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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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Intermezzo I

Perché Giovanni fuggì la dignità e vi spinse invece l’amico.

Virtù di Basilio proclamate da Giovanni

V.: "Ma tu, disse, non ami Cristo?".

"L’amo (risposi) né mai cesserò di amarlo; ma temo di muovere a sdegno il mio Diletto".

"E quale enigma, soggiunse, potrebbe darsi più oscuro di questo? Ché mentre Cristo a chi lo ama impose di pascolare le sue pecore, tu dici di non volerle pascolare, appunto perché ami Colui che ciò ha comandato".

"Non è un enigma, ripresi io, il mio discorso, ma anzi è al tutto chiaro e semplice. Ché se io avessi fuggito questa dignità pur avendo le qualità necessarie per esercitarla come vuole Cristo, allora potrebbe nascere dubbio su quanto io ho detto; ma poiché la debolezza dell’anima mi rende inetto a questo ministero, come possono le mie parole suscitare discussione? E per vero io temo che ricevendo il gregge di Cristo prosperoso e ben nutrito, e facendolo deperire con la mia inettitudine, non ecciti contro di me quel Dio che tanto l’amò, fino a dare se stesso per la sua salvezza e per il suo riscatto".

"Tu scherzi dicendo tali cose, mi disse, ché se fai sul serio non so come avresti potuto in altro modo dimostrare la giustezza delle mie ansietà, meglio che con queste parole, con le quali tentavi di rimuovere la mia trepidazione. Già prima convinto che tu m’avevi ingannato e tradito, ora che t’accingesti a scagionarti dalle accuse, io comprendo ancor meglio in quale abisso di sciagure m’hai gettato. Ché se tu ti sottraesti da questo ministero perché conoscevi l’insufficienza delle tue forze a sopportarne il peso, io per il primo dovevo esserne allontanato, anche se per caso me ne avesse preso gran desiderio; oltre di che io avevo pur rimesso a te ogni divisamento riguardo a queste cose. Ora invece, solo curandoti de’ fatti tuoi trascurasti la mia sorte; e almeno l’avessi proprio trascurata, ché mi sarebbe stato caro: ma invece sei ricorso all’insidia per rendermi facile preda di coloro che m’avevano appostato.

Né puoi ricorrere al pretesto che la fama circolante fra i più ti trasse in inganno e ti fece concepire una grande e mirabile opinione di me; io non sono del numero di quelli che destano meraviglia e attirano l’attenzione; né, se anche ciò fosse, è da preporre l’opinione del volgo alla realtà delle cose. Se io non t’avessi fornito mai l’esperienza della mia compagnia, pare che un ragionevole pretesto l’avresti avuto per giudicare a norma dell’opinione comune; ma dal momento che nessun altro conosce siffattamente le cose mie, ma a te è nota l’anima mia più ancora che a quelli che mi hanno generato e allevato, quale ragione tanto persuasiva potresti addurre per convincere chi t’ascolta, che contro tua intenzione mi hai spinto a questo cimento? Ma lasciamo ora da parte ciò; non voglio per questi fatti sottoporti a rigoroso giudizio. Dimmi ormai: che cosa risponderemo ai nostri accusatori?".

"Per certo, risposi io, non verrò a quest’argomento, fino a che non avrò terminato quanto riguarda te, anche se mille e mille volte mi richiedessi di purgarmi dalle altre accuse. Tu dicesti che l’ignoranza mi otterrebbe perdono e mi assolverebbe da ogni accusa, se non conoscendo i fatti tuoi t’avessi spinto nella tua presente condizione, e che ogni giusto pretesto e ogni legittima difesa mi è interdetta, avendoti tradito, non già perché fossi al buio delle cose tue, ma essendone pienamente edotto. Io dico invece affatto il contrario: e perché? perché simili faccende richiedono lunga ricerca, e chi intende proporre un candidato degno del sacerdozio, non deve appagarsi unicamente dell’opinione del volgo, ma insieme deve egli stesso, più di tutto e prima di tutto, investigare la vita di quello. E per vero, il beato Paolo dicendo: "Fa d’uopo ancora che egli sia in buona riputazione presso gli estranei" (1Tim. 3,7), non esclude l’indagine diligente e minuziosa né propone il criterio della buona fama come indizio capitale nel giudicare dell’idoneità di tali candidati. Infatti dopo aver discorso di molte cose, alla fine aggiunge questa norma, per mostrare che non di essa sola conviene appagarsi in tali scelte, ma questa si deve adottare insieme alle altre.
 
Non raramente avviene che la comune opinione s’inganni; ma con la scorta d’una diligente indagine, non v’è più a temere da quella alcun pericolo. Perciò dopo gli altri indizi pone anche quello della altrui opinione; non dice infatti semplicemente: "Fa d’uopo che egli sia in buona riputazione", ma aggiunge quell’anche presso gli estranei, volendo mostrare che prima d’affidarsi all’opinione di quei di fuori, bisogna diligentemente esaminarlo. Poiché dunque io conoscevo i fatti tuoi meglio dei tuoi parenti, come tu stesso ammettesti, sarebbe giusto che io fossi sciolto da ogni accusa.

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