Viaggio Apostolico di Sua Santità Benedetto XVI a Cipro 4-6 giugno 2010

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S_Daniele
00lunedì 7 giugno 2010 18:15

La croce e la Chiesa


La visita a Cipro di Benedetto XVI è stato un successo da ricordare, come ha detto lo stesso Papa nel congedarsi dal Paese. Come sempre, sono parole scelte attentamente e non si riferiscono soltanto alla riuscita esteriore, che è innegabile, del viaggio, ma soprattutto al suo significato più profondo. Il sedicesimo itinerario internazionale del pontificato - esplicitamente presentato come una continuazione di quello in Terra santa - è stato infatti importante innanzi tutto per la grande isola mediterranea, che festeggia il cinquantesimo dell'indipendenza e soffre tuttora di una divisione innaturale. Come ha mostrato la stessa ubicazione della nunziatura, dove il Papa ha vissuto in questi giorni e che è compresa nella zona cuscinetto controllata dai militari delle Nazioni unite nel cuore di una capitale spezzata.
Ma la portata del viaggio, in un Paese ortodosso, è storica per l'avvicinamento ulteriore a un'autorevole e veneranda Chiesa sorella, che sotto la guida dell'arcivescovo Crisostomo II si è impegnata con decisione nel cammino ecumenico. Un processo interno alle confessioni cristiane che costituisce anche un'indicazione e guarda al futuro in una regione - come il Vicino e il Medio Oriente - tormentata e troppo spesso insanguinata, dove l'unico percorso realistico per una pace reale e duratura è il confronto a tre fra cristiani, musulmani ed ebrei. Nonostante il riesplodere continuo della violenza in uno stato di tensione che sembra insormontabile, e anche di fronte alle ombre di episodi orribili come il massacro e l'assassinio di un uomo inerme, monsignor Luigi Padovese, testimone coraggioso della verità e della pace di Cristo.
È il mistero della croce, di cui Benedetto XVI ha parlato in un'omelia memorabile ricordando in primo luogo che l'uomo non può salvare se stesso dalle conseguenze dei propri peccati:  croce che allora non è tanto segno di sofferenza e di fallimento, quanto il simbolo più eloquente di cui il mondo ha bisogno. Proprio perché esprime la rivincita, compiuta da Cristo, su ogni male, compreso l'ultimo nemico che è la morte, significando la vera speranza che non delude. E oggi nel Vicino e Medio Oriente - ha detto il Papa con la sua forza mite - irradia questa speranza ogni cristiano che abbraccia la croce e si affida al suo mistero, non abbandonando, nonostante difficoltà e persecuzioni crescenti, i luoghi dove la Chiesa è nata ed è fiorita nei primi secoli.
Secondo una tradizione che risale addirittura agli apostoli, i cattolici e i cristiani - ma anche chiunque abbia a cuore i diritti dell'uomo, a iniziare dalla libertà di coscienza e di religione - non devono dimenticare i loro fratelli che vivono in questa parte del mondo. A loro sarà dedicata la prossima assemblea speciale del Sinodo dei vescovi, il cui documento di lavoro è stato consegnato dal Papa ai rappresentanti delle comunità cattoliche. È un testo che conferma il realismo della Chiesa e la sua disponibilità a costruire società dove la convivenza pacifica sia davvero possibile. Grazie al mistero della croce, segno della speranza portata da Cristo e testimoniata dalla Chiesa per il mondo.

g. m. v.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 giugno 2010)
S_Daniele
00lunedì 7 giugno 2010 18:17

I contenuti del documento


Quaranta pagine compongono il documento per il lavoro dell'assemblea sinodale, pubblicato in arabo, francese, inglese e italiano.
Dopo la prefazione del segretario generale e l'introduzione, il primo capitolo parla della Chiesa cattolica in Medio Oriente, che è unica e presente in varie tradizioni:  oltre a quella latina vi sono, infatti, sei Patriarcati, ciascuno con il proprio patrimonio spirituale, teologico e liturgico. Il secondo tratta della comunione ecclesiale, che si manifesta mediante i segni del battesimo e dell'Eucaristia nella comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità.
Il terzo capitolo, il più corposo, affronta il tema della testimonianza cristiana, ribadendo l'importanza della catechesi e l'auspicio per "uno sforzo di rinnovamento" nella liturgia. Si riafferma l'urgenza dell'ecumenismo, attraverso la collaborazione per "l'unificazione delle feste cristiane (Natale e Pasqua) e la gestione comune dei Luoghi di Terra Santa". Si condanna il proselitismo e si rilanciano i rapporti con l'ebraismo, che hanno "nel Concilio Vaticano ii un punto di riferimento fondamentale". Il dialogo con gli ebrei è "essenziale, benché non facile", risentendo del conflitto israelo-palestinese. La Chiesa ritiene che "ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all'interno di confini sicuri e riconosciuti". Ferma è la condanna dell'antisemitismo, mentre "gli attuali atteggiamenti negativi tra popoli arabi e popolo ebreo sembrano piuttosto di carattere politico". Per le relazioni con i musulmani si cita Benedetto XVI per il quale "il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale. Esso è una necessità vitale, da cui dipende il nostro futuro". Si aggiunge che "è importante avere i dialoghi bilaterali - con gli ebrei e con l'Islam - e anche il dialogo trilaterale". Le relazioni tra cristiani e musulmani sono difficili - si legge nel documento - soprattutto perché questi ultimi non distinguono tra religione e politica; il che mette i primi nella delicata situazione di non-cittadini di questi Paesi, mentre lo sono già da ben prima dell'arrivo dell'Islam. "Cristiani e musulmani sono chiamati a lavorare assieme per promuovere la giustizia sociale, la pace e la libertà, e difendere i diritti umani e i valori della vita e della famiglia" liberi da pregiudizi e stereotipi. Nella situazione conflittuale della regione i cristiani sono esortati a promuovere "la pedagogia della pace" contro il "terrorismo mondiale più radicale". Il loro contributo "che esige molto coraggio, è indispensabile" anche se "spesso" i Paesi mediorientali "identificano l'Occidente con il cristianesimo".
Il documento analizza anche l'impatto della modernità che al musulmano credente "si presenta con un volto ateo e immorale" e "come un'invasione culturale". Ma "la modernità è anche un rischio per i cristiani":  le società della regione sono infatti "minacciate dall'assenza di Dio, dall'ateismo e dal materialismo, dal relativismo e dall'indifferentismo". Rischi che "possono facilmente distruggere famiglie, società e Chiese". Da questo punto di vista "musulmani e cristiani devono percorrere un cammino comune". I cristiani, da parte loro, devono essere consapevoli di appartenere al Medio Oriente e di esserne "una componente essenziale come cittadini":  per essere "stati i pionieri della rinascita della Nazione araba", anche se "con la crescita dell'integralismo, aumentano ovunque gli attacchi contro di loro".
Il documento affronta quindi il tema dell'evangelizzazione, che nella società musulmana può avvenire solo attraverso la testimonianza. Perciò l'attività caritativa delle comunità cattoliche "verso i poveri e gli esclusi rappresenta il modo più evidente della diffusione dell'insegnamento cristiano".
Nella conclusione, infine, l'Instrumentum laboris sottolinea "le difficoltà del presente, ma, al contempo, la speranza, fondata sulla fede". La mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto dei diritti e l'egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato la regione e imposto alle popolazioni violenza e disperazione. Ne consegue l'emigrazione massiccia dei cristiani, che sono esortati, sostenuti dalla comunità internazionale, a rimanere nelle loro terre.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 giugno 2010)
S_Daniele
00lunedì 7 giugno 2010 18:19

Dalla cattedra della Croce un messaggio di liberazione


dal nostro inviato Mario Ponzi

Forse non avevano bisogno di nuove motivazioni, ma di una iniezione di fiducia e di speranza sì. Così Benedetto XVI ha riservato ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai movimenti ecclesiali laicali latini e maroniti due momenti di incontro e di preghiera.
Con la comunità latina il Papa ha celebrato la messa sabato pomeriggio, nella chiesa della Santa Croce, a pochi metri dalla sua residenza a Nicosia. È una chiesa parrocchiale. Può contenere circa 350 persone. Internamente si affaccia su un giardino fiorito come pochi se ne vedono. A volte ospita momenti di incontro organizzati dalla nunziatura, che si trova in un'ala dell'annesso monastero. Il più delle volte si anima per la presenza dei numerosi parrocchiani, immigrati per la maggior parte, che, dopo la messa, colgono l'unica occasione che hanno per incontrare i loro connazionali. Gli stranieri costituiscono la vera caratteristica di questa comunità ecclesiale latina. Solo duemila infatti sono cittadini ciprioti; altri settemila, pur essendo residenti stabilmente nell'isola sono originari di altri Paesi e ben quindicimila sono lavoratori stranieri che non hanno residenza permanente. In gran parte sono filippini; tanti nordafricani, diversi latinoamericani e molti srilankesi. Chiesa e comunità dipendono dalla cura pastorale del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, poiché la parrocchia è una delle tre latine sull'isola - sono quattro in tutto - storicamente curate dai francescani della Custodia di Terra Santa. Ecco perché il saluto liturgico all'inizio della messa è stato rivolto al Papa dal patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal.
La messa era quella propria della santa Croce. La preghiera ha assunto il tono dell'invocazione universale. Si è pregato e cantato in greco, in latino e in inglese. Ma qualsiasi fosse la lingua usata la preghiera era unica e corale. Cipro è infatti uno di quei Paesi nei quali desiderio di libertà, orgoglio di popolo, tradizioni e fedi diverse sono totalmente mescolati e radicati da formare un'anima sola. I cattolici, siano essi latini, armeni o maroniti, danno il loro modesto ma fondamentale contributo all'amalgama di questa anima, offrendo una preziosa testimonianza.
Il Papa nella sua omelia ha additato la croce come esempio e testimonianza dell'amore di Cristo e ha invitato a identificare nel suo mistero le sofferenze che patiscono i cristiani in tante parti del mondo per le privazioni e le umiliazioni causate dalle differenze etniche e religiose. Ha quindi esortato i sacerdoti a uno sforzo ancora più grande, per diffondere soprattutto la loro capacità di perdonare.
E dalla figura del Papa ma soprattutto dalle sue parole si sono così rinnovati lo slancio del perenne invito all'unione fraterna, la tacita condanna della violenza, la speranza in un futuro di pace e di giustizia. Un discorso difficile da fare e da capire se si ripensa alla breve processione che ha accompagnato il Papa all'altare. Il corteo si è mosso dal vicino monastero e, per entrare nella piccola chiesa, è passato all'esterno, sotto lo sguardo dei militari delle Nazioni Unite di guardia sui tetti diroccati, e le forze turche a ridosso del filo spinato, sulla linea che spezza in due la città. Si avvertivano le note del canto d'introito e, per una strana coincidenza, il tocco delle campane che segnavano l'ora. Una melodia che invitava a volgere lo sguardo verso l'alto del cielo e lo scandire del tempo che costringeva a tenere i piedi per terra.
Ma forse proprio per questo l'invocazione del Papa ha assunto ancor più valore. Parlava ai sacerdoti latini lì davanti a lui, ma il suo sguardo era rivolto più a oriente, verso il resto della Terra Santa, che continua a essere bagnata dal sangue di vittime innocenti. La storia passata, e purtroppo quella recente, i luoghi comuni sulla mescolanza di fede e nazionalismo, di politica e religione sembrano effettivamente avallare alcuni timori. C'è bisogno di un rinnovamento da dentro. Questo è il vero grande ruolo che compete alle religioni:  favorire il rinnovamento spirituale. Un messaggio che è stato colto anche dallo sceicco Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani, leader spirituale di un movimento sufi, 89 anni, personalità di spicco nel mondo islamico a Cipro, da sempre impegnato nel dialogo tra le religioni. Nonostante abbia dovuto compiere uno sforzo non indifferente soprattutto per le sue condizioni fisiche - dovute all'età - non ha voluto mancare l'incontro con il Papa. Lo ha atteso seduto su una sedia all'esterno della nunziatura. Si è alzato per andargli incontro appena lo ha visto. Si è scusato per il fatto di aver aspettato seduto, "ma sa - gli ha detto - sono molto anziano". E il Papa, tendendo le braccia quasi per sostenerlo, gli ha risposto:  "Capisco, sono anziano anch'io!". Il leader sufi gli ha spiegato che vive dietro la chiesa, nella parte Nord di Cipro, e che, dal momento in cui ha saputo del suo arrivo, è stato determinatissmo nel volerlo salutare. Nazim ha voluto lasciare al Papa in dono un bastone istoriato, una targa con parole di pace in arabo e un rosario musulmano. Il Pontefice, da parte sua, gli ha donato una medaglia. L'incontro si è concluso con un abbraccio fraterno e con l'assicurazione che ognuno di loro avrebbe pregato per l'altro. Quattro minuti in tutto, forse di meno. Ma si è trattato di una testimonianza dello sforzo che devono fare le religioni per trovare dentro se stesse la forza e la chiave per interpretare i segni dei tempi e condurre l'umanità verso la pace.
Lo ha ripetuto ai fedeli della sua Chiesa cattolica Benedetto XVI, anche durante l'incontro riservato ai maroniti. Hanno colto la delicatezza del pensiero del Papa il quale ha voluto recarsi nella loro chiesa cattedrale, dedicata a Nostra Signora delle Grazie. È stato l'ultimo momento della sua permanenza a Nicosia, domenica pomeriggio, prima di raggiungere l'aeroporto internazionale di Larnaca da dove è partito alla volta di Roma.
Nella cattedrale, posta nel cuore della città vecchia, circa trecento fedeli hanno accolto il Papa con un canto melodioso, della più pura tradizione liturgica maronita. Tra loro c'erano anche quanti hanno collaborato con il comitato organizzatore della visita. Dopo lo scambio dei discorsi - il Papa è stato salutato dall'arcivescovo maronita di Cipro, monsignor Joseph Soueif, e dal patriarca di Antiochia dei maroniti, Sua Beatitudine il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir - è stata intonata la preghiera del perdono, secondo la liturgia siriaca. La cerimonia si è conclusa con un'invocazione a Maria e la successiva benedizione del Papa.
Mentre lasciava la chiesa lo seguiva l'eco di un canto, anche questa volta eseguito in lingue diverse, ma capaci di esprimere un unico sentimento di gratitudine per il dono di una presenza.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 giugno 2010)
S_Daniele
00lunedì 7 giugno 2010 18:20

Le radici della pace crocevia dell'umanità


dal nostro inviato Mario Ponzi
 

Il viaggio apostolico del Papa a Cipro si è concluso - così come si era iniziato - con un gesto simbolico, significativo per quella Terra Santa "ancora insanguinata", che tanto sta a cuore a Benedetto XVI:  la benedizione di una pianta di ulivo, l'albero della pace per eccellenza. Lo aveva fatto appena giunto a Paphos venerdì pomeriggio, e lo ha fatto di nuovo all'aeroporto di Larnaca, domenica sera, 6 giugno, prima di lasciare l'isola.
Un messaggio molto semplice e molto chiaro il suo. È venuto a seminare la pace nel solco tracciato da Paolo, Barnaba e Marco; ha raccolto, per buona parte delle circa cinquantadue ore trascorse nell'isola, le speranze di pace di un popolo e le ha innestate in alberi secolari che saranno piantati, a ricordo e monito, in una terra che, forse mai come in questa circostanza, si è proposta al mondo intero come crocevia di popoli, razze, culture e religioni diverse; per poche ore specchio di quel sogno di pace che continua a sfuggire a tutta la martoriata regione mediorientale.
La pace dunque è stata il filo conduttore di questo nuovo pellegrinaggio del Papa. Le premesse c'erano tutte. La tragica uccisione in Turchia di monsignor Padovese, proprio nelle ultime ore prima della partenza; le ansie manifestate dal presidente cipriota Dimitris Christofias, per l'ultradecennale divisione dell'isola, le tensioni interne alla Chiesa ortodossa, nonostante le concrete manifestazioni di stima e di amicizia di Sua Beatitudine Crisostomo II; il dolore dei cattolici armeni defraudati delle loro chiese come delle loro case; l'emorragia cristiana nel Medio Oriente causata dall'odio razziale e religioso; le attese riposte nell'assise sinodale d'ottobre per la Chiesa in quest'area del mondo senza pace; i bagliori di guerra nel mare che bagna la Terra Santa. Il Papa è passato in mezzo a questa Chiesa e a questo popolo in affanno, con la sua consueta delicata ma ferma determinazione, non senza lasciare traccia.
La testimonianza più concreta si è avuta proprio domenica mattina, momento culminante di tutto il viaggio. Nel palazzo dello sport di Nicosia si doveva celebrare la messa per la consegna dell'Instrumentum laboris per la prossima assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi.
Una cerimonia che è stata rattristata da gravi episodi, causa di profondo dolore per il Pontefice. E non ne ha fatto mistero parlando dinanzi al mondo intero. Doveva esserci, a quella celebrazione, anche monsignor Padovese, il pastore che tanto aveva contribuito alla preparazione del documento di lavoro che di lì a poco il Papa avrebbe rimesso nelle mani dei rappresentanti delle Chiese del Medio Oriente. E Benedetto XVI ha fatto sì che fosse presente tra i protagonisti di questo momento di apertura simbolica dell'assise sinodale, ricordandone la personalità e il sacrificio. Così come ha voluto aggiungere nel suo calice il sangue versato, anche di recente, in questa parte di mondo e ripetere il suo "appello personale" perché fosse l'ultimo a bagnare queste terre, specie la Terra Santa.
La consegna del documento è avvenuta al termine della messa, alla quale hanno partecipato migliaia di persone, cattoliche e non, provenienti anche dalle altre Chiese della regione. Forse il momento più toccante di questa giornata è stato proprio lo sfilare dei patriarchi (Sfeir, Delly, Twal, Naguib, Tarmouni, Younan, Laham), dei presidenti delle Conferenze episcopali locali, dei tre cardinali a capo dei dicasteri della Santa Sede più direttamente coinvolti - Kasper, Sandri e Tauran - davanti al Papa per ricevere quel libriccino di appena quaranta pagine, nelle quali sono contenute tutte le attese e le speranze della Chiesa diffusa in quella vasta regione del mondo, che va dall'Egitto all'Iraq. "La Chiesa cattolica nel Medio Oriente:  comunione e testimonianza. La moltitudine di coloro che erano diventati credenti (Atti degli Apostoli, 4, 32) aveva un cuor solo e un'anima sola" il titolo del documento. I presuli che lo avevano ricevuto, lo stringevano tra le mani tradendo ora emozione, ora gioia, ora perplessità per un futuro che sanno comunque difficile. E mostravano anche un po' di preoccupazione per la grande responsabilità che il Papa aveva appena messo nelle loro mani, cioè guardare con onestà e sino in fondo anche all'interno della propria casa, per vedere, per capire.
Il testo è il frutto di un lavoro collettivo durato alcuni mesi. In esso sono affrontate tutte le situazioni difficili che vivono i cristiani nella regione, assediati da una parte dall'estremismo islamico che minaccia persino gli stessi musulmani, e dall'altra dai conflitti che ancora scuotono la Terra Santa. Vengono denunciate situazioni destabilizzanti, causate da occupazioni territoriali, vere e proprie "ingiustizie politiche", che di fatto limitano la libertà di movimento a popoli e individui, penalizzano lo sviluppo economico, la vita sociale e quella religiosa. Così come vengono denunciate le violenze perpetrate contro i cristiani, come per esempio accade in Iraq, e le angherie subite in regimi autoritari se non proprio dittatoriali, dove sono costretti a subire tutto in silenzio, nel tentativo di salvare almeno l'essenziale. Ma lo sguardo cade anche all'interno della Chiesa, dove si intrecciano debolezze strutturali, affannosa ricerca dell'unità anche tra i membri del clero, l'affacciarsi di posizioni estremistiche che tendono a giustificare atteggiamenti di ingiustizia, offrendo così una sorta di controtestimonianza, dannosa per la Chiesa e per il popolo dei fedeli.
Puntuale sembra il richiamo dell'arcivescovo Eterovic alla situazione vissuta dalla prima comunità cristiana in Terra Santa, costretta a vivere tra difficoltà e persecuzioni ai tempi della dominazione romana.
Per poche ore questo popolo e questa Chiesa, si sono ritrovati uniti davanti al Papa che è sembrato reincarnare per loro le figure degli antichi padri:  Paolo, Barnaba, Marco. Affollatissimo l'Eleftherìa, il palazzo dello sport della capitale. Generalmente può contenere seimila persone. Difficile dire quante ce ne fossero domenica mattina. Certo è che almeno il doppio erano all'esterno, nel grande parcheggio, attrezzato per l'occasione con maxischermi per consentire a tutti la partecipazione. Molta gente è venuta dalla Grecia, dalla Turchia, dall'Egitto, dall'Iraq, dalla Terra Santa, dall'Europa. Alcuni fedeli maroniti profughi dal nord rivendicavano con striscioni la liberazione delle loro case. Gli striscioni sono stati rimossi prima dell'arrivo di Benedetto XVI, perché non fosse confusa la cerimonia liturgica con altri tipi di manifestazione. Mentre è rimasto sul muro di fondo del complesso sportivo, proprio davanti all'altare del Papa, un manifesto assai significativo per il momento particolare che il Paese sta vivendo, proprio dopo la tragedia di monsignor Padovese:  "Santo Padre - era scritto sul manifesto - la Chiesa che è in Turchia ti ama".
Imponente il coro multirazziale che ha guidato il canto della composita assemblea. Formato per la gran parte da fedeli filippini, ne facevano parte coriste africane, srilankesi, musicisti libanesi e ciprioti. Sull'altare, a far corona al Pontefice, i porporati, i presuli e i prelati del seguito papale, i patriarchi e i vescovi rappresentanti delle Chiese cattoliche del Medio Oriente, diciassette vescovi maroniti provenienti da diverse parti del mondo, e numerosi sacerdoti.
Si è pregato in greco, in inglese, in arabo, in latino. Il rito è stato estremamente suggestivo. Sarà stato per l'emozione di certi canti o per i colori degli abiti tradizionali indossati dagli offerenti, o per la commozione che per lunghi tratti ha segnato il volto del Papa; sta di fatto che tutta la cerimonia si è risolta in una espressione di fede profonda, proposta in tutta la ricchezza di una tradizione che nulla toglie alla solennità del rito.
E poi il momento della presentazione dell'Instrumentum da parte dell'arcivescovo Eterovic e la successiva consegna alla Chiesa del Medio Oriente dalle mani del Papa.
I fedeli hanno seguito questo momento con una partecipazione incredibile. La gente semplice spesso comprende o intuisce molto più di qualsiasi commentatore che cerca nel bagaglio della propria cultura la chiave di interpretazione di una realtà che invece agli occhi della gente è già chiara.
Il popolo di Cipro ha mostrato di aver capito il messaggio di Benedetto XVI. Molto più di quanto non abbiano sottolineato i quotidiani nazionali, peraltro tutti abbastanza benevoli nei suoi confronti, con qualche rara eccezione ferma su posizioni estremiste. Del resto quello lanciato dal Papa - ed è stato chiarissimo in tutti i suoi discorsi, sino a quello del congedo - è stato un messaggio religioso e umano. Dunque molto più facile da capire di un qualsiasi discorso politico o ideologico. La Chiesa e il Papa non si muovono su un terreno politico. Ribadiscono principi generali, universali, religiosi e umani che nessun sistema politico e nessuna ideologia ha il diritto di tradurre, bandire o negare. A Cipro Benedetto XVI si è posto ai piedi della Croce e ha richiamato proprio quei valori fondamentali per l'uomo, per qualsiasi uomo libero. Ha invocato la giustizia, la solidarietà, la riconciliazione e la pace oltre ogni confine. Parlava a Nicosia ma il suo sguardo era rivolto altrove, laddove si trova l'ultimo uomo che soffre e spera in un futuro diverso.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 giugno 2010)
S_Daniele
00mercoledì 9 giugno 2010 17:15


All'udienza generale il Papa parla dello "storico" viaggio a Cipro e ricorda la morte "improvvisa e tragica" di mons. Padovese

Un “evento storico” che “ha felicemente conseguito i suoi scopi”. Benedetto XVI ha definito con queste parole il senso e gli esiti del suo recente viaggio apostolico a Cipro. Il Papa ha parlato questa mattina alla folla che si è raccolta in Piazza San Pietro per ascoltare la sua
catechesi, dedicata alle principali tappe della visita: dagli incontri ecumenici a quelli pastorali, dai preparativi per il prossimo Sinodo delle Chiese del Medio Oriente all’appello ai cristiani affinché non emigrino dalla Terra Santa, fino al ricordo della morte “improvvisa e tragica” di mons. Luigi Padovese. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Dopo la Terra Santa l’anno scorso e Malta due mesi fa, Cipro. La visita apostolica dello scorso fine settimana nell’Isola ha permesso a Benedetto XVI di aggiungere un tassello al mosaico del suo pellegrinaggio sui luoghi che hanno fatto la storia della Chiesa. Il calore e la vivacità della minoranza cattolica e la cordialità riservatagli dalle altre comunità cristiane hanno toccato profondamente il Papa già nella celebrazione ecumenica iniziale. Tra i resti archeologici dell’antica Paphos, “in un’atmosfera che – ha osservato – sembrava quasi la sintesi percepibile di duemila anni di storia cristiana”, abbiamo “fraternamente rinnovato – ha affermato – il reciproco e irreversibile impegno ecumenico”, tra armeni, luterani, anglicani, ma soprattutto con la maggioranza ortodossa guidata dall'arcivescovo Chrysostomos II, profondamente legata alla realtà di Cipro:

“Questo radicamento nella tradizione non impedisce alla Comunità ortodossa di essere impegnata con decisione nel dialogo ecumenico unitamente alla Comunità cattolica, animate entrambe dal sincero desiderio di ricomporre la piena e visibile comunione tra le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente”.

Temi diversi e ugualmente importanti sono stati sviluppati il giorno dopo, a Nicosia, davanti al presidente cipriota e alle autorità, dove il Papa ha detto di aver ribadito...

“...l’importanza di fondare la legge positiva sui principi etici della legge naturale, al fine di promuovere la verità morale nella vita pubblica. E’ stato un appello alla ragione, basato sui principi etici e carico di implicazioni esigenti per la società di oggi, che spesso non riconosce più la tradizione culturale su cui è fondata”.

Il resoconto di Benedetto XVI si è poi soffermato sugli incontri avuti con i cattolici di rito maronita e di rito latino, sull’esperienza del loro “fervore” e la constatazione dell’apprezzato ruolo “caritativo” svolto a livello sociale. Il Papa ha detto di aver percepito “in modo commovente l’anima della Chiesa maronita” e ha fatto riferimento a un gruppo di fedeli che vivono nel nord di Cipro, controllato dai turchi:

“E’ stata particolarmente significativa la presenza di alcuni cattolici maroniti originari di quattro villaggi dell’Isola dove i cristiani sono popolo che soffre e spera; ad essi ho voluto manifestare la mia paterna comprensione per le loro aspirazioni e difficoltà (…) A tutti, latini e maroniti ho assicurato il mio ricordo nella preghiera, incoraggiandoli a testimoniare il Vangelo anche mediante un paziente lavoro di reciproca fiducia fra cristiani e non cristiani, per costruire una pace durevole ed un’armonia fra i popoli”.

Una pace che non può prescindere dai cristiani di ogni zona della Terra Santa, ai quali Benedetto XVI si è appellato perché, ha auspicato...

“...nonostante le grandi prove e le ben note difficoltà, non cedano allo sconforto e alla tentazione di emigrare, in quanto la loro presenza nella regione costituisce un insostituibile segno di speranza. Ho garantito loro, e specialmente ai sacerdoti e ai religiosi, l’affettuosa e intensa solidarietà di tutta la Chiesa, come pure l’incessante preghiera affinché il Signore li aiuti ad essere sempre presenza vivace e pacificante”.

Il Papa ha terminato ricordando la Messa solenne del 6 giugno, durante la quale ha consegnato l’Instrumentum laboris ai vescovi che a ottobre, in Vaticano, parteciperanno al Sinodo sulle Chiese del Medio Oriente: un’area che occupa, ha detto il Pontefice, “un posto speciale” nel cuore della Chiesa e dalla quale giorni fa è stato brutalmente strappato uno dei suoi pastori:

“Insieme abbiamo pregato per l’anima del compianto vescovo mons. Luigi Padovese, presidente della Conferenza Episcopale turca, la cui improvvisa e tragica morte ci ha lasciati addolorati e sgomenti”.

Tra i numerosi saluti, al termine delle catechesi nelle varie lingue, da segnalare quello rivolto da Benedetto XVI ai fedeli polacchi, invitati ad affidarsi al loro nuovo Beato, don Jerzy Popiełuszko, in particolare, ha detto, “tutti coloro che soffrono a causa delle alluvioni e coloro che gli recano aiuto”. Quindi, dopo aver ricordato il Capitolo generale dei Missionari d’Africa, i cosiddetti “Padri Bianchi”, il Papa ha dedicato l’ultimo pensiero alla festa del Sacro Cuore di Gesù di dopodomani, che segnerà la conclusione dell’Anno Sacerdotale alla presenza di migliaia di presbiteri.

© Copyright Radio Vaticana

Testi del Santo Padre a Cipro:

Benedetto XVI ai giornalisti durante il viaggio a Cipro

Discorso del Papa alla cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Paphos

Discorso del Papa in occasione della celebrazione Ecumenica (Cipro)

Discorso del Papa alle Autorità civili e il Corpo Diplomatico di Cipro

Benedetto XVI incontra la Comunità Cattolica di Cipro presso la Scuola elementare “St. Maron” a Nicosia.

Benedetto XVI si reca all’Arcivescovado ortodosso di Cipro a Nicosia, per la visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos II

Omelia del Papa alla Santa Messa nella Chiesa di Holy Cross

Santa Messa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum Laboris dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Discorso del Papa all’atto di consegnare l’Instrumentum laboris

Benedetto XVI guida la recita dell’Angelus nel Palazzo dello Sport Eleftheria a Nicosia.

Discorso in occasione della visita alla Cattedrale Maronita di Cipro, Nicosia

Cerimonia di congedo; discorso del Papa
 
S_Daniele
00venerdì 11 giugno 2010 21:46
Il cardinale Leonardo Sandri sul recente viaggio apostolico del Papa a Cipro

Un gesto significativo per le Chiese cattoliche d'Oriente


di Mario Ponzi


Una gioia grande per Chiese piccole, ma soprattutto un'iniezione di fiducia e di coraggio per superare sofferenze ataviche. È la lettura del recente viaggio apostolico di Benedetto XVI a Cipro offerta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. In questa intervista al nostro giornale il cardinale parla dell'esperienza vissuta accanto al Papa in questa occasione, dell'impatto che la presenza del Papa ha avuto sulla vita e sulla missione delle Chiese cattoliche del Medio Oriente e dell'impegno che lo attende quale presidente delegato della prossima assemblea speciale del Sinodo dei vescovi.

Quale esperienza ha vissuto nel cuore delle Chiese mediorientali accanto al Papa?

Come accade ogni volta che mi è dato di ritrovarmi accanto al Papa mentre incontra le Chiese orientali, ho avvertito l'impulso che Egli sa offrire al rinnovamento nella vita di queste Chiese. Ed esse manifestano la gioia di poter riprendere il cammino con maggiore vigore grazie al contatto con il Papa. Sappiamo bene quanto ognuna di queste Chiese abbia bisogno di appoggio e di sostegno. Siamo piccole Chiese, noi Chiese orientali; viviamo in contesti difficili, circondati da maggioranze musulmane o di altre confessioni religiose; spesso siamo discriminate e a volte perseguitate; condividiamo questa condizione con altre Chiese cristiane. Abbiamo perciò bisogno di sentire la vicinanza del Papa. Credo che Benedetto XVI abbia mostrato quanto apprezzi e comprenda queste Chiese. Del resto tutto il suo grande magistero è imbevuto della tradizione delle Chiese orientali, della loro disciplina e teologia, dei padri orientali, dei concili ecumenici. Ecco perché esse desiderino così fortemente la vicinanza del Papa:  riconoscono la voce paterna del Vescovo di Roma perché ha il tono dell'Oriente cristiano.

 Durante questo viaggio il Papa ha posto un accento particolare sulle sofferenze patite da queste Chiese, non solo nel corso della loro lunga storia ma anche ai nostri giorni.

Il Papa ha ben presenti queste sofferenze e non a caso ha voluto radicarle nella Croce. Nella chiesa della Santa Croce ne ha parlato approfonditamente e ha invitato a guardare a quel sacro legno come centro della vita cristiana, in tutto il suo splendore nel mistero redentivo di Cristo che ci ha portato con sé nel cammino della redenzione. Un cammino, ha detto il Papa, che dobbiamo condividere. Non si potrebbe capire la vita delle Chiese orientali, che è visitata dalla sofferenza, se non ci fosse la luce della croce di Cristo. Sarebbe per loro e per noi un cammino incomprensibile.

Quale impatto può aver avuto sulla vita di queste Chiese l'assassinio di monsignor Padovese?

È stato certamente uno shock, direi, esistenziale. In Turchia la Chiesa è costituita da una minoranza tra le minoranze. Monsignor Padovese, vicario apostolico per l'Anatolia, svolgeva la sua missione aiutato da pochi sacerdoti. Il suo assassinio ha inferto un colpo tremendo alla vita di quella piccola comunità. Siamo tutti profondamente costernati e profondamente addolorati. Forti nella fede osiamo sperare che, come il chicco di grano che morendo dà vita a una ricca messe, il sacrificio di monsignor Padovese sia l'inizio di una nuova e più ricca stagione per le Chiese dell'Oriente. E che per la Turchia sia impegno nuovo nella realizzazione di un clima di convivenza tra cristiani e musulmani e di maggiore libertà per la Chiesa. Confidando nel Signore, abbiamo la speranza che ciò possa compiersi.

Domenica  a  Nicosia  lei  ha  ricevuto, come gli altri padri della Chiesa mediorientale, l'Instrumentum laboris per la prossima assemblea speciale del Sinodo. Cosa ne farà già da domani, essendo lei, tra l'altro, uno dei tre presidenti delegati?

Comincerò a immergermi in tutte le problematiche che esso propone e racchiude come in uno scrigno prezioso di indicazioni. Cercherò soprattutto il modo giusto per pormi in ascolto dei padri orientali per capire ancor di più la voce di quelle Chiese particolari, entrando nel fondo della loro anima. Esse si trovano al confine di un mondo senza pace, che provoca sofferenze ai popoli della regione, all'umanità intera e alla Chiesa universale. Il testo aiuta a scoprire gli elementi di speranza che le sostengono e ad apprendere la condivisione delle loro sofferenze ma anche delle gioie che nascono dallo stare insieme, dal ritrovarsi insieme e scoprirsi parte integrante dell'unica Chiesa di Cristo. Mi auguro veramente che questo Sinodo porti abbondanti frutti di pace. E rappresenti l'occasione propizia per riaffermare la necessità della presenza dei cristiani in Medio Oriente, a cominciare dalla Terra Santa, che non sarebbe se stessa se non ci fossero i cristiani.

Sono tanti gli ostacoli da superare e non tutti di carattere religioso. Cosa ha provato per esempio davanti al muro che divide in due Nicosia?

Sono tornato con il pensiero al muro che delimita i territori palestinesi e a tutti i muri, visibili e non visibili, che separano l'uomo dall'uomo. Provocano tutti grandi sofferenze. Cristo con la sua morte ha abbattuto tutti i muri eretti dal peccato. Ma l'uomo ne ha costruiti altri, di nuovo. Ecco da dove nasce il nostro dolore profondo. Cristo ha portato nel mondo la "vera" libertà per tutti e noi siamo stati capaci di rinnegarla. Niente muri ma "vera" libertà per tutti, nel vicendevole rispetto, e unione tra gli uomini e tra i popoli. Ecco ciò di cui c'è più bisogno in Medio Oriente oggi.

Cos'è che in questa sua esperienza accanto al Papa a Cipro l'ha colpita in modo particolare?

Mi ha colpito soprattutto la partecipazione personale del Papa alla gioia manifestatagli da tutti. Dai latini, dai maroniti, dagli armeni ma anche da quanti cattolici non sono. Mi è sembrato che ovunque lo abbiano accolto come un padre. È impressa in me l'emozione che il Papa comunicava, in ogni suo gesto, mentre cercava di farsi vicino con tutto il cuore alle Chiese cattoliche orientali, ai loro fedeli, ai loro popoli e a quanti ho visto piangere perché accarezzava i loro bambini, sfiorando i loro volti. Sono rimasto toccato interiormente dalla riconoscente accoglienza che le parole del Papa ricevevano ovunque, anche perché le esprimeva con pacatezza e delicatezza, specialmente quando reclamava il diritto alla pace e alla giustizia per tutti.

Quale messaggio hanno recepito i sacerdoti delle chiese orientali?

Certamente hanno compreso l'ennesimo forte richiamo del Papa a essere testimoni di Cristo nella vita sacerdotale. Un impegno ancor più grande alla luce dell'Anno sacerdotale che abbiamo vissuto:  quello di essere veramente "sale della terra e luce del mondo".

Come hanno vissuto i sacerdoti delle Chiese orientali questo periodo difficile vissuto dalla Chiesa universale a causa del cattivo comportamento proprio di alcuni sacerdoti?

L'hanno vissuto con tanta sofferenza, come tutto il resto della Chiesa. L'augurio è che anche questo tipo di sofferenza si trasformi in ulteriore impegno di conversione personale, in un invito a realizzare una vita sacerdotale santa per essere realmente testimoni del Vangelo.


(©L'Osservatore Romano - 12 giugno 2010)
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