l'actuosa partecipazione (ok tutto risolto)

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enricorns
00sabato 23 gennaio 2010 18:50
se davvero l’actuosa partecipatio è quella di chi, quando in alcuni prefazi, si dice “per Cristo Signore nostro”, risponde meccanicamente “amen”;

se davvero l’actuosa partecipatio è recitare tutti insieme – come all’asilo – la colletta o l’epiclesi, confondendo il sacerdozio ministeriale con quello comune;

se davvero l’actuosa partecipatio è passare dall’altare alla tastiera per animare la celebrazione (come nei villaggi turistici?!);

se davvero l’actuosa partecipatio è quella di chi, durante la liturgia della Parola, sghignazza con il compagno… di banco;

se davvero l’actuosa partecipatio è quella di chi fa a gomitate con l’altro per portare le offerte all’altare;

se davvero l’actuosa partecipatio di chi imposta la voce con un colpetto di tosse per declamare le letture;

se davvero l’actuosa partecipatio è dimenticarci che il Signore è realmente sull’altare e collezionare quante più strette di mano possibile (facendo attenzione a non sederci accanto a chi ci sta antipatico);

se davvero l’actuosa partecipatio è sentire tante parole, le solite parole, con la solita lingua, con i soliti ritmi, le solite chitarre, la solita musica… si cerca Dio, e si trova ancora l’uomo. Il solito uomo.

O, se, forse – ma è un mio modestissimo parere – partecipa più ‘attivamente’ alla Santa Messa:

la vecchietta che medita i misteri dolorosi mentre si rinnova il Sacrifico della Croce;

il bambino che è richiamato dalla campanella all’elevazione, ed è incuriosito da tutte quelle genuflessioni (“forse che sia qualcosa di importante? qualcosa di più un semplice raccontino?”);

Allora "obblighiamo il latino" e  certamente è tutto risolto

((Zacuff))
00sabato 23 gennaio 2010 20:44
non ci ho capitt nu tubb
enricorns
00sabato 23 gennaio 2010 21:21
Beh te lo ripropongo in latino.

Oooopsss non  lo conosco
.
((Zacuff))
00sabato 23 gennaio 2010 21:27
Re:
enricorns, 23/01/2010 21.21:

Beh te lo ripropongo in latino.

Oooopsss non  lo conosco
.




non lo conosci?
impara il latino in inglese allora!


enricorns
00sabato 23 gennaio 2010 21:40
è un'idea ma non conosco neppure quello

che gnurant!
((Zacuff))
00sabato 23 gennaio 2010 21:42
Re: Re:
((Zacuff)), 23/01/2010 21.27:




non lo conosci?
impara il latino in inglese allora!






allora:
ego sum,
tu es,
illi est,
nos ovest nooooo!!! volevo dire nos sumus,
vos estis,
illi sunt.
intanto comincia con questi e vedrai che piano piano
piacerà anche a te la Messa in latino.

Se devo dire il mio parere, c'è che il latino
è una delle più belle lingue del mondo; certe frasi in latino sono
intraducibili in italiano, perdono il loro "effetto" come ebbe a dire l'allora cardinal Lercaro di Bologna riferendosi per es. al Prefazio.
Diceva testualmente che il prefazio (in latino) "è di una bellezza che non si può facilmente tradurre in italiano".
Io dico sempre che raccontare una barzelletta in italiano fa molto meno effetto e quindi fa molto meno ridere che raccontarla nel dialetto del luogo dove si abita.
Ma forse il paragone non fila, ma se si riuscisse con un po di buona volontà a imparare qualcosina del latino, penso che la Messa la parteciperemmo in modo un po migliore....
enricorns
00sabato 23 gennaio 2010 22:31
Guarda che la messa non è uno spettacolo che può piacere o no.

E nemmeno un po' di buona volontà può risovere la questione.

Quello che ho riportato è per far capire che le storture, gli errori i comportamenti errati e superficiali non derivano dall'avere sostituito il latino con la lingua corrente.

Ribadisco non è ripristinando la lingua latina nelle celebrazioni che si risolve il problema.

((Zacuff))
00domenica 24 gennaio 2010 16:52
Non ho detto che la Messa è spettacolo, ci mancherebbe.
Ricordo bene la vecchia Messa cantata in latino per es., non che fosse spettacolo, ma ti aiutava ad elevare la mente a Dio.
enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 17:22
Ricordo bene la vecchia Messa cantata in latino per es., non che fosse spettacolo, ma ti aiutava ad elevare la mente a Dio.

Quella a cui partecipi oggi in lingua corrente no?
S_Daniele
00domenica 24 gennaio 2010 17:57
Re:
enricorns, 23/01/2010 22.31:

Guarda che la messa non è uno spettacolo che può piacere o no.

E nemmeno un po' di buona volontà può risovere la questione.

Quello che ho riportato è per far capire che le storture, gli errori i comportamenti errati e superficiali non derivano dall'avere sostituito il latino con la lingua corrente.

Ribadisco non è ripristinando la lingua latina nelle celebrazioni che si risolve il problema.





Nessuno qui ha mai detto che il ripristinare il latino elimini gli orrori, infatto noi non parliamo di ripristino del latino inteso come solo lingua ma della liturgia latina che esclude categoricamente ogni possibile libertà di chi celebra a inventarsi elementi estranei alla Messa, noi vogliamo il ripristino del sacerdote versum Dei, dell'adorazione e non dei batti mano, dell'eucarestia in bocca e in ginocchio, della preghiera per la conversione degli erranti compresi i Giudei, dell'invocazione all'arcangelo Michele e tante altre cose che sono state escluse il questo messale.
Tu parli come se la differenza tra il V.O. e il N.O. sia solo nell'idioma, ma ti sbagli, sono due Messe completamente differenti, da questo si deduce che nel post concilio abbiamo di fatto due Chiese diverse ma non solo sulla Messa ma su tante cose come l'ecumenismo, la libertà religiosa, il rapporto con il mondo et ecc...
S_Daniele
00domenica 24 gennaio 2010 17:57
Re:
enricorns, 24/01/2010 17.22:

Ricordo bene la vecchia Messa cantata in latino per es., non che fosse spettacolo, ma ti aiutava ad elevare la mente a Dio.

Quella a cui partecipi oggi in lingua corrente no?




Non c'è paragone in tutti i sensi.
enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 19:41
Allora io ho sempre partecipato alla messa sacrilega e fautrice di orrori e a quella voglio continuare a partecipare.
Caterina63
00domenica 24 gennaio 2010 21:57
Re:
enricorns, 23/01/2010 18.50:



Allora "obblighiamo il latino" e  certamente è tutto risolto






Io non so se ci sei o ci fai.....ce la sto mettendo tutta per spiegarti dove si annida il problema, ma tu continui a riderci su....

Tu dimostri di non aver capito ancora la differenza (e non sei il solo) fra la Messa Tridentina e la Messa in latino che il Concilio NON ha mai abrogato e che tutti i Pontefici hanno celebrato e che Benedetto XVI conferma e riporta....

rileggi attentamente la Sacramentum Caritatis il Papa non sta parlando della Messa Tridentina MA DELLA MESSA NOM, QUELLA RIFORMATA CON IL CONCILIO.... e dice di questa:

La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)


RIPETO CIO' CHE CHIEDE IL PAPA
:

in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.

ripetiamo ciò che chiede il Papa DELLA MESSA NOM:

1) in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II

2) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli

3) è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina

4) così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa

5) ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano

6) Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino

7) nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano

8) non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia



Il Papa NON sta imponendo la Messa Tridentina....sta CHIEDENDO CHE IN SINTONIA CON IL CONCILIO SI RITORNI ALLA MESSA RIFORMATA AUTENTICA ED E' QUELLA CHE STA CELEBRANDO LUI.....
STA PARLANDO DELLA MESSA NOM NON DEL VOM....

eh!


enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 22:03
leggi sopra
Caterina63
00domenica 24 gennaio 2010 22:11
Re:
enricorns, 23/01/2010 22.31:


Quello che ho riportato è per far capire che le storture, gli errori i comportamenti errati e superficiali non derivano dall'avere sostituito il latino con la lingua corrente.

Ribadisco non è ripristinando la lingua latina nelle celebrazioni che si risolve il problema.






Tranquillo che non intervengo mai senza aver letto la discussione....se ciò può accadere premetto delle mie scuse per non aver letto tutto....

detto questo anche qui ti sbagli....lo stesso Ratzinger nel libro sullo "spirito della Liturgia" avverte agli errori compiuti nelle traduzioni perfino nelle NORME....non dimenticare che il così detto Messale Paolo VI (la Mesa NOM) è stato corretto ben 5 volte in questi 30 anni....a causa di traduzioni che hanno apportato modifiche illecite e frasi e permessi ambigui....

Non si tratta di concentrare gli errori TUTTI nella lingua, questo è ovvio! ma è ripristinando NON la lingua MA LA MESSA IN LATINO(IL NOM) che riparerà molti abusi compiuti....
tu continui a focalizzare il tutto nella LINGUA dimenticando che la MESSA IN LATINO non è solo un problema di lingua, MA DI RITO, FORMA, CANONE che costituiscono quella Tradizione MAI INTERROTTA.... il Concilio ACCOSTO' la lingua del luogo ALLA E NELLA MESSA IN LATINO, ma NON eliminò mai il latino dalla Messa....

Rileggi quello che chiede il Papa:

1) in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II

2) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli

3) è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina

4) così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa

5) ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano

6) Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino

7) nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano

8) non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia



Il Papa NON sta imponendo la Messa Tridentina....sta CHIEDENDO CHE IN SINTONIA CON IL CONCILIO SI RITORNI ALLA MESSA RIFORMATA AUTENTICA ED E' QUELLA CHE STA CELEBRANDO LUI.....
STA PARLANDO DELLA MESSA NOM NON DEL VOM....

eh!
enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 22:49
Allora io ho sempre partecipato alla messa sacrilega e fautrice di orrori e a quella voglio continuare a partecipare.

allora questo ti è sfuggito

e comunque, ma crdo che tu lo sappia bene

  1. Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.
  2. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22- 2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede apostolica.
  3. La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.

enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 23:03
infatto noi non parliamo di ripristino del latino inteso come solo lingua ma della liturgia latina che esclude categoricamente ogni possibile libertà di chi celebra a inventarsi elementi estranei alla Messa, noi vogliamo il ripristino del sacerdote versum Dei

e appunto, si parte col latino.......
Caterina63
00domenica 24 gennaio 2010 23:20
[SM=g7497] enricorns Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis ti sta DICENDO COME DEVE ESSERE INTERPRETATA LA RICHIESTA E LA VOLONTA' DEL CONCILIO, INFATTI DICE:

1) in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II

VERSO DIO:

in questa foto il Papa sta celebrando IL NOM, LA MESSA DETTA PAOLO VI....in italiano le Letture e le preghiere dei Fedeli e in latino il Canone di Consacrazione.... [SM=g7367]

QUESTA E' LA MESSA NOM!

tu continui a fare battutine e a portare le tue opinioni io ti porto ciò che insegna il Papa....vedi un pò tu!

Buona serata!



enricorns
00domenica 24 gennaio 2010 23:38

33. Benché la sacra liturgia sia principalmente culto della maestà divina, tuttavia presenta anche un grande valore pedagogico per il popolo credente [34]. Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera. Anzi, le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l'assemblea nel ruolo di Cristo, vengono dette a nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti. Infine, i segni visibili di cui la sacra liturgia si serve per significare le realtà invisibili, sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa. Perciò non solo quando si legge « ciò che fu scritto a nostra istruzione » (Rm 15,4) ma anche quando la Chiesa prega o canta o agisce, la fede dei partecipanti è alimentata, le menti sono elevate verso Dio per rendergli un ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza la sua grazia. Pertanto, nell'attuazione della riforma, si tenga conto delle seguenti norme generali.

le menti sono elevate verso Dio le menti non i corpi

S_Daniele
00lunedì 25 gennaio 2010 09:31
Re:
enricorns, 24/01/2010 23.38:

33. Benché la sacra liturgia sia principalmente culto della maestà divina, tuttavia presenta anche un grande valore pedagogico per il popolo credente [34]. Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera. Anzi, le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l'assemblea nel ruolo di Cristo, vengono dette a nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti. Infine, i segni visibili di cui la sacra liturgia si serve per significare le realtà invisibili, sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa. Perciò non solo quando si legge « ciò che fu scritto a nostra istruzione » (Rm 15,4) ma anche quando la Chiesa prega o canta o agisce, la fede dei partecipanti è alimentata, le menti sono elevate verso Dio per rendergli un ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza la sua grazia. Pertanto, nell'attuazione della riforma, si tenga conto delle seguenti norme generali.

le menti sono elevate verso Dio le menti non i corpi




Davvero rimango intontito di come banalizzi la Liturgia classificandola come un elemento puramente spirituale, come se le menti non siano parte del corpo.
Cosa alimenta la mente? Il testo lo dice: i segni visibili di cui la sacra liturgia si serve per significare le realtà invisibili.
Evidentemente non l'hai letto!
E cosa sono questi segni visibili?
Se noi adoriamo Dio dovremmo essere rivolti verso Dio o verso le porte di uscita o che ne sò verso le finestre o la sacrestia, tanto, dice Enrico, quel che conta è che la mente sia elevata verso Dio non il corpo, peccato che Gesù dice:  « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente » (Mt 22,37). Ergo, con Tutto il nostro Essere; Anima, spirito e corpo, non con una sola parte di essa.

Ti consiglio la lettura, sempre che ti possa interessare, di questi due Trhend scritti dal prof. Mons. Klaus Gamber  uno dei massimi esperti di liturgia: L'altare rivolto verso il popolo  e L'altare e il santuario: ieri e oggi dove ti spiega perchè bisogna celebrare versum Dei e non versum popoli.
enricorns
00lunedì 25 gennaio 2010 10:35


Catechismo di San Pio X Prime nozioni della Fede cristiana C.T. Dragone, S.S.P., SPIEGAZIONE DEL CATECHISMO DI SAN PIO X ( 7. DOV’È DIO?

Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’I m m e n s o.

I. Dio è l’Immenso. - Immenso è ciò che non è misurato e non può esserlo. Si possono misurare soltanto le cose estese nello spazio o nel tempo con misure lineari, di capacità, di peso, di tempo: minuti, ore, anni, secoli.

Essendo infinito, Dio è sopra lo spazio; essendo eterno, è sopra il tempo. Egli è semplicissimo, inesteso, e quindi non può essere misurato; è eterno, e quindi senza principio e senza fine. Egli è immenso. Nel Simbolo Atanasiano diciamo: Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo; ma non sono tre immensi, bensì un solo immenso (DB 39). Parlando dell’immensità divina la Scrittura dice che Dio è più alto dei cieli… più profondo dell’inferno... La sua misura è più lunga della terra e più larga del mare (Brc 11, 8-9). II.

Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. - L’Immenso non può essere contenuto in nessun luogo, né chiuso nello spazio o nel tempo. Il cielo, la terra, tutto lo spazio e tutto il tempo sono pieni di Dio, ma non lo limitano in modo che sia in un posto e non in un altro, prima e non dopo. Dio creando e conservando le cose si rende presente in esse con la sua potenza, senza di cui nulla può esistere; con la sua presenza, con cui conosce tutto ciò che crea e governa; con la sua essenza (essere), inseparabile dalla sua potenza e dalla sua scienza che s’identificano con Lui. Il Salmista chiedeva a Dio: Dove andrò per sfuggire al tuo spirito e dove fuggirò dalla tua presenza? Se salirò in cielo tu ci sei; se discenderò nell’inferno, tu sei presente; se al mattino presto prenderò le ali e andrò ad abitare agli estremi confini del mare, anche là mi condurrà la tua mano e mi terrà la tua destra (Sal 138, 7-11).

Nell’uomo giusto Dio è presente in modo ancora più intimo e sublime mediante la grazia che ci fa partecipi della divina natura. In Cristo Dio è presente tanto intimamente che la natura umana assunta è unita al Verbo in una sola persona.

RIFLESSIONE. - Ricorda che Dio è presente, sempre e dappertutto, e non peccherai!

ESEMPI - 1. Dio talvolta fa "sentire" la sua presenza in modo più vivo, specialmente alle anime favorite del dono della contemplazione. Santa Margherita Maria Alacoque attesta: «Io vedevo il mio Dio e lo sentivo vicinissimo a me. Udivo la sua voce, e tutto ciò molto meglio che con i sensi corporali. Infatti avrei ben potuto distrarmi dall’impressione dei sensi, ma non potevo opporre alcun impedimento a queste altre sensazioni, che mi s’imponevano in modo irresistibile. Quando ero sola non osavo sedermi per la presenza di questa Maestà.»

2. Giuseppe, figlio di Giacobbe, condotto schiavo in Egitto e invitato dalla padrona a commettere peccato con lei, le disse recisamente:
Come posso io commettere questo male e peccare contro il mio Dio? Altra volta, di fronte allo stesso invito, fuggì di casa. Si lasciò accusare falsamente e gettare in prigione, piuttosto di peccare alla presenza di Dio (Gn c. 30).

3. L’ebrea Susanna, messa nell’alternativa di peccare o di essere accusata e condannata a morte, disse: È meglio per me cadere nelle vostre mani senza peccato, che peccare al cospetto di Dio. Accusata falsamente e condannata a morte, venne salvata da Dio all’ultimo momento con l’intervento del profeta Daniele, che smascherò i calunniatori e li fece condannare a morte (Dn c. 13).

PER CATECHISTI) IMPRIMATUR - Tusculi, die 22 Februarii 1956 - + Blasius Budelacci, Ep. Nissen.

enricorns
00lunedì 25 gennaio 2010 10:45

41. Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri [35]. SCC 41

S_Daniele
00lunedì 25 gennaio 2010 11:34
Re:
enricorns, 25/01/2010 10.35:



Catechismo di San Pio X Prime nozioni della Fede cristiana C.T. Dragone, S.S.P., SPIEGAZIONE DEL CATECHISMO DI SAN PIO X ( 7. DOV’È DIO?

Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’I m m e n s o.

I. Dio è l’Immenso. - Immenso è ciò che non è misurato e non può esserlo. Si possono misurare soltanto le cose estese nello spazio o nel tempo con misure lineari, di capacità, di peso, di tempo: minuti, ore, anni, secoli.

Essendo infinito, Dio è sopra lo spazio; essendo eterno, è sopra il tempo. Egli è semplicissimo, inesteso, e quindi non può essere misurato; è eterno, e quindi senza principio e senza fine. Egli è immenso. Nel Simbolo Atanasiano diciamo: Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo; ma non sono tre immensi, bensì un solo immenso (DB 39). Parlando dell’immensità divina la Scrittura dice che Dio è più alto dei cieli… più profondo dell’inferno... La sua misura è più lunga della terra e più larga del mare (Brc 11, 8-9). II.

Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. - L’Immenso non può essere contenuto in nessun luogo, né chiuso nello spazio o nel tempo. Il cielo, la terra, tutto lo spazio e tutto il tempo sono pieni di Dio, ma non lo limitano in modo che sia in un posto e non in un altro, prima e non dopo. Dio creando e conservando le cose si rende presente in esse con la sua potenza, senza di cui nulla può esistere; con la sua presenza, con cui conosce tutto ciò che crea e governa; con la sua essenza (essere), inseparabile dalla sua potenza e dalla sua scienza che s’identificano con Lui. Il Salmista chiedeva a Dio: Dove andrò per sfuggire al tuo spirito e dove fuggirò dalla tua presenza? Se salirò in cielo tu ci sei; se discenderò nell’inferno, tu sei presente; se al mattino presto prenderò le ali e andrò ad abitare agli estremi confini del mare, anche là mi condurrà la tua mano e mi terrà la tua destra (Sal 138, 7-11).

Nell’uomo giusto Dio è presente in modo ancora più intimo e sublime mediante la grazia che ci fa partecipi della divina natura. In Cristo Dio è presente tanto intimamente che la natura umana assunta è unita al Verbo in una sola persona.

RIFLESSIONE. - Ricorda che Dio è presente, sempre e dappertutto, e non peccherai!

ESEMPI - 1. Dio talvolta fa "sentire" la sua presenza in modo più vivo, specialmente alle anime favorite del dono della contemplazione. Santa Margherita Maria Alacoque attesta: «Io vedevo il mio Dio e lo sentivo vicinissimo a me. Udivo la sua voce, e tutto ciò molto meglio che con i sensi corporali. Infatti avrei ben potuto distrarmi dall’impressione dei sensi, ma non potevo opporre alcun impedimento a queste altre sensazioni, che mi s’imponevano in modo irresistibile. Quando ero sola non osavo sedermi per la presenza di questa Maestà.»

2. Giuseppe, figlio di Giacobbe, condotto schiavo in Egitto e invitato dalla padrona a commettere peccato con lei, le disse recisamente:
Come posso io commettere questo male e peccare contro il mio Dio? Altra volta, di fronte allo stesso invito, fuggì di casa. Si lasciò accusare falsamente e gettare in prigione, piuttosto di peccare alla presenza di Dio (Gn c. 30).

3. L’ebrea Susanna, messa nell’alternativa di peccare o di essere accusata e condannata a morte, disse: È meglio per me cadere nelle vostre mani senza peccato, che peccare al cospetto di Dio. Accusata falsamente e condannata a morte, venne salvata da Dio all’ultimo momento con l’intervento del profeta Daniele, che smascherò i calunniatori e li fece condannare a morte (Dn c. 13).

PER CATECHISTI) IMPRIMATUR - Tusculi, die 22 Februarii 1956 - + Blasius Budelacci, Ep. Nissen.





Cosa vuol dire il dov'è Dio con la Messa?
Nella Messa l'adorazione a Dio è verso il tabernacolo dove risiede Dio in forma eucaristica, e tutti ivi compreso il sacerdote devono essere rivolti verso Dio.
Sempre la Chiesa ha fatto così, ma dato che Dio è in ogni luogo allora non ci andiamo nemmeno in Chiesa, tanto è anche nella nostra cameretta, mi stai davvero deludendo, pur di difendere la tua opinione stai incominciando a spararle grosse.
S_Daniele
00lunedì 25 gennaio 2010 11:36
Re:
enricorns, 25/01/2010 10.45:

41. Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri [35]. SCC 41







Perchè così non è circondato????


Ragioni come un protestante.
Caterina63
00lunedì 25 gennaio 2010 12:02
[SM=g7497] enricorns....non vorrai dimostrarmi che citando il Catechismo san Pio X la Chiesa dicendo che Dio è è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’I m m e n s o.... Dio alla fine sarebbe l'incarnazione stessa di un tavolo, di un albero, di una casa, ecc.... [SM=g7497]

Hai usato in modo spropositato tale catechismo perchè secondo il tuo ragionamento e la tua strumentalizzazione del Dio ovunque, allora possiamo farci la messa anche in casa, creare una messa anche in una discarica...e perfino dentro alla sauna....

E' ovvio che in ogni angolo della Terra ove il Sacerdote legittimamente compie la Consacrazione, troveremo Dio vivo e vero...ed è ovvio che lo spirito di Dio (attento alla differenza: nella Messa non c'è lo "spirito Dio" ma Dio VIVO E VERO IN CARNE E SANGUE) lo troveremo ovunque Egli voglia essere IN SPIRITO E VERITA'...

Ma IL TEMPIO DI DIO è un altra cosa...è il Luogo che Dio ha scelto e dentro al quale Egli ha voluto per l'Uomo l'incontro per eccellenza...
Fin dall'Antico Testamento leggiamo cosa ha voluto Dio come Tempio...Egli stesso ha dato le indicazioni sul progetto, quel progetto NON è stato annullato poichè Gesù non venne ad abolire MA A PORTARE A COMPIMENTO....nell'istituire il sacerdozio sul SUO FONDAMENTO, Gesù ha dato il via al Tempio alcui interno BATTE IL CUORE STESSO DI DIO NELLA SANTA EUCARESTIA....l'uomo non deve più attendere la manifestazione di Dio come avveniva nell'A.T. ma oggi lo trova, questo Dio, nel Tempio....VIVO E VERO, IN CARNE E SANGUE...ergo è ovvio che che entrando nel tempio è li che volgerò il mio corpo e il mio sguardo: VERSO IL TABERNACOLO...e durante la Messa verso l'Altare, AL CROCEFISSO...

E' altresì ovvio che dal Tempio per eccellenza dove Dio è vivo in Carne e Sangue Egli si attende da noi L'INCARNAZIONE....ossia che noi stessi, nutrendoci di Lui in Carne e Sangue, INCARNIAMO DIO DENTRO DI NOI per viverlo e portarlo nel mondo...è qui del resto che si sprigiona tutta la catechesi MARIANA del suo Fiat che diventa anche il nostro...

Segnialiamo alcuni errori che fanno oggi molti cattolici:

1) molti credono che la Messa sia l'Ultima Cena....SBAGLIATO!! la Messa NON è il Memoriale dell'Ultima Cena, ma è il Memoriale della Crocifissione con la morte e la conseguente risurrezione di Gesù....

2) molti credono che l'Altare sia LA TAVOLA DELL'ULTIMA CENA.....sbagliato!! l'Altare E' IL GOLGOTA....che DOPO la Consacrazione che è il Memoriale, ossia LA RIPETIZIONE INCRUENTA DELLA CROCE, si trasforma anche nella Mensa per i Battezzati che, come dice san Paolo, riconoscono il Corpo e il Sangue del Signore...e sempre san Paolo infatti consiglia: chi non riconosce il Corpo.....è meglio che si astenga PER NON MANGIARE LA PROPRIA CONDANNA....
ossia, chi rifiuta questa dottrina con tutto ciò che ne consegue e lo stesso si nutre alla mensa in stato di peccato, tale comunione sarà proprio la sua condanna...
Per questo il Papa chiede di rimettere IL CROCEFISSO SULL'ALTARE DURANTE LA MESSA....perchè sa bene che c'è questo errore dottrinale in circolazione, ed è un errore protestante, loro infatti sostengono che l'altare sia la MENSA DELL'ULTIMA CENA, NOI NO!!!
riportare il Crocefisso sull'altare ci rammenta la vera dottrina....

3) molti credono che la Messa in latino e la Messa Tridentina siano la stessa cosa, sbagliato!! La Messa in latino è anche il NOM, la Messa Tridentina invece è la Messa di sempre senza innovazioni...entrambe valide, come spiega il Papa nel MP due forme diverse di un medesimo Rito...l'abuso NON sta nella Messa Tridentina, ma nello scempio che si è fatto al NOM...Il Papa sta riformando il NOM non il VOM....

4) molti credono che non è importante dove ci volgiamo quando il sacerdote celebra.....sbagliato!!! Riportando i punti 1 e 2 è ovvio che mi volgerò dove so che in quel momento Dio E' PRESENTE IN CORPO E SANGUE...idem il Sacerdote....nella Chiesa Ortodossa infatti, rimasta fedelissima alla posizione, celebra all'interno del Tabernacolo dove i fedeli NON POSSONO NEPPURE VEDERE...e rivolti ad oriente anche i ministranti, tutti sono rivolti verso il Signore vero protagonista del rito che si sta celebrando TRAMITE il sacerdote...

5) molti credono che la celebrazione del sacerdozio sia comune alla celebrazione dei fedeli....sbagliato!!! la famosa PARTECIPAZIONE (actuosa partecipatio) non rende mai il sacerdozio dei fedeli in grado di ministrare la Messa...tale partecipazione riguarda esclusivamente appunto LA PARTECIPAZIONE NON LA CONCELEBRAZIONE...

L'IMMAGINE vera ed autentica della Messa è questa:

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Il Sacerdote BACIANDO L'ALTARE BACIA IL CALVARIO, IL GOLGOTA....
e in qualità di Sacerdote, ALTER CHRISTI, inizia a celebrare il Divino Ufficio della Messa....i Fedeli sono ai PIEDI DEL CALVARIO, DELLA CROCE CON MARIA E COME MARIA E GIOVANNI ASSISTONO AL MEMORIALE...

I Sacerdoti CONCELEBRANTI, sono coloro che, RIUNITI attorno al Calvario, offrono al Padre il Sacrificio perfetto...
La Messa è infatti UN SERVIZIO, IL PIU' DIVINO E IL PIU' PERFETTO...ATTRAVERSO IL QUALE L'UOMO NE TRA IMMENSI BENEFICI PER SE STESSO E PER LE ANIME DEFUNTE...perchè NON è il sacerdote a compiere il prodigio, ma Cristo NEL SACERDOZIO ORDINATO...
ecco perchè c'è una ferma distinzione fra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio dei fedeli...

la cosa più gradita a Dio è la compassione con Gesù Crocifisso e la contemplazione della sua passione. Dice giusta­mente Sant'Alfonso: « Vale più una lacrima sparsa sul Crocifisso che lunghe penitenze e lunghi pellegrinaggi ».
Niente poi c'è al mondo di più prezioso di un'anima crocifissa con Cristo....questa è l'unica e vera PARTECIPAZIONE ALLA MESSA TRASMESSA DALLA CHIESA NELLA MESSA...questa è la vera "actuosa partecipatio" gradita a Dio....

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enricorns
00lunedì 25 gennaio 2010 15:28
CELEBRARE RIVOLTI AL POPOLO E PREGARE RIVOLTI AL SIGNORE. SULL’ORIENTAMENTO DELLA PREGHIERA PDF Stampa E-mail
Scritto da Administrator   
giovedì 20 agosto 2009

L'orientamento della preghiera liturgica è uno dei nodi più dibattuti fra gli studiosi della liturgia. Attorno a questo tema entra in gioco uno dei mutamenti più importanti della riforma liturgica, cioè la posizione del sacerdote all'altare versus populum, contestata dai promotori dell'orientamento della preghiera verso Oriente.

L'occasione favorevole per un confronto tra le due posizioni è stato il IV Convegno internazionale, svoltosi nel monastero di Bose (Magnano [BI]) dal 1° al 3 giugno 2006 su Lo spazio liturgico e il suo orientamento alla preghiera con la partecipazione di U.M. Lang, autore del saggio: Rivolti al Signore, con prefazione di J. Ratzinger[1].

Il libro si presenta come una strenua difesa dell'orientamento della preghiera verso Oriente, e offre una sintesi completa dell'intera problematica sotto molteplici aspetti (storico, teologico, pastorale) con una ricca bibliografia pur meritevole di qualche riserva. Due questioni ci sembrano degne di particolare analisi: il rapporto della celebrazione versus populum con il Concilio Vaticano II, e la proposta di una revisione sul piano celebrativo.

La celebrazione versus populum è stata oggetto della critica più severa con la grave accusa della sua estraneità al Concilio Vaticano II: «La Costituzione del Concilio non parla né di celebrazione versus populum né di edificazione di nuovi altari»[2]. Anzi sarebbe addirittura il frutto delle istruzioni postconciliari[3]. Invece sotto l'aspetto celebrativo la discussione si è attenuata con il rispetto della prassi per la liturgia della Parola ma accogliendo «la proposta di diversi autori che tutta l'assemblea, compreso il celebrante, si rivolga verso il Signore voltandosi verso l'altare e questo sia orientato»[4].

La nostra risposta si muove all'interno della documentazione conciliare, appellandoci tanto per la celebrazione versus populum - maturata e decisa durante lo stesso Concilio -, quanto per la sua attuazione celebrativa secondo il criterio metodologico indicato per la comprensione e la partecipazione rituale dalla stessa Costituzione: «Per ritus et preces» (SC 48).

1. L'altare versus populum e il Concilio

In primo luogo sentiamo il dovere di respingere con forza l'accusa, avendo partecipato, come addetto della segreteria della Commissione conciliare, direttamente alla discussione e all'approvazione dell'articolo 128 del capitolo VII sull'Arte sacra e la sacra suppellettile, relativo alla revisione della disciplina del complesso dei luoghi sacri, e in particolare della «forma ed edificazione dell'altare». Lo riportiamo nella sua redazione attuale che corrisponde quasi integralmente - eccetto le parole in corsivo - a quella originale predisposta dalla Commissione preparatoria del Concilio, approvata il 17 giugno 1962:

«Si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a norma dell'art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, e specialmente per quanto riguarda la costruzione degna ed appropriata degli edifici sacri, la forma e la erezione (aedificationem) degli altari, la nobiltà e la disposizione e sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, ecc.».

A questo articolo (n. 106, diventato nella discussione conciliare art. 104 e nel capitolo definitivo art. 128) era allegata una declaratio illustrativa delle modalità di revisione compresa la celebrazione della messa versus populum che è all'origine dell'intero dibattito sul problema. Ci troviamo quindi nella fase preconciliare e non postconciliare.

«Nel dibattito generale la celebrazione rivolti al popolo è regolare quanto la celebrazione nell'altro senso anzi più regolare, poiché è la forma romana primitiva che ha dato la struttura ai gesti e ai movimenti del celebrante. La Congregazione dei Riti in particolari risposte spesso ha affermato la legittimità di questo uso, descritto in maniera precisa dal Caeremoniale e nel Ritus celebrandi missam»[5].

Può essere illuminante per la nostra analisi il testo del Ritus servandus in celebratione Missae del Messale di Pio V del 1570 conservato fino al periodo precedente il Vaticano II (come nel Missale Romanum, Tornaci 1950) con il duplice accenno a Oriente e all'altare verso il popolo: Par. V. De Oratione, n. 3:

«Si altare, sit ad orientem versus populum celebrans versa facie ad populum, non vertit humeros ad altare, cum dicturus est Dominus vobiscum, Orate fratres, Ite missa est ecc.».

Si veda anche il Par. 12. De Benedictione in fine Missae.

Né è fuori luogo ricordare che, in anni precedenti al concilio, il movimento liturgico aveva indagato su questo settore per adattare le chiese con l'apparato logistico (per esempio aula ecclesiale, altare, ambone, battistero, ecc.) alle esigenze della riforma liturgica. Non a caso la Commissione preparatoria aveva formulato un programma esemplificativo inserendolo in forma di declaratio nel capitolo sull'Arte sacra. Pertanto la declaratio si trova al termine di un percorso pre-conciliare e all'origine dello sviluppo maturato nel Concilio.

Il cammino conciliare del nostro articolo con la declaratio inizia propriamente il 12 novembre 1962 mediante cinque interventi dei padri, di cui il primo è quello dei vescovi del Cile che chiesero di tenere presente quanto è detto nella declaratio, a meno che non venga inserita integralmente nel testo della Costituzione[6], e l'ultimo è quello di mons. H. Jenny che ne chiese la distribuzione a tutti i padri e propose l'incorporazione al testo[7].

La sottocommissione su De Arte sacra sotto la presidenza di mons. Carlo Rossi, vescovo di Biella, si riuniva al collegio Leoniano il 26 aprile 1963 per la revisione della relazione sui lavori compiuti. Il capitolo fu accolto con favore unanime dai padri del Concilio: nessun rifiuto; anzi otto padri manifestarono un'esplicita lode. In merito all'articolo 104 si riconobbe che il testo separato dalla declaratio presentava qualche incertezza. Sulla richiesta dei vescovi del Cile e di mons. H. Jenny, la Commissione risponde che il contenuto della declaratio è sufficiente per le indicazioni della Commissione post-conciliare.

Nel frattempo viene proposta nella sottocommissione sulla Sacra suppellettile l'unificazione di questo capitolo con quello sull'Arte sacra. La proposta è approvata. Unico presidente della nuova sottocommissione sull'Arte sacra e la sacra suppellettile è nominato mons. Carlo Rossi. Il nuovo capitolo diventa capitolo VII e il nostro articolo passa da 104 a 128.

Così, a nome dell'intera Commissione mons. Carlo Rossi il 31 ottobre 1963 era in grado di presentare all'aula conciliare la relazione sull'unificato capitolo VII dell'Arte sacra e la sacra suppellettile al benevolo suffragio dei padri. Al termine della relazione mons. Rossi faceva rilevare a proposito del nostro articolo le difficoltà della sua attuazione, sollevata da non pochi padri che suggerivano la ristampa e la distribuzione della declaratio, e dichiarava:

«Infine non pochi padri, per una più retta interpretazione di quanto disposto in alcuni articoli, specialmente sui canoni e gli statuti da rivedere in riferimento all'Arte sacra, hanno chiesto che fossero aggiunte delle determinazioni pratiche. Anche se non spetta al sacrosanto Concilio ecumenico il compito di stabilire i particolari, è sembrato sufficiente dare sommariamente indicazioni sulle quali le commissioni post-conciliari potranno intervenire»[8].

In Appendice al fascicolo, alle pagine 20-21, è pubblicata la declaratio all'articolo 104[9], ora articolo 128. I titoli dei singoli numeri sono in totale quattordici, ma a noi interessano i primi sei, quelli relativi all'aula ecclesiale, le sedi presidenziali, l'altare maggiore, gli altari minori, la consacrazione dell'altare e la custodia eucaristica. Due frasi (provenienti dal n. 3 e dal n. 6) meritano di essere segnalate, perché riassuntive e programmatiche della nostra questione, relative al distacco dell'altare dalla parete nella celebrazione versus populum:

«L'altare maggiore, se già distaccato dalla parete per potervi facilmente girare attorno, sia eretto nel mezzo tra il presbiterio e il popolo, cioè nel mezzo dell'assemblea (non geometricamente ma idealmente inteso)».

«... è lecito celebrare la messa rivolti al popolo (versus populum), anche in un altare nel quale ci sia il tabernacolo, di piccole dimensioni, ma conveniente».

L'assemblea dei padri conciliari su 1941 votanti si espresse: placet 1838, non placet 9, iuxta modum 94 (tutti sull'articolo 130, ma nessuno sull'articolo 128).

All'approvazione della Costituzione Sacrosanctum concilium, seguiva la fase di applicazione da parte del nuovo organismo - il Consilium ad exsequendam - costituito da Paolo VI il 29 febbraio 1964 e presieduto dal card. Giacomo Lercaro; assieme al card. Arcadio M. Larraona, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, controfirmavano in data 26 settembre 1964 l'Istruzione «Inter oecumenici» per la retta applicazione della costituzione liturgica, stabilendo come data per l'entrata in vigore il 7 marzo 1965. Questo documento che passa in rassegna i singoli capitoli e i numeri della Costituzione liturgica nel capitolo V, sotto il titolo L'altare maggiore, al n. 91 dichiara:

«È bene che l'altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare attorno e per celebrare rivolti verso il popolo (versus populum). Nell'edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente converge l'interesse di tutta l'assemblea».

Era il passo definitivo del cammino che non si limitava alla semplice proposta di «celebrare rivolti al popolo», ma disponeva tanto l'autonomia dell'altare quanto la sua centralità ideale, tra l'assemblea e il presbiterio. Tre aspetti indivisibili che cambieranno totalmente la posizione tradizionale degli ultimi secoli.

Il termine di arrivo ovvero il libro liturgico per eccellenza, il Messale del Vaticano II promulgato da Paolo VI nel 1970, recepiva nella sua Institutio generalis, al n. 262 - oggi diventato n. 299 - la disposizione definitiva:

«L'altare sia costruito staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti al popolo: la qualcosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L'altare sia collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l'attenzione dei fedeli».

2. L'applicazione della celebrazione sull'altare versus populum

Il cammino della proposta della celebrazione rivolti al popolo o versus populum si conclude con l'approvazione della Costituzione Sacrosanctum concilium a cui segue l'immediata applicazione con l'Istruzione Inter oecumenici del 26 settembre 1964, prima ancora del suo inserimento rituale nel Messale del 1970. È questa la riprova che la proposta non è stata il frutto di un'istruzione post-conciliare ma un'idea addirittura pensata nella fase preparatoria del Concilio, da questo accolta e esaminata nella Commissione conciliare di liturgia, portata a conoscenza dei padri che espressero convinta adesione.

All'origine di questo clima favorevole era la stessa esperienza conciliare, la piena valorizzazione dell'altare, il nuovo rapporto tra sacerdote e fedeli, in modo da far apparire un'«assemblea celebrante», con la conseguente attiva e fruttuosa partecipazione.

«Lo stesso Concilio si è inserito in questo rinnovamento. Ogni mattina vi si celebrava la messa rivolti vero l'aula conciliare, mentre al Vaticano I il celebrante voltava le spalle ai padri»[10].

A sua volta il teologo liturgista Pierre-Marie Gy ha sottolineato:

«La celebrazione rivolta al popolo nella riforma del Vaticano II è stata la conseguenza immediata della messa dialogata e della lingua volgare riconosciuta e legittimata dall'autorità romana a meno di un anno della Costituzione liturgica e mentre il Concilio era ancora in corso»[11].

Un anno prima dell'apertura del Concilio il grande maestro Josef Andreas Jungmann a proposito della riscoperta del valore pastorale dell'altare osservava:

«Una caratteristica che distingue l'altare maggiore è data dal fatto che esso sta nello spazio di una comunità celebrante. L'altare deve essere ben visibile da tutti. E tuttavia non deve essere neppure su un palcoscenico... infatti le persone raccolte intorno ad esso non sono semplici spettatori»[12].

Si comprende l'attenzione all'Istruzione Inter oecumenici in particolare al capitolo V, dedicato in buona parte alla costruzione e all'adattamento dell'altare, facilitandone la partecipazione attiva e fruttuosa dei fedeli.

Nello stesso anno 1964 veniva pubblicato il testo e il commento, a cura di Carlo Braga, direttore di «Ephemerides liturgicae»[13], e l'anno seguente usciva in edizione riveduta il commento di Pierre Jounel per il n. 60 de «La Maison-Dieu». Citando quest'ultima edizione italiana, non possiamo non rilevare la riflessione sull'autonomia e la dignità dell'altare, la posizione verso il popolo, al centro dell'attenzione dell'assemblea, senza dimenticare la materia, le dimensioni, ecc.[14].

Anche nei convegni di pastorale liturgica l'argomento dell'altare viene trattato nella ricchezza del suo significato, rituale, teologico, nella dimensione comunitaria come luogo di celebrazione con il richiamo al suo proprium di segni di pane e di vino[15]. Ovviamente non viene trascurata la novità della celebrazione versus populum, ma non è questo l'elemento specifico né tantomeno è dimenticato il suo carattere specifico di simbolo di Cristo attorno al quale si raccoglie l'assemblea[16].

A distanza di quarant'anni il problema dell'altare versus populum è venuto a trovarsi sotto accusa non solo come estraneo al Concilio - a cui abbiamo risposto - ma in aperto conflitto con l'orientamento della preghiera verso Oriente, che dovrebbe avere la preminenza almeno nella liturgia eucaristica, in particolare nel Canone, riservando la posizione versus populum alla liturgia della Parola. Non è questo il momento per confermare quanto a suo tempo abbiamo documentato, che la questione dell'orientamento verso Oriente «non interessa direttamente la tradizione romana - anche se in quella occidentale si riscontra l'influsso orientale - e perciò ogni critica alla riforma liturgica è senza fondamento storico, frutto piuttosto di pregiudizio anti-conciliare»[17]. Non è senza significato il silenzio totale del Concilio sulla questione dell'orientamento.

La proposta di rivolgersi tutti insieme in preghiera verso Oriente, all'inizio della preghiera eucaristica, ci appare doppiamente inaccettabile, partendo dalla stessa celebrazione per la salvaguardia della funzione dell'altare e la fedeltà al citato criterio interpretativo «per ritus et preces». Lo spostamento del sacerdote comporta automaticamente l'occultamento dell'altare che sfugge alla vista dei fedeli perdendo la sua centralità sia come luogo d'incontro del sacerdote con i fedeli sia come mensa eucaristica con i segni di pane e vino, che richiamano i gesti dell'ultima cena compiuti oggi dal sacerdote e che restano totalmente invisibili. Una situazione intollerabile che umilia la riforma e rimanda a quella precedente ma peggiorata, perché tutto è compiuto a voce alta e nella lingua parlata dal sacerdote che volta le spalle all'assemblea mortificando la partecipazione visiva.

D'altra parte l'esperienza quarantennale non può essere limitata soltanto alla liturgia della Parola senza provocare effetti devastanti nella pratica liturgica e pastorale[18]. Lo stesso card. Karl Lehmann si è espresso:

«La celebrazione eucaristica versus populum è oggi, a lungo andare, irrinunciabile nella messa parrocchiale»[19].

3. Conclusione

Determinante per la soluzione del nostro problema sembra il ricorso a quello che fin dall'inizio abbiamo indicato come il principio teologico contenuto nella frase «per ritus et preces». Il principio non è sfuggito ai commentatori della Costituzione liturgica tanto da essere dichiarato di «innegabile portata storica»[20] e non altrettanto nota ci risulta la sua applicazione. Riassumiamo i dati essenziali per verificarne poi l'attuazione.

Durante la discussione conciliare sul mistero eucaristico nell'ottobre 1962, relativo al testo dell'articolo 48 della Sacrosanctum concilium: «Perciò la Chiesa si preoccupa che i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede ma che, comprendendo bene i riti e le preghiere, ad essi partecipino ecc.», il card. Agostino Bea propose di aggiungere a «dopo i riti e le preghiere» questa frase: atque mysterium quod per ea exprimitur.

La sottocommissione VII circa il capitolo II della Costituzione, presieduta da mons. Enciso Diana, osservò che non era necessario ripetere la parola mysterium appena citata; d'altra parte se i fedeli comprendono i riti e le preghiere, comprenderanno anche quello che per mezzo di essi viene espresso. Ma nel frattempo la sottocommissione teologica incaricata di esaminare il capitolo II espresse un giudizio molto favorevole e propose di specificare che i riti e le preghiere sono il mezzo per comprendere il mistero, dicendo «ut illud per ritus et preces bene intellegentes». La correzione fu accettata dalla citata sottocommissione che presentò il nuovo testo alla Commissione conciliare. La Commissione conciliare giudicò ottima la proposta ma - commentò -:

«Per meglio specificare che i riti e le preghiere sono da ritenersi il mezzo per comprendere il mistero, abbiamo scritto per ritus et preces id bene intellegentes»[21].

La Commissione non ha, quindi, modificato il pensiero del grande biblista ma lo ha accolto e chiarito sottolineando come i riti e le preghiere non hanno un semplice valore di comprensione verbale, ma anche quello di contenere ed esprimere il mistero di salvezza celebrato. Ecco il principio che ci offre la soluzione nel momento più delicato della celebrazione eucaristica, non un orientamento esterno dal significato sia pure importante, ma l'atteggiamento che tutti i fedeli sono chiamati ad assumere di fronte al mistero celebrato come emerge dalla comprensione dei riti e delle preghiere. Sono i riti e le preghiere che esprimono o che rivelano la realtà sacramentale. In questo caso è la stessa preghiera eucaristica e in particolare il Canone romano, nei suoi elementi rituali e nelle sue espressioni di preghiera, a delineare il comportamento coerente e corretto, l'unanime invocazione di tutta l'assemblea al Padre che sta nei cieli.

Infatti alla fine dell'orazione sulle offerte, il sacerdote rivolge il saluto ai fedeli, quindi alzando le braccia, prosegue dicendo in latino: Sursum corda («In alto i cuori»); il popolo risponde: Habemus ad Dominum (Sono rivolti al Signore»); con le braccia allargate il sacerdote aggiunge: Rendiamo grazie al Signore nostro Dio, ecc. L'espressione ad Dominum è la risposta all'invito di rivolgere in alto (sursum) i cuori. In questo dialogo, sursum («in alto») significa ad Dominum. Ne segue che per rivolgersi al Signore, bisogna rivolgersi vero l'alto: i fedeli, dunque, sono con il cuore rivolto verso il cielo, non verso Oriente. Si deve ricordare che questo dialogo iniziale è identico in tutte le famiglie liturgiche dell'Oriente e dell'Occidente, ed è attestato da sempre. Appartiene quindi alla tradizione quod semper, quod ubique, quod ab omnibus.

Siamo bene informati dalla storia che al Sursum corda, il popolo si alzava, tutti insieme, ed elevava le braccia in alto, al pari dell'orante delle catacombe. Il testo latino accenna al popolo presente con la parola circumstantium, ovvero ad stantium (quindi attorno all'altare e non semplicemente presenti com'è stato tradotto). Quindi secondo il Canone romano i fedeli sono attorno all'altare che è al centro della loro attenzione: essi sono rivolti all'altare e non c'è alcun testo che affermi che l'altare è rivolto a Oriente.

In conclusione, la posizione dei fedeli è in piedi, con le mani alzate, rivolti verso l'altare, e con gli occhi al cielo, come Gesù secondo il racconto della cena. Terminato il Canone dopo l'elevazione e la dossologia finale, tutti con lo sguardo in alto proclamano: «Padre nostro, che sei nei cieli».

Ecco il principio teologico e liturgico insieme, che unisce indissolubilmente il sacerdote e il popolo fedele senza intermediari né simboli, croce compresa. La preghiera rivolta al Padre con lo sguardo e le mani alzate è netta e costante nella storia del Canone romano. Se Cristo ritornerà venendo dall'Oriente o dall'Occidente o dal Mezzogiorno poco importa. Certo egli verrà per condurci tutti in alto!

».

Rinaldo Falsini Il padre Ferdinando Antonelli, poi cardinale, lo volle infatti nella segreteria della Commissione conciliare per la Liturgia, con l’incarico di stendere i verbali e di ordinarli negli archivi delle sedute plenarie. Da questa posizione padre Falsini seguì dal di dentro l’elaborazione della costituzione «Sacrosanctum Concilium».



[1] U.M. Lang, Rivolti al Signore, l'orientamento nella preghiera liturgica, pref. J. Ratzinger, Cantagalli, Siena 2006 (or. ingl. 2004).

[2] Ibid., p. 17.

[3] Ibid., p. 7.

[4] Ibid., p. 89.

[5] A.G. MartimorT, La réserve eucharistique, in «La Maison-Dieu» 51 (1957) 143-144.

[6] Animadversiones in Schema, cap. 7, De Arte sacra, p. 38.

[7] Ibid., p. 42.

[8] Emendationes XI, cap. 6 e 8, 1963, 9.

[9] Modi V, De Arte sacra deque sacra Suppellectile, 1963, p. 15.

[10] P. Jounel, Commento all'istruzione del 26 settembre 1964 per l'applicazione della Costituzione liturgica, Desclée, Roma 1966, p. 141.

[11] P.-M. Gy, L'esprit de la liturgie du card. Ratzinger, est-il fidèle au concile, ou en réaction contre, in «La Maison-Dieu» 229 (2002) 175. Il prof. Lang a p. 100 del suo volume, nota 15, parla di questo articolo come di «un attacco assolutamente personale» al libro di Ratzinger - la cui risposta è stata pubblicata nel numero seguente di «La Maison-Dieu» 230 (2002) 114-120 - mentre a p. 116, nota 18, lo stesso Lang precisa che «i commenti di P. Gy - cioè il citato articolo - sono fuorvianti». Posso testimoniare, anche se parte in causa, che il rigore scientifico di P.-M. Gy resta immutato anche nell'articolo, deciso ma solido.

[12] J.A. Jungmann, in G. Boselli (ed.), L'altare mistero di presenza, opera dell'arte, Qiqayon, Magnano (BI) 2005, p. 128.

[13] C. Braga, Instructio ad exsequendam Constitutionem de sacra liturgia cum commentario, CLV-Ed. Liturgiche, Roma 1964.

[14] Jounel, Commento all'istruzione, cit., pp. 140-145.

[15] L. Gherardi, Il luogo della custodia eucaristica, in F. Antonelli (ed.), Il culto eucaristico nel rinnovamento liturgico. Atti del IX Convegno liturgico-pastorale, Roma 7-10 febbraio 1966, Ed. OR, Milano 1966, pp. 105-122; P. Garlato, Altare e tabernacolo nelle nuove esigenze, in Il mistero eucaristico, Cal, Padova 1968, pp. 145-163.

[16] P. De Clerck, Il significato dell'altare nei rituali della dedicazione dell'altare, in Boselli (ed.), L'altare, cit., pp. 39-51.

[17] R. Falsini, L'orientamento nelle chiese, altare e preghiera, in «Vita Pastorale» 5 (2001) 50-51. Il libro di U.M. Lang si muove nella linea tracciata a suo tempo dal card. J. Ratzinger a partire dalla sua prefazione del 1993 al saggio - completandolo e arricchendolo - di K. Gamber, Tournés vers le Seigneur (ed. Sainte-Madeleine, Le Barroux 1993) e successivamente fino al suo volume: Introduzione allo spirito della liturgia (San Paolo, Cinisello B. 2001). Tutte le basiliche romane hanno l'altare che consente la celebrazione verso il popolo e su 50 chiese - secondo le ricerche di C. Vogel, Versus orientem, in «La Maison-Dieu» 70 (1962) 67-97 - ben 30 non sono orientate, ovvero hanno l'abside verso l'Occidente. Su tutte spicca la Basilica di San Pietro.

[18] S. Dianich, La posizione del prete all'altare, in «Vita Pastorale» 7 (2006) 76-77.

[19] K. Lehmann, Geschichte zwischen Bauen und Bewahren - vom Geist kirchlicher Denkmalpflege, in Inventarisation von Denkmälern und Kunstgütern als kirchliche Aufgabe, Sekretariat der Deutschen Bischofskonferenz, Bonn 1991, p. 15 citato in Boselli (ed.), L'altare, cit., p. 132.

[20] E. Mazza, Le odierne preghiere eucaristiche, vol. I Struttura, teologia, fonti, EDB, Bologna 1991, pp. 9-10.

[21] Emendationes VI, cap. II, 1963, p. 13.

© Rivista Liturgica

 

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enricorns
00lunedì 25 gennaio 2010 15:44

All'origine di questo clima favorevole era la stessa esperienza conciliare, la piena valorizzazione dell'altare, il nuovo rapporto tra sacerdote e fedeli, in modo da far apparire un'«assemblea celebrante», con la conseguente attiva e fruttuosa partecipazione.

«Lo stesso Concilio si è inserito in questo rinnovamento. Ogni mattina vi si celebrava la messa rivolti vero l'aula conciliare, mentre al Vaticano I il celebrante voltava le spalle ai padri»[10].

«Una caratteristica che distingue l'altare maggiore è data dal fatto che esso sta nello spazio di una comunità celebrante. L'altare deve essere ben visibile da tutti. E tuttavia non deve essere neppure su un palcoscenico... infatti le persone raccolte intorno ad esso non sono semplici spettatori»[12].

Per sottolineare la partecipazione attiva del popolo

Caterina63
00martedì 26 gennaio 2010 00:38
[SM=g7367] enricorns....non basta fare il copia-incolla...è importante CAPIRE CIO' CHE LEGGI... e alla luce di ciò che poi dici a tue parole ponendoti contro la Messa in latino e contro il concetto di riforma del NOM come sta facendo Benedetto XVI, dimostri di non capire ciò che leggi...

Se mi hai portato quel lungo testo vuoi, dire che hai capito cosa ti ho scritto mettendoti l'immaginetta?
Perchè il pezzo riportato da te dal sito zammerumaskil è esattamente quel che ho scritto.... [SM=g7515]

In definitiva il Papa oggi ti ha dimostrato quanto dicevamo, alle ore 17,30 ha celebrato i Vespri solenni in san Paolo per la Festa a lui dedicata della Conversione.... bene, i testi erano IN LATINO, le preghiere dei fedeli in italiano, c'erano anche tre luterani e molti ortodossi più un rappresentante anglicano, tutti HANNO PREGATO IN LATINO CON IL LIBRETTO DELLA CELEBRAZIONE....

Il Magnificat è stato detto in latino e con i salmi tutto a cori alterni: il solita e il popolo....il Pater Noster in latino....
l'omelia del Papa in italiano
...


se hai capito bene, diversamente è inutile che continui a portare testi di altri quando non li comprendi, almeno fai domande invece di fare copia-incolla e poi contraddire i testi stessi eh!
Forse Benedetto XVI va contro le Normative del Concilio?

ecco un buon libro da leggere davvero integralmente riportato da te in quel copia-incolla

1] U.M. Lang, Rivolti al Signore, l'orientamento nella preghiera liturgica, pref. J. Ratzinger, Cantagalli, Siena 2006 (or. ingl. 2004).



[SM=g7427]



enricorns
00martedì 26 gennaio 2010 09:13
Evidentemente viene comodo capire quello che si vuole.

Il mio post era per dimostrare che il Concilio si è espresso Versus popoli, al contrario di quanto voi affermate: "«La Costituzione del Concilio non parla né di celebrazione versus populum né di edificazione di nuovi altari»[2]."
Lo stesso Concilio si è inserito in questo rinnovamento. "Ogni mattina vi si celebrava la messa rivolti vero l'aula conciliare, mentre al Vaticano I il celebrante voltava le spalle ai padri»[10]."
che la lingua volgare è stata riconosciuta "La celebrazione rivolta al popolo nella riforma del Vaticano II è stata la conseguenza immediata della messa dialogata e della lingua volgare riconosciuta e legittimata dall'autorità romana a meno di un anno della Costituzione liturgica e mentre il Concilio era ancora in corso»[11]."
e che la partecipazione dei fedeli, anzi la celebrazione, è attiva e fruttuosa. "All'origine di questo clima favorevole era la stessa esperienza conciliare, la piena valorizzazione dell'altare, il nuovo rapporto tra sacerdote e fedeli, in modo da far apparire un'«assemblea celebrante», con la conseguente attiva e fruttuosa partecipazione"

Che queste cose sono state scritte da un padre conciliare "Rinaldo Falsini Il padre Ferdinando Antonelli, poi cardinale, lo volle infatti nella segreteria della Commissione conciliare per la Liturgia, con l’incarico di stendere i verbali e di ordinarli negli archivi delle sedute plenarie. Da questa posizione padre Falsini seguì dal di dentro l’elaborazione della costituzione «Sacrosanctum Concilium»."

Ma tu puoi continuare a dire che non sono capace di capire quello che scrivo.



enricorns
00martedì 26 gennaio 2010 09:44
Forse Benedetto XVI va contro le Normative del Concilio? 

No applica il fatto che il Concilio e le sucessive normative non hanno abolito quelle precedenti.



Dobbiamo  dedurne che lo abbiano fatto i suoi tre predecessori? 


E i padri conciliari?

"«La Costituzione del Concilio non parla né di celebrazione versus populum né di edificazione di nuovi altari»[2]."
Lo stesso Concilio si è inserito in questo rinnovamento. "Ogni mattina vi si celebrava la messa rivolti vero l'aula conciliare, mentre al Vaticano I il celebrante voltava le spalle ai padri»[10]."
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