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"Il cardinal Martini è un sovversivo"

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2010 23:21
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12/04/2010 20:55


Il Collegio Cardinalizio

Cenni biografici

[Aggiornamento: 20.02.2010]


Elenco dei Cardinali ultraottantenni


MACHARSKI Franciszek [Inglese, Italiano]
MARCHISANO Francesco [Inglese, Italiano]
MARTÍNEZ SOMALO Eduardo [Inglese, Italiano]
MARTINI Carlo Maria, S.I. [Inglese, Italiano]
MAYER Paul Augustin, O.S.B. [Inglese, Italiano]
MEDINA ESTÉVEZ Jorge Arturo [Inglese, Italiano]
MEJÍA Jorge María [Inglese, Italiano]

Dunque è anche cardinale




[Modificato da martinicm 12/04/2010 20:56]
12/04/2010 21:06

Ma leggi o cosa?

Riconosco che le suore sono utilissime nell’ambito parrocchiale e meritano un maggior riconoscimento, ma ciò non vuol dire che esse possano sostituire in tutto i presbiteri. Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II.

Appunto per ribadire il concetto, ma se non dici qualcosa contro di lui, anche quando conferma la prassi non si contento.

Ma appunto cosa ci si può trovare di buono in un becero eretico progressista?
12/04/2010 21:12

Re:
S_Daniele, 12/04/2010 10.25:

Dimenticavo questa chicca:


Gli scismatici graziati da Benedetto XVI equiparano il leader mondiale dell’episcopato progressista al teologo dissidente Hans Kung



Grazie per aver confermato quanto dico da sempre, sic!!!




ma questo lo fanno gli scismatici graziati

ma poi da quando progressista è sinonimo di eretico o di scismatico?

12/04/2010 21:19

Ma poi lui quando si presenta dice di essere il leader mondiale dell'episcopato progressista? O è un'appellativo che gli ha "appioppato" l'opinione pubblica?
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Re:
martinicm, 12/04/2010 20.37:

Il Vescovo emerito è un vescovo che ha occupato la cattedra di una diocesi, o ha ricoperto il ruolo di presidente di una Commissione o una Congregazione, e che si è ritirato, perché trasferito ad altri incarichi, per motivi di salute o per raggiunti limiti di età.

A norma del codice di diritto canonico, tutti i vescovi devono presentare le dimissioni dal proprio incarico, una volta compiuto il settantacinquesimo anno di età, al papa; sta a lui accettarle o rifiutarle; solitamente il Papa le rifiuta in un primo momento, nominando nel frattempo un successore per l'incarico vacante.

Nel caso in cui sia stato pastore di una diocesi, pur non esercitando più il suo compito, il vescovo conserva il titolo di quella diocesi, con l'appellativo di emerito.

Dunque vescovo!




No dunque ha solo il titolo poichè non esercità più l'episcopato, dunque nella sostanza è solo un eccellente pensionato...


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Re:
martinicm, 12/04/2010 20.55:


Il Collegio Cardinalizio

Cenni biografici

[Aggiornamento: 20.02.2010]


Elenco dei Cardinali ultraottantenni


MACHARSKI Franciszek [Inglese, Italiano]
MARCHISANO Francesco [Inglese, Italiano]
MARTÍNEZ SOMALO Eduardo [Inglese, Italiano]
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Dunque è anche cardinale








Sono simili ai senatori a vita, con la differenza che i primi esercitano in parlamento il loro voto, i secondi non esercitano nulla, hanno solo un titolo ma nella sostanza non sono Cardinali.
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Re:
martinicm, 12/04/2010 21.06:

Ma leggi o cosa?

Riconosco che le suore sono utilissime nell’ambito parrocchiale e meritano un maggior riconoscimento, ma ciò non vuol dire che esse possano sostituire in tutto i presbiteri. Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II.

Appunto per ribadire il concetto, ma se non dici qualcosa contro di lui, anche quando conferma la prassi non si contento.

Ma appunto cosa ci si può trovare di buono in un becero eretico progressista?




Quello che non sà leggere sei tu, Martini dice solo mezza verità poichè Giovanni Paolo II non ha "ancora" escluso, ma ha definitivamente escluso, se tu non riesci a cogliere la differenza non sono problemi miei.
Nel primo caso, infatti, le persone che leggono traggono conclusioni differenti poichè si trasmette nella mente di costoro che la chiusura non è definitiva come nel secondo caso, ma è solo attuale e che nulla toglie ad un possibile cambiamento in futuro, tutto ciò non vuol dire che è il pensiero di Martini, non ho sostenuto questo, ho sostenuto che poteva, e doveva, essere più chiaro.
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Re: Re:
martinicm, 12/04/2010 21.12:




ma questo lo fanno gli scismatici graziati

ma poi da quando progressista è sinonimo di eretico o di scismatico?





E da quando progressista è sinonimo di ortodossia?
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Re:
martinicm, 12/04/2010 21.19:

Ma poi lui quando si presenta dice di essere il leader mondiale dell'episcopato progressista? O è un'appellativo che gli ha "appioppato" l'opinione pubblica?




Vox populi vox Dei.
Nulla nasce per caso, se Martini, come nell'artico, viene definito tale dai mass media e da buona parte dei cattolici, evidentemente qualcosa di vero c'è.
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13/04/2010 06:57

Mi chiedevo il perchè di questa tua "crociata" pro Martini quando da parte nostra non c'è alcuna crociata contro Martini.
Personalmente non ho mai criticato il Martini tout court ma solo quei pensieri chiaramente in rottura con il Magistero di sempre.
Se è per questo ho criticato anche, più duramente del Martini, il Cardinale Kasper, il priore di Bose, Bruno Forte e tanti altri che adesso non ricordo, stranamente tu difendi solo coloro che appartengono alla Curia Milanese, dunque dimostri partitocrazia, non difendi la dottrina ma gli uomini, naturalmente ambrosiani, io invece me ne frego se siano ambrosiani o meno, infatti non rare volte ho criticato i vescovi siciliani in primis quello di Agrigento.
Certo, tu dici che non condividi tutti i pensieri del Martini, ma sta di fatto che ancora non leggo alcuna tua critica a un sol pensiero del Martini, lo difendi a spada tratta, il chè ti fa onore, ma non farmi scendere a una pura disputa ad personam con te sul Martini poichè non giova ne a me ne a te.
[Modificato da S_Daniele 13/04/2010 06:59]
13/04/2010 20:20

Martini dice solo mezza verità poichè Giovanni Paolo II non ha "ancora" escluso

il non ha ancora lo leggi solo tu

Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II.

l'ancora ultimamente è per ribadire il concetto

Martini dice in definitiva che le donne sono escluse dal sacerdozio, ma non dal servizio alla Chiesa, e questo è stato ancora una volta ribadito anche da GP II
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13/04/2010 20:33

Re:
martinicm, 13/04/2010 20.20:

Martini dice solo mezza verità poichè Giovanni Paolo II non ha "ancora" escluso

il non ha ancora lo leggi solo tu




Vedi che quel "II" non è un "il" ma un 2 dato che è dopo il nome del Papa che per l'appunto si chiama Giovanni Paolo II, e poi sarei io a leggere male.
Poi copiata così mi fai dire cose che non ho detto, infatti molto onestamente hai tagliato la mia frase, che non suonava così.
Infatti io ho detto: "poichè Giovanni Paolo II non ha "ancora" escluso, ma ha definitivamente escluso"
L'ancora non riguardava il non aver escluso, ma riprendendo la frase del Martini ribadivo che il Papa ha chiuso definitivamente e non come una conferma non definitoria.


Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II.



La risposta corretta sarebbe stata: Il sacerdozio delle donne è stato definitivamente escluso da Papa Giovanni Paolo II.


l'ancora ultimamente è per ribadire il concetto



Ma non da una risposta definitiva.


Martini dice in definitiva che le donne sono escluse dal sacerdozio, ma non dal servizio alla Chiesa, e questo è stato ancora una volta ribadito anche da GP II



Il problema non sta nel ribadire ma nel fatto che adesso, dopo quel documento del Papa, si è chiusa la questione poichè quel documento è di natura definitiva e ricoperto dall'infallibilità del Magistero Ordinario Universale della Chiesa.
Dire escluso definitivamente e dire ribadita la sue esclusione suggerisce nella mente degli ignoranti che la prima proposizione non lascia alcuna possibilità di rivedute, mentre la seconda lascia uno spiraglio per un futuro prossimo.


[Modificato da S_Daniele 13/04/2010 20:40]
14/04/2010 10:17

giocare sulle parole per sostenere che qualcuno dice quello che non dice è scorretto

ribadisco che quella frase era rafforzativa del concetto lo ribadiva e quindi la risposta rimandava a una cosa definitiva

il e non II

perche si riferiva al non ha "ancora" escluso mentre Martini dice Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II. dice ancora e non non ancora lo ha ribadito lo ha confermato e non il contrario
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14/04/2010 11:04

Re:
martinicm, 14/04/2010 10.17:

giocare sulle parole per sostenere che qualcuno dice quello che non dice è scorretto

ribadisco che quella frase era rafforzativa del concetto lo ribadiva e quindi la risposta rimandava a una cosa definitiva

il e non II

perche si riferiva al non ha "ancora" escluso mentre Martini dice Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II. dice ancora e non non ancora lo ha ribadito lo ha confermato e non il contrario




Qui l'unico che gioca con le parole in maniera scorretta sei tu, tant'è che per portare acqua al tuo mulino tagli le mie frasi in due dando un senso diverso a ciò che ho detto.
Per il resto, confermi ancora una volta di non aver capito un acca di ciò che ho scritto, il chè mi fa dedurre due cose; o leggi con pregiudizi, oppure non riesci proprio a comprendere.... Spero per la prima.
14/04/2010 18:49

Per il resto, confermi ancora una volta di non aver capito un acca di ciò che ho scritto, il chè mi fa dedurre due cose; o leggi con pregiudizi, oppure non riesci proprio a comprendere.... Spero per la prima.

la seconda ma non sono il solo
14/04/2010 18:59

Quello che non sà leggere sei tu, Martini dice solo mezza verità poichè Giovanni Paolo II non ha "ancora" escluso, ma ha definitivamente escluso, se tu non riesci a cogliere la differenza non sono problemi miei.

Il sacerdozio delle donne è stato escluso ancora ultimamente da Papa Giovanni Paolo II.


dunque ribadisco il non ce lo hai aggiunto tu, io taglio lefrasi ma tu aggiungi parole

ma il tutto è per ribadire e specificare che il paragone che i lefebvriani erroneamente e ingiustamente paragonano Martin a Kung, ma forse non sei contrario a questa definizione, anzi l'appoggi.

«Martini è un sovversivo che ha avuto successo nella gerarchia ecclesiastica e, come Kung, è un ottuagenario contrario alla Chiesa che ha promesse d’eternità».

Comunque visto che non ci intendiamo, lungi da me leggere in modo pregiudizievole e soprattutto pensare che lo faccia tu, chiudiamo definitivamente il discorso.
15/04/2010 15:23

Trovo utile leggere qto articolo di dieci anni fa di Sandro Magister e fa una certa impressione, devo dire....
So che arrivo in ritardo rispetto alla vostra discussione perche' " mi sto svegliando" da poco su qti temi del progressismo e conservatorismo nella Chiesa Cattolica Romana ma devo dire con un certo dispiacere ,perche' il cardinal Martini era mio pastore,che l'apertura mentale di Martini su certi temi mi lasciano perplessa...vedasi i sette punti elencati da Magister sul pensiero progressista di Martini.
Leggo anche che viene considerato dai piu' come il leader del progressismo ,anche se lui certamente ne sorridera' di qta definizione....
Io mi chiedo c'è differenza tra il pensiero di Martini e quello dei protestanti qdo dice che cattolico e' una definizione umana e qdi limitata di Dio...


Leggete e poi mi dite.
Capacita' di pensare significa andare fino in fondo alla verita' .Senz'altro ha tanti pregi qto sacerdote ,tuttavia nn si puo' negare che il suo pensiero scuote un po' le fondamenta della Chiesa Cattolica.....
proprio per il fatto di aver contestato la definizione di Dio ....come Cattolico....che sappiamo che significa Universale....


L'ESPRESSO



17 febbraio 2000

di Sandro Magister

CONSERVATORI CONTRO PROGRESSISTI

Vade retro, Concilio
Prelati in campo contro l'idea di una terza assise, lanciata dall'arcivescovo di Milano

Il terzo e ultimo dei consessi di studio convocati in Vaticano da Giovanni Paolo II a corredo del Giubileo è in arrivo per il 27 e 28 febbraio. Il primo il papa l'ha indetto sulle persecuzioni degli ebrei, e ha chiesto perdono al mondo per le colpe della Chiesa. Il secondo sui roghi dell'inquisizione, e anche qui con tanto di mea culpa. E il terzo? Sulle crociate? Sulla tratta degli schiavi? Macché. Sul Concilio Vaticano II. Qui almeno la Chiesa non dovrebbe avere proprio niente di cui chieder perdono. Una bella assise celebrativa e via.
Invece è vero l'opposto. In Vaticano è vigilia tesissima. Le relazioni maggiori le terranno i cardinali Joseph Ratzinger e Roger Etchegaray, i vescovi teologi Rino Fisichella e Angelo Scola e il gesuita Albert Vanhoye. Tutte a tema ben delimitato: una verifica dell'attuazione dei documenti conciliari, che cosa è stato fatto e che cosa no. Stop. Vietato discutere su che cosa è stato il Concilio come evento in sé, non solo come produttore di testi. Vietatissimo contrapporre alla "lettera" dei documenti lo "spirito" della grande assise convocata da Giovanni XXIII. Quegli storici che proprio su questo hanno più studiato e scritto non avranno la parola in congresso. Non uno solo, in particolare, della scuola di Bologna guidata da Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, discepoli di don Giuseppe Dossetti, che sta pubblicando l'imponente "Storia del Concilio Vaticano II" edita in Italia dal Mulino.

Eppure all'apparire del primo volume dell'opera, nel 1995, Alberigo e Melloni furono benignamente ricevuti dal papa. Il secondo volume lo raccomandò in pubblico il cardinale Pio Laghi e l'ultimo l'arcivescovo Walter Kasper. Ma tutto questo non vale più. L'aria gelata che tira oggi in Vaticano l'ha fatta sentire "L'Osservatore Romano" all'inizio di questo mese, con un paginone intero di implacabile stroncatura dell'opera, firmata da un oscuro funzionario della segreteria di Stato, Agostino Marchetto. E il giorno dopo con un corsivo al veleno dello stesso Marchetto contro Melloni. Accusato di pretendere dalla Chiesa un nuovo Concilio.

Basta infatti la sola parola Concilio, oggi, a mettere in allarme massimo il vertice della Chiesa, nella sua ala conservatrice. Da quando il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e leader mondiale dei progressisti, ha lanciato per primo l'idea di un nuovo Concilio e ne ha fissato gli argomenti, per i conservatori non c'è più pace. Martini il suo intervento bomba lo fece il 7 ottobre scorso nel mezzo del sinodo dei vescovi d'Europa, presente Giovanni Paolo II. E tutti i presenti lo lessero come un attacco al sistema monarchico che governa la Chiesa, concentrato nel papa. A questo sistema Martini contrappose l'idea di un governo collegiale, di papa e vescovi insieme. Capace di decidere anche sui «punti caldi» fin qui avocati dal papa alla propria delibera solitaria.

E di punti caldi Martini ne elencò sette, con linguaggio tecnico ma trasparentissimo:
l'ordinazione al sacerdozio di uomini sposati;
l'ordinazione delle donne al diaconato, almeno;
la guida delle comunità senza sacerdote affidata ai laici;
la revisione della condanna dei contraccettivi e dell'amore omosessuale;
la revisione della scomunica di fatto inflitta ai divorziati risposati;
il ripensamento del modo di amministrare il sacramento della penitenza;
il come far pace con le Chiese non cattoliche e con le democrazie laiche.

Sono i punti, i primi sei, su cui Giovanni Paolo II ha personalmente deciso con altrettanti chiarissimi "no". E anche sul settimo punto egli ha proceduto di sua volontà, senza attivare alcuna delibera collegiale.

Al termine del sinodo il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Genova e primo dei papabili, garantì: «L'intervento del cardinal Martini non ha avuto nessuna eco nell'aula». Esatto.
Ma nei corridoi se n'era parlato eccome. I conservatori sanno che la proposta di un nuovo Concilio, una volta lanciata autorevolmente, prima o poi va a segno. Per questo il loro obiettivo è che se ne parli il meno possibile. Anzi, niente del tutto.

Ma chi li fa tacere, i progressisti? Dopo Martini, altri ne sono entrati in campo, e di gran peso. L'americano John Raphael Quinn, arcivescovo di San Francisco dal 1977 al 1995 ed ex presidente dei vescovi degli Stati Uniti, ha regalato a Giovanni Paolo II la prima copia d'un suo libro intitolato proprio così: "La riforma del papato".
Criticissimo del centralismo papalino e curiale e fautore entusiasta del modello collegiale di governo della Chiesa.
Il maestro generale dei domenicani, l'in-glese Timothy Radcliffe, ha anche lui attaccato aspramente il centralismo dei poteri. «Perché la nostra autorità sia convincente», ha detto, «dobbiamo piuttosto condividere il cammino delle persone, a cominciare dalle donne, dai divorziati, da coloro che hanno abortito, dagli omosessuali».

L'arcivescovo di Bordeaux, cardinale Pierre Eyt, ha contestato in pubblico nientemeno che il cardinale Ratzinger, la testa più fine del fronte conservatore. Gli ha obiettato che predicare la sola verità non basta. Le istituzioni della Chiesa sono altrettanto importanti. E vanno riformate in chiave non autoritaria.

E l'arcivescovo di Magonza, Karl Lehmann, presidente dell'episcopato tedesco, s'è scagliato anche lui contro la curia accentratrice, che arriva fino a tener prigioniero il papa. Non solo. Lehmann ha legato esplicitamente la riforma della Chiesa in senso conciliare alla successione a Giovanni Paolo II.
Di fronte a questa offensiva ben congegnata, i conservatori ricordano con terrore che anche al Concilio Vaticano II andò così: i progressisti partirono in minoranza, ma seppero fissare sin dall'inizio l'agenda dell'assise, e grazie a questo ribaltare tutto e vincere. Anche oggi sono pochi di numero. Martini sa di non essere papabile e ha ripetuto, domenica 6 febbraio, che il suo sogno di ritirarsi a Gerusalemme a studiare e pregare «è ormai vicino a realizzarsi».

Lehmann e Quinn, non cardinali, neppure entreranno in conclave. Radcliffe ha già perso la corsa per succedere al cardinale Basil Hume come arcivescovo di Westminster. E Hume, un altro che la pensava come Martini sul modo di riformare la Chiesa, è morto lo scorso giugno. Ma è difficile, anzi, impossibile che i conservatori riescano a eludere la sfida. Papa Giovanni Paolo II non li aiuta: è figura troppo irripetibile per essere presa a modello. Ratzinger li disorienta: troppo alta è la sua visione. Il prossimo papa sarà scel-to tra loro, i conservatori. Intanto, però, l'agenda futura l'hanno già scritta i rivali.
[Modificato da Vilucchio. 15/04/2010 15:33]
15/04/2010 15:41

Dio non è cattolico, parola di cardinale

Carlo Maria Martini pubblica un libro "sul rischio della fede" e invita a diffidare delle definizioni dottrinali, perché Dio "è al di là". Ma così il rischio è che svaniscano gli articoli del Credo, obietta il professor Pietro De Marco. E spiega perché

di Sandro Magister



ROMA, 12 novembre 2008 – L'ultimo libro del cardinale Carlo Maria Martini uscito in Italia, come già qualche mese fa in Germania e ora anche in Spagna, ha subito conquistato l'alta classifica dei più venduti. È intitolato "Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede", ed è in forma di intervista, col gesuita tedesco Georg Sporschill.

Le volte in cui Benedetto XVI ha parlato in pubblico del cardinale Martini – famoso biblista e arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002 – lo ha sempre elogiato come "un vero maestro della 'lectio divina', che aiuta ad entrare nel vivo della Sacra Scrittura".

In questo suo libro, però, il cardinale non appare altrettanto magnanimo, nel giudicare gli atti di governo e di magistero degli ultimi papi, da Paolo VI in poi.

In un precedente servizio, www.chiesa ha già riferito dell'attacco frontale portato da Martini contro l'enciclica "Humanae Vitae".

Ma nel libro c'è di più. C'è una ricorrente accusa alla Chiesa di "involuzione". Mentre all'opposto Martini reclama una Chiesa "coraggiosa" e "aperta", come dicono i titoli di due capitoli del libro.

C'è soprattutto una descrizione di Gesù legata a un'ideale di giustizia molto terreno. La distanza tra questo Gesù e il "Gesù di Nazaret" del libro di Benedetto XVI è impressionante.

Il quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", nel dare notizia del libro di Martini in occasione del suo lancio alla Fiera del Libro di Francoforte, il 17 ottobre, ha scritto che "molte delle considerazioni ivi espresse, comprensibilmente, faranno discutere".

Ma non ha aggiunto altro. "Avvenire" non ha sinora recensito il libro e nessuno si aspetta che lo farà in futuro. Silenzio assoluto anche a "L'Osservatore Romano".

In privato, ai gradi alti della gerarchia, le critiche all'autore del libro sono severe e preoccupate. Ma in pubblico la regola è di tacere. Il timore è che contestare pubblicamente le tesi di questo libro aggiunga danno a danno.

Ma qual è, più analiticamente, il "rischio della fede" che il cardinale Martini evoca?

Pietro De Marco, professore all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale, lo porta alla luce e lo sottopone a critica nel commento che segue.

Per De Marco il messaggio del cardinale appare "reticente quanto a completezza della confessione di fede". C'è in esso molta frequentazione delle Sacre Scritture, ma gli articoli del Credo "vivono in sordina come fosse superfluo menzionarli".

Un'evanescenza dei fondamenti della dottrina che ha contrassegnato non solo il percorso di un grande leader di Chiesa come Martini, ma larga parte della Chiesa cattolica degli ultimi decenni.


Osservazioni sulle "conversazioni notturne" di Carlo Maria Martini e Georg Sporschill

di Pietro De Marco


La forma di questo libro, una ben costruita intervista scandita in capitoli introdotti da brevi testi, spesso domande, di "giovani", ne fa un testimone importante della mente del cardinale Carlo Maria Martini. E di quanti lo seguono dentro e fuori i confini ecclesiali.

Del libro sottolineerò quello che non mi sento di approvare e specialmente quella che mi appare l'intima contraddizione, una contraddizione che segna forse l’intera vicenda pubblica del gesuita, già arcivescovo di Milano. Ma rendo omaggio, anche filiale, alla personalità grande che si rivela, ancora una volta, in queste pagine, scritte assieme a Georg Sporschill, anch’egli un religioso della Compagnia di Gesù.

Parto dalla risposta del cardinale alla domanda: "come dovrebbe essere oggi l’educazione religiosa?" (p.19). Che equivale a: come educare qualcuno a essere un "buon cristiano"? Il cardinale aveva poco prima detto: un buon cristiano si distingue "perché crede in Dio, ha fiducia, conosce Cristo, impara a conoscerlo sempre meglio e lo ascolta".

Nello stile del libro, che sembra risolvere tutto nella dimensione quotidiana, nella verità dei "mondi vitali", Martini inizia con l'evocare scene familiari e "semplici usanze". Tra queste ultime fa impressione vedere indicati anche il Natale e la Pasqua. Ci tornerò su. L'educazione religiosa proposta dal cardinale è di "ascoltare le domande e le scoperte dei giovani e accettarle", per arrivare al suo fondamento, la Bibbia: "Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi, non consentendoci di cogliere l’ampiezza della visione di Dio" (p.20).

Va certamente apprezzato tale fiducioso e ragionato primato dato alla Scrittura, in anni in cui c'è chi propone nel cristianesimo una “religione della ragione", ovvero una ricerca di Dio che elimina la Bibbia quale coacervo di falsità. Ma quando il cardinale va a spiegare in che cosa si esprime la "ampiezza della visione di Dio" dischiusa dalla Scrittura, la indica in Gesù che si meraviglia della fede dei pagani e accoglie in cielo il ladrone, o in Dio che protegge Caino che ha ucciso il fratello. "Nella Bibbia Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli", prosegue il cardinale. E con ciò slitta nel troppo detto, nel sermone, che prosegue nella risposta alla domanda successiva: "Dobbiamo imparare a vivere la vastità dell’essere cattolico. E dobbiamo imparare a conoscere gli altri. [...] Per proteggere questa immensità non conosco modo migliore che continuare sempre a leggere la Bibbia. [...] Se ascoltiamo Gesù e guardiamo i poveri, gli oppressi, i malati, [...] Dio ci conduce fuori, nell’immensità. Ci insegna a pensare in modo aperto". Si coglie qui un compendio di pensiero che merita un commento.

Intanto, se la fede/fiducia in Dio e la conoscenza/ascolto di Cristo sono l’essenza della condizione cristiana, questa bella formula non può essere usata come già per sé sufficiente. Il solo rimando a un leggere/pensare biblico e ad una "apertura" di cuore resta del tutto indeterminato. L'unica, minima determinatezza nelle parole del cardinale è quella che procede dalla “apertura agli altri” alla Scrittura, per ritrovare in questa quella medesima apertura. Una simile circolarità, per quanto importante, è veramente poco rispetto all’immensità del tesoro scritturistico. Che ne è della conoscenza delle cose divine? Del timore e dell'amor di Dio? Della economia trinitaria? Se la Rivelazione ci trasforma è perché essa implica “infinitamente” di più che un pensare "in modo aperto" alla maniera dei moderni; un "aperto" che si oppone a ciò che Sporschill liquida come "mentalità ristretta".

Questo orizzonte, che tanto piace all’intelligencija laica e cattolica, spiega anche la riduzione che Martini fa delle grandi festività dell’anno liturgico a "semplici usanze". Riduzione forse involontaria, eppure rivelatrice. Quando mai nel pensoso e spesso profondo ragionare del cardinale si intravvedono la "lex orandi" e la pienezza del mistero liturgico? A lui sfugge il legame tra l’immensità del "pensare in modo biblico" e l’immensità del culto cristiano che davvero ci apre a una liturgia cosmica, anche se non siamo né diventiamo per questo degli "spiriti aperti" alla maniera moderna. Non è questione da poco né recente. I cattolici e ancor più gli ortodossi sono in questo su sponde opposte rispetto alle comunità protestanti, alle quali non è bastato, per far fronte alla modernità, il frequentare la Scrittura e "pensare in modo biblico".

Il "vivere la vastità dell’essere cattolico" non si compie neppure nel guardare "i poveri, gli oppressi, i malati". Quello che il cardinale chiama il "rischio" della Chiesa di porsi come un assoluto non mi pare evocato in maniera pertinente. L’assolutezza della incarnazione del Logos nel cosmo e nella storia non è un "rischio" ma è il fondamento di quella "vastità", è ciò che davvero ci fa "aperti".

Senza sottovalutare i "mondi vitali" che il cardinale predilige, è nell’assolutezza che si radicano da sempre universalità e responsabilità cristiane. Solo qualche pensatore laico insiste ancora, specialmente in Italia, sull'equazione tra "pretesa di verità" e "chiusura" intellettuale e morale. Mi preoccupa il passaggio in cui Martini dice: "Gli uomini si allontanano dai [...] dieci comandamenti e si costruiscono una propria religione; questo rischio esiste anche per noi. Non puoi rendere Dio cattolico. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo. Nella vita ne abbiamo bisogno, è ovvio, ma non dobbiamo confonderli con Dio". Mi preoccupa perché è rischiosissima l’idea che una religione positiva sia in sé allontanamento da un fondamento indeterminato che la precede e le è superiore. Anche dal punto di vista della scienza delle religioni non sussiste per sé un religioso indeterminato, comune e primario. Solo le religioni sono religione.

Trovo infelice anche la formula del "Dio cattolico", quasi che le teologie su Dio della "Catholica Ecclesia" rappresentino un’indebita appropriazione e perdita del divino, invece che l’amorosa e gelosa sollecitudine spirituale e gerarchica per quanto è rivelato in Cristo. Certamente Dio è al di là delle nostre definizioni; ma non è "per la vita", cioè per motivi di praticità, che noi stabiliamo delle "definizioni"; infatti è molto più pratico non definire, come preferiscono tanti moderni e postmoderni. La mirabile teologia trinitaria dei concili e le "summae" teologiche sono più e altro che contingenze. Sono monumenti di lode al Dio di Gesù Cristo eretti dalla ragione cristiana. Forse è difficile per l’esegeta moderno, anche cattolico e della generazione di Martini, capirlo.

Tutto il percorso di queste conversazioni notturne nasconde molti passaggi rischiosi. Forse l’antica perizia da rocciatore di Martini li predilige, li cerca. Per restare nel capitolo primo, a p. 18 il cardinale dice: "Gesù si è battuto in nome di Dio perché viviamo secondo giustizia". E a p. 24: "Gesù ha osato intervenire e mostrare che l’amore di Dio deve cambiare il mondo e i suoi conflitti. Per questo ha rischiato la vita, sacrificandola infine sulla croce. La sua abnegazione, però, la vediamo già in precedenza. [...] Credo che questo sia il suo amore, che sento nella comunione, nella preghiera, con i miei amici, nella mia missione". Non ho alcun timore di impopolarità nel dire che questa cristologia di taglio liberazionista sarà anche pastoralmente utile con alcuni giovani aperti al progresso, ma mi appare seriamente lacunosa. È inutile che io ricordi a un grande conoscitore dei testi del Nuovo Testamento quanto sia criticamente infondato, oltre che profondamente riduttivo del significato della Rivelazione, affermare che Gesù "si è battuto in nome di Dio" come uno dei tanti ribelli religiosi, ed è morto sulla croce per cambiare il mondo secondo le contingenti istanze del mondo (pace e giustizia secondo chi e per chi?). Ammettiamo che la lettura che Martini fa di Gesù implichi un antagonismo più spirituale e meno “politico”; non vi scorgo, comunque, quasi niente della tradizione trinitaria e cristologica. Tradizione che innerva invece profondamente il "Gesù di Nazaret" di Joseph Ratzinger, sul quale il padre Sporschill ironizza (“il buon Gesù di Ratzinger”) con scarsa intelligenza.

Inappropriati sul terreno ecclesiologico sono, poi, diversi passaggi del capitolo quinto dedicato all'enciclica di Paolo VI "Humanae vitae", che hanno naturalmente fatto scalpore. Anche il sincero dispiacere che il cardinale mostra per quella che egli considera una disavventura nel pontificato di papa Montini finisce con una coda polemica. Il papa pubblicò l’enciclica "con un solitario senso del dovere e mosso da profonda convinzione personale", dice Martini, marcandone fortemente il volontario isolamento. Ma ci si domanda: di chi Paolo VI poteva fidarsi, fuori di Roma, nel 1968? Di episcopati travolti dalle crisi del postconcilio? O di teologi trasformati in intelligencija ribelle? Appare poco accorto anche lasciar scrivere provocatoriamente a padre Sporschill: "Supponiamo che Benedetto XVI si scusi e ritiri l’enciclica Humanae Vitae". Sbaglia Martini a coprire con la sua autorità la propensione di correnti ecclesiali a "chiedere scusa", naturalmente non dei propri errori ma di quelli della gerarchia: uno sport irresponsabile e senza discernimento.

Anche la metafora dei quarant’anni trascorsi dopo la "Humanae Vitae", da intendere come i quarant’anni di Israele nel deserto (p. 93), è ambigua. Chi avrebbe guidato chi, in questa traversata costellata di infedeltà? Pensa il cardinale Martini, come si pensa negli sparsi focolai della contestazione, che sia il popolo di Dio a guidare alla Terra Promessa una gerarchia resistente al richiamo dello Spirito? O riconosce che è avvenuto il contrario: la profonda conferma della insostituibilità della Chiesa "madre e maestra"? Il coraggio di Paolo VI, fondato nella sua coscienza del ruolo di Pietro, fu enorme e, nella lunga durata della sollecitudine della Chiesa per l’uomo, salutare, come possiamo valutare oggi, dopo decenni di disorientamento e presunzione modernizzante.

Insomma, anche apprezzando in queste pagine tante osservazioni misurate e di grande delicatezza pastorale, trovo nel cardinale una troppo debole consapevolezza di ciò che è in gioco nell'attuale passaggio di civiltà. Prevale in lui l’ascolto delle opinioni, delle preoccupazioni e delle proteste, interne ed esterne alla Chiesa, e una programmatica sintonia con esse, tipica dell'intellettuale. Valga la considerazione, davvero eccessiva, che riserva alle tesi del filosofo tedesco Herbert Schnädelbach in un saggio del 2000 sulle "colpe del cristianesimo".

Trovo rivelatrice anche la risposta di Martini alla domanda se ha mai avuto paura di prendere decisioni sbagliate (p. 64): "Per paura delle decisioni ci si può lasciar sfuggire la vita. Chi ha deciso qualcosa in modo troppo avventato o incauto sarà aiutato da Dio a correggersi. [...] Non mi spaventano tanto le defezioni dalla Chiesa. Mi angustiano, invece, le persone che non pensano. [...] Vorrei individui pensanti. [...] Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti. Chi riflette sarà guidato nel suo cammino. Ho fiducia in questo".

Intravedo in queste formule un metodo talvolta adottato da uomini di Chiesa e in particolare dalla Compagnia di Gesù: attrarre le persone che pensano, non importa se credenti; non smarrirsi per le passate o presenti defezioni dall’istituzione; avere fiducia nella guida e nella correzione di Dio in questo genere di impresa. Questo coraggio spesso appare efficace, anche se non sappiamo cosa ne scaturirà di più profondo e decisivo per la formazione alla fede e per la Chiesa stessa. Ma c'è qualcosa di essenziale che sfugge. Chi giudica delle "persone pensanti"? E pensanti che cosa? Cosa intende esattamente il cardinale, se andiamo oltre le generali e generose formule educative ed entriamo nel cuore dell’istruzione cristiana?

È evidente che quella espressa dal cardinale è stata anche la scommessa di parte della Chiesa nella lunga crisi di uomini e di fede del postconcilio. È evidente anche l’ottimismo che regge una simile pedagogia della provvidenziale realizzazione di sé nella libertà. Così, però, si è sottovalutata e alla fine favorita la falcidie degli uomini dell’istituzione, del clero. Non era difficile, in anni ancora vicini a noi, sentir dire dai pastoralisti che la mancanza di clero è un falso problema ed è anzi una chance per il rinnovamento della trasmissione della fede e per la sua purificazione, naturalmente in senso "non clericale".

L’ottimismo che accompagna la conversazione notturna del cardinale Martini non può essere, dunque, proposto semplicemente alla futura sperimentazione. Ha già segnato pratiche del passato. E i risultati di questo ottimismo sono sotto il giudizio di tutti. Si può sospettare che, dietro il fascino delle formule e il consenso di tanti amici non credenti, tale ottimismo abbia alimentato quell’intima contraddizione di cui il cardinale appare portatore: da un lato una visibilità cristiana dotata di un profilo “aperto”, dall’altro un messaggio reticente quanto a completezza della confessione di fede. Nel suo modello pedagogico, tra frequentazione della Bibbia e confidenza con gli articoli del Credo lo squilibrio è vistoso: uno squilibrio in cui la Tradizione e il Credo vivono in sordina come fosse superfluo menzionarli.

Una contraddizione simile segna paradossalmente anche le pagine di Carlo Maria Martini sugli esercizi spirituali di sant’Ignazio. Essi sono per il cardinale "esercizi pratici e semplici che mantengono vivo l’amore. È un po’ come nella vita familiare [...]. Anche l’amore per Gesù e l’intimità con Dio vivono di una condotta quotidiana. Non riesco ad immaginare la mia vita senza l’acquasanta ecc.". Accolgo queste formule delicate, e alla base di esse la distinzione tra gli esercizi "nella loro forma completa, solo per pochi", e i "numerosi esercizi facili" per tutti (p. 88). Però perché riservare ai semplici la prima settimana, dedicata (dico per semplicità) all’esame di coscienza, e non farli accedere almeno alla seconda? Nel testo italiano del 1555, che traduce la cosiddetta "vulgata", si legge: "La seconda settimana è contemplare il regno di Iesù Christo per similitudine de uno re terreno il quale chiama li suoi soldati alla guerra". L’autografo di Ignazio è più secco: "El llamamiento del rey temporal ayuda a contemplar la vida del rey eternal", ma non muta la sostanza. La regalità di Cristo e la sua chiamata sono forse irrilevanti per il "buon cristiano" e per la sua vita di fede?

Evidentemente per il cardinale Martini non è essenziale, anzi è imbarazzante "considerare Christum vocantem omnes suos sub vexillum suum", salvo forse in una versione tutta spirituale. Ma credo che anche parte della Chiesa abbia troppo offuscato i propri "vexilla" e si sia autolimitata al domestico, sia familiare sia comunitario. Ne hanno sofferto i suoi necessari profili universali e pubblici. Ne ha sofferto la sua stessa dedizione e chiamata alla Verità; poiché se a una famiglia possono bastare la consuetudine privata del Pater Noster e la lettura dei Vangeli o dei Salmi, questo non basta alla fede e alla missione. Né può bastare, penso, alla Compagnia di Gesù, ai suoi uomini, alla sua ragione di vita.

È stato necessario che fosse la cattedra di Pietro a fare attiva e autorevole memoria di tutto questo, negli ultimi decenni.

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15/04/2010 23:18

Questo è un articolo che ho letto stasera  che rende un po' giustizia alla figura del cardinal Martini....al di la' dei suoi pensieri progressisti.
Personalmente qto articolo lo rende piu' vicino e piu' umano.
E' l'ultimo post che metto su Martini...poi credo che sia giusto dare spazio alla riflessione e davvero pregare per tutta la nostra Chiesa cattolica ....son sicura che anche Martini prega per la sua unita'....
15/04/2010 23:21

 
CARLO MARIA MARTINI, il cardinale che si arrischia a pensare

Il Card. Martini dal vero, un credente che pensa e parla in libertà in una Chiesa di conformismi ed autoritarismi

Pubblicato il 14 Agosto 2008

CARLO MARTINI, IL CARDINALE
CHE SI ARRISCHIA A PENSARE

Lola Galán, giornalista di El PaísArt

pubblicato il 13.07.08

Il cardinale Carlo Maria Martini è visto in vasti settori come l'ultima grande voce progressista della chiesa, la controfigura di Joseph Ratzinger, il suo rivale nell'ultima elezione del Papa. A 81 anni, in pensione, malato di Parkinson, continua a dar fastidio. Il suo ultimo libro ha provocato ferite in Vaticano.           

A un libro come quello che ha scritto lui, Martini non avrebbe applicato il suo sbrigativo metodo di lettura. Solo un'occhiata alla copertina, all'introduzione e all'indice, alla ricerca dell'essenziale. «Il cardinale ha detto sempre che ogni libro ha una unica idea. Lui la trova nell’ordinamento sequenziale del componimento».  Lo racconta Gregorio Valerio, un uomo alto e robusto che è stato segretario personale di Carlo Maria Martini nei suoi ultimi anni quando era arcivescovo di Milano. Valerio conserva nella segreteria della sua casa parrocchiale, in un rione milanese semplice, una montagna di libri, ricordi vari e dischi di musica classica regalati a Sua Eminenza. Ma il meglio del cardinale lo conserva nella memoria. Per esempio questo mostruoso metodo di lettura, grazie al quale leggeva a tempo di record molti dei libri che arrivavano giornalmente al palazzo arcivescovile. Andando direttamente a quello che interessa, tralasciando il superfluo. Un metodo che non applicherebbe al suo ultimo libro «Colloqui notturni a Gerusalemme», dato che non contengono un’unica idea. Siamo davanti al testamento spirituale e personale dell'uomo considerato da molti il rappresentante massimo di una Chiesa a profilo liberale, dialogante, che scommette sulla comprensione delle società laiche del secolo XXI e non nello scontro con loro.           

Nei colloqui, redatti da Georg Sporschill, gesuita austriaco di 62 anni, Martini avrà apprezzato pure questo impulso, in greco orgé, come piace dire al cardinale; questa qualità vitale che caratterizza le opere ispirate. La loro pubblicazione in tedesco, ha già sollevato la polvere  che normalmente accompagna le dichiarazioni di Carlo Maria Martini, considerato in molti ambienti della chiesa come la controfigura di Benedetto XVI. Instancabile nella sua ricerca di verità, questo torinese di buona famiglia pare che conservi intatta, a 81 anni, la capacità di scandalizzare, di far fluire le acque dai compartimenti stagni. Senza nemmeno alzare la voce, dicendo cose che si distanziano sempre dal chiacchiericcio ufficiale, dai luoghi comuni, dai binari particolarmente rigidi dell'istituzione a cui appartiene da 56 anni, la Chiesa cattolica apostolica romana.           

«Il cardinale è soltanto un uomo che osa pensare», ha detto il chirurgo Ignazio Marino, che ha avuto con lui un dialogo famoso, pubblicato sul settimanale L’Espresso, nel 2006. In quel dialogo appariva chiaramente lo stile di Martini. Quello di un uomo disposto a ascoltare le ragioni dell'altro, a cercare un punto di consenso, e, soprattutto, a non squalificare. Qui si colloca la sua sofferta accettazione della ricerca sugli ovociti, prima che le cellule che li costituiscono comincino a dividersi. Il suo rifiuto dell'accanimento terapeutico. Martini si sforzò di comprendere il dramma di coloro che praticano l'eutanasia, per evitare sofferenze a un essere caro, pur considerandolo un atto terribile. Davanti a una delle bestie nere della chiesa, l'omosessualità, la sua posizione è perlomeno umana. «Ho tra i miei conoscenti, delle coppie di omosessuali, uomini molto stimati e molto socievoli. Non mi è stato mai domandato, e non l'avrei fatto, di condannarli», dichiara nel suo ultimo libro.

E abbiamo anche una sua critica seria, erudita, per nulla ossequiosa verso il libro ‘Gesù di Nazareth’ pubblicato dal Benedetto XVI l'anno passato. «Un bel libro», dichiara il cardinale, sebbene si veda chiaramente che il suo autore  «non ha studiato direttamente i testi critici del Nuovo Testamento». Oppure il suo rifiuto della messa in latino - «Considero che il Vaticano II è stato un passo avanti nella comprensione della liturgia» - pubblicato in un giornale economico poco dopo il motu proprio del Papa che autorizzava l'antico rito. Martini ha sempre avuto una caratteristica speciale. Nell'ultimo libro, l'ultimo scandalo non fa altro che rinforzare il mito di questo studioso atipico, autore di centinaia di opere erudite, molti di questi sono compendi di esercizi spirituali, omelie e conversazioni. Quello che ha detto il cardinale interessa. 

Chi è realmente Carlo Maria Martini, il grande rivale di Joseph Ratzinger nell’ultimo conclave? Chi è il gesuita che ha rinunciato al suo status di principe della Chiesa quando è andato in pensione, per rifugiarsi in un'austera residenza della compagnia di Gesù, vicino a Roma?Gregorio Valerio, suo fedele segretario, e Sandro, l'autista di una vita, lo hanno accompagnato alla sua nuova abitazione in un giorno di settembre del 2002. Valerio ricorda tutti i dettagli. La casa spartana, un frigorifero vuoto, un sacchetto verde per metterci la roba da lavare. Il segretario ebbe un brivido:  «Il cardinale suda molto, mi preoccupava che non avesse roba disponibile. Quella austerità era qualcosa di tremendo. I gesuiti, sai come sono», disse con un gesto indecifrabile. Per fortuna, ho saputo prima del trasloco che il cardinale – “Padre Martini”, aveva detto uno degli interni  - avrebbe avuto un bagno indipendente. Cose insignificanti per uno che ha abbandonato le comodità della vita e ha scelto l'austerità del mondo dei gesuiti. E, oltre a ciò, Ariccia era dopo tutto un posto di passaggio. Il suo vero destino era Gerusalemme. «Il cardinale era felice lì», ha detto il chirurgo Martino, senatore del PD, di sinistra, che lo ha visitato alcuni anni fa nella città santa per le tre religioni.  «Mi volle incontrare un giorno molto presto per andar al santo sepolcro. È stata una esperienza unica». Marino gira un po' cogli occhi d'intorno e ricorda. «Erano circa le sette di mattina. L'arabo che conserva le chiavi del sepolcro l'aveva appena aperto. La solitudine, il silenzio, davano all'interno un'atmosfera mistica. Martini mi mostrava i resti archeologici con sicurezza impressionant: "questo è storico, questo e quell'altro non lo sappiamo, quell'altro ancora fa parte della leggenda". Che guida!» e dopo, verso le 10.30, come tutti i giorni il cardinale lo portò al distributore di benzina, vicino all'Istituto Biblico, dove si beve il miglior caffè espresso della città. Il sogno di Gerusalemme si è disfatto qualche mese fa. La malattia di Parkinson che lo tormenta progredisce e Martini deve sottomettersi a una cura nella residenza-ospedale che i gesuiti hanno a Gallarate (a circa 30 chilometri da Milano). Un casermone del secolo passato, circondato da un giardino dove il paziente vive la sua vita di routine, senza rinunciare al lavoro. Corregge, quando si sente in forze, le bozze della versione italiana del libro di Sporschill, e procede nell'analisi delle note marginali del codice Vaticano (il manoscritto contiene la versione in greco più antica che si conosca del Nuovo Testamento, a fianco del codice Sinaitico). Potrà ricevere la giornalista? Il cardinale non si trova in forze. Con un gesto che conferma il suo scarso riguardo ai protocolli, Martini telefona personalmente per chiedere scusa. «Sto facendo una cura medica. La mia salute non è buona. Mi dispiace molto dirle che non posso, ma non sto bene». La sua voce suona infinitamente fragile al telefono. Irriconoscibile, impossibile metterla in relazione con quella voce imperiosa, che dava enfasi a ogni parola, dell'arcivescovo di Milano, nell'intervista che concesse a El País mentre riceveva il premio Principe delle Asturie, nel 2000. «Sta imparando a parlare un'altra volta. Lavora con un logopedista», spiega Franco Agnesi, una delle quattro persone con cui Martini ha condiviso la sua vita nella sua tappa di arcivescovo. Agnesi, che lo ha appena visitato a Gallarate, racconta che ha ancora nostalgia di Gerusalemme. «Mi dispiace non stare lì, ma mantiene il senso dello humour. Gli ho citato la frase del Vangelo di San Giovanni, cap. 21: "Quando sarai vecchio ti porteranno dove non vuoi andare"».

Carlo Maria Martini è stato inviato dove non voleva andare, quand'era ancora un uomo di mezza età. La decisione di Giovanni Paolo II di nominarlo arcivescovo di Milano arrivò nel dicembre del 1979 e cadde come una bomba nei palazzi episcopali d'Italia. Chi era quel gesuita studioso di sacre scritture, senza nessuna esperienza pastorale che saliva fino alla cima più alta della gerarchia nazionale? Che cosa sapeva del mondo della curia, degli obblighi professionali di un arcivescovo, lo studioso e timido Martini? In fretta e furia il Papa lo consacrò vescovo subito dopo la nomina, sognata da una buona parte dei vescovi italiani. Lui, il gesuita alto, di portamento aristocratico, timido e riservato, non aspirava alla diocesi di Sant'Ambrogio. Andava bene come rettore dell'Università Gregoriana posto dove stava da poco più di un anno, dopo quasi nove anni come direttore dell'Istituto Biblico di Roma. Lo scarto tra una carica e l'altra e l'altra era stato quasi impercettibile. La Gregoriana e l'Istituto stanno quasi porta a porta, in un angolo relativamente tranquillo del centro storico di Roma. Martini passò da una casa austera a un'altra ugualmente austera. Da una vita di Comunità – con bagni in comune - a un'altra vita in comunità, un gradino più su nella scala accademica ecclesiastica. Stephen  Pirani, gesuita nordamericano che era stato suo alunno e attualmente rettore del biblico, ricorda quanto gli sia dispiaciuto che se ne andasse. «Come professore aveva una grande chiarezza di idee. Era capace di spiegare ammirabilmente una cosa così rara come la critica testuale, la sua specialità». Pirani ha mantenuto il contatto con il cardinale fin dagli anni 70. Martini mai si è allontanato, nemmeno sotto il peso della maggior diocesi d'Europa, dalla sua passione per i manoscritti e papiri biblici. Cambiò città e stili di vita, dopo aver ottenuto il permesso del superiore generale dei gesuiti, Pedro Arrupe. Si istallò nell'ala nobile del palazzo episcopale che s'affaccia sulla via del Duomo. E imparò in fretta. Si accorse subito del ritmo frenetico della città. Della particolarità della sua missione pastorale in tempi violenti. Gli anni di piombo erano alle ultime battute con azioni terribili di terrorismo nero e delle brigate rosse, che gambizzavano uomini d'affari e professori universitari. Condannò il terrorismo, ma non si sottrasse all'ascolto dei terroristi. Celebrò funerali per le vittime e una volta battezzò due gemelli concepiti durante uno di quei processi di massima sicurezza contro i brigatisti Rossi. Martini visitò le prigioni, convinto che là dentro non c'era spazio per "la riabilitazione dei prigionieri"; percorse ospedali e parrocchie. E dal pulpito condannò lo scandalo di tangentopoli, il sistema di corruzione politico-economico che avrebbe finito per minare la vita politica italiana agli inizi degli anni 90. Niente di tutto questo lo distinse dagli altri vescovi. Altre furono le iniziative che hanno motivato l’insorgere del mito Martini. La prima, lettura del Vangelo ai giovani e spazio al silenzio e alla meditazione nelle loro vite. La scuola della parola, come vennero chiamati questi incontri mensili, si sarebbe rivelata un successo. Il Duomo si riempiva di giovani a ogni incontro. Migliaia di giovani si riunivano davanti all'altare per ascoltare testi sacri e meditare un tempo sopra la propria vita. In mezzo alla vita frenetica giornaliera di Milano - che insieme a Torino è il motore economico dell'Italia - Martini predica il silenzio e la pausa. Una seconda iniziativa indovinata del cardinale (Woityla gli concede il berretto nel 1983) avviene nel 1987 e sarà detta "La cattedra dei non credenti". Incontri sporadici con intellettuali laici per dibattere sulle ragioni del dubbio, della fede o della mancanza di fede. Una frase del libro di Ratzinger “Introduzione al cristianesimo", in cui riflette sul “Non credente che esiste in ogni credente", può dare un'idea. Il cardinale si ispira pure all'affermazione del filosofo Norberto Bobbio: "L’importante non è credere ma pensare o non pensare". A partire da qui, la cattedra decolla. Martini dibatte con il semiologo Umberto Eco e con decine di intellettuali in aule universitarie e stanze per conferenze. Molti dei colloqui sono stati pubblicati. Non è casuale che nel 2000, sia Eco  che il cardinale abbiano ricevuto il Nobel spagnolo, il premio Principe delle Asturie. A Martini costò molto accettare questo onore. Normalmente, rifiuta i premi. Si sente oppresso dagli elogi e gli interessano soltanto i commenti critici, dai quali impara di più. Lo dice il suo stesso blasone cardinalizio: «Amare le cose ‘avverse’ per amore della verità», parole tratte dalle regole pastorali di San Gregorio Magno, nonostante che Martini sia, soprattutto, un gesuita. Apprezza il silenzio e le pause nel continuo correre di tutti i giorni. Una regola d’oro che ha mantenuto nei suoi anni di arcivescovo. «Mi proibì di prendere impegni nella sua agenda il giovedì mattina», racconta il suo segretario, Valerio. Se ne andavano in macchina sui monti. Una volta arrivati nel luogo prescelto, ognuno andava per conto suo. Ma col cellulare in tasca. Senza essere un alpinista, Martini conservava dalla sua infanzia il piacere di fare escursioni sulle Alpi. Le lunghe ferie di famiglia si dividevano tra le spiagge della Liguria e le montagne vicino a Torino. Suo padre preferiva le camminate. Quand'era arcivescovo, Martini si arrischiava a scalare cime alpine. Quasi sempre dal lato della Svizzera italiana, per non essere riconosciuto. Dopo, purificato dall'altezza e dalla solitudine, tornava in curia e riprendeva la sua agenda. Gregorio Valerio lo ricorda sempre corretto, incapace di dire una parola cattiva anche alla lontana. È un uomo passionale, ma si controlla. Ci riesce con la forza della volontà e con l'esercizio. Vestiva in clergyman non eccetto che nelle uscite pastorali. Moderato nell'alimentazione, il cardinale seguiva una dieta ferrea, sotto il controllo di uno specialista, almeno alcune settimane all'anno. Motivi di salute o forse il desiderio di purificazione fisica. C'è un lato curioso anche nella personalità dell'intellettuale, biblista di fama internazionale e pensatore ribelle: le sue doti di degustatore di vini. Arrivavano all'arcivescovado molti regali, a volte casse di vino. Io mi fidavo sempre dell'opinione del cardinale. «Quando diceva: "Questo è un eccellente vino da tavola", io sapevo che il vino non valeva niente», conta il suo segretario. Il cardinale passava ore nella sua stanza quasi sempre con la porta aperta. Quando la chiudeva era segno che non voleva essere disturbato. Martini condivideva i pasti (colazione, pranzo e cena) con i suoi collaboratori diretti. Quello che era allora il numero 3 della curia milanese, Franco Agnesi, lo definisce come un uomo con grande senso dello humour, anche se sempre controllato, distante. Un comportamento che molti fedeli interpretavano come insuperabile freddezza. «Quando si congratulava dopo le messe in Duomo, era come una sfinge», racconta un milanese devoto, che non nasconde le sue preferenze per il nuovo arcivescovo, Dionigi Tettamanzi. Martini ha sempre creduto nella forza della ragione, in perfetta armonia con la sua fede. Cose che a Milano gli hanno causato qualche problema. «Il movimento Comunione e Liberazione gli rese la vita abbastanza difficile», disse Agnesi. Era a quel tempo un movimento giovane, molto legato alla destra politica, in una fase di aggressiva espansione. Il cardinale risolse la situazione con il suo autocontrollo abituale. Senza per questo tralasciare di apprezzare due qualità in questi movimenti: da un lato la loro riscoperta di Cristo; dall'altro la loro capacità di stabilire relazioni molto intense dentro al gruppo. Amici e avversari, collaboratori e semplici osservatori, concordano nel considerare Martini un uomo molto riservato. La sua educazione, la sua storia, i colpi della vita avevano fatto di lui una persona quasi impenetrabile.

Secondo di tre fratelli, Carlo Maria Martini era nato il 15 febbraio 1927, a Torino, in una famiglia della borghesia industriale. Leonardo suo padre, era un ingegnere con una fiorente impresa di costruzioni. Sua madre, Olga, era una cattolica straordinariamente devota. Il bambino fu inviato al collegio dei gesuiti, uno dei più prestigiosi della città. E lì nacque la vocazione. «A mio padre non piacque molto l'idea», avrebbe detto Martini più tardi. Aveva forse altri progetti per lui, ma il suo destino era segnato. Sarebbe stato gesuita. I primi anni di formazione coincisero con la seconda guerra mondiale, ma i Martini non attraversarono difficoltà particolari. A 25 anni, Carlo Maria è ordinato sacerdote. Dieci anni dopo la licenza in teologia e filosofia e dopo avere completato la sua formazione di gesuita, occupa la cattedra di critica testuale nell'Istituto Biblico di Roma. Nel 1972, conosce Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, che lo invita a visitare gli specialisti biblici della sua città. Martini fece il viaggio in macchina con il suo fratello maggiore, Francesco. E fu l'ultimo che fecero insieme. Nell'ottobre del 72 suo fratello muore d'infarto cerebrale. In appena diciotto mesi, Martini perde anche i suoi genitori. La famiglia del cardinale si riduce adesso a sua sorella minore, Maria Stefania e ai suoi nipoti Giulia Giovanni. Colpi della vita che lo segnarono, come la malattia. La malattia di Parkinson lo spia  fin dall'inizio del nuovo millennio. Nonostante le iniziali smentite ufficiali, la notizia è di dominio pubblico prima del conclave del 2005. La morte di Giovanni Paolo II in quell’anno offre alla Chiesa una occasione per realizzare, forse, la riforma che molti aspettavano. I seguaci di Martini speravano nelle sue possibilità di essere eletto. «Sarebbe stato peggio», disse il vaticanista del giornale conservatore ‘Il giornale’, Andrea Tornielli. «Martini avrebbe diviso la Chiesa molto più che Ratzinger». Il cardinale si presenta in Roma appoggiato a un bastone. Gli specialisti sanno che il bastone significa "Non sceglietemi, sono malato", nelle metalinguaggio Vaticano. Il giorno seguente, l’omelia di Martini sta sullo giornale La Repubblica e è motivo di chiacchiere nei corridoi vaticani. «Credo che il cardinale sia un po' ingenuo. A volte dice cose senza capire che possono essere utilizzate erroneamente», opina il  Vescovo Vincenzo Paglia, amico personale di Martini. «Non è un uomo di sinistra, anche se si impegnano a trasformarlo in antipapa. Non ha una visione politica, ma evangelica della Chiesa. Certo parla con libertà, ma molte volte è mal interpretato». Non sono soltanto gli amici e collaboratori di una volta concordi nella lamentare una "distorsione" mediatica che ha trasformato il cardinale in un personaggio di sinistra dentro la gerarchia cattolica. Anche coloro che lo osservano da maggiore distanza, come il vaticanista Tornielli, credono che il personaggio Martini è un'invenzione di alcuni giornalisti. «Si impegnano in questo come si sono impegnati nell'affermare che Ratzinger fu eletto all'ultimo conclave grazie e sul suo appoggio. Il che è assolutamente falso». Martini non è un liberale,  crede Tornielli (che si è dato al lavoro di riassumere molti degli interventi del porporato, a suo giudizio contrario a questa aureola, in un libro intitolato "L'elezione di Martini”. «Come un buon gesuita, ha detto e non ha detto», sottolinea il vaticanista. Tornielli non trova, tuttavia, un motivo di scandalo negli ultimi interventi di Martini. Nemmeno nel libro del gesuita Sporschill. Ancora non è stato pubblicato in italiano. Il cardinale è in pensione. Le sue parole non scandalizzano più. Quello che ha detto, lo ha detto perché obbligato a mantenere il suo personaggio, insiste.

Molti seguaci del cardinale liberale aspettano questo testo con ansia. Sanno, dai riassunti pubblicati, che raccoglie o una conversazione senza riserve con Georg Sporschill. I due si erano conosciuti qualche decina d'anni fa, nella città di Vienna. «Il cardinale dava un corso per sacerdoti e lavoratori sociali nelle prigioni», ricorda l'autore. A partire da quel momento è nata l'amicizia. Sporschill ammirava il cardinale e Martini sempre si è interessato al lavoro dell'austriaco, che si occupa di bambini di strada a Bucarest. Così, tra i due, prese corpo l'idea di un incontro fisso sulle grandi questioni della Chiesa e le opinioni più personali del cardinale. «L'ho frequentato a Gerusalemme per tre settimane, in un periodo di vari mesi. Quando stava lì, noi ci vedevamo tutti i giorni, si parlava ore a fila, sempre che la sua salute lo permettesse», precisa Sporschill in una e-mail. Il risultato è un libro non voluminoso ma denso e polemico. Con questo, Martini confessa i dubbi che l'hanno tormentato per anni. La sua difficoltà a capire le ragioni di Dio per far soffrire suo figlio in croce. Già da vescovo, Martini considerava insopportabile, a volte, la contemplazione di un crocifisso. Allo stesso modo non è capace di accettare la morte, finché un giorno ha capito. «Senza la morte noi non ci consegneremmo totalmente a Dio. Resterebbero uscite di emergenza aperte». Il cardinale emerito confessa che ha sognato per anni la possibilità «di una Chiesa povera e umile, indipendente dai poteri del mondo». Ora ha smesso di sognare. Ma anche così, domanda alla Chiesa il coraggio di trasformarsi,  accettare che il mondo cambia. Anche se soltanto per puro formalismo, dovrebbe spalancare le braccia ai preti sposati, valorizzare l'ipotesi dell'ordinazione di donne. Martini riconosce pure che l'enciclica di Paolo VI, la Humanae vitae, con cui il magistero della chiesa condanna l'uso degli anticoncezionali, è superata. Ignazio Marino, chirurgo e il senatore, che considera Martini «una delle grandi personalità del nostro tempo», non è rimasto sorpreso per la sincerità del cardinale, anche se gli dispiace che le sue parole siano quasi sempre pietra di scandalo. «Ha sempre parlato con libertà, ma ama la Chiesa e è enormemente fedele al Papa». È un cardinale di sinistra? «Dire questo sarebbe una semplificazione». Il rettore Pirani teme che l'immagine di Martini sia stata distorta dai giornalisti. «Molte volte abbiamo discusso insieme e gli dà fastidio il fatto che si tenti di contrapporlo al Papa o ad altri cardinali». La cosa è semplice. «In lui si coniuga una grande fedeltà alla Chiesa con la capacità di fare domande». Questo è una opinione condivisa dal vescovo Vincenzo Paglia, che l'ha conosciuto negli anni 70, quando era rettore dell'Istituto Biblico e viveva angustiato per la mancanza di contatto con i poveri. La comunità di Sant’Egidio era allora un'esperienza nuova e Martini era interessato a conoscerla. All'inizio dette una mano per aiutare un vecchio malato che viveva nella miseria, in seguito ampliò il raggio della sua attività pastorale. «Andava a celebrare la messa in un rione povero, il rione alessandrino. Ricordo che celebrava in una vecchia pizzeria, e preparava l'omelia, al sabato, con due ragazzi della comunità», racconta Paglia. Bibbia e fede religiosa sono un tutt'uno in Carlo Maria Martini. Lui stesso ha raccontato delle sue instancabili peregrinazioni per le librerie di Torino, la sua città natale, quando era adolescente, in cerca di un esemplare in italiano dell'antico e Nuovo Testamento tradotti dal greco. La Bibbia che conosce dall’A alla Z, così poco frequente nella formazione dei cattolici, è la vera base della spiritualità di Martini. Per rispondere a qualunque domanda, per risolvere qualunque problema, il cardinale usa a piene mani le scritture. Senza paura di restare solo. «Lui segue la massima di sant'Ignazio: ‘Solo e a piedi», aggiunge Franco Agnesi, il suo antico collaboratore, che dice di sentire nostalgia degli anni passati a fianco del cardinale, al quale chiede ancora consigli. Questo è stato il motivo della sua ultima visita: domandargli che deve fare adesso che gli assegnano un'altra parrocchia. Il cardinale lo ha ascoltato e lo ha consigliato. E è stato capace di dominare la nostalgia quando si parlò, di passaggio, di Gerusalemme, la città dove voleva morire e in cui ha una tomba riservata. Adesso questa possibilità è remota. Lo stesso Martini ha detto «Gerusalemme è un luogo buono per morire, ma un posto brutto per un moribondo»

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