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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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14/09/2009 08:27

c) Virtù richieste dal sacerdozio. Il candidato al sacerdozio deve temere la dignità

V. Nessuno amò Cristo più di Paolo, nessuno mostrò maggior zelo, nessuno fu donato di maggior grazia; ma pur con tutto questo, teme ancora e trema per questa potestà e per coloro sui quali la esercita. "Io temo, dice, che come il serpente con la sua malizia ingannò Eva, così i vostri pensieri degenerino dalla semplicità che é in Cristo" (2Cor.11,3). Ed ancora: "Fui in gran timore e trepidazione per voi" (1Cor. 2,3): un uomo che fu rapito al terzo cielo e messo a parte degli arcani di Dio, e che sopportò tante e tali fatiche quanti furono i giorni di sua vita dopo la conversione; un uomo che non volle neppur fare uso del potere conferitogli da Cristo, affinché non fosse scandalizzato qualcuno dei fedeli. Se adunque colui che superò i comandamenti di Dio, né minimamente cercò il suo interesse, ma quello dei sudditi, era sempre in tanto timore riguardando la grandezza della dignità, quale sicurezza avremo noi, che sovente cerchiamo la comodità nostra, che non solo non superiamo i precetti di Cristo, ma in gran parte li trasgrediamo? "Chi cade infermo, dice, e io non cado infermo? chi si scandalizza e io non ne ardo?" (2Cor. 11,29).

Tale dev’essere il sacerdote; o piuttosto, non solo tale; queste cose sono piccole e da nulla rispetto a quanto sono per dire; che è ciò? "Ho supplicato, dice, d’essere riprovato da Cristo, per i miei fratelli, miei congiunti secondo la carne" (Rom. 9,3). Se alcuno pub lanciare questo grido; se alcuno ha l’anima che arriva fino a questa preghiera, quegli si dovrebbe rampognare se fuggisse; ma chi è lungi da quella virtù quanto lo sono io, sarebbe degno di detestazione non quando fuggisse, ma quando accettasse. Che se si trattasse d’eleggere ad una dignità militare, e quelli cui spetta conferirla, tirato in mezzo un fabbro od un ciabattino o altro simile artefice, gli affidassero l’esercito, io non loderei per certo quel miserabile, qualora non ricusasse e non facesse di tutto per evitare di gettarsi in un male palese. Ché se bastasse l’esser chiamato pastore e disimpegnare l’ufficio in qualunque modo, né pericolo alcuno vi fosse, mi accusi pur chi vuole di vanagloria; ma se colui che si sobbarca a questa cura abbisogna di grande prudenza, e prima della prudenza, di copiosa grazia di Dio, rettitudine di costumi, purezza di vita e una virtù più grande dell’umana, non mi negherai venia, se non ho voluto vanamente e senza motivo darmi a rovina. Se uno, tratta innanzi una nave da trasporto piena di remiganti e di preziosi carichi, fattomi sedere al timone mi ordinasse di traghettare il mar Egeo o il Tirreno, mi ritrarrei alla prima voce: e se alcuno chiedesse: "Perché?" risponderei: "Per non mandare a fondo la nave".

Or poi, se là dove il danno è nelle sostanze ed il pericolo riguarda la morte corporale, niuno farà rimprovero a chi adoperi grande previdenza; dove invece i naufraghi sono in procinto di cadere non in questo pelago, ma nell’abisso del fuoco, e li aspetta non la morte che divide l’anima dal corpo, ma quella che l’anima insieme col corpo dà in preda alla punizione eterna, mi detesterete e vi adirerete perché io non mi gettai a precipizio in un tanto male? no, ve ne prego e vi scongiuro. Conosco l’anima mia, inferma com’è e piccina; conosco la grandezza di quel ministero e la gran difficoltà dell’ufficio; poiché le onde che sbattono l’anima del sacerdote sono più impetuose dei venti che sconvolgono il mare.

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