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La Chiesa perseguitata

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2010 19:33
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01/08/2009 07:54

  Nello Stato dell'India agiscono da tempo estremisti indù

Sacerdote morto nel Karnataka

Si teme la violenza anticristiana


                                                                       

Bangalore, 31. Un sacerdote cattolico, padre James Mukalel, è stato trovato morto lungo una strada, ieri, nei pressi della città di Bangalore, capoluogo dello Stato del Karnataka, in India. Ancora non chiare restano, per il momento, le dinamiche del fatto, anche se si teme che il religioso possa essere stato ucciso. Il Karnataka è infatti, assieme all'Orissa, una delle aree del Paese asiatico dove maggiormente si scatenano le violenze anticristiane.

Il corpo del religioso, che comunque non presenta ferite ma reca segni visibili di soffocamento, è stato trovato lungo una strada del villaggio di Thottathady, accanto al motociclo che utilizzava per i suoi spostamenti. Secondo una prima ricostruzione, padre Mukalel, sarebbe morto mentre stava tornando nella sua parrocchia, dopo aver celebrato un rito funebre e visitato un gruppo di famiglie.

Il religioso operava nella diocesi siro-malabarese di Belthangady. Il vescovo Lawrence Mukkuzhy ha affermato che padre Mukalel "era molto amato dai parrocchiani e dalla popolazione della zona. Era una persona buona e non aveva nemici. Era inoltre un missionario zelante e altruista, serviva persone di qualsiasi religione". Il presule ha anche aggiunto che per ora esclude che il sacerdote possa essere stato ucciso a scopo di rapina:  "Non possiamo capire il perché qualcuno lo possa aver ucciso - ha spiegato - ma una cosa è sicura, certamente non si tratta di una rapina". "La polizia sta indagando sulla vicenda - specifica il direttore dell'ufficio diocesano per la pastorale sociale, padre Thomas Kannankal - perché lo scorso anno sono state registrate nelle diocesi di Belthangady alcune violenze contro i cristiani".

La comunità ecclesiale ha detto "di sentirsi scioccata per quanto avvenuto". Il 3 agosto nella diocesi di Belthangady si aprirà fra l'altro un congresso missionario. "Il sangue di padre Mukalel - ha affermato il vescovo - non sarà versato invano. Il suo sangue servirà alla Chiesa e alla missione in India. Noi preghiamo per la giustizia e la sua protezione".

Il Global Council of Indian Christians (Gcic) ha chiesto di aprire un'inchiesta sulla morte del sacerdote e sugli attacchi ai cristiani nel Karnataka.

Lo Stato del Karnataka ha una forte presenza cristiana tra la popolazione. I religiosi sono presi di mira dagli estremisti indù i quali li accusano di fare proselitismo. Nel passato si sono verificati diversi episodi di oltraggi nei confronti dei missionari. Un gruppo di fanatici indù, per esempio, alcuni anni fa colpirono, ferendolo, un sacerdote carmelitano, padre Sylvester Pereira e altri quattro cristiani che erano assieme a lui, mentre si trovavano all'interno di un ospedale in attesa di una visita medica.

Diversi, inoltre, sono stati gli attacchi ai luoghi di culto. Nel 2008, per esempio, in Karnataka, una ventina tra chiese e abitazioni di cristiani, tra cui un monastero di suore, sono stati attaccati da un gruppo di militanti indù del movimento fondamentalista Bajrang Dal.

Da tempo il Global Council of Indian Christians (Gcic) denuncia la preoccupante violenza anticristiana nello Stato. In un rapporto dell'organizzazione si rileva fra l'altro che "si è diffuso un clima di impunità verso ogni atto compiuto in nome dell'ideologia dell'hindutva". La comunità cristiana chiede dunque alle autorità di essere adeguatamente protetta. Il vescovo di Shimoga, Gerald Isaac Lobo, ha rilevato che "è tragico che non si faccia nulla per la sicurezza dei cittadini cristiani. Gli estremisti indù ci rivolgono continuamente false accuse di voler convertire la gente meno colta". "In alcuni villaggi rurali - aggiunge - gli estremisti indù vanno di casa in casa avvertendo le persone contro i missionari, dicendo che il nostro lavoro sociale è solo un modo per ingannarli e convertirli". "Al contrario - conclude il presule - il censimento pubblico del 2001 mostra che i cristiani sono diminuiti".

I cristiani sono scesi anche nelle strade e nelle piazze per manifestare contro le violenze. In una nota del Gcic si denuncia che "in molte aree agricole i missionari sono percossi con regolarità,  gli  incontri  di  preghiera sono interrotti e i manufatti danneggiati".



(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)
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02/08/2009 07:29

Folla di musulmani ha distrutto case e chiese con l'accusa di blasfemia

Nuove violenze in Pakistan

Attaccato un villaggio di cristiani


                                                      

Islamabad, 1. L'accusa di blasfemia nei confronti di una famiglia ha scatenato in Pakistan un violento attacco nei confronti della comunità cristiana. È accaduto nella provincia del Punjab, dove un intero villaggio, quello di Korian, è stato devastato dopo un raid condotto da migliaia di musulmani:  una sessantina di abitazioni e due chiese sono state distrutte, mentre un centinaio di famiglie sono state costrette alla fuga. Durante l'attacco al villaggio, fortunatamente, non ci sono stati morti.

La folla inferocita degli assalitori ha fra l'altro bloccato le strade d'ingresso al villaggio per diverse ore, impedendo in tal modo alla polizia e ai mezzi di soccorso dei pompieri di accedere in zona.

Il pretesto per l'attacco è stato il ritrovamento nei pressi di una casa di alcune pagine di un testo contenenti iscrizioni islamiche. I cristiani che abitavano nella dimora sono stati accusati di dissacrazione. A nulla sono servite le spiegazioni e le scuse della famiglia che ha escluso qualsiasi volontà di offendere l'altrui religione. Successivamente, la comunità musulmana riunitasi ha decretato l'accusa di blasfemia nei confronti di Maometto che comporta in Pakistan la sentenza di morte e di blasfemia nei confronti del Corano che, invece, è punibile con il carcere a vita. Mosse dal furore, migliaia di persone si sono quindi dirette verso il villaggio con l'obiettivo di cancellare ogni traccia della presenza cristiana. Oltre ad aver devastato le case e le chiese, i musulmani hanno fatto razzia di ogni bene appartenente alle famiglie, compresi i capi di bestiame.

La Chiesa cattolica chiede alle autorità di investigare. "Non si può che piangere dopo la scia di distruzione. L'attacco - afferma padre Aftab James Paul, responsabile dell'ufficio per il dialogo interreligioso della diocesi di Faisalabad - è un altro esempio di ostilità a cui è stato dato un colore religioso. Domanderemo alla polizia di arrestare i colpevoli".
Il governatore del Punjab, Shahbaz Sharif, ha condannato l'episodio e ha espresso altresì dispiacere per la distruzione delle abitazioni e il furto del bestiame. Il governatore ha anche sollecitato le autorità di sicurezza a garantire il controllo del territorio.

Il Pakistan è una delle nazioni dove si concentra maggiormente l'estremismo islamico e dove la sopravvivenza dei cristiani è resa difficile da continue violenze. I cristiani sono poco più di tre milioni su una popolazione di oltre centosessanta e rappresentano la minoranza religiosa più numerosa nel Paese. Dopo l'11 settembre 2001, data del crollo delle Torri gemelle a New York, l'intolleranza nei confronti della comunità cristiana è andata via via aumentando, provocando una lunga serie di episodi di violenza. Alla fine di giugno per esempio, sempre nel Punjab, una folla di circa seicento musulmani ha preso d'assalto le case di cristiani nel villaggio di Bahmani. Anche in quel caso, i leader della moschea locale hanno incitato alla violenza gli abitanti musulmani del villaggio accusando i cristiani di blasfemia.

La Commissione nazionale di giustizia e pace (Ncjp) della Chiesa cattolica in Pakistan rileva che è in atto un disegno di conflittualità radicato e strategico che attiene a posizioni d'intolleranza, anche se non si esclude la possibilità del dialogo e della riconciliazione. L'organismo ha peraltro ribadito al Governo pakistano la richiesta di tutelare e proteggere le minoranze religiose, che non possono - si specifica - essere terrorizzate, minacciate e assalite senza che l'autorità governativa intervenga. La Commissione ha fra l'altro posto l'accento sulle legge sulla blasfemia che viene spesso strumentalizzata per colpire le minoranze.

Nonostante la forte tensione che si vive nel Paese, le organizzazioni di soccorso in Pakistan, soprattutto per l'assistenza ai rifugiati della valle dello Swat, mantengono il loro impegno. Il segretario esecutivo della Ncjp, Peter Jacob, sottolinea che "c'è una situazione generale che desta preoccupazione. Il Pakistan sta vivendo una fase di transizione nel processo di democratizzazione.  Ma  questa  situazione  non ci impedisce di proseguire la nostra opera".



(©L'Osservatore Romano - 2 agosto 2009)
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02/08/2009 07:30

Una nota sui sanguinosi disordini provocati da un gruppo islamico nel nord-est del Paese

La Chiesa cattolica in Nigeria contro il fondamentalismo religioso


                                                                    

Abuja, 1. Il Segretariato cattolico della Nigeria condanna "qualsiasi movimento religioso che sovverta il progresso compiuto nell'educazione e nella tecnologia" nel Paese e che "si opponga alla legge e all'ordine". Perché una "caduta nel fanatismo religioso distruggerebbe la nostra pace e stabilità nazionale". In una dichiarazione a firma di padre Louis Odudu, vicesegretario generale dell'organismo in seno alla Conferenza dei vescovi cattolici della Nigeria, si sottolinea che il dialogo è "una componente fondamentale della pratica religiosa" e si esortano i leader del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram - responsabile dei gravi disordini nel nord-est del Paese che in pochi giorni hanno provocato seicento morti - ad "adottare un approccio produttivo alla loro pratica religiosa per dare onore e gloria a Dio onnipotente".
Nel documento - del quale l'agenzia Zenit pubblica una sintesi - il Segretariato cattolico auspica, dopo la strage, "un nuovo inizio privo di odio e di ogni forma di fondamentalismo religioso"; questo è "un imperativo per la ripresa sociale ed economica della Nigeria". I religiosi - spiega Odudu - devono "sostenersi a vicenda e contribuire alla crescita e allo sviluppo della nazione basandosi sul rispetto reciproco e sull'interesse per il futuro"; inoltre hanno il dovere di modellare la propria vita quotidiana "per riflettere il grande insegnamento di Cristo che è venuto perché gli esseri umani avessero la vita e l'avessero in abbondanza. Le nostre tradizioni religiose - si legge ancora nel documento - ci chiedono di abbracciare i valori moderni e di fare nostri quelli che contribuiscono a servire meglio l'Onnipotente e ad assicurare una migliore qualità di vita per gli esseri umani".
Padre Odudu, rivolgendosi ai membri del movimento Boko Haram (letteralmente "l'istruzione è peccato"), insiste sull'importanza del dialogo:  "Bisognerebbe sottolineare - scrive il sacerdote - che i pilastri fondamentali di qualsiasi religione includono i principi di giustizia e progresso, tolleranza e dignità per tutti gli esseri umani. Ciò obbliga gli aderenti alle confessioni religiose a essere sufficientemente aperti e ad adottare un atteggiamento di rispetto nei confronti delle culture, arricchendo allo stesso tempo le proprie tradizioni con i valori e i progressi sociali contemporanei". Del resto, l'educazione e le moderne civiltà "non precludono un'ardente devozione religiosa", e lo stesso islam - afferma Odudu - "ha spianato la strada al Rinascimento e all'Illuminismo in Europa".
L'insurrezione nel nord-est della Nigeria, che si è conclusa con l'uccisione del capo del Boko Haram, Mohammed Yussuf, non è nuova in un Paese dove i musulmani sono la maggioranza (circa il 43 per cento della popolazione), con sacche radicate di estremismo islamico. Soprattutto a partire dal 1960, anno dell'indipendenza, la Nigeria ha conosciuto numerose rivolte organizzate da gruppi fondamentalisti, sempre soffocate dall'esercito. In particolare il Boko Haram - composto essenzialmente da giovani che hanno abbandonato gli studi - esisterebbe dal 1995, anche se il movimento avrebbe assunto questo nome e cominciato a operare nel 2002 a Maiduguri, capoluogo del Borno, Stato considerato la culla della dottrina islamica in Nigeria e teatro dei sanguinosi scontri dei giorni scorsi.
Il Segretariato cattolico della Nigeria esorta lo Stato a prendere misure urgenti per porre sotto stretto controllo questa pericolosa militanza religiosa:  "Chiediamo al Governo e a ogni cittadino nigeriano - è scritto nella dichiarazione resa nota da Zenit - di assumersi la responsabilità della pace e della riconciliazione nel Paese. Le cause della nascita del Boko Haram, come di altre manifestazioni di violenza e ostilità in Nigeria, possono essere trovate nella crescente povertà", la quale va sconfitta per "superare le frustrazioni personali e comunitarie e la disoccupazione giovanile che minano la maggior parte degli sforzi per la pace, la giustizia e la riconciliazione nel nostro Paese".
Il documento si conclude con un appello ai nigeriani, a "continuare a fare propria la cultura della pace e della tolleranza", a "impedire che individui avidi li usino per minare l'unità nazionale promuovendo ideali egoistici", a "non smettere di pregare per la pace e per la ripresa sociale ed economica del nostro amato Paese". Con l'invocazione a Dio affinché garantisca ai rappresentanti delle istituzioni "la grazia della visione per la pace e i principi della leadership basata sul servizio".



(©L'Osservatore Romano - 2 agosto 2009)
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07/08/2009 13:46

Gruppi islamici continuano a lanciare accuse di blasfemia

Non si placa la tensione in Pakistan

Altre minacce ai cristiani




Islamabad, 6. Non si placa la tensione in Pakistan dopo gli attacchi dello scorso fine settimana nei villaggi di Korian e Gojra:  i rappresentanti di alcuni gruppi islamici, ieri, durante una conferenza stampa, hanno lanciato nuove minacce contro la comunità cristiana. I membri dello Jamiyat Islami Group (un gruppo religioso) e dello Anjman-e-Tajran (un'organizzazione sindacale)  hanno  dapprima  chiesto al Governo di non perseguire le persone indagate per gli attacchi ai villaggi di Korian e Gojra, poi hanno minacciato di morte i cristiani accusati di blasfemia.
Secondo quanto riferito dalle autorità, finora sarebbero almeno 200 le persone arrestate e altre centinaia quelle denunciate in relazione agli attacchi.
Le dichiarazioni dei rappresentanti dei gruppi islamici sono state colte come un segnale preoccupante del perdurante clima di insicurezza nella regione del Punjab, l'epicentro delle tensioni tra cristiani e musulmani, e del rischio quindi di nuovi atti di intolleranza se il Governo pachistano non reagirà in maniera adeguata.
L'arcivescovo di Lahore, Lawrence John Saldanha, ha spiegato:  "Nonostante molti musulmani siano moderati per loro stessa natura, ci sono però estremisti che insistono sul fatto che l'Islam debba essere predominante nell'intera società e che la sharia debba essere l'unica legge valida".
Per questo motivo si susseguono gli appelli alle autorità civili pachistane per garantire la sicurezza delle minoranze. Tra questi c'è quello dell'organizzazione umanitaria International Christian Concern, che, rivolgendosi al presidente della Repubblica Asif Ali Zardari, ha chiesto l'adozione di misure celeri per processare i colpevoli. Gli appelli sono, talvolta, accompagnati da manifestazioni di protesta nelle strade e nelle piazze delle maggiori città del Paese:  ieri, per esempio, a Lahore  un  migliaio  di cristiani hanno sfilato per il centro cittadino esibendo striscioni e lanciando slogan contro le violenze. Nei giorni scorsi, un'altra manifestazione, cui hanno aderito circa 600 cristiani, si era svolta a Quetta.
La questione dei conflitti religiosi in Pakistan sta richiamando l'attenzione mondiale:  l'Unione europea ha reso noto, ieri, che "non chiuderà gli occhi" di fronte alle violenze, accogliendo così peraltro un appello del ministro italiano degli Affari Esteri, Franco Frattini.



(©L'Osservatore Romano - 7 agosto 2009)
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09/08/2009 14:42

La comunità cristiana continua la lotta per la tutela dei diritti delle minoranze

In Pakistan una raccolta di firme contro la legge sulla blasfemia




Islamabad, 8. In Pakistan i cristiani tornano a chiedere con forza l'abolizione della legge sulla blasfemia promuovendo una raccolta di firme.
Nel Paese c'è un clima di timida speranza dopo le aperture del Governo in materia di revisione delle leggi che mettono a repentaglio la pacifica coesistenza tra le diverse comunità religiose. Tuttavia, la comunità cristiana è convinta che soltanto mantenendo viva l'attenzione sulla mancanza di sicurezza si potranno ottenere da parte delle autorità risposte concrete, che non si limitino ai meri proclami. Il segretario esecutivo della Commissione nazionale di Giustizia e Pace (Ncjp), Peter Jacob, ha affermato che il Governo è "più sensibile" che in passato riguardo i problemi causati dalla legge sulla blasfemia, ma un cambiamento sarà possibile solo se sarà attivo "un movimento di massa". Per tale motivo, è stato deciso di lanciare nel Paese una raccolta di firme per abolire la legge che punisce chi dissacra Maometto e il Corano. La normativa è stata spesso usata in maniera abusiva per colpire  con accuse ingiuste le minoranze.
In passato i tentativi di riformare la legge sulla blasfemia hanno incontrato gli ostacoli dei gruppi estremisti che non vogliono un reale cambiamento della nazione. Ma ieri, il primo ministro del Pakistan, Yousuf Raza Gilani, in visita a Gojra, nel Punjab, ha annunciato che si sta pensando a una revisione delle leggi che "mettono a repentaglio l'armonia religiosa". Senza citarla in modo diretto, il primo ministro si sarebbe comunque riferito alla legge sulla blasfemia.
I cristiani perciò proseguiranno nell'opera di pressione affinché vengano affrontate con decisione le opposizioni delle frange estremiste islamiche della nazione. "Abbiamo deciso - ha affermato il segretario esecutivo dell'Ncjp - di promuovere una campagna di raccolta di firme in tutto il Paese e contiamo di raccogliere centinaia di migliaia di adesioni nei prossimi quaranta giorni". Jacob spiega che "l'obiettivo è sensibilizzare le persone" sulla questione perché vi sia un profondo ripensamento della legislazione e una maggiore tutela dei diritti delle minoranze. Il segretario esecutivo dell'Ncjp ha aggiunto di sentirsi cautamente ottimista sull'esito della consultazione popolare. "Non abbiamo a disposizione statistiche ufficiali - ha evidenziato - e i movimenti estremisti che si oppongono al cambiamento sono forti" ma conclude "il sostegno dell'opinione pubblica è maggiore ed è possibile lavorare affinché la legge venga modificata".
Intanto, con sempre maggiore evidenza, emerge che dietro gli attacchi a Korian e Gojra, ci sia stata una strategia ben precisa per colpire in modo diretto e forte la comunità cristiana. La Commissione pakistana per i diritti umani (Hrcp) denuncia, in relazione agli attacchi, ma che non si è trattato "di una reazione spontanea a un caso di blasfemia" ma che questi "sono stati pianificati con largo anticipo". Si ricorda che per l'attacco al villaggio di Korian, da parte dei musulmani estremisti era stato utilizzato il pretesto del ritrovamento, in occasione di una matrimonio, di alcune pagine strappate da un testo contenenti delle trascrizioni coraniche. La violenza ha poi colpito successivamente anche il villaggio di Gojra, provocando in questo caso l'uccisione di otto persone.
In base a quanto riferisce la Hrcp, il 31 luglio scorso nelle moschee del villaggio di Gojra, i leader dei gruppi islamici estremisti avrebbero spinto i seguaci "a fare carne tritata dei cristiani". Secondo la Commissione per i diritti umani, alcune persone hanno fatto presente di avere riferito della minaccia incombente alla polizia che avrebbe confermato il rischio di attacchi. Il giorno dopo, una folla costituita da un migliaio di musulmani si è diretta con furia verso le case dei cristiani. Sempre secondo il racconto della Hrcp, un contingente di poliziotti, che pattugliava la zona, non avrebbe fermato gli assalitori, favorendo così il massacro.
Intanto, anche su alcuni siti gestiti da musulmani, come per esempio l'IslamOnline.net, si rileva che gli attacchi ai cristiani "non sono stati generati dalle comunità locali ma da autori esterni". I sospetti degli investigatori, per ora, si appuntano su organizzazioni estremiste legate ad Al Qaeda.



(©L'Osservatore Romano - 9 agosto 2009)
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09/08/2009 14:43

A Singapore una petizione on line

Ogni forma di violenza è contraria alla religione


Singapore, 8. La violenza è ancora più odiosa e riprovevole quando è compiuta all'interno delle pareti domestiche. È la convinzione che a Singapore ha spinto numerosi esponenti di diverse religioni a sottoscrivere una petizione on line perché nella piccola citta-stato anche lo "stupro coniugale" venga considerato un reato.
L'iniziativa - promossa dall'organizzazione "No to rape" - ha raccolto finora oltre 1.700 adesioni. Tra queste, appunto, quelle di numerosi esponenti di realtà religiose come Bhante Dhammika del Buddha Dhamma Mandala Society, del reverendo David Burke della Orchard Road Presbyterian Church e del reverendo Yap Kim Hao della Free Community Church. Tra i firmatari - come riferito dall'agenzia UcaNews - anche un sacerdote cattolico, padre Paul Staes, 72 anni, dell'Immaculate Heart of Mary.
Il sacerdote ha spiegato di aver aderito all'iniziativa dopo avere ricevuto un e-mail da un amico che gli chiedeva quale fosse la posizione ufficiale della Chiesa cattolica sul tema della violenza tra i coniugi. La dottrina cattolica - ha detto il sacerdote - tradizionalmente affronta i temi dell'adulterio, del divorzio e della poligamia, ma non quello dello stupro coniugale. "Dal che si può dedurre - ha sottolineato - che per il catechismo il vero significato del rapporto sessuale esclude ogni uso della forza e della violenza. Tuttavia ci sono persone che ritengono che questa sia una lacuna". Questa iniziativa quindi serve a fornire maggiore convinzione ai soggetti più deboli e psicologicamente vulnerabili.
"Personalmente, da un punto di vista etico - ha aggiunto padre Staes - credo che la violenza contro il proprio coniuge sia in realtà più riprovevole che non quella commessa a danni di una terza persona. E questo proprio a motivo del vincolo e della promessa d'amore e d'assistenza reciproca che esiste tra i coniugi".
Tutte le forme di violenza sessuale sono sbagliate e rappresentano un "male" in sé, ha chiarito un altro sacerdote, il domenicano padre David Garcia. "Sotto il profilo morale - ha detto - lo stupro coniugale è chiaramente sbagliato e dovrebbe in linea di principio  essere  condannato,  anche se non sono in grado di suggerire come da un punto di vista civile tale legge dovrebbe essere formulata e applicata".
Anche la religiosità buddista condanna con convinzione la violenza tra coniugi. Lo ha assicurato - commentando l'iniziativa che lo vede tra i firmatari - Bhante Dhammika, per il quale lo stupro coniugale è contrario a tutto ciò che il Buddha ha detto sul matrimonio e che prevede l'"onore" e il "rispetto" vicendevoli.
La petizione - assicurano i promotori - verrà presentata entro il mese d'ottobre presso l'ufficio del Primo ministro.



(©L'Osservatore Romano - 9 agosto 2009)
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12/08/2009 14:06

La polizia effettua frequenti arresti di sacerdoti e di laici impegnati nel volontariato

Protestano in Vietnam i cattolici colpiti da vessazioni


Hanoi, 11. Proseguono nella diocesi di Vinh le pacifiche proteste dei cattolici che chiedono alle autorità il rispetto della libertà religiosa, la restituzione delle proprietà confiscate alla diocesi, la fine della campagna d'odio contro i cristiani attraverso i giornali controllati dal governo.
Queste manifestazioni sono iniziate a causa dell'arresto di tre fratelli laici lo scorso 20 luglio per aver innalzato una tenda come luogo di preghiera davanti alle rovine della storica chiesa di Tam Toa.
Le proteste dei cattolici della diocesi di Vinh si svolgono in modo del tutto pacifico per mezzo di marce e veglie di preghiera. In segno di solidarietà, la sera dell'otto agosto, oltre tremila fedeli cattolici si sono radunati nella parrocchia di Thai Ha ad Hanoi mentre il giorno seguente oltre duemila persone hanno manifestato nella chiesa redentorista di Ho Chi Minh City.
Gli organi d'informazione, sotto il controllo del governo, accusano i cattolici di arrecare disturbo all'ordine pubblico e di usare espressioni che suonano come offesa alla patria. Sono anche frequenti le aggressioni che i cattolici subiscono da parte di bande di teppisti. Perfino ai venditori ambulanti di cibo è stato ordinato di non vendere i loro prodotti ai cattolici che partecipano alle proteste.
Le manifestazioni dei cattolici nella diocesi di Vinh sono iniziate mesi addietro a causa dell'ordine delle autorità locale di demolire l'antica chiesa di Tam Toa. Alcuni volontari laici, a demolizione ormai avvenuta, hanno deciso quindi di erigere sul terreno della parrocchia una tenda come sede temporanea dove celebrare i servizi liturgici. L'intervento della polizia, avvenuto senza giustificato motivo, ha prodotto un gran numero di feriti. Decine di fedeli sono stati tratti in arresto.
Nei giorni scorsi, padre Paul Nguyen è stato picchiato per essere intervenuto contro un gruppo di teppisti che stavano percuotendo alcune donne cattoliche sotto lo sguardo indifferente della polizia. Anche un altro sacerdote, padre Peter Nguyen The Binh, ha subìto serie ferite quando alcune persone lo hanno preso e gettato dalla finestra dell'ospedale dove si era recato per portare il conforto religioso al confratello picchiato nei giorni precedenti.
Il rispetto per l'opera della Chiesa cattolica in Vietnam si è andato progressivamente deteriorando principalmente a causa della corruzione diffusa soprattutto tra la classe dirigente. Spesso i leader politici locali usano i propri poteri per procurarsi vantaggi personali a scapito del benessere degli altri cittadini.
Intanto, il cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Mân, arcivescovo di Thàn-Phô Hô Chí Minh, ha inviato una messaggio ai fedeli della sua arcidiocesi affermando che è suo dovere pastorale informare e rendere coscienti i credenti sui rischi di danni ambientali che può provocare lo sfruttamento minerario della bauxite. La lettera del porporato è stata pubblicata pochi giorni dopo la decisione del Congresso vietnamita di dare il via allo sfruttamento dei giacimenti di bauxite negli altipiani centrali, nonostante le diffuse proteste da parte di molti cittadini che vedono minacciato l'equilibrio ambientale.
Sebbene le critiche al progetto per lo sfruttamento dei giacimenti siano state avanzate anche da parte di scienziati, intellettuali e perfino di alcuni esponenti della compagine governativa, i mezzi d'informazione controllati  dal  governo  sembrano aver scelto di avviare una campagna solo contro i sacerdoti cattolici. Pesanti critiche sono state lanciate contro due padri redentoristi, padre Peter Nguyen van Khai e il suo confratello padre Joseph Le Quang Uy, perché hanno iniziato una raccolta delle firme dei cittadini che sono contrari ai piani per lo sfruttamento minerario che potrebbe causare gravi squilibri ambientali.



(©L'Osservatore Romano - 12 agosto)
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27/08/2009 15:27

  Dura la reazione di alcuni attivisti per i diritti umani

Cristiani vittime di violenze denunciati dalla polizia pakistana




Faisalabad, 26. Da vittime delle persecuzioni a indagati. È la sorte di un gruppo di cristiani pakistani a Gojra, nel Punjab, attaccati lo scorso 1° agosto da una folla di tremila musulmani. I fondamentalisti hanno bruciato case e arse vive otto persone; ora gli agenti di polizia, accusati di mancato soccorso, hanno denunciato le vittime delle violenze. All'indomani degli incidenti, i cristiani avevano accusato le forze dell'ordine di non essere intervenute per fermare gli assalitori. Nei giorni che hanno preceduto l'attacco, la polizia aveva ricevuto segnalazioni di possibili violenze da parte degli estremisti islamici, ma, secondo le accuse, non ha adottato alcun provvedimento per scongiurare la tragedia. In risposta, gli agenti di Gojra hanno denunciato a loro volta ventinove cristiani e cento persone non meglio identificate, per un presunto "coinvolgimento" nelle violenze. Tra le personalità cristiane finite nel mirino degli agenti vi sono anche il vescovo anglicano John Samuel, della Church of Pakistan di Faisalabad, e Finyas Paul Randhawa, rappresentante del consiglio cittadino.
Dura la reazione di alcuni attivisti per i diritti umani che hanno definito la decisione delle forze dell'ordine una "vendetta contro le vittime delle violenze. "Condanniamo in modo netto questa mossa della polizia - ha detto Atif Jamil, direttore di una ong locale - che costituisce una vendetta degli agenti e dell'amministrazione distrettuale contro le vittime cristiane degli incidenti di Gojra. Sono accuse prive di fondamento avanzate con lo scopo di coprire le responsabilità della polizia e di inficiare il processo contro i colpevoli. Coinvolgere nella vicenda il vescovo Samuel - ha aggiunto - è sbagliato perché nessuno dei nostri leader è implicato nelle violenze".
Jamil, infine, ha denunciato il comportamento "ambiguo" del Governo, che da un lato ha iniziato il processo di ricostruzione di Gojra e dall'altro non protegge la comunità cristiana.


(©L'Osservatore Romano - 27 agosto 2009)
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02/09/2009 19:58

Intanto la polizia si difende dalle accuse per le violenze in Orissa nel 2008

Nuovi attacchi ai cristiani nel Karnataka


Bangalore, 2. Le chiese cristiane nello Stato indiano del Karnataka sono di nuovo l'obiettivo degli assalti di gruppi di estremisti induisti. A denunciare i più recenti atti di violenza, accaduti la settimana scorsa, è il Global Council of Indian Christian (Gcic), una organizzazione a cui aderiscono diverse Chiese riformate i cui pastori svolgono opera di apostolato in vari Stati dell'India meridionale.

Secondo quanto riferito da un portavoce del Gcic, il 28 agosto sono state assaltate due chiese protestanti nel distretto di Tumkur. Nel corso degli assalti, probabilmente condotti dai fanatici seguaci dell'organizzazione induista Sangh Parivar, sono stati minacciati pastori e fedeli riuniti in preghiera. Gli estremisti hanno anche bruciato bibbie, libri di preghiera e arredi sacri.

L'attacco più grave è avvenuto, il 28 agosto, contro la Gypsy Prayer Hall di Mavunakatte Palaya. Capeggiati da tre noti attivisti, i seguaci della Sangh Parivar sono arrivati sul posto accompagnati dal vice-soprintendente della polizia locale, dall'ispettore e dal vice-ispettore circondariale. I fanatici hanno accusato il pastore Hanuma Naik, responsabile di questo luogo di culto cristiano, di operare conversioni forzate e raggiri ai danni degli abitanti del villaggio. Dopo essere stato percosso dagli estremisti, il pastore è stato portato dagli ufficiali di polizia presso il commissariato dove è stato a lungo trattenuto. Al religioso è pervenuta in seguito la notifica dell'avvio di un procedimento giudiziario nei suoi confronti.

Nello stesso giorno, dopo aver portato a termine l'assalto contro la chiesa di Mavunakatte Palaya, gli assalitori si sono diretti alla chiesa battista di Krupashraya. Non avendo trovato il pastore, i fanatici induisti hanno ripetutamente minacciato la moglie e hanno sequestrato e poi distrutto alcuni testi sacri.
L'ultima tappa del raid teppistico dei fanatici aderenti al Sangh Parivar è stata la chiesa protestante dell'International Cooperation Ministries nei pressi di Agrahar. Tuttavia il pastore di questa chiesa, avvertito in tempo da alcuni parrocchiani dell'imminente attacco, si è barricato in casa resistendo alle provocazioni teppistiche.

Queste recenti violenze nel Karnataka rinnovano i timori di una nuova ondata di persecuzioni contro le comunità cristiane di questo Stato dopo quelle dell'estate del 2008. Allora risultò sospetta la coincidenza dei violenti scontri con i disordini avvenuti in Orissa. Nel corso di quest'anno, in Karnataka si sono registrati almeno dieci attacchi contro i cristiani. A essere prese di mira sono state soprattutto le chiese protestanti i cui pastori sono accusati dagli estremisti induisti di proselitismo e di compiere conversioni forzate.

Nel frattempo in Orissa, l'ex direttore generale di polizia, Gopal Chandra Nanda, ha reso una deposizione di fronte ai membri di una Commissione giudiziaria che sta investigando sul comportamento tenuto dalle forze dell'ordine locali durante le violenze anticristiane dell'estate del 2008.
"La polizia dell'Orissa ha svolto molto bene il proprio dovere nonostante i mezzi limitati a sua disposizione", ha dichiarato l'ex responsabile dell'ordine pubblico. La sommossa popolare, capeggiata da alcuni noti estremisti simpatizzanti del partito nazionalista Bharatiya Janata Party (Bjp), era iniziata in seguito all'uccisione del leader religioso induista Laxmananda Saraswati.

Entro il 14 settembre verrà chiamato a deporre davanti alla Commissione giudiziaria anche l'attuale direttore generale di polizia, Manmohan Praharaj. Il direttore dei servizi di intelligence dell'Orissa, Prakash Mirshra, ha invece dichiarato di non essere mai stato interpellato dalla Commissione in quanto all'epoca delle violenze anticristiane era responsabile di un altro settore della polizia e non aveva alcun incarico per reprimere la rivolta.

Il capo della Commissione giudiziaria, il giudice Mohapatra, in un recente incontro con i rappresentanti dei media, ha dichiarato che sono previsti ulteriori interrogatori per tre ufficiali di polizia che nell'estate del 2008 erano al comando dei drappelli incaricati di fermare i disordini che provocarono numerose vittime anche tra i membri della comunità cattolica. Nonostante i ripetuti appelli alla pace e al dialogo dei vescovi locali e della Conferenza episcopale dell'India, la folla guidata da estremisti induisti distrusse anche numerosi edifici sacri della comunità cattolica. Vennero anche assaltati alcuni istituti scolastici gestiti da religiosi. Nonostante la condanna delle violenze anche da parte di leader religiosi induisti moderati, la situazione nelle zone rurali dell'Orissa rimane difficile per tutti i credenti cristiani.



(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2009)
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05/09/2009 08:32

Appello di sacerdoti testimoni del massacro di cristiani in Pakistan

I padri domenicani Pascal Paulus e Iftikhar Moon

ROMA, venerdì, 4 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'appello lanciato questo giovedì al Centro Russia Ecumenica di Roma da due sacerdoti domenicani della Diocesi di Faisalabad, testimoni oculari della morte di 7 cristiani e dell'incendio di 70 case nella città di Gojra il 1° agosto scorso. I sacerdoti, invitati dall'Associazione Salvaimonasteri, sono padre Pascal Paulus o.p. e padre Iftikhar Moon o.p.

 

* * *


Nella Repubblica Islamica del Pakistan, la comunità cristiana e altri gruppi religiosi minoritari rappresentano il 3 per cento di una popolazione complessiva di 117 milioni. 

I cristiani del Pakistan sono conosciuti e rispettati per la loro onestà, lealtà, laboriosità. 

Nonostante siano una minoranza, hanno un ruolo importante nel miglioramento e nello sviluppo del Paese, specialmente nel campo dell'educazione e della sanità.  

La maggior parte dei professionisti e dei dirigenti pachistani si sono diplomati e laureati negli istituti e nelle università cristiane. 

Disgraziatamente nel 1991 sono state istituite le leggi contro la blasfemia, che sono ancora in vigore e che purtroppo vengono utilizzate specialmente contro i cristiani. I musulmani attaccano i cristiani e danneggiano le loro proprietà, accusandoli di aver profanato il santo Corano o il santo Profeta.  

Le leggi sulla blasfemia 295 articolo A, B, C nei Paesi a maggioranza musulmana stabiliscono che un qualsiasi insulto al santo Corano è un'offesa punibile con la prigione a vita, mentre è prevista la pena di morte per i condannati per aver insultato il Profeta Maometto. 

Riepiloghiamo gli incidenti più gravi avvenuti recentemente, nel giro di un solo mese: 

1- A giugno del 2009, 57 case sono state distrutte e completamente ridotte in cenere a Bammi Wala, Kasur (vicino Lahore). 

2- Il 30 luglio, la violenza si è manifestata con una folla di fanatici musulmani inferociti e armati che hanno attaccato dallo stesso luogo e dai villaggi vicini la colonia cristiana chiamata Koriaan, nei pressi della cittadina di Gojra, e hanno distrutto le case dopo averle saccheggiate.  

3- Dopo due giorni, il 1° agosto, 8 cristiani sono stati bruciati vivi. È successo che la folla di musulmani ha attaccato vandalicamente un gruppo di cristiani che comprendeva tre bambini, tre donne e due uomini. Venivano saccheggiate e poi bruciate 70 case cristiane, mentre due chiese venivano profanate nella cittadina di Gojra. 

Nell'attacco contro Gojra, i bambini hanno cercato di fuggire per salvarsi mentre le case venivano incendiate con benzina, cherosene, sostanze chimiche. La folla inferocita ha saccheggiato le case, fatto a pezzi le Bibbie e altri libri sacri, distrutto le Croci, devastato e dato fuoco a tutto. I cristiani che hanno avuto le case bruciate sono rimasti senza niente. 

Dobbiamo sottolineare che la polizia di Gojra e altre forze dell'ordine non hanno agito per prevenire questi incidenti e non hanno prestato attenzione all'annuncio contro i cristiani che era stato pronunciato nelle moschee.  

Poliziotti e forze dell'ordine sono intervenuti quando ormai era tutto finito ed era troppo tardi. 

È anche molto triste che il Governo si sia occupato di un evento così grave solo 72 ore dopo, quando i cristiani hanno inscenato una protesta sui binari della ferrovia. 

In seguito, il Presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, il Primo Ministro, Yousaf  Raza Gallani, il Ministro a capo del Punjab, Shahbaz Shrif, e il governatore del Punjab, Sulman Taseer, hanno condannato gli spietati attacchi.  

Il Governo ha annunciato che sarà devoluto un indennizzo per ricostruire le case di questi poveri cristiani. 

Padre James Channan, o.p., Vice provinciale della provincia dei Figli di Maria, ha sollevato la seguente questione: "Ai cristiani potranno essere restituiti l'onore e il senso della libertà religiosa? Se ne ha abbastanza". "I cristiani del Pakistan chiedono la totale abrogazione delle leggi 295 B e 295 C. Il Governo del Pakistan dovrebbe accertare le cause alla base di questi incidenti. Si fa appello alle organizzazioni umanitarie mondiali perché prestino attenzione a quanto avvenuto e si rivolgano al nostro Governo perché abroghi le leggi contro la blasfemia e dia protezione alle comunità cristiane". 

Noi facciamo appello anche ai promotori della pace e della giustizia perché intervengano in questa grave questione e premano sul nostro Governo, in modo che le persecuzioni dei cristiani e gli attacchi fanatici contro le minoranze vengano impediti e sia fatta giustizia.  

Noi cristiani del Pakistan chiediamo l'abrogazione delle leggi che discriminano le minoranze. Ci appelliamo alle Organizzazioni Mondiali dei Diritti Umani perché prendano atto degli incidenti avvenuti e intervengano sul nostro Governo per la protezione dei cristiani e delle altre minoranze. 

Perché noi, cristiani del Pakistan, non ci sentiamo sicuri nel nostro Paese. 


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07/09/2009 18:38

Sacerdote filippino ucciso in un agguato nel Samar del Nord


Manila, 7. Padre Cecilio Lucero, sacerdote diocesano di 48 anni, è stato ucciso domenica mattina in un agguato nelle Filippine lungo la strada che dalla sua parrocchia di Catabig porta alla città di Catarman, maggiore centro della regione di Samar settentrionale. Altre due persone che viaggiavano con lui a bordo di un fuoristrada, Isidro Miras ed Eugene Batation, sono rimaste ferite nell'attacco condotto da un gruppo di circa trenta uomini armati presso in località Layuhan, nella città di San José.
"Come nei casi precedenti - ha dichiarato questa mattina il vescovo di Catarman, monsignor Emmanuel Trance - mi unisco a quanti chiedono alle autorità governative di intervenire per interrompere questi attacchi che, in questo caso, hanno provocato la morte del sacerdote".
Secondo il vescovo di Catarman, padre Lucero aveva precedentemente ricevuto minacce a causa del suo impegno in un gruppo di difesa dei diritti umani. Il sacerdote aveva ripetutamente condannato in pubblico il fenomeno delle cosiddette esecuzioni extragiudiziali da parte di anonime squadre armate. Il vescovo di Catarman ha sottolineato che il religioso, cosciente del pericolo che correva, durante gli spostamenti si faceva accompagnare dal poliziotto Eugene Batation che, benché ferito, ha risposto al fuoco degli aggressori.
Padre Cecilio Lucero aveva iniziato a ricevere minacce da alcuni mesi dopo avere denunciato una serie di agguati in cui erano stati uccisi politici, professionisti e giornalisti del Samar del Nord.
Secondo un portavoce del Philippine National Police, il sacerdote è stato ucciso con un proiettile in testa. "Se è possibile uccidere in questo modo perfino un sacerdote, questo omicidio provocherà il terrore tra i comuni cittadini", ha affermato il vescovo Trance.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
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09/09/2009 18:46

  Cristiani, musulmani e indù nel santuario pakistano

A Mariamabad in pellegrinaggio per la fine d'ogni discriminazione



 
Lahore, 9. Sono giorni di festa e di preghiera per la comunità cattolica del Pakistan. Festa in onore della Madonna venerata nel santuario di Mariamabad e preghiera per i persecutori, affinché il Signore cambi radicalmente i cuori di quanti - specialmente nell'ultimo mese - sembrano volersi accanire con inaudite violenze e accuse infondate contro la minoranza cristiana del Paese.

Da sessant'anni, il 4 settembre è il giorno in cui inizia il tradizionale pellegrinaggio alla grotta della Madonna, nella cosiddetta Terra di Maria, situata in una delle più antiche località cristiane del Pakistan, a poco più di cento chilometri da Lahore. Da tutto il Paese i fedeli percorrono le strade a piedi o in bicicletta. Alcuni gruppi si muovono in treno e, chi ce l'ha, usa l'automobile. Tutti addobbano il proprio mezzo di trasporto con festoni o striscioni per segnalare che sono in viaggio verso il villaggio di Maria. Ma, insieme ai cattolici si muovono cristiani di altre confessioni e anche musulmani, indù e sikh. La festa è ormai un evento per tutta la popolazione e in molti, anche non cristiani, offrono alloggio e cibo ai pellegrini meno facoltosi. Quest'anno - secondo Ucanews - oltre un milione di persone ha partecipato alle celebrazioni culminate poi, martedì 8, con la ricorrenza della Natività della Beata Vergine Maria. Soprattutto, però, ha assunto particolare importanza la preghiera per la pace e la riconciliazione nel Paese. "Abbiamo posto ai piedi della Vergine Maria la nostra opera in favore dei cristiani perseguitati. Preghiamo e digiuniamo per la conversione dei terroristi coinvolti nelle recenti violenze contro i cristiani", ha detto padre Emmanuel Asi, segretario esecutivo della commissione biblica cattolica del Pakistan. "Noi - ha aggiunto - siamo  parte integrante di questo Paese e vogliamo diventare strumenti di pace".

Padre Asi è anche tornato a chiedere l'abrogazione delle controverse leggi sulla blasfemia, che puniscono duramente, talvolta con la morte, le offese ai simboli islamici. "Si tratta di leggi che meritano d'essere cambiate - ha detto - per evitare la persecuzione di pakistani innocenti, la metà dei quali poveri cristiani". In molte occasioni, infatti, queste leggi vengono applicate solo per alimentare l'odio comune o per regolare interessi personali senza alcun collegamento con la religione.

"Si può essere deboli e poveri, ma la persecuzione non può scoraggiare la nostra fede", ha detto nel corso di una celebrazione il padre cappuccino Mehboob Evarist, il quale ha anche esortato i fedeli a "pregare per coloro che ci fanno del male".

La cooperazione della polizia locale ha comunque consentito un tranquillo e ordinato svolgersi del pellegrinaggio, la cui celebrazione principale è stata presieduta dall'arcivescovo di Lahore, Lawrence John Saldanha. "Alcuni sacerdoti avevano ricevuto delle telefonate minatorie che annunciavano attentati contro il pellegrinaggio e che dicevano che ci avrebbero ridotti a un mucchio di cenere", ha detto padre Mushtaq Pyara, segretario del comitato organizzatore del pellegrinaggio. "Abbiamo quindi chiesto al Governo del Punjab - ha continuato - di garantire la sicurezza. Si sono svolti degli incontri con i funzionari della Polizia che hanno poi proibito per alcuni giorni l'utilizzazione degli altoparlanti delle moschee nei villaggi circostanti Mariamabad". Infatti, proprio questi altoparlanti in passato sembra siano stati talvolta utilizzati per incitare alla violenza contro le minoranze religiose.


(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2009)
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09/09/2009 18:48

Arrestate 150 persone per aver interrotto in pubblico il digiuno durante il ramadan

I cristiani in Egitto per la libertà religiosa


Il Cairo, 9. Almeno centocinquanta persone sono state arrestate dalla Polizia in Egitto per aver interrotto in pubblico il digiuno che caratterizza il ramadan, mese sacro ai musulmani. A denunciarlo è il direttore di un movimento liberale cristiano del Paese, Samwel Alashay, copto, il quale ha riferito all'agenzia spagnola Efe che la campagna di arresti, la prima di questo tipo in Egitto e riguardante anche la minoranza cristiana che non digiuna durante il ramadan, "è incostituzionale, poiché le leggi egiziane garantiscono la totale libertà". Secondo quanto riferiscono il movimento e alcune locali organizzazioni per i diritti umani, i provvedimenti sono stati eseguiti nei governatorati di Aswân, Daqahlîya, Mar Rosso e Porto Said, mentre i fermati stavano mangiando o fumando per strada durante le ore diurne. Alcuni arrestati sono stati liberati grazie al pagamento di una cauzione di cinquecento lire egiziane (circa cento dollari).
Il movimento liberale cristiano ha inviato una lettera al ministero dell'Interno nella quale chiede di interrogare e di giudicare gli ufficiali della Polizia responsabili di questa campagna. "Il fatto che alti responsabili della Polizia compiano questi arresti - ha detto Alashay - è un segnale grave per i musulmani in generale e per i cristiani nel concreto, perché trasforma il Paese in uno Stato di tipo talebano e wahabbita", con una rigida interpretazione della religione islamica.
In Egitto la maggioranza è musulmana sunnita (quasi il 90 per cento della popolazione). Il restante 10 per cento è costituito in gran parte da cristiani, soprattutto copti ortodossi. Una minoranza che si sente minacciata, discriminata, non sufficientemente tutelata. Per questo il movimento guidato da Alashay e altre associazioni copte hanno indetto, per venerdì 11 settembre, uno "sciopero dei cristiani" per rivendicare i propri diritti e per chiedere una legge che faciliti la costruzione di chiese in Egitto. La questione è stata argomento, nei giorni scorsi, di una fatwa emanata dal Consiglio islamico dell'Egitto. Il decreto - secondo quanto riferisce l'Assyrian international news agency - sostiene che "l'intenzione da parte di un musulmano di donare soldi per costruire una chiesa è un peccato contro Dio", paragonabile a quello che si commette finanziando un night club, una casa da gioco o "una stalla dove tenere maiali, gatti o cani". La fatwa ha provocato polemiche, tanto che il gran muftì Ali Gomaa e il ministro della Giustizia hanno avviato un'indagine sui saggi che l'hanno emessa. Anche lo sceicco Al-Azhar Mohammed Sayed Tantawi l'ha criticata sostenendo che i musulmani possono donare soldi per costruire chiese e che deve essere favorita la libertà di culto.
Secondo Samwel Alashay, la campagna di arresti durante il ramadan è una risposta alla convocazione dello sciopero. Le associazioni che sostengono la manifestazione hanno chiesto ai cristiani di rimanere venerdì nelle loro case e di vestirsi di nero. Finora - riferisce la Efe - almeno tremila cristiani hanno assicurato, attraverso Facebook, la loro partecipazione e, giorno dopo giorno, cresce il numero dei copti che danno la propria adesione.
Va detto, tuttavia, che un portavoce della comunità copto ortodossa in Egitto ha dichiarato - sempre all'agenzia spagnola - che "la Chiesa non ha nulla a che vedere con lo sciopero" e che "la Chiesa utilizza il dialogo per risolvere qualsiasi problema. Gli scioperi non servono a niente".
L'ondata di arresti è stata commentata negativamente anche dai non cristiani. "È orribile che stia accadendo questo - ha dichiarato uno dei fermati, membro della Fratellanza musulmana - e non possiamo restare fermi e consentire che ciò continui. Vogliamo vivere in una società libera, la religione non è obbligatoria e così deve continuare a essere". Anche il direttore dell'Arabic network for human rights information, Gamal Eid, ha criticato gli arresti definendoli "illegali" e ha definito la "campagna" lanciata dal ministro dell'Interno "una manovra del Governo per compiacere gli islamici, in modo da guadagnare terreno" presso di loro. "Non esiste alcuna esplicita norma di legge - ha aggiunto il presidente della Fondazione per lo sviluppo della democrazia egiziana, Negad Al Borai - che autorizzi l'arresto delle persone che interrompono il digiuno durante il ramadan".
Il ministro dell'Interno, Habib el Adli, non ha confermato né smentito la notizia. Ma una fonte della sicurezza egiziana ha riferito che la campagna potrebbe essere stata lanciata per mantenere l'ordine e far diminuire i crimini durante il mese sacro ai musulmani.


(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2009)
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Assassinato un sacerdote filippino difensore dei diritti umani

MANILA, domenica, 13 settembre 2009 (ZENIT.org).-

La Conferenza Episcopale Filippina, attraverso il Vescovo ausiliare di Manila, monsignor Broderich S. Pabillo, ha condannato duramente il brutale assassinio di padre Cecilio Lucero, che si è distinto per la sua difesa e promozione dei diritti umani nella Diocesi di Catarmán.

Padre Lucero, di 48 anni - informa OMPress -, era alla guida del dipartimento per i diritti umani della sua Diocesi. Domenica scorsa, mentre si dirigeva in automobile verso una parrocchia con altre due persone, ha ricevuto un colpo d'arma da fuoco alla testa ed è morto. I suoi accompagnatori sono rimasti feriti.Il Vescovo della Diocesi, monsignor Emmanuel C. Trance, ha rivelato che il sacerdote aveva già ricevuto minacce di morte, per cui si temeva per la sua sicurezza.

Il portavoce della Conferenza Episcopale ha descritto padre Lucero come un "instancabile difensore dei diritti e della dignità di tutti gli individui", un uomo consapevole di quanto fosse pericoloso il suo lavoro ma che non si è mai fatto intimidire.La polizia ha dichiarato che il parroco è stato ucciso in un'imboscata alla quale hanno partecipato almeno 30 tiratori non identificati.

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Aumentano le minacce anticristiane in India e Pakistan

Gli estremisti attaccano una chiesa vicino Bangalore


BANGALORE / FAISALABAD, domenica, 13 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Un gruppo di circa venti facinorosi ha distrutto nella notte tra il 9 e il 10 settembre varie vetrate e due statue di San Giovanni e della Madonna nella chiesa di San Francesco di Sales a Hebbagudi, vicino Bangalore (India), riporta l'agenzia AsiaNews.

L'episodio avviene a un anno dalle violenze negli Stati dell'Orissa e del Karnataka, le cui ferite non si sono ancora rimarginate. Quest'anno si sono verificati circa venti attacchi anticristiani.

Secondo il rapporto ufficiale sui fatti, una ventina di giovani estremisti ha distrutto due statue di un gruppo scultoreo della Via Crucis e ha frantumato quaranta finestre con mazze e asce. Ha anche provato a incendiare un veicolo parcheggiato davanti alla parrocchia.Questo ennesimo attacco ha provocato grande preoccupazione tra i cristiani della zona, malgrado le promesse del Governatore del Karnataka, B.S. Yeddyurappa, nazionalista, di voler difendere la minoranza cristiana.

Per il Consiglio Globale dei Cristiani Indiani, "la violenza e l'intimidazione contro la minoranza cristiana continuano, e i criminali sono più arroganti che mai, perché non vengono perseguiti".

Tensione nel Punjab

Anche in Pakistan, un mese dopo i sanguinosi attacchi anticristiani nel Punjab la tensione sta crescendo, nonostante gli sforzi della Chiesa per sensibilizzare il Paese verso la protezione delle minoranze.Questo venerdì, riferisce l'emittente pontificia, nel villaggio di Jaithikev, sempre nel Punjab, una folla di musulmani ha dato fuoco a una chiesa dopo la preghiera nella moschea locale. La scintilla che ha scatenato la violenta reazione è stata l'accusa rivolta a un ragazzo cristiano di vent'anni di aver gettato a terra il Corano di una ragazza di cui è innamorato, una quindicenne musulmana. Gli assalitori hanno devastato anche due abitazioni adiacenti alla chiesa, utilizzata sia dai cattolici che dai protestanti. Circa 35 famiglie cristiane hanno abbandonato le proprie case.

"L'Osservatore Romano" ha riportato un reportage del Pakistan christian post in cui si avverte che negli ultimi giorni si susseguono le provocazioni contro i cristiani di Gojra e Koriyan, in alcuni casi invocando la legge antiblasfemia. Secondo il quotidiano, un'associazione islamica avrebbe accusato il direttore della commissione diocesana per il dialogo interreligioso, padre Aftab James Paul, e altre tre persone, due delle quali sacerdoti, di aver fornito armi a un giovane perché uccidesse i musulmani.L'associazione chiede l'arresto del sacerdote, minacciando in caso contrario nuove azioni violente.

Il 9 settembre, la comunità cristiana di Faisalabad ha celebrato una Messa in ricordo delle sette persone assassinate il mese scorso a Gojra. La comunità cristiana celebra come "martiri" le sette vittime, tra cui tre donne e due bambini, bruciate vive tra il 1° e il 3 agosto durante gli attacchi ai cristiani di Gojra e Koriyan. Oltre venti persone sono rimaste ferite e centinaia di case sono state distrutte. Padre Yaqoob Yousaf, direttore del Centro Diocesano di Catechesi, ha sottolineato durante la celebrazione "il coraggio della gente di Gojra", che "ha sacrificato la sua vita per testimoniare la fede cristiana".

In queste settimane, le Diocesi del Pakistan stano organizzando Messe e incontri di preghiera per ricordare le vittime e le minoranze perseguitate per la loro fede.
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Pakistan: un amore proibito scatena la violenza

Estremisti islamici contro una chiesa e abitazioni cristiane


KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Un amore tra adolescenti in Pakistan ha avuto conseguenze devastanti quando dei fanatici hanno dato fuoco alla chiesa di un villaggio e hanno costretto i cristiani ad abbandonare la zona.

Centinaia di fedeli, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) in un comunicato inviato a ZENIT, hanno fatto appena in tempo a mettersi in salvo l'11 settembre, quando gli estremisti hanno devastato il villaggio di Jethki, nel distretto di Sialkot della provincia del Punjab.Armati di mattoni, pietre e spranghe, hanno gettato cherosene sulla chiesa prima di darle fuoco e profanarla.La folla ha anche anche appiccato il fuoco a due abitazioni cristiane vicine alla chiesa e ha minacciato di uccidere gli abitanti del villaggio.Secondo i leader ecclesiali, la scintilla delle violenze è stata la rabbia di una donna musulmana furiosa perché la figlia diciottenne aveva rotto un tabù sociale e religioso legandosi a un ragazzo cristiano.

Determinata a porre fine al legame triennale tra i due ragazzi, che sono compagni di scuola, secondo i religiosi avrebbe strappato una pagina contenente dei versetti del Corano e l'avrebbe gettata di fronte alla casa del ragazzo.Sarebbe quindi corsa dalle autorità musulmane accusando il giovane di profanazione del Corano, cioè di aver infranto le leggi sulla blasfemia in vigore in Pakistan.In base all'articolo 295B del Codice Penale, la profanazione del Corano comporta una pena che può arrivare anche alla prigione a vita.Le autorità musulmane avrebbero apparentemente orchestrato gli attacchi al villaggio per vendetta.

Violenza senza fine

Gli attacchi a Jethki sono il quarto episodio di questo tipo che si verifica in tre mesi e hanno suscitato ulteriori appelli dei leader cristiani in Pakistan perché le leggi sulla blasfemia vengano ritirate.Sabato 12 settembre, il Presidente pakistano Asif Ali Zardari ha condannato gli attacchi del giorno prima e ha chiesto al Governo fondi per riparare la chiesa.Nel frattempo, il 19enne accusato di blasfemia, il cui nome non è stato reso noto per motivi di sicurezza, è stato arrestato mentre la polizia indagava sull'accaduto.

In un'intervista ad ACS, padre Andrew Nisari, vicario generale dell'Arcidiocesi di Lahore, da cui dipende Sialkot, ha affermato che “la gente è molto spaventata e sconvolta per quanto è successo”.“Siamo davvero felici che il ragazzo sia in prigione in questo momento – ha dichiarato –. Almeno è al sicuro. Significa che non verrà ucciso dagli estremisti musulmani”.“Anche se la chiesa è ancora in piedi, è completamente bruciata al suo interno – l'altare, le statue, i banchi, la sedia del sacerdote, la Bibbia e altri testi religiosi. L'intero edificio è del tutto inutilizzabile”.Il preusle ha chiesto ripetutamente l'abolizione delle leggi contro la blasfemia. “Le leggi danno alle persone – e ai musulmani in particolare – una spada invisibile, facendo sì che possano vendicarsi su chi vogliono”.“Questo caso mostra che nel nostro Paese la religione viene strumentalizzata”, ha aggiunto.

Strage sfiorata

Padre Nisari ha sottolineato come l'episodio sia quasi sfociato in tragedia. “Tutti i sacerdoti hanno detto ai cristiani di scappare dal villaggio, altrimenti la folla li avrebbe uccisi”.

I fedeli si sono quindi rifugiati presso amici e parenti nelle zone circostanti.“Esorto tutti i cristiani del mondo a pregare per noi perseguitati in Pakistan – ha chiesto il sacerdote –. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere”.Il Ministro per le Minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti, l'unico cristiano del gabinetto federale, visiterà la regione e sottoporrà un rapporto al Governo.I leader ecclesiali interpretano l'accaduto come un'altra prova della persecuzione diffusa contro i cristiani nel Paese.L'ondata di violenza ha avuto il suo apice negli attacchi di agosto a Gojra, sempre nel Punjab, costati la vita a nove persone.
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I cristiani di Terra Santa, vittime di continue oppressioni

Il Patriarca Twal: senza l'aiuto esterno, la Chiesa è a rischio



KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha avvertito che il futuro della Chiesa in Terra Santa è a rischio. Per questo motivo, ha chiesto ai cristiani di tutto il mondo di unire i propri sforzi per aiutare i fedeli della terra di Gesù.

Durante un discorso pronunciato l'8 settembre nella Cattedrale di Westminster, a Londra, il Patriarca ha sottolineato che l'emigrazione ha ridotto drasticamente il numero dei cristiani sia in Israele che in Palestina.

Secondo il presule, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che ha organizzato l'incontro londinese, si pensa che i fedeli di Gerusalemme diminuiranno dai 10.000 attuali a poco più di 5.000 nel 2016.In tutta la Terra Santa, ha aggiunto, i cristiani sono scesi dal 10 al 2% in 60 anni, anche se altre prove mostrano che il declino potrebbe essere superiore.

Oppressione e muro di separazione

Il Patriarca ha confessato che fino ad ora il pellegrinaggio svolto da Benedetto XVI in Terra Santa a maggio non ha portato a una minore oppressione delle minoranze e che “la continua discriminazione in Israele minaccia sia i cristiani che i musulmani”.“Tra la limitazione degli spostamenti e la noncuranza per le necessità abitative, le tasse e la violazione dei diritti di residenza, i cristiani palestinesi non sanno da che parte voltarsi”.

Il Patriarca Twal ha condannato in particolare il muro eretto da Israele intorno alla West Bank, affermando che oltre a ostacolare la libertà di movimento “ha chiuso molti palestinesi in zone-ghetto in cui l'accesso al lavoro, all'assistenza medica, all'istruzione e ad altri servizi di base è stato gravemente compromesso”.

“Abbiamo una nuova generazione di cristiani che non può visitare i Luoghi Santi della sua fede anche se distano solo pochi chilometri dal luogo in cui risiede”, ha denunciato.

Senza di voi, che ne sarà del nostro futuro?”

Alla presenza della coordinatrice per i progetti in Medio Oriente di ACS, Marie-Ange Siebrecht, il Patriarca Twal ha anche ringraziato l'opera dell'associazione, che sostiene seminaristi e suore a Betlemme, famiglie che costruiscono oggetti devozionali in legno d'ulivo e iniziative che promuovono la cooperazione interreligiosa.

Nell'omelia della Messa che ha celebrato nella Cattedrale di Westminster prima dell'incontro, ha espresso la propria riconoscenza affermando: “Contiamo sul vostro affetto e sul vostro sostegno. Senza di voi, che ne sarà del nostro futuro?”.

Il presule ha poi sottolineato l'importanza delle cinque “P”: preghiera, pellegrinaggio, pressione, progetti, che portano tutti alla quinta “P”, quella della pace.“Se in 61 anni non siamo riusciti a ottenere la pace, vuol dire che i metodi che abbiamo usato erano sbagliati”, ha commentato parlando della necessità di raggiungere una soluzione definitiva nella regione.

“Sembra che i politici siano più preoccupati della pace che della guerra e preferiscano gestire il conflitto piuttosto che risolverlo”.Nei Territori Occupati, ha aggiunto, la gente “è completamente alla mercé dell'Esercito israeliano, e al momento la Striscia di Gaza vive sotto un assedio imposto da Israele, che ha provocato una drammatica crisi umanitaria”.

Nonostante tutto, il presule si dice “cautamente ottimista” per “il cambiamento di tono dell'Amministrazione americana guidata dal Presidente Obama”, osservando che il nuovo Capo di Stato “sembra molto più consapevole dei suoi predecessori degli errori fondamentali dell'Amministrazione nell'atteggiamento verso il conflitto”.

Durante la sua visita a Londra, il Patriarca ha anche incontrato i Vescovi di Inghilterra e Galles e rappresentanti di organizzazioni come i Cavalieri del Santo Sepolcro e Missio.
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Morto in carcere un giovane accusato di blasfemia

In Pakistan non si placa l'odio anticristiano


Sialkot, 16. Sarebbe stato ucciso in carcere, nella notte fra lunedì e martedì, il giovane cristiano arrestato l'11 settembre in un villaggio del Punjab, in Pakistan, con l'accusa di blasfemia. Come riferiscono le agenzie AsiaNews, Uca News e il Pakistan christian post, Fanish "Robert" Masih, ventenne, ieri mattina è stato trovato morto nella sua cella dai secondini del carcere distrettuale di Sialkot. Sul corpo c'erano evidenti ferite, non compatibili con la tesi del suicidio per impiccagione sostenuta dalla polizia. "È un omicidio legalizzato", accusa Anthony Nadeem, membro della Commissione pakistana per i diritti umani, il quale condanna senza mezzi termini l'ennesimo caso di violenza contro i cristiani:  "La polizia parla di suicidio. Fanish si sarebbe impiccato in carcere, ma questo non ha senso", afferma Nadeem, aggiungendo che il giovane "ha subito torture in seguito alle quali è deceduto" e che "sono visibili i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, come emerge dalle fotografie".

Il corpo è ora a disposizione dell'autorità giudiziaria, che ne ha disposto il trasferimento all'ospedale civile di Sialkot per l'autopsia.

Le comunità cristiane sono subito scese in strada organizzando, come a Sialkot e a Lahore, capoluogo della provincia del Punjab, manifestazioni di protesta contro l'ennesimo episodio di violenza anti-cristiana. "Basta con l'estremismo religioso e il massacro dei cristiani", recitava uno degli striscioni esposti. La Commissione di giustizia e pace della Conferenza dei vescovi cattolici del Pakistan (Pcbc) - presieduta dall'arcivescovo di Lahore, Lawrence John Saldanha, presidente della Pcbc - ha emesso un comunicato nel quale si sollecita "un'inchiesta credibile" e che "il caso venga affrontato come omicidio". I responsabili della morte di un giovane innocente - si afferma - "dovrebbero essere portati davanti alla giustizia".

La Chiesa negli ultimi mesi è più volte intervenuta contro le leggi sulla blasfemia, introdotte nel 1986 e considerate all'origine di molti episodi di violenza, chiedendone l'abrogazione. È stata anche lanciata una petizione che verrà presentata al Governo centrale. "Per le minoranze religiose - afferma monsignor Saldanha - quelle leggi si sono rivelate una catastrofe e, per il Governo provinciale del Punjab e il Governo federale, un fallimento".

Fanish era stato arrestato venerdì scorso a Jaithikey, nel distretto di Sialkot, con l'accusa di blasfemia. Il giorno precedente una folla di musulmani si era riunita attorno alla chiesa del villaggio per "dare una lezione" alla comunità cristiana. Gli estremisti hanno prima danneggiato l'edificio, poi gli hanno dato fuoco. Sono state anche saccheggiate due abitazioni adiacenti alla chiesa. All'origine delle tensioni - riferisce AsiaNews - vi sarebbe stata la contrastata relazione fra il giovane cristiano e una ragazza musulmana. Masih, forse dopo un litigio, avrebbe gettato a terra il Corano che la giovane teneva fra le mani.

Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di giustizia e pace, spiega che "i musulmani non sopportano che una ragazza musulmana si innamori di un cristiano". Nei giorni scorsi l'organismo della Chiesa cattolica pakistana aveva espresso "grande preoccupazione" per l'aumento dei casi di violenze contro le minoranze religiose nel Paese, perpetrate in nome delle leggi sulla blasfemia.


(©L'Osservatore Romano - 17 settembre 2009)
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18/09/2009 19:32

Le autorità tirano in ballo le conversioni illegali ma si contraddicono

L'Esecutivo dell'Orissa accusa i cristiani

Lo sdegno della Chiesa


Bhubaneswar, 18. "È ridicolo che i funzionari dello Stato, invece di dimostrare un po' di compassione e di solidarietà per i quasi cinquantamila cristiani sfollati del Kandhamal, cerchino ora di provare disperatamente di essere estranei e all'oscuro dei fatti che hanno generato le violenze in Orissa". È la risposta dell'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, monsignor Raphael Cheenath, alla versione dei fatti che alcuni funzionari dello Stato hanno sostenuto davanti alla Commissione governativa che indaga sui pogrom dell'agosto 2008.

Mercoledì scorso, il giudice Sarat Chandra Mohapatra, presidente e membro unico della commissione, ha ascoltato Gangadhar Singh, prefetto del distretto di Kandhamal. Il funzionario governativo ha affermato che durante il suo mandato le conversioni al cristianesimo sono avvenute violando le direttive previste dall'Orissa freedom of religion act (Ofra). Singh ha aggiunto due particolari significativi alla sua versione dei fatti. Da un lato ha sottolineato di aver assistito a una diffusa occupazione di appezzamenti governativi; dall'altro rileva tensioni tra tribali e dalit per il tentativo di questi ultimi di affrancarsi dal loro status giuridico e ottenere le concessioni territoriali garantite ai tribali. Sollevando la Chiesa da ogni implicazione diretta in questi avvenimenti ha sostenuto la tesi secondo cui le conversioni illegali, le occupazioni dei terreni e le tensioni tra tribali e dalit siano fenomeni tra loro collegati.

Monsignor Cheenath ha definito le dichiarazioni di Singh come ambigue e tardive. "Sembra che i funzionari governativi - ha detto - abbiano dormito a lungo. Perché non hanno portato alla luce le irregolarità prima d'ora? Possono provare quello che dicono? L'Ofra è in vigore dal 1967, ma solo adesso, dopo le persecuzioni nei confronti dei cristiani, vengono fuori le violazioni. Sembra tutto un gioco per fare apparire innocente il Governo".

Per l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar le versioni dei fatti che i funzionari stanno offrendo alla Commissione d'inchiesta sono l'ultimo capitolo del "gioco messo in atto dalle autorità governative e dallo Sang Parivar (l'associazione di attivisti indù) per continuare a perseguire i cristiani. Le vittime - ha aggiunto il presule - vivono ancora nell'insicurezza, spesso lontane delle loro case, esposte a continue minacce e boicottate dalle comunità indù. La cosa più vergognosa e grave è che i funzionari sono d'accordo con lo Sangh Parivar per cacciare via dal Kandhamal la minoranza indifesa dei cristiani".

Tra i funzionari ascoltati martedì scorso, la Commissione d'inchiesta ha sentito anche Arung Sarang, un ispettore generale di polizia, che ha confermato la versione secondo cui le autorità non avevano nessuna informazione sulle minacce maoiste a Swami Laxmanananda Saraswati, capo del Visva hindu parisad (Vhp), dal cui assasinio sono poi scaturite le violenze dell'agosto del 2008.

Sarang ha scagionato ancora una volta i cristiani del Kandhamal da ogni responsabilità nell'omicidio del leader fondamentalista indù affermando che "è assolutamente evidente che l'assassinio è opera dei militanti del partito comunista maoista dell'India". Ma anche le dichiarazioni dell'ispettore, per la comunità cattolica, suonano come un tentativo di sollevare le autorità dell'accusa di non aver fatto nulla per prevenire le violenze.

Intanto, dal 21 al 27 settembre una delegazione del Wcc in rappresentanza delle Chiese dell'Europa, America Latina, Africa e Asia effettuerà una visita di solidarietà in India per incontrare organizzazioni ecumeniche e movimenti della società civile e leader delle Chiese cristiane.


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
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21/09/2009 08:14

Ucciso in Amazzonia il missionario Ruggero Ruvoletto

La polizia parla di un possibile tentativo di rapina



ROMA, domenica, 20 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Don Ruggero Ruvoletto è stato assassinato sabato mattina nella sua parrocchia di Santa Evelina alla periferia di Manaos, nel nord-est del Brasile.
Dopo le prime ricostruzioni, la polizia ha parlato di un possibile tentativo di rapina, ma l’ipotesi sembra non convincere poiché nella Chiesa sarebbero stati rubati solo una cinquantina di reali (circa una quindicina di euro), mentre altro denaro è stato lasciato nell'abitazione del sacerdote. Alcuni testimoni affermano di aver visto due ''sconosciuti'' fuggire con alcuni oggetti appartenenti al religioso.

Secondo quanto riportato dall'agenzia missionaria “Misna”, per ora le forze dell’ordine hanno arrestato tre persone sospettate di essere coinvolte nell'assassinio. L’identità dei tre e l’eventuale movente restano tuttavia sconosciuti.

Don Ruggero Ruvoletto era nato il 23 marzo 1957 a Galta di Vigonovo (Venezia), nella diocesi di Padova ed era stato ordinato sacerdote nel 1982 dal Vescovo Filippo Franceschi, di cui era stato Segretario, durante tutto il suo episcopato (1982-1988).

Aveva poi studiato ecclesiologia a Roma ed era rientrato in diocesi nell’Agosto del 1994 occuopandosi per circa un anno di Pastorale sociale e del lavoro come delegato vescovile. Era stato quindi nominato Direttore del Centro missionario diocesano dal 1995 al 2003.Nel luglio di sei anni fa era partito per il Brasile, come missionario fidei donum, nella diocesi di Itaguaì a Mangaratiba insieme con don Orazio Zecchin. L’anno seguente aveva raggiunto don Francesco Biasin, nel frattempo consacrato Vescovo nella diocesi di Pesqueira, nel nord est del Brasile, per partecipare ad un progetto di presenza missionaria alla periferia di Manaus, voluto dalle diocesi locali.

La periferia di Manaus, si legge in una nota della diocesi di Padova, è "un luogo di confine tra la città e la foresta dove la criminalità è particolarmente aggressiva e ultimamente si erano verificati vari assalti. Lo stesso don Ruggero aveva recentemente partecipato a una manifestazione per chiedere maggiore sicurezza".

Dopo la notizia centinaia di abitanti del sobborgo di Manaos si sono raccolti attorno alla parrocchia per rendere omaggio alle spoglie del missionario italiano, che verrà sepolto in Italia.

Questa domenica mattina, il Vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo ha ricordato che don Ruggero “si è sempre speso tantissimo per la missione. Era uomo e prete di animo buono, sereno, sempre sorridente e di una disponibilità totale”.

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