferisco non parlare in astratto, ma esprimermi in maniera molto concreta. Si può o no ammettere che una persona induca volontariamente la morte di un’altra, sebbene gravemente ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare questo dolore? Di fronte a una situazione irreversibile in cui la morte è inevitabile, ritengo sia assolutamente necessaria la somministrazione di farmaci come la morfina, che alleviano il dolore e accompagnano il malato con maggiore tranquillità nel passaggio dalla vita alla morte. È quanto viene fatto, in queste drammatiche circostanze, in tutte le rianimazioni negli Stati Uniti. Io stesso, pur soffrendone perché un medico vorrebbe sempre poter salvare la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso diverse volte di sospendere tutte le terapie. È un momento doloroso per la famiglia e, le assicuro, anche per il medico ma è una onesta accettazione che non si può fare più nulla se non evitare di prolungare sofferenze inutili e lesive della dignità del paziente. L’Italia è ancora gravemente carente in proposito, in assenza di una legge che regolamenti la materia al punto che se io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel nostro paese potrei essere arrestato e condannnato per omicidio, mentre si tratta solo di non accanirsi con terapie senza senso.

Non sono invece d’accordo nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l’arresto del cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto, non sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie. Faccio un esempio: in un recente film vincitore del premio Oscar, dal titolo “One Million Dollar Baby”, viene descritto il dramma di una donna ridotta in stato semivegetativo dopo un grave incidente sportivo, che chiede ad un uomo, il suo principale punto di riferimento nella vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e psicologica. L’uomo inizialmente rifiuta poi accetta perché ritiene che quello sia un atto d’amore estremo verso l’essere umano a cui si tiene di più. Pur non riuscendo a giustificare l’idea della soppressione di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si può condannare il gesto di una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per puro sentimento d’amore? E d’altra parte è lecito ammettere il principio di non condannare una persona che uccide?


MARTINI – Sono d’accordo con lei che non si può mai approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se è un medico, che ha come scopo la vita del malato e non la morte. Neppure io tuttavia vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo, come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé.

D’altra parte ritengo che è importante distinguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano morte. Questi ultimi non possono mai esser approvati. Ritengo che su questo punto debba sempre prevalere quel sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che, malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell’esistere umano, un senso che nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere.

So tuttavia che si può giungere a tentazioni di disperazione sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per altri, e perciò prego anzitutto per me e poi per gli altri perché il Signore protegga ciascuno di noi da queste terribili prove. In ogni caso è importantissimo lo star vicino ai malati gravi, soprattutto nello stato terminale e far sentire loro che si vuole loro bene e che la loro esistenza ha comunque un grande valore ed è aperta a una grande speranza. In questo anche un medico ha una sua importante missione.


Accanimento terapeutico e interruzione delle terapie


MARINO – Connesso con questo tema è quello dell’accanimento terapeutico. La tecnologia attuale è in grado di mantenere in vita malati che fino a pochi anni fa non venivano nemmeno condotti in un reparto di rianimazione. Il progresso scientifico permette di prolungare artificialmente anche la vita di una persona che ha perso ogni speranza di ritrovare una condizione di salute accettabile. Per questo appare urgente affrontare il problema dell’interruzione delle terapie.

Ogni forma di accanimento terapeutico andrebbe evitata perché contrasta con il rispetto della dignità umana. Per la Chiesa, la sospensione delle terapie viene considerata come accettazione di un fatto naturale, di non accanirsi più. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice:

“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.

Esistono strumenti legali, come il testamento biologico, che permettono al singolo individuo di indicare con precisione, e in un momento di tranquillità emotiva, fino a che punto si desidera accettare il ricorso a terapie straordinarie. Il testamento biologico rappresenta uno strumento molto valido per aiutare il medico e la famiglia a prendere la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili e indicare anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volontà di quell’individuo tenendo conto degli ulteriori progressi della scienza.

Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno di legge è stato presentato al senato da molto tempo ma attende ancora di essere discusso. Non sarebbe il momento di avviare una riflessione seria e condivisa per introdurre al più presto anche nel nostro paese una legislazione in merito alla fine della vita, cioè a uno dei momenti più importanti della nostra esistenza?


MARTINI – Il testo da lei citato del Catechismo della Chiesa cattolica mi pare esauriente al proposito. Se si volesse legiferare su questo punto è però importante che non si introducano aperture alla cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato sopra. Per questo sono incerto anche sullo strumento del testamento biologico. Non ho studiato l’argomento e non saprei dare un parere decisivo. Ritengo con lei che una riflessione seria e condivisa sulla fine della vita potrebbe essere utile, purché sia appunto seria e condivisa e non si presti a speculazioni di parte e soprattutto non introduca in qualche modo aperture a quella decisione sulla propria morte che ripugna al senso profondo del bene della vita, come sopra si è detto.


La scienza e il senso del limite


MARINO – In conclusione, vorrei proporre una riflessione più generale. La conoscenza, il progresso scientifico, l’avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunità di crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani di ricercatori e scienziati un grande potere, legato al fatto di essere in grado di intervenire sui meccanismi che regolano l’inizio della vita e la sua fine.

La scienza corre più veloce del resto della società e anche dei parlamenti, incaricati di fissare delle regole ma il più delle volte incapaci di intervenire tempestivamente.

A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza un’assunzione di responsabilità da parte di ogni scienziato coinvolto in un campo della ricerca che interviene sull’essenza della vita, sulla sua creazione e sulla sua fine. Fermo restando che la valutazione razionale è indispensabile, l’arbitrio del ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal senso di responsabilità bilanciato dalla valutazione dei rischi e delle conseguenze.

Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione ma di puntare su una presa di coscienza da parte di ogni scienziato. Questo non significa voler arrestare il progresso scientifico ma preservare e rispettare il nostro bene più prezioso, ovvero la vita.

Ma la storia purtroppo ci insegna che l’appello alla responsabilità individuale a volte non basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni informazione utile e alla fine dovrebbero essere i parlamenti, o meglio le istituzioni sovranazionali, a fissare le regole sulla base del comune sentire dei cittadini.


MARTINI – Tutti siamo pieni di meraviglia e di stupore, e quindi anche grati a Dio, per il formidabile progresso scientifico e tecnologico di questi anni che permette e permetterà sempre più e meglio di provvedere alla salute della gente. Insieme siamo consci, come lei dice, del grande potere che è nelle mani di ricercatori e di scienziati e della ferma assunzione di responsabilità che deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i rischi e le conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene della vita e mai al contrario.

Per questo occorre anche talora sapersi fermare, non varcare il limite. Io sono inclinato a nutrire fiducia nel senso di responsabilità di questi uomini e vorrei che avessero quella libertà di ricerca e di proposta che permette l’avanzamento della scienza e della tecnica, rispettando insieme i parametri invalicabili della dignità di ogni esistenza umana. So anche che non si può fermare il progresso scientifico, ma lo si può aiutare ad essere sempre più responsabile. Come lei dice, non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione, ma di puntare sul senso etico che ciascuno ha dentro di sé.

Certamente anche leggi buone e tempestive possono aiutare, ma come lei afferma, la scienza corre oggi più veloce dei parlamenti. Si esige quindi un soprassalto di coscienza e un di più di buona volontà per far sì che l’uomo non divori l’uomo, ma lo serva e lo promuova. Anche le istituzioni sovranazionali debbono prender coscienza del pericolo che tutti corriamo e del bisogno di interventi tempestivi e responsabili. In tutta questa materia occorre che ciascuno faccia la sua parte: gli scienziati, i tecnici, le università e i centri di ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l’opinione pubblica e anche le Chiese.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vorrei sottolineare soprattutto il suo compito formativo. Essa è chiamata a formare le coscienze, a insegnare il discernimento del meglio in ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per le azioni buone. A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no, soprattutto se prematuri, anche se bisognerà qualche volta saperli dire. Ma servirà soprattutto una formazione della mente e del cuore a rispettare, amare e servire la dignità della persona in ogni sua manifestazione, con la certezza che ogni essere umano è destinato a partecipare alla pienezza della vita divina e che questo può richiedere anche sacrifici e rinunce.

Non si tratta di oscillare tra rigorismo e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare il prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e anche a rispettare e ad amare il nostro corpo. Come afferma san Paolo, il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in noi e che abbiamo da Dio: perciò non apparteniamo a noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nella totalità della nostra esistenza su questa terra (cfr 1 Corinti 6,13.19-20).

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Per un confronto tra le posizioni del cardinale Martini e quelle del Catechismo della Chiesa Cattolica, vedi, nello stesso Catechismo, i paragrafi sull'aborto e l'intangibilità della vita del concepito (2270-2275), l'eutanasia (2276-2279), la fecondazione artificiale (2374-2379):

> Catechismo della Chiesa Cattolica

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Per un confronto tra le posizioni del cardinale Martini e quelle recentemente espresse da Benedetto XVI su un tema toccato da entrambi, vedi il discorso pronunciato dal papa al congresso su “L'embrione umano nella fase del preimpianto”:

> Benedetto XVI alla Pontificia Accademia per la Vita, 27 febbraio 2006

In esso il papa ha detto:

“L'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Genesi 1,26). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui 'ci ha scelti prima della creazione del mondo, predestinandoci a essere suoi figli adottivi secondo il beneplacito della sua volontà' (Efesini 1,4-6). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l'uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione – intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via”.

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Circa la prevenzione dal contagio dell'Aids, vedi il discorso rivolto da Benedetto XVI a un gruppo di vescovi africani in visita “ad limina”, il 10 giugno 2005:

> Ai vescovi di Sudafrica, Botswana, Swaziland, Namibia e Lesotho

In esso il papa ha detto:

“L'insegnamento tradizionale della Chiesa ha dimostrato di essere l'unico modo intrinsecamente sicuro per prevenire la diffusione dell'Hiv/Aids. Per questo motivo l'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza della castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani”.



Vilucchio.
00giovedì 8 aprile 2010 10:05
Ecco il testo integrale:


Dialogo sulla vita

Colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino


MARTINI – Caro professor Marino, ho letto con molto interesse e partecipazione il suo libro “Credere e curare”. Mi ha colpito da una parte il suo amore per la professione medica e il suo interesse dominante per il malato e dall’altra la sua obiettività di giudizio, il suo equilibrio nel trattare problemi di frontiera, là dove le esigenze mediche si incontrano e talora sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non vuole rinunciare né alla sua oggettività professionale di medico né alla sua coscienza di uomo e anche di credente.

Tutto ciò mi pare molto importante per quel “dialogo sulla vita” che interessa giustamente tanto i nostri contemporanei, soprattutto per quei casi limite in cui gli ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte meraviglia e gratitudine e dall’altra suscitano preoccupazione per la specie umana e la sua dignità.

Tutto questo rende necessario e urgente un “dialogo sulla vita” che non parta da preconcetti o da posizioni pregiudiziali ma sia aperto e libero e nello stesso tempo rispettoso e responsabile.


MARINO – Vedo anch’io molte ragioni per un dialogo oggettivo, approfondito e sincero sul tema della vita umana. Viviamo infatti un momento storico particolare in cui il progresso scientifico ha rivoluzionato la posizione dell’essere umano nei confronti della vita, della malattia e della morte.

Oggi, diversamente da ieri, si può nascere in molti modi diversi, si può essere curati con terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un reparto di rianimazione, in uno stato che può essere chiamato “vita” semplicemente dal punto di vista delle funzioni fisiologiche. La morte è sempre più considerata come un evento eccezionale da evitare e non il naturale traguardo a cui giunge inevitabilmente ogni vita umana.

Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della nostra esistenza ma anche il modo di concepire la vita, la malattia e la morte. Per questo non è possibile ignorare gli innumerevoli quesiti etici che emergono dai continui cambiamenti legati alle nuove tecnologie e alle possibilità che la scienza mette a disposizione degli uomini.

Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di diversa formazione e con differenti ruoli all’interno della società può contribuire alla circolazione di idee e posizioni volte ad individuare punti di incontro e non di divisione.

Su temi così delicati, infatti, il rischio è di cadere in facili contrapposizioni e strumentalizzazioni che non portano alcun vantaggio se non quello di creare fratture nella società. Invece, se il ragionamento viene condotto onestamente e con spirito di sincera apertura, è possibile individuare percorsi comuni o per lo meno non troppo divergenti.


L’inizio della vita


MARTINI – Sono pienamente d’accordo sulle sue premesse. Là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell’uomo e della donna, sia di questo singolo sia dell’umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni.

Penso che potremmo iniziare qualche esperimento di un simile dialogo partendo dall’inizio della vita e in particolare da quella prassi, oggi sempre più comune, che si chiama “fecondazione medicalmente assistita” e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a questo scopo. Su ciò vi sono non poche divergenze di pareri e anche incertezze di vocabolario e di prassi. Vuole chiarire un poco questo punto, sulla base della sua competenza?


MARINO – Oggi è possibile creare una vita in provetta, ricorrendo alla fecondazione artificiale. In presenza di problemi di fertilità all’interno di una coppia, la fecondazione artificiale può servire allo scopo di completare una famiglia con un figlio. Tuttavia, questa pratica si è diffusa in Italia e in molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione prevista dalla legge. La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato più rapidamente dei legislatori e, per questo motivo, ora ci troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni umani congelati e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l’infertilità, senza che si sia deciso quale dovrà essere il loro destino.

L’attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la produzione di embrioni di riserva che non vengono utilizzati, ha scelto una via semplicistica: crearne solo tre alla volta e impiantarli tutti nell’utero della donna. Ma questo numero, se si ragiona su base scientifica, dovrebbe essere flessibile e determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche della coppia.

Però, la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative alla creazione e al congelamento degli embrioni. Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.

In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?


MARTINI – Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi.

Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce.

Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l’atteggiamento almeno teorico di molti credenti. Ritengo comunque opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione eterologa. Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione artificiale fosse basato soprattutto sul problema della sorte degli embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare un superamento.


La fecondazione eterologa


MARINO – Lei ha accennato anche alla distinzione tra fecondazione omologa ed eterologa. Il problema è molto discusso. Infatti, se il desiderio di una coppia di creare una famiglia non può essere compiuto a causa di problemi di infertilità o per la presenza di malattie genetiche in uno dei due potenziali genitori, perché non ricorrere al seme o all’ovocita di un individuo esterno alla coppia? Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare incontro a quel desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque di più?

Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in favore della fecondazione eterologa, se questa è l’unico mezzo per avere un figlio e se per la donna è importante avere una gravidanza. Però mi sono confrontato anche con chi sostiene che la fecondazione eterologa non di rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il genitore biologico, che trasmette al figlio parte del proprio Dna e l’altro.

Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e condotti in paesi dove la fecondazione eterologa è ammessa, hanno evidenziato che si può effettivamente creare un nucleo familiare psicologicamente sbilanciato a favore del genitore che ha trasmesso al figlio una parte del proprio patrimonio genetico, come se in qualche modo un genitore valesse più dell’altro.

Un’altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da una fecondazione eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta è affermativa, è giusto seguire un percorso che può creare traumi psicologici, anche se nasce dal desiderio di avere un figlio? Vietare per legge il ricorso alla fecondazione eterologa significa limitare la libertà dei cittadini o va interpretata come una tutela per il futuro di chi verrà dopo di noi?


MARTINI – Le obiezioni di natura psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi che hanno bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione eterologa, anche se ciò può comportare sofferenze per alcuni. Si aggiunge dal punto di vista etico la protezione del rapporto privilegiato che col matrimonio si viene ad istituire tra un uomo e una donna.

Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni che si vengono a creare con le varie forme di adozione e di affido, dove al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore nel senso fisico del termine. Sarei dunque prudente nell’esprimermi su quei casi che lei ricorda, dove non è possibile ricorrere al seme o all’ovocita all’interno della coppia. Tanto più là dove si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire e la cui inserzione nel seno di una donna anche single sembrerebbe preferibile alla pura e semplice distruzione.

Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo sopra, in cui la probabilità maggiore sta ancora dalla parte del rifiuto della fecondazione eterologa, ma in cui non è forse opportuno ostentare una certezza che attende ancora conferme ed esperimenti.


La ricerca sulle cellule staminali embrionali


MARINO – I problemi connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni anche sull’utilizzo a scopo di ricerca delle cellule staminali prelevate dagli embrioni stessi. Il referendum sulla procreazione medicalmente assistita del giugno 2005 chiedeva, tra le altre cose, di abrogare l’articolo della legge 40 in cui si vieta l’utilizzo di queste cellule staminali.

Dal punto di vista scientifico è ipotizzabile, anche se non ancora confermato, che le cellule staminali embrionali siano le più adatte ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare malattie molto gravi, dal morbo di Parkinson all’Alzheimer ecc. Esistono altri tipi di cellule staminali, prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale, che già oggi vengono utilizzate con qualche successo.

Quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che non sia necessario creare embrioni con il solo scopo di prelevarne le cellule staminali: si possono infatti acquistare linee cellulari per condurre le ricerche, e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato la possibilità di ottenere cellule che abbiano le stesse caratteristiche delle staminali embrionali senza dover creare degli embrioni.

Resta in sospeso la questione che riguarda gli embrioni conservati nelle cliniche per l’infertilità e che con ogni probabilità non verranno mai utilizzati da nessuna coppia. La loro fine è certa, ma è meglio lasciarli morire nel freddo oppure utilizzare le preziose cellule per scopi di ricerca? In una visione di ortodossia religiosa, si tratta di vite e come tali non possono essere soppresse per prelevare le cellule a scopo terapeutico, anche se un giorno quegli embrioni saranno comunque distrutti. Si tratterebbe della diversità tra uccidere e il lasciar morire.

Questo punto è eticamente superabile? Non è opportuno chiedere la donazione delle cellule staminali embrionali da destinare ai laboratori per sostenere la ricerca a favore di malattie oggi incurabili?


MARTINI – Innanzi tutto sono impressionato dalla prudenza con cui lei parla dell’efficacia terapeutica delle cellule staminali. Mi pare di capire che siamo ancora nel campo della ricerca e che quindi non è onesto propagandare certezze sull’efficacia curativa di queste cellule prima che ciò sia stato debitamente provato. Mi rallegro anche per il fatto che non è più ritenuto necessario creare degli embrioni con lo scopo di produrre le cellule staminali e che sono stati eleborati metodi alternativi che non pongono problemi alla coscienza. È un motivo in più per avere fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all’uomo perché superi i problemi che la vita pone. È nel nome di questa stessa intelligenza che non vedo possibile pensare a una utilizzazione di cellule staminali embrionali per la ricerca. Ciò sarebbe contro tutti i principi esposti finora.


Gli embrioni congelati esistenti


MARINO – La sua risposta mi permette di allargare la riflessione alla sorte degli embrioni esistenti anche al di là di quanto sopra ipotizzato. Quando essi non vengono utilizzati, che cosa sarebbe etico fare?

Attualmente non è stata individuata una soluzione, se non quella di abbandonare le provette nei congelatori. Ma è eticamente corretto ed accettabile tollerare che migliaia di embrioni umani restino congelati nelle cliniche per l’infertilità, attendendo semplicemente che si spengano nel freddo con il passare degli anni?

Non potrebbero per esempio essere destinati a donne single che desiderano avere una gravidanza? Oppure a coppie con problemi legati a malattie genetiche che non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale per evitare il rischio di trasmissione del difetto genetico?


MARTINI – Mi pare che qui siamo di fronte a un conflitto di valori, più evidente nel caso della donna single che desidera avere una gravidanza, ma esistente anche, per i motivi che ho detto sopra, per coppie che per gravi ragioni mediche non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale. Là dove c’è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si scontrasse sulla base di principi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici.


Adozioni per single


MARINO – Ci sono poi altri problemi, connessi allo sviluppo della vita, in particolare alla cura che la società deve avere per i bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre la possibilità e l’utilità, anzi quasi la necessità di un’adozione. Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse per i single e, più in generale, la legislazione è molto complessa e rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se, dal punto di vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato dai genitori passi la vita in un istituto o sulla strada piuttosto che avere una famiglia composta da un solo genitore? Siamo sicuri che sia questa la strada giusta per garantire la migliore crescita possibile a quel bambino?

Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo figlio, nessuno pensa che il bambino non debba continuare a vivere nel suo nucleo familiare anche se il genitore è solo uno. O ancora, la Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in qualunque circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la gravidanza, anche se il padre è assente o contrario, e quindi si tratterà di sostenere una madre che nei fatti sarà single. Perché allora non sostenere anche le adozioni per i single, una volta accertata la motivazione, i mezzi e le capacità del potenziale genitore di assicurare una crescita serena al bambino adottato?


MARTINI – Lei si pone domande serie e ragionevoli su un tema complesso, sul quale non ho sufficiente esperienza. Ma penso che il punto di partenza è la condizione che lei esprime in chiusura. Occorre cioè assicurare che chi si prende cura del bambino adottato abbia le giuste motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita serena.

Chi è in tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio.


Aborto


MARINO – Uno dei temi più difficili da affrontare, su cui ci si interroga in continuazione proprio per la sua delicatezza e complessità, è l’aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la materia, sforzandosi di coniugare il principio dell’autodeterminazione delle donne con la libertà di coscienza dei medici che possono scegliere l’obiezione.

In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della legislazione sull’aborto. Per quanto ciascuno di noi riconosca che l’aborto costituisce sempre una sconfitta, nessuno può negare che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell’utero fatte dalle “mammane” per indurre l’aborto. Di fronte a casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza in un’adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche di allevare un bambino, come si pone la Chiesa? Se si ammette il principio della scelta del male minore e, come suggerisce la Chiesa cattolica, quello di affidare la risposta all’intimo della propria coscienza (“conscientia perplexa”: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione), non sarebbe eticamente corretto spiegare apertamente questo punto di vista? E sostenerlo anche pubblicamente?


MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana. Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe però comprendere l’importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della persona umana.

Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che “la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere paura “di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (cfr Matteo 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto. Nel vangelo secondo Giovanni Gesù proclama: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 6,25). E san Paolo aggiunge: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Romani 8, 18). V’è dunque una dignità dell’esistenza che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita eterna.

Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell’aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno stato moderno non intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo stato non possa non porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente. Ciò non vuol dire affatto “licenza di uccidere”, ma solo che lo stato non si sente di intervenire in tutti i casi possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo qualche tempo dall’inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause dell’aborto e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse comunque di compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte. Ciò avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso degli aborti clandestini, e quindi è tutto sommato positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a eliminarli.

Comprendo che in Italia, con l’esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per questo l’aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrapopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo.

Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.

Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della “conscientia perplexa”, che non so bene che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non può, per diversi motivi, sostenere la cura del suo bambino, non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo. Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento di approvare.


Compensi per la donazione di organi?


MARINO – C’è un argomento che mi tocca da vicino, dato che da più di venticinque anni mi occupo di trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi migliaia di persone, altrimenti destinate a morte certa, guariscono e conducono un’esistenza piena da tutti i punti di vista. Il limite principale ad una maggiore diffusione di questa terapia è legato all‘insufficiente numero di donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di conseguenza molte persone muoiono in lista d’attesa.

Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e principalmente in Gran Bretagna, è stata avanzata l’ipotesi di stabilire un compenso per le famiglie che accettano di donare gli organi del proprio parente dopo la morte. Il dubbio è se sia eticamente corretto proporre vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli organi. Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero delle donazioni e dei trapianti e rispondere così alle esigenze dei malati che attendono in lista un organo che salverà loro la vita. Eppure questa ipotesi contiene in se il presupposto per un comportamento non equo. Non si rischia di instaurare una situazione in cui solo i meno abbienti, incentivati da un compenso, saranno disposti a donare gli organi mentre i più ricchi si limiteranno a riceverli? E la donazione, proprio in quanto tale, non dovrebbe sempre e solo basarsi sul principio dell’uguaglianza?


MARTINI – Personalmente sento molto ciò che lei afferma in conclusione, cioè l’importanza del principio dell’uguaglianza e i pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione per gli organi. Mi pare che la strada è invece quella di propagandare il più possibile il principio della donazione e far crescere la coscienza collettiva su questo punto. C’è davvero da auspicare che non vi sia più chi muoia in lista d’attesa, mentre vi sono organi disponibili.


Hiv e Aids


MARINO – La questione dell’uguaglianza ci porta direttamente ad interrogarci su problemi e malattie che affliggono milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più poveri e svantaggiati per i quali l’idea di uguaglianza rimane un sogno molto lontano se non una mera utopia. Come non pensare subito all’Aids? Circa 42 milioni di persone nel mondo sono portatrici del virus dell’Hiv. Nel solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell’Onu, 3 milioni di persone sono morte di Aids mentre si sono registrati 5 milioni di nuovi infetti. Il 60 per cento dei portatori del virus vive nei paesi più poveri dell’Africa Sub-Sahariana, con un’incidenza media nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino al 25-30 per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe.

L’Hiv è la piaga di un continente che genera non solo ammalati ma orfani, povertà, impossibilità di migliorare le condizioni di vita. Nel mondo occidentale, oggi il virus viene tenuto sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche che permettono ad un sieropositivo di condurre un’esistenza del tutto normale, con un’aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone non affette dal virus. Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci di una persona sieropositiva si aggirava intorno a dieci mila euro, una cifra proibitiva che poteva essere sostenuta soltanto dai paesi dove era presente un sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di concorrenza, hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a metà 2003 su 700 euro per i farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali farmaceutiche) e intorno a 200 euro per i generici di fabbricazione indiana, brasiliana e tailandese. Nonostante questi importanti passi avanti, in molti paesi africani la spesa procapite in sanità non supera i 10 dollari l’anno per cui, nei fatti, l’accesso ai farmaci e alle terapie per contrastare l’Aids è negato e il virus continua a diffondersi.

Sappiamo che l’Aids si può in parte contrastare con la prevenzione e l’utilizzo dei profilattici.
Come è accettabile non promuovere l’utilizzo del profilattico per contribuire a controllare la diffusione del virus? È o non è un dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su questo tema? E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si tratterebbe comunque di optare per un male minore e contribuire alla salvezza di tante vite umane?


MARTINI – Le cifre che lei cita destano smarrimento e desolazione. Nel nostro mondo occidentale è assai difficile rendersi conto di quanto si soffra in certe nazioni. Avendole visitate personalmente, sono stato testimone di questa sofferenza, sopportata per lo più con grande dignità e quasi in silenzio.

Bisogna fare di tutto per contrastare l’Aids. Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore. C’è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da Aids. Costui è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere. Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la considerazione delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di contribuire efficacemente alla lotta contro l’Aids senza con questo favorire i comportamenti non responsabili.

Ma credo che è giunto il momento per il nostro dialogo di passare ad un’altra serie di problemi che riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla fine di essa. È necessario vivere con dignità, ma per questo morire anche con dignità. Ora, come lei sa, qui si pongono, soprattutto in Occidente, problemi molto gravi.


La fine della vita


MARINO – Lei pensa certamente anzitutto all’eutanasia, una parola attorno a cui si crea sempre molta confusione attribuendole diversi significati. Per questo preferisco non parlare in astratto, ma esprimermi in maniera molto concreta. Si può o no ammettere che una persona induca volontariamente la morte di un’altra, sebbene gravemente ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare questo dolore? Di fronte a una situazione irreversibile in cui la morte è inevitabile, ritengo sia assolutamente necessaria la somministrazione di farmaci come la morfina, che alleviano il dolore e accompagnano il malato con maggiore tranquillità nel passaggio dalla vita alla morte. È quanto viene fatto, in queste drammatiche circostanze, in tutte le rianimazioni negli Stati Uniti. Io stesso, pur soffrendone perché un medico vorrebbe sempre poter salvare la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso diverse volte di sospendere tutte le terapie. È un momento doloroso per la famiglia e, le assicuro, anche per il medico ma è una onesta accettazione che non si può fare più nulla se non evitare di prolungare sofferenze inutili e lesive della dignità del paziente. L’Italia è ancora gravemente carente in proposito, in assenza di una legge che regolamenti la materia al punto che se io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel nostro paese potrei essere arrestato e condannnato per omicidio, mentre si tratta solo di non accanirsi con terapie senza senso.

Non sono invece d’accordo nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l’arresto del cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto, non sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie. Faccio un esempio: in un recente film vincitore del premio Oscar, dal titolo “One Million Dollar Baby”, viene descritto il dramma di una donna ridotta in stato semivegetativo dopo un grave incidente sportivo, che chiede ad un uomo, il suo principale punto di riferimento nella vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e psicologica. L’uomo inizialmente rifiuta poi accetta perché ritiene che quello sia un atto d’amore estremo verso l’essere umano a cui si tiene di più. Pur non riuscendo a giustificare l’idea della soppressione di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si può condannare il gesto di una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per puro sentimento d’amore? E d’altra parte è lecito ammettere il principio di non condannare una persona che uccide?


MARTINI – Sono d’accordo con lei che non si può mai approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se è un medico, che ha come scopo la vita del malato e non la morte. Neppure io tuttavia vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo, come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé.

D’altra parte ritengo che è importante distinguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano morte. Questi ultimi non possono mai esser approvati. Ritengo che su questo punto debba sempre prevalere quel sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che, malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell’esistere umano, un senso che nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere.

So tuttavia che si può giungere a tentazioni di disperazione sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per altri, e perciò prego anzitutto per me e poi per gli altri perché il Signore protegga ciascuno di noi da queste terribili prove. In ogni caso è importantissimo lo star vicino ai malati gravi, soprattutto nello stato terminale e far sentire loro che si vuole loro bene e che la loro esistenza ha comunque un grande valore ed è aperta a una grande speranza. In questo anche un medico ha una sua importante missione.


Accanimento terapeutico e interruzione delle terapie


MARINO – Connesso con questo tema è quello dell’accanimento terapeutico. La tecnologia attuale è in grado di mantenere in vita malati che fino a pochi anni fa non venivano nemmeno condotti in un reparto di rianimazione. Il progresso scientifico permette di prolungare artificialmente anche la vita di una persona che ha perso ogni speranza di ritrovare una condizione di salute accettabile. Per questo appare urgente affrontare il problema dell’interruzione delle terapie.

Ogni forma di accanimento terapeutico andrebbe evitata perché contrasta con il rispetto della dignità umana. Per la Chiesa, la sospensione delle terapie viene considerata come accettazione di un fatto naturale, di non accanirsi più. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice:

“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.

Esistono strumenti legali, come il testamento biologico, che permettono al singolo individuo di indicare con precisione, e in un momento di tranquillità emotiva, fino a che punto si desidera accettare il ricorso a terapie straordinarie. Il testamento biologico rappresenta uno strumento molto valido per aiutare il medico e la famiglia a prendere la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili e indicare anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volontà di quell’individuo tenendo conto degli ulteriori progressi della scienza.

Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno di legge è stato presentato al senato da molto tempo ma attende ancora di essere discusso. Non sarebbe il momento di avviare una riflessione seria e condivisa per introdurre al più presto anche nel nostro paese una legislazione in merito alla fine della vita, cioè a uno dei momenti più importanti della nostra esistenza?


MARTINI – Il testo da lei citato del Catechismo della Chiesa cattolica mi pare esauriente al proposito. Se si volesse legiferare su questo punto è però importante che non si introducano aperture alla cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato sopra. Per questo sono incerto anche sullo strumento del testamento biologico. Non ho studiato l’argomento e non saprei dare un parere decisivo. Ritengo con lei che una riflessione seria e condivisa sulla fine della vita potrebbe essere utile, purché sia appunto seria e condivisa e non si presti a speculazioni di parte e soprattutto non introduca in qualche modo aperture a quella decisione sulla propria morte che ripugna al senso profondo del bene della vita, come sopra si è detto.


La scienza e il senso del limite


MARINO – In conclusione, vorrei proporre una riflessione più generale. La conoscenza, il progresso scientifico, l’avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunità di crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani di ricercatori e scienziati un grande potere, legato al fatto di essere in grado di intervenire sui meccanismi che regolano l’inizio della vita e la sua fine.

La scienza corre più veloce del resto della società e anche dei parlamenti, incaricati di fissare delle regole ma il più delle volte incapaci di intervenire tempestivamente.

A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza un’assunzione di responsabilità da parte di ogni scienziato coinvolto in un campo della ricerca che interviene sull’essenza della vita, sulla sua creazione e sulla sua fine. Fermo restando che la valutazione razionale è indispensabile, l’arbitrio del ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal senso di responsabilità bilanciato dalla valutazione dei rischi e delle conseguenze.

Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione ma di puntare su una presa di coscienza da parte di ogni scienziato. Questo non significa voler arrestare il progresso scientifico ma preservare e rispettare il nostro bene più prezioso, ovvero la vita.

Ma la storia purtroppo ci insegna che l’appello alla responsabilità individuale a volte non basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni informazione utile e alla fine dovrebbero essere i parlamenti, o meglio le istituzioni sovranazionali, a fissare le regole sulla base del comune sentire dei cittadini.


MARTINI – Tutti siamo pieni di meraviglia e di stupore, e quindi anche grati a Dio, per il formidabile progresso scientifico e tecnologico di questi anni che permette e permetterà sempre più e meglio di provvedere alla salute della gente. Insieme siamo consci, come lei dice, del grande potere che è nelle mani di ricercatori e di scienziati e della ferma assunzione di responsabilità che deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i rischi e le conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene della vita e mai al contrario.

Per questo occorre anche talora sapersi fermare, non varcare il limite. Io sono inclinato a nutrire fiducia nel senso di responsabilità di questi uomini e vorrei che avessero quella libertà di ricerca e di proposta che permette l’avanzamento della scienza e della tecnica, rispettando insieme i parametri invalicabili della dignità di ogni esistenza umana. So anche che non si può fermare il progresso scientifico, ma lo si può aiutare ad essere sempre più responsabile. Come lei dice, non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione, ma di puntare sul senso etico che ciascuno ha dentro di sé.

Certamente anche leggi buone e tempestive possono aiutare, ma come lei afferma, la scienza corre oggi più veloce dei parlamenti. Si esige quindi un soprassalto di coscienza e un di più di buona volontà per far sì che l’uomo non divori l’uomo, ma lo serva e lo promuova. Anche le istituzioni sovranazionali debbono prender coscienza del pericolo che tutti corriamo e del bisogno di interventi tempestivi e responsabili. In tutta questa materia occorre che ciascuno faccia la sua parte: gli scienziati, i tecnici, le università e i centri di ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l’opinione pubblica e anche le Chiese.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vorrei sottolineare soprattutto il suo compito formativo. Essa è chiamata a formare le coscienze, a insegnare il discernimento del meglio in ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per le azioni buone. A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no, soprattutto se prematuri, anche se bisognerà qualche volta saperli dire. Ma servirà soprattutto una formazione della mente e del cuore a rispettare, amare e servire la dignità della persona in ogni sua manifestazione, con la certezza che ogni essere umano è destinato a partecipare alla pienezza della vita divina e che questo può richiedere anche sacrifici e rinunce.

Non si tratta di oscillare tra rigorismo e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare il prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e anche a rispettare e ad amare il nostro corpo. Come afferma san Paolo, il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in noi e che abbiamo da Dio: perciò non apparteniamo a noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nella totalità della nostra esistenza su questa terra (cfr 1 Corinti 6,13.19-20).

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Per un confronto tra le posizioni del cardinale Martini e quelle del Catechismo della Chiesa Cattolica, vedi, nello stesso Catechismo, i paragrafi sull'aborto e l'intangibilità della vita del concepito (2270-2275), l'eutanasia (2276-2279), la fecondazione artificiale (2374-2379):

> Catechismo della Chiesa Cattolica

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Per un confronto tra le posizioni del cardinale Martini e quelle recentemente espresse da Benedetto XVI su un tema toccato da entrambi, vedi il discorso pronunciato dal papa al congresso su “L'embrione umano nella fase del preimpianto”:

> Benedetto XVI alla Pontificia Accademia per la Vita, 27 febbraio 2006

In esso il papa ha detto:

“L'amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza (Genesi 1,26). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui 'ci ha scelti prima della creazione del mondo, predestinandoci a essere suoi figli adottivi secondo il beneplacito della sua volontà' (Efesini 1,4-6). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l'uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione – intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via”.

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Circa la prevenzione dal contagio dell'Aids, vedi il discorso rivolto da Benedetto XVI a un gruppo di vescovi africani in visita “ad limina”, il 10 giugno 2005:

> Ai vescovi di Sudafrica, Botswana, Swaziland, Namibia e Lesotho

In esso il papa ha detto:

“L'insegnamento tradizionale della Chiesa ha dimostrato di essere l'unico modo intrinsecamente sicuro per prevenire la diffusione dell'Hiv/Aids. Per questo motivo l'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza della castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani”.
Caterina63
00giovedì 8 aprile 2010 11:31
Re:

Vilucchio., 08/04/2010 10.05:



MARTINI – Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi.

Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce.

Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l’atteggiamento almeno teorico di molti credenti. Ritengo comunque opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione eterologa. Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione artificiale fosse basato soprattutto sul problema della sorte degli embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare un superamento.




MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana. Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe però comprendere l’importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della persona umana.

Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che “la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere paura “di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (cfr Matteo 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto. Nel vangelo secondo Giovanni Gesù proclama: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 6,25). E san Paolo aggiunge: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Romani 8, 18). V’è dunque una dignità dell’esistenza che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita eterna.

Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell’aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno stato moderno non intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo stato non possa non porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente. Ciò non vuol dire affatto “licenza di uccidere”, ma solo che lo stato non si sente di intervenire in tutti i casi possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo qualche tempo dall’inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause dell’aborto e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse comunque di compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte. Ciò avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso degli aborti clandestini, e quindi è tutto sommato positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a eliminarli.

Comprendo che in Italia, con l’esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per questo l’aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrapopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo.

Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.

Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della “conscientia perplexa”, che non so bene che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non può, per diversi motivi, sostenere la cura del suo bambino, non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo. Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento di approvare.








Riportando i passi in rosso integralmente alla risposta di Martini chiariamo il problema della FECONDAZIONE....

Le risposte del cardinale Martini non sono del tutto infondate, se attenzione, ci si fermasse alla disputa ideologica del problema...tuttavia il problema è un altro che Martini qui NON affronta, ossia: cosa DICE LA CHIESA sull'argomento?

La fecondazione artificiale è prevista dalla Chiesa ma solo in casi molto estremi da non generalizzare:

- impossibilità di avere figli e dopo aver PRIVILEGIATO LA VIA DELL'ADOZIONE....
- nell'impossibilità di avere figli la Chiesa non esclude la fecondazione, ma la ritiene un atto AL DI FUORI DEL MATRIMONIO e pertanto imperseguibile per due cattolici....
in sostanza la Chiesa pur non escludendola la sconsiglia....per quale motivo?

semplice: la fecondazione avviene al di fuori della coppia e al di fuori del matrimonio.... inoltre non facciamo i finti casti, sappiamo bene infatti che, nell'uomo, il seme raccolto da chi non è sterile avviene per mezzo della masturbazione o del prelievo ambulatoriale dello sperma fecondo.... ergo la Chiesa non può MORALMENTE ACCETTARE un sistema del genere e poi parlare di AMORE... idem quando ad essere messa sotto trattamento per la fecondazione è la donna... gli ovuli fecondati in provetta le vengono inseriti, ma ciò non è frutto dell'amore ma DEL DESIDERIO DI AVERE A TUTTI I COSTI UN FIGLIO....

Ora per la Chiesa i figli SONO UN DONO e il concetto di DESIDERIO SEPPUR BUONO deve essere spurgato dal desiderio egoistico di accumulare embrioni congelati pur di avere un figlio perchè, come ben sappiamo, generalemente, con tale fecondazione, due o tre VITE UMANE MUOIONO NEL TENTATIVO DELL'IMPIANTO E PRIMA CHE UNO SOLO RIESCA AD ATTECCHIRE...
Per la Chiesa quelle sono VITE UMANE DISTRUTTE PER UN TENTATIVO EGOISTICO, OSSIA PUR DI AVERE UN FIGLIO A TUTTI I COSTI!

Avere un figlio NON è un diritto, ma un DONO che la coppia deve perseguire a partire dalla fede e certamente poi facendo ogni tentativo per avere figli MA SENZA CHE QUESTO UCCIDA ALTRE VITE UMANE....non è infatti cattolico e cristiano pretenedere di avere un figlio ben sapendo che per averlo altre vite moriranno nel tentativo...

infatti Martini risponde saggiamente quando dice al suo interlocutore:


Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana


infatti la dignità umana, per la Chiesa inizia DAL CONCEPIMENTO AVVENUTO....ogni singolo EMBRIONE, anche quelli in provetta e tristemente CONGELATI, è per la Chiesa una vita che ha già in sè una dignità che l'Uomo deve difendere al di sopra di chi pretende di avere il diritto di avere un figlio...

In America ci fu il tentativo di CONGELARE I BAMBINI APPENA NATI che presentavano una malformazione....così come fanno molti anziani che invece di farsi seppellire si sono fatti CONGELARE in attesa dell'elisir di lunga vita (sic!).... grazie a Dio questa idiozia non proseguì... vi lascio immaginare quale devastazione ci sarebbe se tale idea diventasse una legge...oltre ai milioni di aborti e al milione di embrioni congelati, ci sarebbero stanze piene di bambini congelati in attesa delle medicine miracolose...


Infine dice il cardinale Martini:


Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.



 ritengo GRAVISSIMO paragonare l'aborto terapeutico ALLA DIFESA LEGITTIMA come se il nascituro fosse un pericolo per la madre...la legittima difesa, dice anche il Catechismo, è quando la vita di una più persone è posta in pericolo DALLA VIOLENZA E DAGLI ATTI VIOLENTI DI ALTRE PERSONE ARMATE E CHE ABBIANO INTENZIONI NOCIVE....può un nascituro avere L'INTENZIONE DI UCCIDERE LA PROPRIA MADRE? ovvio che no! ergo la sua eliminazione NON è una legittima difesa, non è paragonabile a questa!

la storia di santa Beretta Molla dice esattamente il contrario...e difatto lo stesso Martini si contraddice, perchè al termine della sua risposta qui riportata lo dice chiaramente:Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria  

Lei, Beretta Molla, al quarto figlio (o al terzo non ricordo bene) si riscontra un dilemma: salvare il bambino che sta per nascere o salvare la madre....la madre SCELSE LA VITA DEL FIGLIO... la teologia morale della Chiesa è esplicita a questo proposito: pur riconoscendo da parte della madre la legittima scelta CON IL MEDICO circa la soluzione da prendere, dichiara sempre UN OMICIDIO LA MORTE DEL NASCITURO... un omicidio definito ACCIDENTALE, ma pur sempre un omicidio... mi appare strano che qui Martini citi tale teologia dicendo:
 "In questi e simili casi mi pare che  " visto che la dottrina morale della Chiesa è chiarissima sull'argomento tanto da ritene SANTO quella mamma che sceglie di NON uccidere quel figlio, OFFRENDO PER LUI LA SUA VITA... tale donazione è la sublimazione stessa del comando di Dio: DARE LA PROPRIA VITA PER L'ALTRO....

Infine attenzione, L'IDEA DEL MALE MINORE NON E' AFFATTO UNA DOTTRINA ACCETTABILE PER IL CATTOLICO!
Il concetto di male minore è TOLLERATO, MA NON ACCETTATO dalla Chiesa soprattutto se a praticarlo sono i non cattolici, gli atei....i quali appunto NON conoscono la dottrina che ci dice che abbiamo il dovere di perseguire SOLO IL BENE A COSTO DI DIVENTARE MARTIRI... Gesù non ha mezze parole e dice: SIATE PERFETTI COME PERFETTO E' IL PADRE MIO!
il cattolico non accetta e non può accettare il concetto del male minore....tuttavia lo tollera NEGLI ALTRI, NEL SUO PROSSIMO...in attesa che egli comprenda l'eroicità del martirio, DELLA DONAZIONE DI SE STESSI FINO A MORIRE PER L'ALTRO...

Poichè sono concetti difficili da percepire ed assurdi nella cultura scristianizzata di oggi, le risposte del cardinale Martini in questo contesto sono accettabili, tollerabili...
tuttavia tenendo bene a mente per noi ciò che dice la Chiesa sull'argomento e il perchè, soprattutto, la Chiesa difenda così duramente il diritto alla vita...perchè non basta dire "la Chiesa dice NO" oppure: "la Chiesa è contraria"....bisogna aiutare l'altro a comprendere LE MOTIVAZIONI che spingono la Chiesa a questa dura battaglia, ma che è una BUONA battaglia...


martinicm
00giovedì 8 aprile 2010 14:45
La fecondazione artificiale è prevista dalla Chiesa ma solo in casi molto estremi da non generalizzare:

- impossibilità di avere figli e dopo aver PRIVILEGIATO LA VIA DELL'ADOZIONE....
- nell'impossibilità di avere figli la Chiesa non esclude la fecondazione, ma la ritiene un atto AL DI FUORI DEL MATRIMONIO e pertanto imperseguibile per due cattolici....
in sostanza la Chiesa pur non escludendola la sconsiglia....per quale motivo?

MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana.
Caterina63
00giovedì 8 aprile 2010 15:09
Re:
martinicm, 08/04/2010 14.45:



MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana.



[SM=g7497] cosa vuoi dire?

prova a spiegarlo a parole tue....visto che ciò che dice la Chiesa lo sappiamo [SM=g7515]


martinicm
00giovedì 8 aprile 2010 23:09
Mio padre è morto suicida, e io, per coscienza e per fede, riconosco che è un atto non buono, ma questo non mi impedisce di sperare e di pregare per lui.

Dunque l’atto di per se è deplorevole o comunque non accettabile, ma bisogna tenere conto delle condizioni e delle cause e, soprattutto della sofferenza che la persona vive e sperimenta.

Il “non si fa” lasciato cadere come imposizione, anche se giusto, non è in linea con la prerogativa principale di Dio, che è la misericordia. Perché Dio ama l’uomo, ogni uomo per quello che è, figlio, nel Figlio, e non per quello che fa e per le scelte che compie, soprattutto quelle non pienamente consapevoli e dettate da situazioni dolorose e al limite.
Caterina63
00venerdì 9 aprile 2010 01:00
Re:


[SM=g7497] mmmmm non credo che Martini intendesse dire questo per altro con un paragone che, perdonami, non può essere associato all'embrione o alla fecondazione dal momento che il suicida risponde per la sua vita, una madre risponde per una vita NON sua...ossia che gli era stata affidata e lei in qualche modo l'ha uccisa...


Infatti, che il togliersi la vita sia un atto deplorevole è dovuto al fatto che neppure la nostra vita ci appartiene....noi NON siamo i padroni, non siamo DIO! questo è il punto fondamentale!
Dopo di che si invoca sempre la supplica a Dio per quell'anima che così agendo muore nella disperazione...affidandola a Dio...

(P.S.
non so se mi stai facendo un esempio o se davvero tuo padre se ne sia andato così....se così fosse lo porterò nella Preghiera e confortandoti delle Carezze di Maria Santissima [SM=g7566] )

Ciò che dice Martini in quella frase:


MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana.


sottolinea alcuni aspetti che potremmo sintetizzare così:

- il tema è doloroso e spinoso, indubbiamente, ma lo è diventato con la cultura di questo secolo, ergo non è una pena che ci aveva dato Dio, è una pena che l'Uomo si è autoinflitta allontanandosi da Dio;

- infatti occorre fare principalmente tutto quanto è possibile PER DIFENDERE E SALVARE OGNI VITA UMANA....

- il fatto che bisogna RIFLETTERE sui casi complessi,non significa affatto che si possa accettare il danno o l'omicidio.... è quella parolina "MA" messa da Martini dopo il punto che può suonare ambiguo, ma sapendo che lui è un cardinale della Chiesa, non posso interpretarlo diversamente... [SM=g7566]

- infatti egli stesso conclude che tale RIFLESSIONE sui casi complessi non deve portare ad un aborto o al rischio per l'embrione, al contrario, Martini sottolinea: e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana non dunque ad eliminarla o a metterla in pericolo con l'uso degli embrioni...

Non potrebbe esserci una interpretazione diversa da questa senza rischiare di dire ciò che la Chiesa NON insegna... [SM=g7566]

E concordo con te, dire semplicemente: "non si fa" senza spiegare il perchè è deleterio, tuttavia attenzione perchè i Dieci Comandamenti sono una serie di "NON si fa" voluti da Dio per il nostro bene ed infatti spiegati da Gesù e dalla Chiesa...
Pensa ad una Mamma a quanti "NON si fa" deve dire al suo bambino che cresce.... [SM=g7566]

- le scelte che facciamo, mi dispiace, ma possono condurci all'inferno, non puoi banalizzare il tutto dicendo: Dio è misericordioso e non bada a ciò che facciamo, ma a ciò che siamo....troppo comodo amico mio!
Dio ci ha fornito di LIBERTA' E DI VOLONTA'...e con queste ci giochiamo l'eternità...a seconda delle scelte che faremo, e di ciò che faremo...

Certamente mi può accadere di uccidere, e se mi pento davvero (leggi la storia dell'assassino di santa Maria Goretti), qui trovo la Misericordia di Dio che mi assolverà dal peccato grave commesso, ma se non mi converto, se rifiuto il perdono, se non provo ribbrezzo per quel che ho fatto, Dio mi lascia libero di andare all'inferno...

La Scrittura dice: TI SARA' DATO CIO' CHE AVRAI SCELTO, ed elenca la dannazione eterna quale scelta di vita con azioni peccaminose e rifiutando la conversione...il pentimento...
Se all'inferno fosse stato così difficile andarci, Gesù Cristo non si sarebbe fatto inchiodare sulla Croce perchè guardando Lui avessimo vergogna dei nostri peccati....
e se fosse stato così semplice andare in Paradiso, a nulla sarebbe servita la Croce che Cristo ci chiede di prendere sulle nostre spalle...

Indubbiamente ci sono i peccati veniali e mortali...

in sostanza i peccati veniali sono quelli che NON coinvolgono il Prossimo e dove il Prossimo non viene danneggiato dal nostro peccato...e la dove dovesse accadere di danneggiarlo, c'è la BUONA FEDE, ossia, pur commettendo un peccato contro terzi, non l'ho fatto di proposito oppure è stato fatto PER IGNORANZA...MA DEVO UGUALMENTE PENTIRMI...diceva san Padre Pio che un peccato veniale NON confessato e non corretto a lungo andare rischia di diventare mortale...

Tutto il resto, specialmente ciò che riguarda la vita e la salute delle persone, se seriamente danneggiata da me, o implicitamente (legittima difesa) o esplicitamente condotta alla morte, è peccato mortale e morendo con il quale SI VA ALL'INFERNO perchè finisce in quel Peccato contro lo Spirito Santo del quale Gesù ha predetto che non c'è salvezza ne sulla terra ne sotto terra ne in cielo...

si chiamano i Peccati contro lo Spirito Santo e sono 6 quelli che conducono all'Inferno se non c'è pentimento:

sono rispettivamente:
impugnare la verità conosciuta;
disperazione della salute;
presunzione di sal­varsi senza merito;
invidia della grazia altrui;
ostinazione nei peccati;
impenitenza finale.

La Chiesa li ha elencati come gravi e seriamente rischiosi per la dannazione eterna...è ovvio che in ultima analisi vale sempre il rapporto personale con Dio fino all'ultimo istante della vita...infatti la Chiesa, saggiamente, eleva i Santi agli altari, ma non ha mai condannato nessuno all'Inferno, solo ci dice quali sono i mezzi per andarci e dunque evitarli... [SM=g7566]

Nel Catechismo di San Pio X, dopo i “sei peccati contro lo Spirito Santo”, venivano elencati i “quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”:
omicidio volontario;
peccato impuro contro natura;
oppressione dei poveri;
defraudare la mercede agli operai
.

Di tali peccati si diceva: «I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono dei piú gravi e funesti, perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, piú degli altri, i castighi di Dio» (n. 154).

Tali peccati sono stati così completati nel nuovo Catechismo, i “peccati che gridano verso il cielo”:
«Gridano verso il cielo: il sangue di Abele (cf Gen 4, 10);
il peccato dei Sodomiti (cf Gen 18, 20; Gen 19, 13);
il lamento del popolo oppresso in Egitto (cf Es 3, 7-10) (qui fa riferimento all'uccisione anche dei neonati);
il lamento del forestiero, della vedova e dell’orfano (cf Es 22, 20-22);
l’ingiustizia verso il salariato (cf Dt 24, 14-15; Gc 5, 4)» (n. 1867).

[SM=g7427]
Vilucchio.
00venerdì 9 aprile 2010 10:11
Caro Martinicm ,il Signore ascolta le preghiere dei figli per i loro padri e le loro madri, come ascolta quelle delle madri e dei padri per i loro figli.
E' un comandamento :"Onora tuo padre e tua madre" iscritto indelebilmente nel nostro cuore come Dio ha voluto.
Questo ci consola perche' è quello che vuole il Signore.
E' un nostro dovere e amore pregare per loro e onorarli sempre nella memoria.
Vilucchio.
00venerdì 9 aprile 2010 10:11
Piccola parentesi.
((Zacuff))
00venerdì 9 aprile 2010 11:27
Re:
Vilucchio., 09/04/2010 10.11:

Piccola parentesi.




() così?
((Zacuff))
00venerdì 9 aprile 2010 11:29
Re: Re:
((Zacuff)), 09/04/2010 11.27:




() così?




ho un amico frate che ha
le gambe storte e si chiama "Fra Parentesi"
martinicm
00venerdì 9 aprile 2010 18:27
(P.S.
non so se mi stai facendo un esempio o se davvero tuo padre se ne sia andato così....se così fosse lo porterò nella Preghiera e confortandoti delle Carezze di Maria Santissima )

Ti sembra che si possono fare esempi del genere?



Ciò che dice Martini in quella frase:


MARTINI – Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana.


sottolinea alcuni aspetti che potremmo sintetizzare così:

- il tema è doloroso e spinoso, indubbiamente, ma lo è diventato con la cultura di questo secolo, ergo non è una pena che ci aveva dato Dio, è una pena che l'Uomo si è autoinflitta allontanandosi da Dio;

- infatti occorre fare principalmente tutto quanto è possibile PER DIFENDERE E SALVARE OGNI VITA UMANA....

- il fatto che bisogna RIFLETTERE sui casi complessi,non significa affatto che si possa accettare il danno o l'omicidio.... è quella parolina "MA" messa da Martini dopo il punto che può suonare ambiguo, ma sapendo che lui è un cardinale della Chiesa, non posso interpretarlo diversamente... (appunto, si possa e si debba riflettere non approvare)

- infatti egli stesso conclude che tale RIFLESSIONE sui casi complessi non deve portare ad un aborto o al rischio per l'embrione, al contrario, Martini sottolinea: e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana non dunque ad eliminarla o a metterla in pericolo con l'uso degli embrioni...

quello che volevo dire, anzi che ho colto nel suo discorso, ma evidentemente non sono molto capace a cogliere i punti essenziali
martinicm
00venerdì 9 aprile 2010 18:30
Re: Re: Re:
((Zacuff)), 09/04/2010 11.29:




ho un amico frate che ha
le gambe storte e si chiama "Fra Parentesi"



Non perdi occasione di dire stupidate.


((Zacuff))
00venerdì 9 aprile 2010 18:34
Re: Re: Re: Re:
martinicm, 09/04/2010 18.30:



Non perdi occasione di dire stupidate.






attento...
non sono abituato a ricevere certi complimenti
martinicm
00venerdì 9 aprile 2010 18:35
Martinicm alias Enricorns

Martinicm alias Martinicm

Se avessi voluto entrare come Enricorns lo avrei fatto e se avessi voluto sotituirlo con Martinicm lo avrei fatto

Enricorns è cancellato dalle com e dalle chat.
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