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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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13/09/2009 20:23

Non si possono trattare gli uomini come le pecore

E quanto al pastore di bestie, quelli che mirano alla strage del gregge, qualora vedano fuggire il custode, smessa la lotta contro di lui, si accontentano della rapina degli animali; qui invece, se pur abbiano presa tutta la greggia, neanche allora risparmiano il pastore, ma vie più gli sono sopra e vie più imperversano, né cessano prima

d’averlo vinto o d’esserne stati vinti.
 
Aggiungi a tutto questo, che le malattie degli animali sono palesi, sian essi offesi da morbo o da fame o da ferita o da checché altro; né ciò conferisce poco a togliere di mezzo la cagione del male. Un’altra circostanza poi v’è, che agevola la rapida liberazione da quelle infermità; quale? i pastori costringono con molta padronanza le pecore ad accogliere la medicazione, qualora quelle non vi sottostessero di buon grado; onde torna facile il legarle quando sia d’uopo cauterizzare o tagliare; facile parimenti il farle stare a lungo rinchiuse, quando ciò sia di giovamento; il porgere un cibo invece d’un altro, il trattenerle da certi paschi, e tutte le altre cure che giudicassero conferire alla loro guarigione, viene loro fatto di applicarle con grande facilità.

III. Invece le infermità degli uomini, non è anzitutto agevole ad uomo lo scorgerle, poiché "nessuno conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui" (1Cor. 11,11). Or come potrebbe uno applicare la medicina a un male di cui non conosce la natura, e mentre spesso non gli è dato neppur di sapere se altri sia o no ammalato? E quando pure ciò sia divenuto palese, allora appunto gli offre le massime difficoltà; poiché non è possibile curare tutti gli individui con la stessa libertà con la quale il pastore cura una pecora: v’è bene anche qui la facoltà di legare, d’interdire l’alimento, di bruciare e tagliare; ma la facoltà di accogliere il rimedio risiede non in chi porge la medicina, sebbene nell’infermo stesso. Ciò ben sapendo quel mirabile uomo disse ai Corinzi: "Non perché noi facciamo da padroni sopra la vostra fede, ma cooperiamo alla vostra consolazione"(2Cor. 1,24). Soprattutto poi ai Cristiani non è permesso di correggere a forza gli errori dei colpevoli. I magistrati civili, quando sottopongono i malfattori alla norma delle leggi, fanno mostra di grande potestà e sforzano i riluttanti a mutare i loro costumi; qui invece tali individui debbono essere corretti con la persuasione anziché con la violenza. Perocché non ci è conferita dalle leggi questa facoltà per ritrar dal male i colpevoli, e quand’anche ce l’avessero conferita non avremmo dove usare la forza, dando Dio la corona non a chi lascia il male per necessità, ma a chi lo lascia per sua libera scelta. Onde v’è bisogno di grande abilità per far sì che gl’infermi si persuadano a sottoporsi volentieri alle cure dei sacerdoti, né questo solo, ma ancora perché vedano il vantaggio che la cura loro arreca.

Ché se alcuno legato ricalcitra, ed è in suo potere il farlo ne viene un male peggiore; e se non farà conto di certe parole taglienti come ferro, con lo spregio viene ad aggiungere un’altra piaga, onde il pretesto della cura diviene occasione di più grave malattia. Poiché non vi è chi lo possa costringere e curarlo contro sua voglia.

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