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"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2010 20:23
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Interpretazioni e fraintendimenti dell'ultima enciclica

La verità sul mercato


di Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo-vescovo eletto di Trieste

Uno degli aspetti della Caritas in veritate su cui si è maggiormente concentrata l'attenzione degli osservatori in questi primi giorni dopo la pubblicazione è la sua continuità (o meno) con la Centesimus annus a proposito della visione del ruolo del mercato e della natura del capitalismo. Su questo argomento i commentatori della nuova enciclica sociale di Benedetto XVI hanno espresso pareri diversi:  chi ne ha segnalato la continuità, chi la diversità e perfino l'opposizione.

È bene ricordare, innanzitutto, che nella  Centesimus annus, Giovanni Paolo II sosteneva che il mercato è prima di tutto un sistema di allocazione delle risorse economiche che però esiste sempre dentro un contesto di legami non solo economici. Anche la più avveduta scienza economica afferma che il mercato "perfetto", nel senso di perfettamente funzionante nei suoi meccanismi astratti e da manuale, non esiste. Il mercato non è mai solo una tecnica, pur avendo aspetti tecnici ineludibili. Il mercato ha aspetti tecnici, non è una tecnica.



Per questo motivo Giovanni Paolo II poteva ricordare l'importanza che nel governo del mercato avevano gli imprenditori e le famiglie, le culture e le religioni, gli Stati e la società civile e come il mercato dipendesse, alla fine, "dall'intero sistema socioculturale" (Centesimus annus, 39), dalla antropologia che ne stava alla base e, infine, dalla posizione assunta dall'uomo verso Dio. Per questo motivo egli poteva dire che il motivo ultimo del crollo dei regimi economici dell'Est europeo era di tipo antropologico e non solo tecnico (n. 24). Nella Centesimus annus si distingue tra il "sistema economico" e il "sistema etico culturale" e si afferma che il vero errore consiste nell'assolutizzare il primo e dimenticare il secondo (n. 39).

Qui si incontrano due caratteristiche del mercato:  da un lato non se ne può fare a meno perché si rinuncerebbe all'efficienza, dall'altro è inevitabilmente orientato. Non se ne può fare a meno perché non si può negare la razionalità economica, che è una dimensione della verità. Lo si deve orientare in quanto questa razionalità economica è insufficiente, essa ha bisogno di essere collocata dentro "l'intero sistema socioculturale". Che il mercato debba essere orientato non deriva solo da una esigenza etica esterna alla logica economica, ma appartiene alla stessa natura del mercato. Non esiste un mercato non orientato. Il materialismo o la cosiddetta "massimizzazione del profitto" sono forme di orientamento del mercato. Non appartengono al mercato come tecnica economica, appartengono al "sistema socioculturale" di riferimento.

Da queste considerazioni Giovanni Paolo II traeva poi il celebre giudizio sul capitalismo contenuto nel paragrafo 42 della Centesimus annus:  se questa parola indica "un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva", ma se indica invece "un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa".

La teoria della esclusiva tecnicità del mercato, compreso il rifiuto della necessità di un suo orientamento, non è una posizione scientifica e assiologicamente neutra, è una ideologia avente alla base la difesa di una libertà assoluta in campo economico. Questo capitalismo è inaccettabile, perché inaccettabile è il "sistema socioculturale" che lo sorregge.

Proprio perché non è solo tecnica, e a preservazione del mercato dalle derive ideologiche del tecnicismo, che in realtà risponde a una cultura della libertà individuale assoluta, Giovanni Paolo II auspicava che il capitalismo - che egli preferiva chiamare però "società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione" (n. 34) - si strutturasse in una vita economica a tre attori:  il privato, lo Stato e la società civile (n. 35), sia per rispettare il principio della "soggettività della società civile" (n. 13), sia per coniugare nel migliore dei modi la solidarietà e la sussidiarietà (n. 15).

Ora, a leggere il testo della Caritas in veritate di Benedetto XVI si riscontra una piena sintonia con questa impostazione, assieme a importanti approfondimenti e sviluppi.
La tesi di fondo secondo cui la carità non può mai contrapporsi alla verità o prescindere da essa ha anche una applicazione in economia. Significa che la logica economica ha una propria verità e che se non la si rispetta si finisce per fare più male che bene. Questo comporta il riconoscimento pieno della validità del mercato, che "non è il luogo della sopraffazione del forte sul debole" e la società non deve difendersi da esso "come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani" (Caritas in veritate, 36). Comporta anche, però, la necessità di un suo orientamento, non solo per motivi etici, ma anche per motivi economici.

Il mercato, proprio perché non è mai solo un dato tecnico, per funzionare ha anche bisogno di "forme di solidarietà e di fiducia" (n. 35) senza le quali non può funzionare e che non può darsi da solo.
Il motivo di fondo è ancora quello indicato da Giovanni Paolo II, che risulta quindi confermato:  "Il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano" (n. 36). La tesi secondo cui l'etica ha a che fare con tutte le fasi dell'attività economica (n. 38) deriva da questo bisogno che il mercato ha di elementi che esso non sa darsi ed è una conferma di quanto Giovanni Paolo II aveva detto, per esempio, degli investimenti (n. 36).

Un punto su cui Benedetto XVI insiste di più è che non solo la giustizia deve interessare tutte le fasi della vita economica ma anche la gratuità, il dono e la fraternità (anche Giovanni Paolo II aveva parlato della alienazione come incapacità di "vivere il dono di sé" - Caritas in veritate, 40). Questi tre elementi vengono presentati nell'enciclica come derivanti sia dalla carità che dalla verità, e non solo dalla carità, come si potrebbe pensare. Anche la verità è infatti dono e gratuità - come più volte la Caritas in veritate dice, soprattutto nel paragrafo 34 - e non solo la carità. Quanto alla fraternità essa non possiamo costruirla noi, e quindi è essa stessa qualcosa che ci viene incontro come dono di verità e carità a un tempo.
Questa accentuazione della dimensione del dono è assolutamente conseguente alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, ma la Caritas in veritate la sviluppa di più, approfondendo l'indicazione della Centesimus annus circa il sistema a tre attori di cui ho già parlato più sopra.

La dinamica del dono è particolarmente presente nella economia della società civile, però è da auspicare una evoluzione verso un sistema di maggiore compenetrazione della dinamica del dono anche nel privato e nell'economia pubblica. La Caritas in veritate osserva che tale sistema è già presente nella realtà, reso necessario anche dalla globalizzazione, e parla della ristrettezza delle categorie di profit e non profit (n. 46), segnala molte esperienze di una economia della fraternità trasversali ai tre ambiti - parla di una "plurivalenza" della imprenditorialità con scambi e doni reciproci tra i diversi ambiti operativi (n. 41) - e ripetutamente dice che bisogna che elementi di dono e gratuità entrino in tutte le dimensioni della attività economica, soprattutto alla conclusione del paragrafo 36.

Qui andiamo oltre il semplice "terzo settore", oltre un sistema economico a tre attori e le indicazioni di Giovanni Paolo II risultano sviluppate ma, proprio per questo, anche confermate. Secondo Benedetto XVI - si diceva - questa esigenza di superamento dell'attuale organizzazione economica secondo la logica della fraternità nasce dalle stessi evoluzioni economico politiche legate alla globalizzazione. Questa ha fatto sì che la ricchezza prodotta in un certo spazio prendesse la strada del mondo intero e, quindi, che gli Stati entrassero in difficoltà nel loro compito di redistribuzione.

La giustizia economica non può essere più garantita mediante interventi redistributivi collocati dopo il processo economico da parte dello Stato. Vengono riprese qui importanti affermazioni di Giovanni Paolo II sulle molteplici importanti funzioni dello Stato e anche sulla necessità di prendere atto delle sue trasformazioni.
Anche Benedetto XVI invita a non decretare troppo affrettatamente la fine dello Stato nazionale, soprattutto in quei Paesi che non lo hanno ancora conosciuto, ma contemporaneamente prende atto delle trasformazioni in corso. Trasformazioni che richiedono che la redistribuzione e la giustizia entrino dentro il sistema economico piuttosto che collocarsi alla sua fine.

Possiamo quindi dire che sui temi del mercato e del capitalismo la Caritas in veritate si colloca in sintonia con la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la conferma e la approfondisce, alla luce di quel fenomeno di portata epocale che è la globalizzazione, un fenomeno che all epoca in cui la Centesimus annus venne pubblicata non aveva ancora manifestato appieno il suo vero volto.


(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2009)
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