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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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L'idea di giustizia nel pensiero africano e l'esperienza dei conflitti recenti

Seminario su "Riconciliazione, Giustizia e Pace in Africa" dell'Istituto Toniolo e del Fiac

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 21 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Possiamo seppellire un cadavere, ma non una palabre, cioè una disputa”. Martin Nkafu Nkemnkia, docente di cultura, religione, arte e pensiero africano, ha portato la saggezza di un proverbio del Ghana all’interno della riflessione su “Riconciliazione, giustizia e pace in Africa”, tema del seminario di studio svoltosi lunedì scorso a Roma.


L'evento si è tenuto in occasione della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, per iniziativa dell’Istituto internazionale della pace “Giuseppe Toniolo” – organismo dell’Azione cattolica italiana – e del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac).


Infatti le dispute e i problemi - che non mancano in nessuna famiglia o comunità - non vanno seppelliti, ma affrontati all’interno del contesto sociale.


“Ogni atto e comportamento deviante dalla legge naturale-tradizionale – ha spiegato Nkafu Nkemnkia a proposito di “Volontà di pace e perdono nel pensiero africano” – contribuisce alla distruzione dell’unità della comunità, dell’armonia nelle relazioni interpersonali e coloro che se ne sono resi colpevoli necessitano di un’operazione di reintegro nella società cioè di un procedimento di riconciliazione”.

Per arrivare alla riconciliazione occorre che l’individuo confessi le proprie colpe alla comunità la quale concede il perdono attraverso un rito – presieduto dagli anziani, resi saggi dalla vicinanza agli antenati - che si conclude con un pasto in un’atmosfera di festa. A volte viene chiesto un risarcimento per il danno arrecato, che varia a seconda delle situazioni e dei paesi. Quando tutto ciò è compiuto, la persona interessata e la comunità devono necessariamente concedere il perdono a coloro che li hanno offesi.


“Senza la comunità – ha sottolineato Nkafu Nkemnkia – l’individuo è privo d’identità, sia di quella spirituale che religiosa e culturale”.


La giustizia
gacaca in Rwanda


I tribunali gacaca sono espressione di questa giustizia partecipativa e riconciliatrice.

Gacaca – ha spiegato mons. Servilien Nzakamwita, vescovo di Byumba e presidente della Commissione episcopale per l’apostolato dei laici del Rwanda – significa ‘prato’. Gli adulti di una comunità vi si siedono per ascoltare le persone in conflitto e stabilire quale sia la verità, attribuendo responsabilità e ragioni”. Il colpevole deve riparare il danno e la parte lesa far valere i propri diritti ma entrambi sono tenuti ad accettare la riconciliazione.


Ad evitare l’errore di pensare che si tratti di un procedimento giudiziario naive, occorre ricordare che il conflitto etnico scoppiato in Rwanda nel 1994 ha provocato un milione di morti, circa 3 milioni di rifugiati oltre un numero non precisato di orfani e mutilati. Alla fine del conflitto c’erano 120 mila persone detenute in carcere per crimini legati al genocidio.

“Nel 1996 – ha raccontato Nzakamwita – fu emanata una legge che istituiva sezioni speciali presso i tribunali penali per l’accertamento e la punizione di questi crimini. Dopo 12 anni, erano state evase 6 mila pratiche su 120 mila. Ci si è accorti che ci sarebbe voluto più di un secolo per giudicare tutti”.


La soluzione fu proprio ricorrere alla giustizia gacaca. “Ogni collina – ha aggiunto il vescovo di Byumba – aveva il suo tribunale con giudici di quella collina per accertare crimini compiuti in quella collina”.

Il compito dei tribunali era per prima cosa riunire le informazioni su quanto avvenuto, ascoltando le vittime. Gli accusati venivano condotti sulle colline e giudicati; una volta accertatane l’innocenza venivano liberati, altrimenti rimandati in carcere con il capo d’imputazione stabilito dalla legge. Si cercava anche di facilitare il processo di ammissione della colpa (per la quale sono previsti benefici di pena) e della richiesta di perdono alle vittime o alle loro famiglie.

“L’obiettivo – ha affermato Nzakamwita – era ridurre la durata dei processi, sradicando la cultura dell’impunità per ricostruire il Paese e dare fiducia ai ruandesi sulla loro capacità di risolvere i propri problemi”.

“La situazione oggi del Rwanda – ha concluso Nzakamwita – dimostra che la riconciliazione è possibile e che ognuno si adopera per questo obiettivo”.


Le commissioni per la verità e la riconciliazione in Sierra Leone


“E’ difficile dire cosa sia scattato in una popolazione di indole tanto gentile così da portarla a compiere violenze inaudite”. Mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni e presidente della Conferenza episcopale di Gambia e Sierra Leone, non ha risposte semplici a proposito delle violenze scoppiate in Sierra Leone dieci anni fa.

“Non si è trattato sicuramente né di motivi religiosi né di motivi etnici perché nelle famiglie sono comuni le appartenenze a tribù e religioni diverse; piuttosto lo sfociare violento di una situazione di malcontento diffuso dovuto alla situazione sociale precaria in uno Stato in cui non era più assicurato il funzionamento di nessuna struttura pubblica”.

In quella situazione “il consiglio interreligioso composto da rappresentanti dei musulmani – che sono la maggior parte della popolazione – e dei cristiani, cattolici e protestanti, è diventata una forza di mediazione con i ribelli, perché godeva di grande rispetto da parte della popolazione che la riteneva capace di ascolto e di dialogo”.


“La costituzione di commissioni per la verità e la riconciliazione – ha spiegato Biguzzi – facevano parte degli accordi di pace firmati dal governo della Sierra Leone e il Fronte unito rivoluzionario nel luglio del 1999 in seguito alla mediazione del consiglio interreligioso e dell’Onu”.

L’obiettivo era “ascoltare le vittime, appurando la verità dei fatti avvenuti e cercando le cause delle violenze per evitare, per quanto possibile, che si ripetano in futuro”. Le commissioni, inoltre, “formulano raccomandazioni obbligatorie per il governo per riparare i danni causati alle vittime. Oltre ai saccheggi e all’incendio delle case, agli omicidi, molti hanno subito il taglio di una mano o di entrambe e hanno bisogno di risorse per vivere”.


“La pace ha il suo prezzo – ha affermato Biguzzi – e le vittime sono quelle che pagano il prezzo più alto, ma se hanno la forza di perdonare questo diventa molto liberante per loro stesse e dà la possibilità di nuova vita”.


L'esperienza del tribunale penale internazionale


Su un altro modello di giustizia – quella retributiva – si basa un’esperienza relativamente nuova e in evoluzione (i cui precedenti sono i tribunali di Norimberga e Tokio, alla fine della seconda guerra mondiale): il Tribunale penale internazionale che si basa, ha affermato Paolo Benvenuti, docente di diritto internazionale e preside della Facoltà di giurisprudenza dell’Università Roma Tre, “sull’idea di una giustizia per crimini contro l’umanità che deve funzionare a livello ampio e sull’evoluzione della coscienza collettiva rispetto all’impunità”.

Nel 1994 è stato istituito ad Arusha, in Tanzania, un tribunale penale internazionale per i crimini legati al genocidio in Rwanda. Sulla scorta anche di questa esperienza si è arrivati, nel 1998, all’approvazione dello statuto di una corte penale internazionale permanente “fondato su un trattato internazionale aperto a una partecipazione tendenzialmente universale”.

Lo statuto è entrato in vigore nel 2002 tra i primi 60 stati che lo hanno ratificato; ad oggi sono 110 gli stati che ne fanno parte e tra questi 30 sono africani. Dei 18 giudici che lo compongono, 4 sono africani e provengono da Mali, Uganda, Ghana e Botswana.

“Gli africani – ha affermato Benvenuti – con la loro adesione e partecipazione, dimostrano fiducia verso questa istituzione per fare giustizia verso le vittime, nonostante i limiti che ancora ci sono”.

Data la sua natura di trattato internazionale, “funziona solo con la cooperazione degli stati che devono modificare le leggi nazionali e anche questo contribuisce a produrre mutamenti nella coscienza collettiva di un Paese. Il Rwanda, per adeguarsi, ha abolito la pena di morte”.

L'impegno della Chiesa in Burundi

“Il genocidio non c'è stato solo in Rwanda e non si è trattato di una fatalità. La Chiesa è famiglia di Dio chiamata a perdonare ma anche a denunciare, perché non ci può essere pace senza giustizia”. Mons. Simon Ntamiwana, arcivescovo di Gitega e presidente dell'Aceac (associazione conferenze episcopali dell'Africa centrale) ha tracciato la mappa delle situazioni vecchie e nuove che continuano a causare le sofferenze del popolo del Burundi e di tutta la Regione dei Grandi laghi.

“I nostri popoli continuano a subire conflitti, miseria, epidemia e l'annientamento dei diritti dell'uomo. Sul nostro territorio si abbattono gli effetti perversi della globalizzazione con il traffico di armi, gli abusi di potere della classe politica che sfruttano le divisioni etniche per arricchirsi, lo sfruttamento delle risorse naturali”.

“Cercare la riconciliazione – ha affermato Ntamiwana che ha rimproverato ai media di non mettersi spesso al servizio della verità – significa andare alla radice di questi mali con la fiducia che il dialogo è sempre possibile e la pace è un impegno di tutti”.

Nella ricostruzione sociale ed economica del Paese, secondo mons. Evariste Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura e presidente della Commissione episcopale per l'apostolato dei laici del Burundi, “gioca un grande ruolo la Chiesa, non solo cattolica ma anche protestante. Attualmente sono presenti in Africa oltre 200 confessioni religiose, di cui molte nate negli ultimi anni”.

Anche in Burundi è prevista la costituzione di commissioni per la pace e la riconciliazione “perché abbiamo un passato molto pesante con il quale fare i conti. Tutte le diocesi sono impegnate nei sinodi per partecipare tutti insieme alla dinamica della riconciliazione”.

Le priorità d'impegno riguardano le famiglie e i giovani: “molti di essi sono stati strumentalizzati e coinvolti nelle violenze. Oggi tornano alle loro case e non trovano più nulla ad aspettarli”. Per aiutarli a tornare alla vita normale “un grande aiuto è venuto dai Movimenti di Azione cattolica che offrono a tutte le fasce d'età momenti di formazione ed occasioni di incontro nello sport o nelle marce per la pace che permettono, insieme anche ai giovani di Congo e Rwanda, di riscoprire la comune umanità e il comune destino di essere il futuro dell'Africa”.

La scuola di pace dell'Azione cattolica

“L'impegno del Forum internazionale di Azione cattolica nel continente africano – ha affermato Emilio Inzaurraga, coordinatore del Segretariato del Fiac – è continuare a lavorare alla promozione di un laicato maturo capace di assumersi responsabilità significative nella Chiesa e nella società”. Si inserisce in questa attenzione la Scuola di pace realizzata in colaborazione con l'Istituto di diritto internazionale della pace “Giuseppe Toniolo”.

“Si tratta di un progetto biennale – ha spiegato Francesco Campagna, direttore dell'Istituto – che prevede moduli di formazione ai diritti umani e alla pace per formatori di giovani ed adolescenti, con sessioni in Burundi, in Italia, in Rwanda, nella Repubblica democratica del Congo e ancora in Italia, a partire dall'agosto 2010”.

“Una formazione alla luce della dottrina sociale della Chiesa – ha aggiunto don Salvatore Niciteretse, segretario della Commissione episcopale per l'apostolato dei laici del Burundi e coordinatore del Fiac in Africa – che metta al centro la dignità della persona umana e i suoi diritti inalienabili; una presa di coscienza dell'inutilità politica della guerra e dei costi umani, morali ed economici della violenza armata”.

“Poiché riconosciamo – ha concluso Campagna – il forte bisogno di riconciliazione in Italia e in Europa, crediamo che l'esperienza delle chiese africane possa essere feconda anche per le nostre comunità occidentali”.

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Sinodo. Un vescovo del Camerun: la voce della Chiesa contro la corruzione

Proseguono, anche oggi a porte chiuse, i lavori del
Sinodo dei vescovi per l’Africa. Domani si riunirà la 18.ma congregazione generale per la presentazione e la votazione del Messaggio finale. In molti lo hanno già definito il “Sinodo della Pentecoste” considerata la pluralità degli interventi e dei temi trattati. Tra questi ultimi, particolare attenzione è stata dedicata all’ambiente: deforestazione e desertificazione minacciano infatti vaste zone del Continente. Tra queste c’è anche il Camerun, Paese in cui è in atto un graduale, ma difficile processo di democratizzazione. Paolo Ondarza ha intervistato mons. Cornelius Fontem Esua, arcivescovo della diocesi camerunese di Bamenda:

R. – La cosa interessante è che siamo arrivati come una Torre di Babele e torniamo a casa uniti. Come affrontare i problemi? Il Sinodo per me è un momento di grazia che ci fa capire innanzitutto che i problemi che abbiamo in un Paese sono gli stessi che si trovano in un altro e dunque bisogna lavorare insieme. Tutte le esigenze che abbiamo discusso sono anche le esigenze del Camerun. In Camerun abbiamo la fortuna di non avere conflitti etnici: è una benedizione! Però, nel Camerun la società civile non è contenta; il processo democratico è un po’ lento e non dà molto spazio alla libertà di espressione e alla possibilità di scegliere il proprio partito: la gente è praticamente obbligata a scegliere il partito del governo. Penso che in questo campo ci sia bisogno di riconciliazione. C’è poi in Camerun il problema della giustizia, perché i giovani soprattutto sono vittime della corruzione: l’80 per cento di loro non ha lavoro perché il lavoro si trova soltanto in base alle conoscenze.

D. – La voce della Chiesa è una voce scomoda?

R. – Qualche volta sì, noi non tacciamo. Abbiamo scritto una Lettera pastorale sulla corruzione e sulla base di questa lettera abbiamo avviato ora un programma di formazione, soprattutto nelle scuole. Bisogna rendere consapevoli i giovani del fatto che i problemi della corruzione possono essere risolti soltanto con una formazione che consenta loro di poter poi cambiare la società di domani.

D. – Qui al Sinodo si è parlato anche di ambiente: deforestazione e desertificazione sono realtà che purtroppo interessano anche il Camerun …

R. – Questo problema esiste nel Sud del Camerun, dove l’esportazione del legno dalle nostre foreste non avviene in maniera responsabile. Si esporta in Europa, soprattutto in Francia: si abbattono gli alberi e il Paese diventa deserto.

D. - Lo definisce un modo di fare “irresponsabile” perché a poco a poco stanno scomparendo tutti gli alberi?

R. – Sì, alberi che hanno impiegato almeno 100 anni per essere quello che vediamo oggi: e non si pensa al domani.

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Intervista al cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, presidente delegato dell'assemblea sinodale

In ombra nei media la vera immagine dell'Africa


di Nicola Gori

Africa e Aids. Africa e guerre. Africa e genocidi. Africa e fame. Africa e corruzione dei governanti. È solo questa la realtà del continente? È solo questa l'immagine che ne hanno data i padri sinodali? Se ne è lamentato pubblicamente il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, parlando con i giornalisti nel corso della conferenza stampa settimanale, il 14 ottobre scorso. "L'Africa - ha detto - è molto di più. Custodisce valori e capacità tali da poter offrire, anche al resto del mondo, il contributo di questa sua ricchezza spirituale". Solo che per i mass media, è la sua denuncia, esiste solo il male dell'Africa. Le cose buone non fanno notizia. 

Africa tradita dai media dunque?

Il discorso è molto più complesso di quanto appare a prima vista. Innanzitutto bisogna fare una precisazione:  io non ho assolutamente generalizzato. Ho parlato solo di alcuni mezzi di comunicazione sociale che riportano soltanto aspetti negativi. Anche quando parlano della Chiesa ne parlano con toni negativi. Mi riferisco soprattutto a quando si parla dell'Hiv e dell'Aids. Penso in particolare a quei media che attribuiscono alle indicazioni della Chiesa contrarie all'uso dei preservativi il mancato successo della lotta contro l'Aids. Non riconoscono l'impegno della Chiesa nell'opera di prevenzione e nell'assistenza a chi soffre. La Chiesa vuole intervenire nella lotta contro l'Aids e lo sta facendo portando avanti direttamente delle attività che possono ricondursi a quattro. La prima è promuovere la conoscenza dell'Hiv, fornendo informazioni accurate sul modo in cui si contrae il virus e su come evitarlo. La seconda è l'assistenza vera e propria ai malati attraverso cure domiciliari e la formazione di persone che possano aiutare all'interno della famiglia coloro che hanno contratto il virus dell'Hiv. La terza è l'assistenza attraverso programmi specifici. La quarta è l'assistenza agli orfani e ai bambini.
Oltre a queste quattro attività, ve ne è una quinta, ovvero quella di prevenzione. Ci stiamo concentrando nell'esortare i giovani a rispettare se stessi e gli altri, ad astenersi dal sesso se non sono sposati e se sono sposati a essere fedeli al loro coniuge.

Però nel corso dei dibattiti al Sinodo i padri hanno dato un'immagine negativa dell'Africa. I giornali si sono limitati a registrare quanto detto.

Il fatto è che stiamo cercando di descrivere la realtà africana e, purtroppo, va riconosciuto che in molte parti del continente ci sono problemi gravi. Basti dare uno sguardo:  il Congo orientale è un'area disastrata così come il Darfur e il Sudan meridionale, lo stesso si può dire delle zone intorno all'Uganda settentrionale, del Sudan meridionale, della Repubblica Centrafricana in cui è attivo il Law resistence army. È un disastro per chi ci vive. Dobbiamo sensibilizzare la comunità internazionale riguardo alle aree in cui vi sono delle crisi in atto e vi è bisogno di intervento. E questo è innegabile. Esistono, però, anche delle realtà positive:  in Rwanda, il cammino verso la completa riconciliazione sociale procede spedito. Una delle suore uditrici ha raccontato di aver incontrato la persona che aveva ucciso i suoi genitori e il resto della sua famiglia e di essersi riconciliata con lui. Si sono così liberati del peso di quell'esperienza. In molti Paesi procede anche il cammino della democrazia. Adesso è possibile svolgere le elezioni libere, dove un tempo vi erano dittature che lo impedivano.
Ecco quali sono le immagini positive di quanto sta accadendo in Africa. Ci sarebbe poi da parlare della creazione di commissioni di riconciliazione e verità in molte regioni, per risolvere il problema dei conflitti e delle violenze tribali. Il Burundi sta per istituire una commissione di riconciliazione e verità. Lo Stato della Sierra Leone ha già avviato il processo e non è il solo. Molte Conferenze episcopali che nel 1994 non possedevano commissioni di giustizia e pace per far riconoscere i diritti ai cittadini, ultimamente le hanno istituite. Sarebbe bene che i giornalisti ci aiutassero a far conoscere cosa stanno facendo i vescovi veramente. Se ne ricaverebbe un'immagine migliore dell'Africa. Anche nel mio Paese, il Sud Africa, le cose ora vanno molto meglio di qualche tempo fa. Ma a volte non interessa più il nostro cammino che ci ha portato alla democrazia.

Considera esportabile in altri Paesi africani il processo di democratizzazione del Sud Africa?

Dipende dalle situazioni. Nel nostro caso si è verificata una convergenza di circostanze. L'unica cosa certa è che Dio aveva un disegno speciale per noi e crediamo che l'abbia attuato. Per almeno 13 o 14 anni tutta l'Africa meridionale ha pregato per un cambiamento pacifico nel nostro Paese. Semmai c'è da chiedersi perché è accaduto solo da noi? Forse abbiamo potuto contare sulla persona giusta al momento giusto. Mi riferisco a Nelson Mandela. Persino dal carcere in cui era stato relegato è riuscito a stimolare il Governo al cambiamento. Fortunatamente i governanti lo hanno ascoltato. Non a caso, mentre era ancora in prigione, aveva già avviato negoziati, proseguiti quando poi è stato liberato, insieme con gli altri leader del movimento. Le migliori menti del Paese si sono riunite nella Convention for a democratic South Africa (Codessa). Tra i protagonisti c'erano Nelson Mandela e Frederik Willem de Klerk. Entrambi avevano alle spalle validi collaboratori che li aiutarono nel processo di negoziazione. Ma chi ne parla?

Cosa vorrebbe dire a chi gestisce i mass media?

Dovremmo chiedere ai mezzi di comunicazione sociale di annunciare buone notizie. Ecco un esempio:  l'altro giorno qualcuno mi ha chiesto:  "Quali sono le notizie positive del Sinodo?". Ho risposto che più di 200 vescovi sono riuniti per discutere del continente e per esaminare l'attività della Chiesa. La buona notizia era la crescita e l'approfondimento della fede. Il giornalista mi ha fissato e ha chiesto:  "Sì, d'accordo, ma qual è la buona notizia sull'Africa che arriva da questo Sinodo?".
Penso, quindi, che abbiamo bisogno di giornalisti che ascoltino, osservino e, a volte, leggano anche fra le righe, quello che viene detto veramente. A volte, quando diciamo che stanno accadendo cose brutte, pensiamo che in altri luoghi vi sono aspetti positivi.

Pensa sia stato sufficiente lo spazio che hanno dato al Sinodo i mass media in generale e quelli africani in particolare?

Assolutamente no. È stato molto poco. In Sud Africa solo un giornale, peraltro quello cattolico, si è occupato del Sinodo. In altre parti dell'Africa se ne parla solo se ci sono stazioni radiofoniche cattoliche. Prendiamo l'esempio del Sud Africa:  abbiamo un'emittente radiofonica, Radio Veritas, gestita da un padre domenicano:  è l'unica che sta seguendo il Sinodo con molta attenzione. Per quanto riguarda il resto della stampa non credo stia facendo molto. Le cose spirituali, le cose religiose non vengono riportate, a meno che non si tratti di questioni controverse. Allora si che le pubblicano!


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2009)
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Una macchina organizzativa che richiede impegno e dedizione

Il lavoro silenzioso della Segreteria generale del Sinodo


Ha previsto tutto - o meglio ha previsto tutto quanto prevedibile - la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi per rendere il più agevole possibile il soggiorno dei Padri sinodali a Roma e nella Città del Vaticano, e per semplificare il lavoro dell'assemblea generale.
Una mole di lavoro imponente, che si è sviluppata in tanti e diversificati settori, già molto tempo prima che iniziasse la prima congregazione generale in aula. "L'Osservatore Romano" ha seguito passo passo l'iter preparatorio, pubblicando notizie e interviste periodiche con il segretario generale.

Meno conosciuto è invece il lavoro che è seguito alla fissazione della data di svolgimento. È il momento in cui si avvia il motore che assicura il buon funzionamento di ogni pur piccolo ingranaggio.
È infatti la Segreteria generale - guidata dall'arcivescovo Nikola Eterovic, coadiuvato dal sottosegretario monsignor Paolo Frezza, e con la fattiva collaborazione dei monsignori John Anthony Abruzzese ed Etienne Brocard, minutanti, e di monsignor Daniel Emilio Estivill, addetto di segreteria, dei reverendi Zvonimir Sersic e Ivan Ambrogio Samus e della signora Paola Toppano Volterra - che si incarica innanzitutto dei viaggi dei Padri sinodali verso Roma, del loro alloggio,  dei  mezzi di trasporto per raggiungere quotidianamente l'aula del Sinodo, del loro rientro. Per i presuli che hanno meno disponibilità è previsto anche il pagamento diretto di tutte le spese relative.

C'è poi da seguire la Floreria per la sistemazione dell'aula, e di tutti gli altri luoghi limitrofi, nei quali si svolgono le diverse attività sinodali; con i tecnici della Radio Vaticana si deve verificare l'impianto audio; con i servizi tecnici del Governatorato è necessario predisporre il sistema elettronico di rilevazione delle presenze e di votazione, nonché il collegamento con la sezione della traduzione simultanea e la diffusione delle immagini sui monitor della sala. Con un piccolo stuolo di assistenti - trentadue giovani sacerdoti, in questa occasione prevalentemente africani - si provvede all'assistenza dei Padri in aula:  distribuzione delle relazioni, dei documenti e di quant'altro necessario in ogni momento dell'assemblea, pronta disponibilità per le diverse esigenze dei sinodali.

Le stanze riservate alla segreteria brulicano, in ogni momento della giornata, di persone indaffarate. Per avere un'idea di quello che avviene in questi locali basti pensare alla produzione quotidiana di materiale informatico, ma soprattutto cartaceo, realizzato attraverso un certosino lavoro di controllo e distribuzione di quanto viene dai Padri e ai Padri torna sotto forma di documento. Tanto per fare un esempio, per fornire all'assemblea una bozza in quattro lingue del Nuntius e poterne così discutere in aula, si è lavorato sino alle due del mattino dello stesso giorno in cui è stato presentato e per dare alle stampe l'elenco provvisorio delle Propositiones si è lavorato addirittura sino alle quattro del mattino. Tutto il materiale elaborato viene poi trasmesso al Centro stampa per la diffusione.

Discorso a parte merita l'organizzazione a latere, cioè la messa a punto di una serie di servizi utili per i Padri sinodali. Intanto al primo piano dell'aula è stata allestita una cappella dove è custodito il Santissimo Sacramento. Sullo stesso piano è disposto un servizio di primo soccorso, dove è sempre possibile trovare un medico e un infermiere. I medici non sono però autorizzati a prescrivere medicinali. Possono farlo solo in casi di urgenza e di grave necessità. Così ai Padri che seguono terapie farmacologiche durature, la segreteria consiglia di provvedere a farne scorta prima dell'inizio dei lavori.

L'atrio del complesso - che comprende, oltre all'aula sinodale, quella per le udienze generali - è trasformato in una sorta di centro servizi. Ci sono sportelli postali, bancari, turistici, un casellario personale, una libreria, una postazione internet, un ufficio propaganda della Radio Vaticana, punti vendita di fotografie, tra i quali spicca quello del servizio fotografico de "L'Osservatore Romano", affiancato da un tavolo dove ritirare copie gratuite del giornale, un servizio ristoro e persino una mostra di opere di artisti africani.

E, a giudicare dalle frequentazioni, si tratta di servizi molto graditi ai Padri sinodali. Lo sportello postale è naturalmente un servizio delle Poste Vaticane. Si possono svolgere tutte le normali funzioni generalmente eseguibili in un ufficio simile, "tranne - spiega l'impiegato di turno - la movimentazione di denaro". L'operazione più richiesta è la spedizione di raccomandate "perché - spiega ancora l'impiegato - nei Paesi africani se si vuole avere sempre la possibilità di rintracciare la corrispondenza, è necessario servirsi del sistema di posta raccomandata".
Anche nei due sportelli aperti dall'Istituto per le opere di religione, è possibile espletare qualsiasi operazione bancaria:  dal cambio, al deposito, al prelevamento, al bonifico e quant'altro. E, per i Padri sinodali, non è neppure necessario aver aperto un conto.

Stesso discorso per la succursale della Peregrinatio ad Petri sedem dove i sinodali possono cambiare prenotazioni, farne di nuove, stabilire itinerari e chiedere  servizi  di trasporto per la città.

Al punto vendita della Libreria Editrice Vaticana (Lev) sono stati venduti sino a oggi oltre quattrocento titoli per un totale di 1.500 copie. Il volume più venduto - a parte quattrocento copie della Bibbia acquistate, a prezzo di favore, da un delegato fraterno ortodosso - è un libro sul secondo sinodo africano di fronte alle sfide socio-economiche del continente, di Joseph Ndi-Okalla. Molte anche le copie vendute dell'Annuario pontificio. I titoli di altre edizioni sono venduti con il 20 per cento di sconto, quelli della Lev con il 40 per cento.

Numerosi anche i doni offerti in questi giorni ai Padri sinodali. Ultimo, in ordine di tempo, quello presentato dall'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Si tratta di un kit di pronto soccorso, contenente anche strumentazione medica di prima necessità, compreso un misuratore digitale per la pressione. "Un piccolo segno di solidarietà e di comunione - ha detto l'arcivescovo presentando i kit al Papa perché li benedicesse prima di donarli ai 275 Padri sinodali - con le popolazioni del continente africano, anche quelle delle aree più remote".
Alla presentazione del kit è intervenuto il signor Larry Yu-Yuan Wang, ambasciatore della Repubblica di Cina (Taiwan) presso la Santa Sede, promotrice dell'iniziativa insieme con il Pontificio Consiglio. (mario ponzi)

(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2009)
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Vescovi africani di fronte all'islam: toni differenti, conclusioni comuni

Chiedono dialogo, libertà religiosa e reciprocità di culto



di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 22 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
Il Sinodo per l'Africa ha permesso di constatare che anche se i toni dei Vescovi nel parlare dell'islam sono diversi e a volte divergenti, la conclusione a cui giungono tutti è una sola: l'inesorabilità del dialogo e l'affermazione della libertà religiosa.

Lo ha dichiarato monsignor Joseph Bato'ora Ballong Wen Mewuda, sacerdote portavoce dell'assemblea per la lingua francese, che ha constatato la differenza di espressioni tra i Vescovi del Nordafrica e quelli dell'Africa subsahariana.

Queste differenze sono state esposte nelle conclusioni dei gruppi di lavoro, ciascuno formato da circa venti membri, come ha spiegato padre Gérard Chabanon, M. Afr., Superiore Generale de Missionari d'Africa (Padri Bianchi), relatore del Gruppo “Francese A”.

Cristiani nel Nordafrica

I Vescovi del Nordafrica sono stati piuttosto prudenti al momento di denunciare con grande risonanza le restrizioni della libertà religiosa che si verificano nelle loro comunità.

Nel suo intervento centrato sui giovani studenti subsahariani nel Maghreb, ad esempio, monsignor Vincent Landel, Arcivescovo di Rabat (Marocco) e presidente della Conferenza Episcopale Regionale dell'Africa del Nord, ha riconosciuto che questi “ scoprono un mondo in cui l’Islam è sociale e dove praticamente non esiste libertà religiosa per un magrebino”.

Monsignor Maroun Elias Lahham, Vescovo di Tunisi, ha espresso il suo malcontento per la mancanza di spazio che l'islam ha ricevuto nell'Instrumentum laboris (Documento di lavoro) del Sinodo.

“Circa l’80% dei 350 milioni di arabi musulmani vive nei Paesi dell’Africa settentrionale – ha osservato – . Tutto ciò per dire che i rapporti islamo-cristiani in Africa del Nord sono diversi da quelli dell’Europa, dell’Africa subsahariana e anche dei Paesi arabi del Medio Oriente”.

Il presule si è chiesto in che cosa consista la specificità dell'esperienza delle Chiese nel Nordafrica, rispondendo che “si tratta di una Chiesa dell’incontro. Anche se non ha tutta la libertà auspicata, non è perseguitata”.

“Si tratta di una Chiesa che vive in Paesi al 100% musulmani e in cui la schiacciante maggioranza dei fedeli è composta da stranieri la maggior parte dei quali resta solo qualche anno”, ha proseguito.

E' infine “una Chiesa che vive in Paesi musulmani in cui sta nascendo un movimento di pensiero critico nei confronti di un Islam integralista e fanatico”.Il Vescovo di Tunisi ha concluso chiedendo “un dibattito sull’Islam in Africa che tenga conto della varietà delle esperienze africane, da Tunisi a Johannesburg”.

L'islam nell'Africa subsahariana

Monsignor Ballong Wen Mewuda ha spiegato in un incontro con i giornalisti che in generale i Vescovi dell'Africa subsahariana hanno insistito sulla necessità di intavolare un dialogo aperto con l'islam per affermare il diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Allo stesso tempo, in queste zone geografiche dove i musulmani in genere non sono la maggioranza sono stati constatati in varie occasioni tentativi sempre più dinamici di islamizzare le popolazioni.

Il Cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha riconosciuto che nel continente “l'islam è in costante crescita grazie a tre strumenti: le confraternite, le scuole coraniche e le moschee”.

Il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana), ha riconosciuto in un incontro informale del 21 ottobre con alcuni giornalisti che i Vescovi vedono in questo tentativo di espansione una “minaccia”, spesso dovuta soprattutto a interessi politici.Da ciò derivano anche l'aumento e il sostegno alle correnti islamiste.

Monsignor Norbert Wendelin Mtega, Arcivescovo di Songea (Tanzania), ha dichiarato davanti all'assemblea: “Amiamo i musulmani. Vivere con loro fa parte della nostra storia e cultura. Ma il pericolo che minaccia la libertà dell'Africa, la sovranità, la democrazia e i diritti umani è in primo luogo il fattore politico islamico, ossia il progetto voluto e il processo chiaro di 'identificare l'islam con la politica e viceversa' in ciascuno dei nostri Paesi africani”. “In secondo luogo c'è il fattore monetario islamico, mediante il quale grandi somme di denaro provenienti da Paesi esteri vengono riversate nei nostri Paesi per destabilizzare la pace e sradicare il cristianesimo”, ha aggiunto.

Monsignor Arlindo Gomes Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo Verde, ha denunciato “un grande investimento nella promozione dell’islam nell’unico paese cattolico della regione.”.

Conclusione: dialogo, reciprocità e libertà religiosa

Come ha raccolto nelle sue conclusioni il gruppo di lavoro moderato da padre Gérard Chabanon, anche se la realtà dell'islam non è la stessa in Africa, l'atteggiamento che devono promuovere i cristiani è unico: “un dialogo di vita e un dialogo sociale”.

“Si è insistito fortemente sul fatto che dobbiamo cercare sempre la libertà di coscienza e la reciprocità dei culti”, ha aggiunto il gruppo di lavoro, preannunciando senz'altro un elemento che farà parte delle “proposizioni” del Sinodo al Papa e del suo Messaggio al Popolo di Dio.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Delegazione di Padri sinodali dal Ministro degli Esteri Frattini

Si è parlato di persecuzione anticristiana, droga, armi e traffico di esseri umani



ROMA, giovedì, 22 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
Una delegazione di Padri sinodali si è recata questo giovedì mattina nella sede del Ministero degli Affari Esteri per un incontro con il titolare della Farnesina, Franco Frattini.

La delegazione era composta dal Segretario generale del Sinodo – l'Arcivescovo Nikola Eterović –, dal Sottosegretario – mons. Fortunato Frezza –, dai tre Presidenti delegati – i Cardinali Francis Arinze, Théodore-Adrien Sarr e Wilfrid Fox Napier, OFM – dal Relatore generale – il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson – dai Segretari speciali – l’Arcivescovo Damião António Franklin e il Vescovo Edmond Djitangar – e dal Segretario di mons. Eterović – padre Ambrogio Ivan Samus –.

Secondo quanto riferito dal giornalista della Radio Vaticana presente all'incontro, i temi affrontati sono stati: “Cooperazione allo sviluppo, persecuzione anticristiana e lotta al traffico di droga, di armi e di esseri umani”.

“Si è parlato anche di riconciliazione, giustizia e pace – ha aggiunto – e nel corso del confronto con il titolare della Farnesina sono emerse diverse convergenze, tra queste l’attuazione di politiche che mettano al centro l’essere umano evitando che gli effetti negativi della globalizzazione colpiscano soprattutto i più deboli”.

In merito sempre all’incontro, il Cardinale Francis Arinze ha affermato che “è stata una cosa molto positiva ciò che il governo italiano ha fatto, ciò che progetta di fare, anche incoraggiando gli africani ad essere protagonisti del loro presente e del loro futuro, apprezzando il valore dell’interdipendenza che quando è accettata diventa solidarietà”.

“Noi abbiamo aggiunto che ci sono aree dove il governo potrebbe fare più attenzione agli africani che sono in maggior parte studenti perché durante il loro soggiorno non siano obbligati a rinnovare i documenti ogni due anni”, ha sottolineato.

Il porporato africano ha quindi accennato alla “questione dell’immigrazione: ogni Paese ha diritto di avere le proprie leggi ma c’è tanta sofferenza, chi non muore nel deserto muore nel mar Mediterraneo”.

“Occorre poi promuovere lo sviluppo, così la tentazione di migrare sarà ridotta – ha proseguito –. Non si può togliere a nessuno il diritto di cercare una sistemazione altrove per avere una vita più degna”.

Dal canto suo il Ministro Franco Frattini ha risposto agli appelli della Chiesa africana spiegando l’impegno del governo italiano contro le persecuzioni religiose e anticipando alcune proposte in tema di immigrazione e di formazione.

Per quanto riguarda il tema della libertà religiosa, Frattini ha affermato: “Io credo che l’Unione Europea debba intanto affermare con forza la sua volontà politica di agire nei confronti di tutti i governi dove si verificano questi episodi orribili per richiamare la loro attenzione. In secondo luogo dovrebbe monitorare la situazione della libertà religiosa dei cristiani in molte parti del mondo”.

Ha poi accennato a un’agenzia europea per i richiedenti asilo e per i rifugiati, “un progetto che prevede un’agenzia per l’esame secondo procedure comuni delle domande di asilo provenienti da richiedenti non europei che arrivano in un qualsiasi Paese europeo”.

In questo modo, ha spiegato, “non ci sarà più quella diversità di criteri che oggi c’è, dove ciascun Paese ha le sue regole di giudizio, riconosce o non riconosce secondo criteri non omogenei, e coloro che saranno riconosciuti avranno il diritto di libera circolazione dell’intero spazio europeo”.

Infine, ha fatto appello ai Paesi e alle università dell'Africa affinché diano vita a “progetti per borse di studio, per corsi di formazione di giovani laureandi e laureati in modo che da queste università cattoliche cresca una classe dirigente che l’Italia ha un interesse generale a sostenere perché investire sull’Africa è investire sul futuro del mondo”.
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Padre Lombardi: «La speranza di un Continente: l'Africa ha da dirci qualcosa»

Clicca qui per leggere l'intervista pubblicata da "Il Riformista".
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Messaggio finale del Sinodo: "Africa, alzati e cammina!"

Un lungo applauso: così, stamani, il
Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha accolto la presentazione del Messaggio finale dell’Assemblea. Alla presenza di Benedetto XVI, la 18.ma Congregazione generale ha visto la lettura del documento in quattro lingue: inglese, portoghese, francese e italiano. Il servizio di Isabella Piro:

“Africa, alzati e cammina!”. E’ forte l’esortazione lanciata dal Messaggio finale del Sinodo: non c’è tempo da perdere, dicono i Padri sinodali, l’Africa deve cambiare e non si deve abbandonare alla disperazione.

Il documento è suddiviso in sette parti, più un’introduzione ed una conclusione. Numerosi gli appelli in esso contenuti: ai sacerdoti, perché siano fedeli nel celibato, nella castità e nel distacco dai beni materiali. Ai fedeli laici, “ambasciatori di Dio”, perché permettano alla fede cristiana di impregnare tutte le dimensioni della loro vita, poiché non ci sono scuse per chi resta ignorante in materia. In quest’ambito, il Messaggio raccomanda la formazione permanente dei laici e l’istituzione di Università Cattoliche.

Un altro appello è rivolto al mondo politico: l’Africa ha bisogno di politici santi che combattano la corruzione e lavorino al bene comune, si legge nel testo. Coloro che non sono formati alla fede, si convertano o abbandonino la scena pubblica per non danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica.

Il Messaggio chiama poi in causa le famiglie cattoliche, mettendole in guardia dalle ideologie così dette “moderne” e chiedendo ai governi di sostenerle nella lotta alla povertà, perché una nazione che distrugge la famiglia agisce contro i propri interessi.

Quindi, i Padri Sinodali guardano alle donne e agli uomini cattolici: le prime vengono definite “la spina dorsale” delle Chiese locali; per loro si auspica una promozione maggiore a livello sociale e vengono invitate a non divenire ostaggio di ideologie straniere “tossiche” sul genere e la sessualità. Al contempo, il Messaggio chiama gli uomini cattolici ad essere mariti e padri responsabili, a difendere la vita sin dal concepimento e ad educare i figli.

Poi, l’appello ai giovani e ai bambini, presente e futuro dell’Africa, in cui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. Per entrambi, si raccomanda un apostolato attento, che li tenga lontani dalle sètte e dalle violenze.

E ancora, il Messaggio si rivolge alla comunità internazionale, perché tratti l’Africa con rispetto e dignità, cambi le regole del gioco economico e del debito estero africano, fermi lo sfruttamento delle multinazionali, che distrugge le tante ricorse naturali dell’Africa, non nasconda, dietro gli aiuti, altre intenzioni svantaggiose per gli africani.

Quindi, il Messaggio finale si sofferma sul problema dell’Aids: la Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta contro il virus Hiv e nella cura dei malati, si legge. In accordo con Benedetto XVI, definito “amico autentico dell’Africa e degli africani”, i Padri sinodali ribadiscono che la questione non sarà risolta con la distribuzione di profilattici, e sottolineano il successo ottenuto invece dalla castità e dalla fedeltà.

Poi, il documento ribadisce l’importanza del dialogo con le religioni tradizionali, in ambito ecumenico ed interreligioso, in particolare con i musulmani: il dialogo è possibile, si legge nel Messaggio, ma è importante dire no al fanatismo, assicurare il rispetto reciproco e sottolineare che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale e include la libertà di condividere e proporre, non di imporre, la propria fede.

Tra gli altri temi trattati dal Messaggio, l’importanza del Sacramento della Riconciliazione e di programmi diocesani sulla pace, lo stop alla pratica della vendetta, il rafforzamento dei legami con le antiche Chiese di Etiopia e di Egitto e tra l’Africa e gli altri continenti, il ringraziamento ai missionari, la necessità di sostenere i migranti e i rifugiati nel mondo perché l’accoglienza è un dovere.

Infine, l’esortazione a sostenere il Secam (Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar) che ha compiuto 40 anni di attività, e a moltiplicare gli sforzi nella comunicazione sociale della Chiesa. Un esempio su tutti: la potenza della radio. In Africa, quelle cattoliche sono passate da 15 a 163 nel giro di 15 anni, dati da non sottovalutare in un mondo “pieno di contraddizioni e di crisi profonde”, in cui l’Africa fa notizia solo in caso negativo.

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23/10/2009 19:30

Africa/ Card. Napier: A media di Sinodo interessa solo condom

"Le cose spirituali, le cose religiose non vengono riportate"


I mass media hanno trattato distrattamente il sinodo sull'Africa in corso in Vaticano, secondo il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban.
"Alcuni mezzi di comunicazione sociale riportano soltanto aspetti negativi", afferma il porporato sudafricano in un'intervista all''Osservatore romano'.
"Anche quando parlano della Chiesa ne parlano con toni negativi. Mi riferisco soprattutto a quando si parla dell'Hiv e dell'Aids. Penso in particolare a quei media che attribuiscono alle indicazioni della Chiesa contrarie all'uso dei preservativi il mancato successo della lotta contro l'Aids.
Non riconoscono l'impegno della Chiesa nell'opera di prevenzione e nell'assistenza a chi soffre". Per Napier, lo spazio che i mass media hanno dedicato al Sinodo "è stato molto poco.
In Sud Africa solo un giornale, peraltro quello cattolico, si è occupato del Sinodo. In altre parti dell'Africa se ne parla solo se ci sono stazioni radiofoniche cattoliche. Prendiamo l'esempio del Sud Africa: abbiamo un'emittente radiofonica, 'Radio Veritas', gestita da un padre domenicano: è l'unica che sta seguendo il Sinodo con molta attenzione. Per quanto riguarda il resto della stampa non credo stia facendo molto. Le cose spirituali, le cose religiose non vengono riportate, a meno - conclude Napier - che non si tratti di questioni controverse. Allora sì che le pubblicano!".

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23/10/2009 19:31

Intervista al cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, presidente delegato dell'assemblea sinodale

In ombra nei media la vera immagine dell'Africa


di Nicola Gori

Africa e Aids. Africa e guerre. Africa e genocidi. Africa e fame. Africa e corruzione dei governanti. È solo questa la realtà del continente? È solo questa l'immagine che ne hanno data i padri sinodali? Se ne è lamentato pubblicamente il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, parlando con i giornalisti nel corso della conferenza stampa settimanale, il 14 ottobre scorso.
"L'Africa - ha detto - è molto di più. Custodisce valori e capacità tali da poter offrire, anche al resto del mondo, il contributo di questa sua ricchezza spirituale". Solo che per i mass media, è la sua denuncia, esiste solo il male dell'Africa. Le cose buone non fanno notizia.

Africa tradita dai media dunque?

Il discorso è molto più complesso di quanto appare a prima vista. Innanzitutto bisogna fare una precisazione: io non ho assolutamente generalizzato. Ho parlato solo di alcuni mezzi di comunicazione sociale che riportano soltanto aspetti negativi. Anche quando parlano della Chiesa ne parlano con toni negativi. Mi riferisco soprattutto a quando si parla dell'Hiv e dell'Aids. Penso in particolare a quei media che attribuiscono alle indicazioni della Chiesa contrarie all'uso dei preservativi il mancato successo della lotta contro l'Aids. Non riconoscono l'impegno della Chiesa nell'opera di prevenzione e nell'assistenza a chi soffre. La Chiesa vuole intervenire nella lotta contro l'Aids e lo sta facendo portando avanti direttamente delle attività che possono ricondursi a quattro. La prima è promuovere la conoscenza dell'Hiv, fornendo informazioni accurate sul modo in cui si contrae il virus e su come evitarlo. La seconda è l'assistenza vera e propria ai malati attraverso cure domiciliari e la formazione di persone che possano aiutare all'interno della famiglia coloro che hanno contratto il virus dell'Hiv. La terza è l'assistenza attraverso programmi specifici. La quarta è l'assistenza agli orfani e ai bambini.
Oltre a queste quattro attività, ve ne è una quinta, ovvero quella di prevenzione. Ci stiamo concentrando nell'esortare i giovani a rispettare se stessi e gli altri, ad astenersi dal sesso se non sono sposati e se sono sposati a essere fedeli al loro coniuge.

Però nel corso dei dibattiti al Sinodo i padri hanno dato un'immagine negativa dell'Africa. I giornali si sono limitati a registrare quanto detto.

Il fatto è che stiamo cercando di descrivere la realtà africana e, purtroppo, va riconosciuto che in molte parti del continente ci sono problemi gravi. Basti dare uno sguardo: il Congo orientale è un'area disastrata così come il Darfur e il Sudan meridionale, lo stesso si può dire delle zone intorno all'Uganda settentrionale, del Sudan meridionale, della Repubblica Centrafricana in cui è attivo il Law resistence army. È un disastro per chi ci vive. Dobbiamo sensibilizzare la comunità internazionale riguardo alle aree in cui vi sono delle crisi in atto e vi è bisogno di intervento. E questo è innegabile. Esistono, però, anche delle realtà positive: in Rwanda, il cammino verso la completa riconciliazione sociale procede spedito. Una delle suore uditrici ha raccontato di aver incontrato la persona che aveva ucciso i suoi genitori e il resto della sua famiglia e di essersi riconciliata con lui. Si sono così liberati del peso di quell'esperienza. In molti Paesi procede anche il cammino della democrazia. Adesso è possibile svolgere le elezioni libere, dove un tempo vi erano dittature che lo impedivano.
Ecco quali sono le immagini positive di quanto sta accadendo in Africa. Ci sarebbe poi da parlare della creazione di commissioni di riconciliazione e verità in molte regioni, per risolvere il problema dei conflitti e delle violenze tribali. Il Burundi sta per istituire una commissione di riconciliazione e verità. Lo Stato della Sierra Leone ha già avviato il processo e non è il solo. Molte Conferenze episcopali che nel 1994 non possedevano commissioni di giustizia e pace per far riconoscere i diritti ai cittadini, ultimamente le hanno istituite. Sarebbe bene che i giornalisti ci aiutassero a far conoscere cosa stanno facendo i vescovi veramente. Se ne ricaverebbe un'immagine migliore dell'Africa. Anche nel mio Paese, il Sud Africa, le cose ora vanno molto meglio di qualche tempo fa. Ma a volte non interessa più il nostro cammino che ci ha portato alla democrazia.

Considera esportabile in altri Paesi africani il processo di democratizzazione del Sud Africa?

Dipende dalle situazioni. Nel nostro caso si è verificata una convergenza di circostanze. L'unica cosa certa è che Dio aveva un disegno speciale per noi e crediamo che l'abbia attuato. Per almeno 13 o 14 anni tutta l'Africa meridionale ha pregato per un cambiamento pacifico nel nostro Paese. Semmai c'è da chiedersi perché è accaduto solo da noi? Forse abbiamo potuto contare sulla persona giusta al momento giusto. Mi riferisco a Nelson Mandela. Persino dal carcere in cui era stato relegato è riuscito a stimolare il Governo al cambiamento. Fortunatamente i governanti lo hanno ascoltato. Non a caso, mentre era ancora in prigione, aveva già avviato negoziati, proseguiti quando poi è stato liberato, insieme con gli altri leader del movimento. Le migliori menti del Paese si sono riunite nella Convention for a democratic South Africa (Codessa). Tra i protagonisti c'erano Nelson Mandela e Frederik Willem de Klerk. Entrambi avevano alle spalle validi collaboratori che li aiutarono nel processo di negoziazione. Ma chi ne parla?

Cosa vorrebbe dire a chi gestisce i mass media?

Dovremmo chiedere ai mezzi di comunicazione sociale di annunciare buone notizie. Ecco un esempio: l'altro giorno qualcuno mi ha chiesto: "Quali sono le notizie positive del Sinodo?". Ho risposto che più di 200 vescovi sono riuniti per discutere del continente e per esaminare l'attività della Chiesa. La buona notizia era la crescita e l'approfondimento della fede. Il giornalista mi ha fissato e ha chiesto: "Sì, d'accordo, ma qual è la buona notizia sull'Africa che arriva da questo Sinodo?".
Penso, quindi, che abbiamo bisogno di giornalisti che ascoltino, osservino e, a volte, leggano anche fra le righe, quello che viene detto veramente. A volte, quando diciamo che stanno accadendo cose brutte, pensiamo che in altri luoghi vi sono aspetti positivi.

Pensa sia stato sufficiente lo spazio che hanno dato al Sinodo i mass media in generale e quelli africani in particolare?

Assolutamente no. È stato molto poco. In Sud Africa solo un giornale, peraltro quello cattolico, si è occupato del Sinodo. In altre parti dell'Africa se ne parla solo se ci sono stazioni radiofoniche cattoliche. Prendiamo l'esempio del Sud Africa: abbiamo un'emittente radiofonica, Radio Veritas, gestita da un padre domenicano: è l'unica che sta seguendo il Sinodo con molta attenzione. Per quanto riguarda il resto della stampa non credo stia facendo molto. Le cose spirituali, le cose religiose non vengono riportate, a meno che non si tratti di questioni controverse. Allora si che le pubblicano!

(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2009)
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23/10/2009 19:32

Il documento sinodale presentato ai giornalisti nella sala stampa della Santa Sede

Un messaggio di speranza per l'Africa e per il mondo


Non è un sunto del sinodo e soprattutto non è una bozza dell'esortazione post-sinodale di Benedetto XVI: molto più semplicemente è la voce dell'Africa che, attraverso la sua Chiesa, grida al mondo intero la sua voglia di riscatto, la sua fame di dignità, la sua sete di giustizia nei confronti di chi sviscera la sua terra, la saccheggia e la distrugge senza preoccuparsi del sangue versato. È stato presentato così, in estrema sintesi, il messaggio conclusivo della seconda Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi. L'arcivescovo John Olorunfemy Onaiyekan, e i vescovi Joussef Ibrahim Sarraf e Francisco João Silota nella tarda mattinata di giovedì 23, ne hanno illustrato i contenuti ai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede.
Tutti e tre - rispettivamente presidente, vice presidente e membro della commissione incaricata della redazione del messaggio - hanno concordato nel definire il testo (distribuito ai giornalisti in bozza provvisoria, non definitiva) un documento "molto diretto, molto chiaro, molto concreto", immediatamente fruibile dai sacerdoti "che quotidianamente si devono confrontare con le cose di cui abbiamo parlato e denunciato in aula".
Monsignor Onaiyekan ha spiegato le diverse fasi di lavorazione del documento e poi ne ha illustrato la composizione. "Nella prima parte - ha detto - abbiamo voluto riassumere la reale situazione dell'Africa. Sin dall'introduzione abbiamo voluto mostrare, senza filtro alcuno, tutte le luci e tutte le ombre del nostro continente". Questo perché, ha aggiunto, è necessario avere un'esatta percezione della realtà del continente. Quindi il passo successivo è stata l'esposizione di quanto fa oggi la Chiesa in Africa per la riconciliazione dei suoi figli, per la promozione di un clima di giustizia tale da consentire di vivere in pace.
Un compito enorme che coinvolge tutta la grande famiglia riunita nella Chiesa cattolica africana alle cui ricchezze spirituali sono dedicate la terza e la quarta parte del messaggio. "Ma il sinodo - ha spiegato ancora l'arcivescovo - è andato oltre i limiti della Chiesa e si è rivolto alla comunità internazionale" e ha gridato il suo "basta" allo sfruttamento selvaggio di risorse e di uomini. Ma non ha dimenticato di rivolgere il suo appello anche agli africani, soprattutto ai leaders i quali "dovrebbero cominciare ad opporsi contro tutto ciò che lede i diritti dei loro popoli". L'ultima parte del messaggio - ha poi detto l'arcivescovo - è dedicata "alle grandi risorse spirituali dell'Africa. E se queste grandi risorse spirituali non vengono prepotentemente alla luce si finisce per giustificare le lotte fratricide che insanguinano la nostra terra". Prima di concludere il suo intervento monsignor Onaiyekan si è riferito al dialogo interreligioso, con i musulmani in particolare. Auspicio del sinodo, ha spiegato, è che prosegua un dialogo fruttuoso basato sul principio della reciprocità e della libertà religiosa "garantita per tutti, poiché è parte integrante dei diritti fondamentali della persona".
Monsignor Silota ha spiegato il senso della riflessione interna alla Chiesa in Africa che si è sviluppata durante i lavori. Si è riflettuto sulle responsabilità che competono a ciascun membro della famiglia di Dio, chiamato ognuno secondo il proprio carisma a dare il suo contributo alla riconciliazione, all'affermarsi della giustizia e della pace: "vescovi, sacerdoti, religiosi e laici - ha detto il presule - devono lavorare tutti insieme secondo il principio della sussidiarietà, che tuttavia non significa agire indipendentemente e all'oscuro gli uni degli altri, ma lavorare in sinergia tra di loro ed anche con i leader politici che è possibile avvicinare".
Infine monsignor Sarraf ha sottolineato come un grande merito di questo sinodo quello di aver fatto concretamente sentire la Chiesa in Africa come parte integrante della Chiesa universale. "Questo perché - ha spiegato - a differenza della prima assemblea, a questa seconda hann0 partecipato i rappresentanti di diverse Conferenze episcopali di altri continenti. E questo, oltre naturalmente alla costante presenza del Papa, ci ha fatto capire come l'Africa e la Chiesa in Africa non dovranno affrontare da sole un futuro che è ancora tutto da scrivere. Questo spirito di comunione che è regnato in questi giorni ci ha fatto anche capire che l'Africa parlava a tutta la Chiesa. E credo che questo messaggio, sebbene come il sinodo, sia rivolto al continente africano abbia molto da dire anche oltre i suoi confini".
Alle relazioni hanno fatto seguito diverse domande dei giornalisti presenti. Molte di queste si sono concentrate sulla posizione della Chiesa nei confronti dell'aids. Monsignor Onaiyekan ha risposto che la questione non si può banalizzare o risolvere in un dibattito sulla liceità o meno dell'uso del preservativo. "Questo - ha detto - non aiuterà certo a combattere la malattia". La Chiesa, molto più concretamente, ha aggiunto, combatte informando e promuovendo campagne di sensibilizzazione.
Altro argomento spesso rilanciato è stato quello delle ingerenze internazionali: cosa intende fare la Chiesa? La proposta, ha detto l'arcivescovo, è quella di varare un codice di condotta internazionale a cui si devono conformare le multinazionali, soprattutto quelle minerarie.
A proposito della responsabilità politica di leaders cattolici il vescovo Silota ha invocato "una maggiore coerenza tra gli insegnamenti del Vangelo e la vita pubblica".

(©L'Osservatore Romano - 24 ottobre 2009)
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Messaggio a conclusione del Sinodo speciale per l'Africa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Nella diciottesima Congregazione generale di venerdì mattina, i Padri sinodali hanno approvato il Nuntius (Messaggio) a conclusione della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Pubblichiamo qui di seguito la versione in italiano del testo integrale (redatto in italiano, inglese, francese e portoghese). Il testo non è definitivo.



* * *


INTRODUZIONE

1. È stato un dono speciale della grazia, e come ultima volontà e testamento per l’Africa, quando il Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II, verso la fine della sua vita, il 13 Novembre 2004, annunciò la sua intenzione di convocare una Seconda Assemblea Speciale per l’ Africa del Sinodo dei Vescovi. Questa stessa intenzione fu confermata dal suo successore, il nostro Santo Padre, Papa Benedetto XVI, il 22 giugno 2005, in una delle prime grandi decisioni del suo pontificato. Mentre siamo riuniti qui per questo Sinodo, da tutti i paesi dell’Africa del Madagascar e delle isole adiacenti, coi fratelli vescovi e colleghi di tutti i continenti, insieme e sotto il Capo del Collegio Episcopale, con la partecipazione di alcuni delegati fraterni di altre tradizioni cristiane, noi ringraziamo Dio per questa possibilità provvidenziale di celebrare le benedizioni del Signore sul nostro continente, per riflettere sul nostro ufficio di Pastori del gregge di Dio e cercare nuova ispirazione e incoraggiamento per i compiti e le sfide che ci stanno davanti. Sono già passati quindici anni dalla prima Assemblea nel 1994. Gli insegnamenti e le direttive dell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa non hanno cessato di rappresentare una valida guida per la nostra attività pastorale. In questa seconda Assemblea, comunque, il Sinodo ha potuto concentrarsi su un tema di massima urgenza per l’Africa: il nostro servizio per la riconciliazione, la giustizia e la pace in un continente che ha davvero un pressante profondo bisogno di queste grazie e virtù.

2. Abbiamo iniziato il nostro lavoro qui a Roma con una celebrazione inaugurale della Santa Eucaristia, presieduta da Sua Santità il Papa Benedetto XVI, invocando lo Spirito Santo di “condurci verso la verità tutta intera” (Gv 16,13). In quella occasione, il Papa ci ha ricordato che il Sinodo non è’ in primo luogo una sessione di studio. Piuttosto, è l’iniziativa di Dio, che ci chiama ad ascoltare: ascoltare Dio, ascoltarci a vicenda e ascoltare il mondo che ci sta attorno, in un’atmosfera di preghiera e di riflessione.

3. Mentre siamo in procinto di disperderci verso i vari luoghi della nostra missione, con rinnovato impegno e coraggio, indirizziamo questo messaggio alla Chiesa tutta intera, Famiglia di Dio, e in special modo alla Chiesa in Africa: ai nostri fratelli vescovi in nome dei quali siamo qui; ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e a tutti i fedeli laici e a chiunque Dio apra il cuore per ascoltare le nostre parole.

PARTE I
UNO SGUARDO ALL’AFRICA D’OGGI

4. Viviamo in un mondo pieno di contraddizioni e in piena crisi. La scienza e la tecnologia fanno passi da gigante in tutti gli aspetti della vita, fornendo all’umanità tutto ciò che occorre per fare del nostro pianeta un luogo meraviglioso per tutti noi. Tuttavia situazioni tragiche di rifugiati, povertà estrema, malattie e fame uccidono tuttora migliaia di persone ogni giorno.

5. In tutto questo, l’ Africa è la più colpita. Essa è ricca di risorse umane e naturali, ma molti del nostro popolo sono lasciati a dibattersi nella povertà e nella miseria, in guerre e conflitti, fra crisi e caos. Molto raramente tutto ciò è causato da disastri naturali. Piuttosto è dovuto in larga misura a decisioni e azioni umane di persone che non hanno nessuna considerazione per il bene comune e ciò spesso per tragica complicità e cospirazione criminale tra responsabili locali e interessi stranieri.

6. Ma l’Africa non deve disperare. Le benedizioni di Dio sono ancora abbondanti e aspettano di essere sfruttate con prudenza e giustizia a favore dei suoi figli. Dove le condizioni sono giuste, i suoi figli hanno dimostrato che possono raggiungere, e in effetti hanno raggiunto, il più alto grado di impegno umano e competenza. Ci sono molte buone notizie in diverse parti dell’Africa. Ma i mezzi di comunicazione moderna spesso prediligono le cattive notizie e sembrano concentrarsi sulle nostre disgrazie e difetti, piuttosto che sugli sforzi positivi che stiamo compiendo. Nazioni sono uscite da lunghi anni di guerra e si muovono gradualmente sui sentieri della pace e della prosperità. Il buon governo sta avendo un notevole impatto positivo in alcuni paesi africani, stimolando così altri paesi a riconsiderare le cattive abitudini del passato e del presente. Abbondano segnali di molte iniziative che cercano di dare un’effettiva soluzione ai nostri problemi. Questo Sinodo, proprio per la scelta del suo tema, spera di essere una di queste iniziative positive. Invitiamo tutti indistintamente a collaborare per raccogliere le sfide della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace in Africa. Molti stanno soffrendo e morendo: non c’è tempo da perdere.

PARTE II
ALLA LUCE DELLA FEDE

7. Il nostro ufficio di vescovi ci obbliga a considerare ogni cosa alla luce della fede. Poco tempo dopo la pubblicazione di Ecclesia in Africa (EIA), i vescovi d’Africa, tramite il Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (SECAM), pubblicarono una lettera pastorale intitolata: “Cristo nostra pace” (cfr. Documento Finale dell’ Assemblea Plenaria del SECAM a Rocca di Papa, 1-8 Ottobre 2000, pubblicato ad Accra nel 2001). Durante questa assemblea abbiamo spesso ricordato che l’iniziativa per ogni riconciliazion e pace viene da Dio. Come dice l’Apostolo Paolo: “In Cristo, Dio ha riconciliato a sé il mondo”. Questo avviene per un suo dono gratuito di perdono senza condizioni, “senza imputare loro i peccati”, per introdurci nella sua pace(cfr. 2 Cor 5, 17-20). Per quanto riguarda la giustizia, anch’essa è azione di Dio, attraverso la grazia giustificante, in Cristo.

8. Nello stesso testo San Paolo continua dicendo che Dio “affida a noi la parola della riconciliazione”, e in effetti ci ha nominati “ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro”. Questo è l’altissimo mandato che abbiamo ricevuto dal nostro Dio, misericordioso e compassionevole. La Chiesa in Africa, sia come famiglia di Dio sia come singoli fedeli, ha il dovere di essere strumento di pace e riconciliazione, secondo il cuore di Cristo, che è la nostra pace e riconciliazione. E sarà capace di far questo nella misura in cui essa stessa è riconciliata con Dio. Le sue strategie per la riconciliazione, la giustizia e la pace nella società devono andare oltre e più in profondità di quanto il mondo tratti queste questioni. Con San Paolo, il Sinodo invita tutti i popoli d’Africa: “ Vi supplichiamo in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio” ( 2 Cor 5,20). In altre parole, invitiamo tutti a lasciarsi riconciliare con Dio. È questo che apre la via alla riconciliazione vera fra persone. È questo che può spezzare il circolo vizioso dell’offesa, della vendetta e del contrattacco. In tutto questo, la virtù del perdono è cruciale, anche prima di qualsiasi ammissione di colpa. Quelli che dicono che il perdono non funziona, dovrebbero provare a vendicarsi e vedere cosa succede. Il vero perdono promuove la giustizia del pentimento e della riparazione, che conducono a una pace che va alle radici del conflitto e che fanno di quanti erano vittime e nemici, degli amici, fratelli e sorelle. Poiché è Dio che rende possibile questo tipo di riconciliazione, in questo ministero dobbiamo dare uno spazio adeguato alla preghiera e ai sacramenti, specialmente il Sacramento della Penitenza.

PARTE III
ALLA CHIESA UNIVERSALE

9. Questo proietta la sua luce di attenzione e solidarietà sul continente africano. Ringraziamo il Santo Padre per la sua vicinanza all’Africa nelle sue lotte e per la difesa che ne fa con tutto il peso della sua enorme autorità morale. Come i suoi predecessori, è sempre stato un vero amico dell’Africa e degli Africani. Confrontandoci con le nostre sfide, siamo stati arricchiti e guidati dai tesori e dalla saggezza del magistero dei Papi sugli aspetti socio-politici. A questo proposito, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa è un vademecum e una risorsa che vivamente raccomandiamo in questo messaggio a tutti i fedeli laici, specialmente a quelli che hanno grandi responsabilità nelle nostre comunità.

10. La Santa Sede ha promosso molte iniziative mirate allo sviluppo e al benessere dell’Africa. Un caso specifico è la Fondazione per il Sahel per combattere la desertificazione nelle regioni del Sahel. Non possiamo neanche sminuire i grandi servigi che rendono i rappresentanti pontifici nelle nostre chiese locali. Oggi la Santa Sede ha Nunzi in 50 paesi africani, su 53. Questa è una forte indicazione dell’impegno della Santa Sede a servizio del continente, per il quale il Sinodo esprime un profondo apprezzamento.

11. Salutiamo con affetto fraterno la Chiesa tutt’intera, oltre le coste dell’Africa, noi tutti membri della stessa Famiglia di Dio sparsa in tutto il mondo. La presenza e la partecipazione attiva di delegati da altri continenti in questa assemblea, conferma il nostro legame di collegialità effettiva ed affettiva. Ringraziamo tutte quelle Chiese locali che si sono impegnate per offrire servizi in Africa e per l’Africa, sia nell’ambito spirituale che materiale. Nell’area della riconciliazione, della giustizia e della pace, la Chiesa in Africa continuerà a contare sull’effettivo patrocinio dei responsabili della Chiesa in quei paesi ricchi e potenti le cui politiche, azioni e omissioni contribuiscono a causare o aggravare la difficile situazione dell’Africa. C’e uno speciale legame storico fra l’Europa e l’Africa. A questo proposito, dunque, la relazione che oggi esiste fra i due organismi episcopali a livello continentale, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’ Europa (CCEE) e SECAM, deve essere rafforzata e approfondita. Accogliamo pure con gioia i nascenti rapporti fraterni tra la Chiesa in Africa e la Chiesa nelle Americhe.

12. Molti figli e figlie d’Africa hanno lasciato la loro casa per cercar dimora in altri continenti. Molti di loro stanno bene e contribuiscono validamente alla vita del loro nuovo paese di residenza. Altri lottano per sopravvivere. Li raccomandiamo tutti all’adeguata attenzione pastorale della Chiesa, Famiglia di Dio, dovunque siano. “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35) non è solo una parabola circa la fine del mondo, ma è anche un dovere da soddisfare oggi. La Chiesa in Africa ringrazia Dio per i suoi numerosi figli e figlie che sono missionari in altri continenti. In questo santo scambio di doni, è importante che tutte le parti coinvolte continuino a lavorare per costruire una relazione cristiana trasparente, corretta, dignitosa. Durante i lavori del Sinodo, la Chiesa in Africa ha accettato la sfida di interessarsi delle persone di discendenza africana in altri continenti, specialmente d’America.

13. A questo punto, questo Sinodo sente il dovere d’esprimere profondo apprezzamento per i molti missionari, sacerdoti, religiosi e fedeli laici che da altri continenti hanno portato la fede alla maggior parte dei paesi in Africa, molti dei quali vi stanno ancora lavorando con zelo e dedizione eroica. Grazie in special modo a quelli che sono rimasti con la loro gente anche in tempo di guerra e di gravi crisi. Alcuni hanno anche pagato con la propria vita la loro fedeltà.

PARTE IV
LA CHIESA IN AFRICA

14. Ricordiamo, con giusto orgoglio, che il Cristianesimo è presente in Africa fin dai sui primi inizi, in Egitto ed Etiopia e subito dopo in altre parti del Nord Africa. Questa antica Chiesa ha arricchito la Chiesa universale con prestigiose tradizioni, teologiche e spirituali, con famosi santi e martiri, come Papa Giovanni Paolo II ha messo in evidenza così eloquentemente (EIA, n. 31). Le Chiese dell’Egitto e dell’Etiopia, che sono sopravvissute a numerose prove e persecuzioni, meritano un’alta considerazione e una collaborazione più stretta con le Chiese, molto più giovani, nel resto del continente. Tale collaborazione è particolarmente importante se consideriamo le migliaia di migranti e di giovani studenti dal sud del Sahara che fanno i loro studi superiori nel Maghreb. Molti di loro sono cattolici e portano con sé il loro attaccamento alla fede, cosa che rianima grandemente la Chiesa locale di residenza. La Chiesa, formata in questi luoghi e in altri soprattutto da stranieri, conta sulla solidarietà delle Chiese sorelle d’Africa perché mandino sacerdoti Fidei Donum ed altri missionari.

15. In tutto il continente, la Chiesa continuerà a camminare in solidarietà con il suo popolo. Le gioie e i dolori, le speranze e le aspirazioni del nostro popolo sono anche le nostre (cfr. Vat. II, Gaudium et spes, 1). Siamo convinti che il primo e specifico contributo della Chiesa ai popoli d’ Africa è la proclamazione del Vangelo di Cristo. Siamo perciò impegnati a continuare vigorosamente la proclamazione del Vangelo ai popoli d’ Africa, perché “la vita in Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”, come Papa Benedetto XVI dice in Caritas in veritate (CV, 8). Infatti l’impegno a favore dello sviluppo proviene da quel cambiamento del cuore che deriva dalla conversione al Vangelo. In questa luce, accettiamo la nostra responsabilità d’essere strumenti di riconciliazione, di giustizia e di pace nelle nostre comunità, “ambasciatori per Cristo” (2 Cor 5,20) che è la nostra pace e riconciliazione. A questo proposito, tutti i membri della Chiesa, clero, religiosi e fedeli laici, devono essere mobilizzati a lavorare insieme nell’unità che fa la forza. Siamo provocati e incoraggiati dal proverbio africano che dice che “un esercito di formiche ben organizzate può abbattere un elefante”. Non dovremmo aver paura e ancor meno essere scoraggiati, dall’enormità dei problemi del nostro continente.

16. La Chiesa in Africa accoglie con gioia l’invito fatto nella sala del Sinodo per una collaborazione ‘Sud-Sud’ nei nostri sforzi. Molti dei problemi dell’Africa, e molte delle pressioni sull’Africa, si trovano anche in Asia e nell’America Latina. Noi crediamo che abbiamo molto da guadagnare non solo scambiandoci informazioni ma anche collaborando. Che il Signore ci mostri la via per continuare in questa direzione.

17. Il SECAM è l’istituzione della solidarietà pastorale organica della gerarchia della Chiesa in Africa (EIA, n. 16). Sfortunatamente, questo organismo insostituibile non ha ricevuto il sostegno che dovrebbe ricevere, neanche dai vescovi in Africa. Ringraziamo Dio che questo Sinodo ha rappresentato un opportunità benedetta di mettere in luce l’importanza del SECAM. Abbiamo molte ragioni di credere che gli inviti fatti da molti Padri sinodali per un maggior impegno verso il SECAM non sono caduti nel vuoto. Mentre ci prepariamo a ritornare a casa, ci siamo impegnati a dare al SECAM quel poco di cui ha bisogno per svolgere la sua missione. Creata per iniziativa del SECAM e operante in comunione leale con esso, la Confederazione delle Conferenze dei Superiori Maggiori d’ Africa e di Madagascar (COSMAM), sta crescendo gradualmente per diventare uno strumento effettivo per promuovere nel continente una solidarietà pastorale organica nella vita e nell’apostolato dei religiosi in Africa. Il Sinodo accoglie con gioia il loro valido contributo alla vita e missione della Chiesa in Africa.

18. Come vescovi accettiamo la sfida di lavorare in unità nelle nostre varie Conferenze Episcopali, dando ai nostri paesi un modello di istituzione nazionale riconciliata e giusta, pronti ad offrirci come artigiani di pace e di riconciliazione, ogni volta e in ogni luogo ne siamo richiesti. Lodiamo quei vescovi che hanno avuto tali ruoli, specialmente in ambito ecumenico e/o insieme a religioni differenti, come abbiamo visto avvenire in luoghi come il Mali, la Repubblica Democratica del Congo, il Burkina Faso, il Senegal, il Niger e altri. L’unità dell’episcopato è fonte di grande forza, mentre la sua assenza spreca le energie, rende vani gli sforzi e apre uno spazio ai nemici della Chiesa per neutralizzare la nostra testimonianza. Un’area importante dove una tale cooperazione nazionale e coesione sono molto utili è nei mezzi di comunicazione. Da quando EIA è stata pubblicata, è avvenuta una vera esplosione di stazioni radio cattoliche in Africa, da soltanto 15 circa nel 1994 a più di 163 oggi, in 32 paesi. Lodiamo quei paesi che hanno incoraggiato questo sviluppo. Invitiamo quei paesi che hanno ancora delle riserve a questo proposito, a riconsiderare le loro politiche, per il bene dei loro paesi e della loro gente.

19. Ogni vescovo deve porre le questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace come un’alta priorità nell’agenda pastorale della sua diocesi. Dovrebbe assicurare la creazione di Commissioni di Giustizia e Pace a tutti i livelli. Dovremmo continuare a lavorare sodo nel formare le coscienze e nel cambiare i cuori, tramite una catechesi efficace a tutti i livelli. Questo deve andare oltre il “semplice catechismo” per bambini e catecumeni che si preparano ai sacramenti. Abbiamo bisogno di organizzare un programma di formazione continua per tutti i nostri fedeli, specialmente per quelli che sono in alte posizioni di autorità. Le nostre diocesi devono essere modelli di buon governo, di trasparenza e di buona gestione finanziaria. Dobbiamo continuare a fare del nostro meglio per combattere la povertà, grande ostacolo alla pace e alla riconciliazione. Qui i suggerimenti per creare programmi di micro-finanza meritano un’attenzione particolare. Come ultimo punto, il vescovo, in quanto capo della sua Chiesa locale, ha il dovere di mobilizzare tutti i suoi fedeli e coinvolgerli nei ruoli loro propri nel pianificare, formulare, attuare e valutare politiche e programmi diocesani per la riconciliazione, la giustizia e la pace.

20. Il sacerdote è “il collaboratore necessario e più stretto del vescovo”. In questo Anno Sacerdotale, cari fratelli nel sacerdozio, ci indirizziamo a voi in modo speciale: voi occupate una posizione chiave nell’apostolato della diocesi. Voi rappresentate per la gente la faccia più visibile del clero, sia all’interno della Chiesa, che all’esterno. Il vostro esempio di vita insieme e in pace, superando le barriere tribali e razziali, può essere una potente testimonianza per gli altri. Questo viene dimostrato per esempio quando accogliete con gioia chiunque la Santa Sede nomina come vostri vescovi, senza distinzioni di luogo di nascita. Molto della realizzazione dei piani pastorali diocesani per la riconciliazione, la giustizia e la pace dipenderà da voi. La catechesi, la formazione del laicato, la cura pastorale delle persone di alta responsabilità: niente di tutto questo andrà lontano senza il vostro pieno impegno nelle parrocchie e nei vari luoghi di vostra competenza. Il Sinodo vi esorta a non trascurare il vostro dovere in questo ambito. Raggiungerete un successo più grande se sarete capaci di lavorare in un ministero basato sulla cooperazione, coinvolgendo tutti gli altri agenti della comunità pastorale; diaconi, religiosi, catechisti, laici, uomini e donne e i giovani. In molti casi, il prete è fra quelli meglio formati nella comunità locale e talvolta ci si aspetta che svolga un ruolo di leader negli affari della comunità. Dovreste sapere qual è il modo migliore di offrire il vostro servizio pastorale ed evangelico, senza schieramenti di parte. La vostra fedeltà agli impegni sacerdotali, in particolare a una vita di celibato nella castità, come pure a un distacco dalle cose materiali, è una testimonianza eloquente al Popolo di Dio. Molti di voi hanno lasciato l’Africa per la missione in altri continenti. Quando lavorate con rispetto e ordine, voi date una buona immagine dell’Africa. Il Sinodo loda il vostro impegno nell’opera missionaria della Chiesa. Possiate ricevere tutti la ricompensa promessa a coloro “che hanno lasciato la loro casa ..... per causa del Regno” (Lc 18,28).

21. L’Africa in questi ultimi anni è divenuta pure un terreno fertile per numerose vocazioni: sacerdoti, fratelli e suore. Ringraziamo Dio per questa grande benedizione. Cari uomini e donne di vita consacrata, vi siamo grati per la testimonianza della vostra vita religiosa nei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, che spesso vi rendono profeti e modelli di riconciliazione, giustizia e pace in circostanze di estrema pressione. Il Sinodo vi esorta a dare la massima efficacia al vostro apostolato attraverso la comunione leale e impegnata con la gerarchia locale. Il Sinodo si congratula specialmente con voi, religiose, per la dedizione e lo zelo nel vostro apostolato nel campo della sanità, dell’educazione e di altri aspetti dello sviluppo umano.

22.Questo Sinodo si rivolge con profondo affetto ai fedeli laici d’Africa. Voi siete la Chiesa di Dio nei luoghi pubblici della società. È in voi ed attraverso di voi che la vita e la testimonianza della Chiesa sono visibili al mondo. Voi quindi condividete il mandato della Chiesa di essere “ambasciatori per Cristo” impegnati per la riconciliazione del popolo con Dio e tra di loro. Ciò esige che lasciate che la vostra fede permei ogni aspetto ed angolo della vostra vita; in famiglia, al lavoro, nella professione, in politica e nella vita pubblica. Non è un impegno facile. Per questo dovete accostarvi assiduamente alle sorgenti della grazia, tramite la preghiera ed i sacramenti. Il testo scritturistico del tema del Sinodo, indirizzato a tutti I seguaci di Cristo, si riferisce in modo particolare a voi: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13-14). A questo punto vogliamo reiterare la raccomandazione di Ecclesia in Africa a proposito delle Piccole Comunità Cristiane (EIA, 93).Oltre alla preghiera, vi dovete armare con una sufficiente conoscenza della fede cristiana per essere capaci di “dare prova della speranza che portate” (1 Pt 3,15) nei luoghi pubblici dove si formano le idee. Coloro tra voi che sono più in alto hanno il dovere di acquisire un livello proporzionale di cultura religiosa. In particolare raccomandiamo caldamente le fonti basilari della fede cattolica: la Santa Bibbia, il Catechismo della Chiesa Cattolica, e ciò che è più rilevante per il tema del sinodo, il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Tutti questi sono disponibili a prezzi accessibili. Non ci sono scuse per restare ignoranti della propria fede. Al riguardo Ecclesia in Africa raccomandava ardentemente la fondazione di università cattoliche. Ringraziamo Dio che negli ultimi 15 anni sono emerse molte di tali istituzioni, e molte altre sono in arrivo. Questo progetto ha una importanza capitale. Ma è necessario, se dobbiamo investire su un futuro di un laicato cattolico ben formato, specialmente di intellettuali, pronti e capaci di ergersi a testimoniare la propria fede nel mondo contemporaneo. Questo è certamente un campo dove la solidarietà universale della Chiesa Famiglia di Dio è imprescindibile.

23. Il Sinodo ha un messaggio molto importante e speciale per voi, cari cattolici africani impegnati nella vita pubblica. Lodiamo i tanti tra voi che si sono offerti per il servizio pubblico nel vostro popolo, senza preoccuparsi di tutti i pericoli e delle incertezze della politica in Africa, prendendolo come un apostolato per promuovere il bene comune ed il regno di Dio, che è regno di giustizia, di amore e di pace, secondo l’insegnamento della Chiesa (cfr. Vat. II Gaudium et spes, 75). Potete sempre contare sull’incoraggiamento e sull’appoggio della Chiesa. Ecclesia in Africa esprimeva la speranza che emergano in Africa politici e capi di stato santi. Questo non è certamente un desiderio vuoto. È incoraggiante che la causa di canonizzazione di Julius Nyerere della Tanzania sia già in corso. L’Africa ha bisogno di santi in rilevanti uffici politici: politici santi che sgombreranno il continente dalla corruzione, che lavoreranno per il bene della gente e che sapranno come galvanizzare altri uomini e donne di buona volontà al di fuori della Chiesa ad unirsi contro i mali comuni che assillano le nostre nazioni. Il Sinodo ha raccomandato fortemente che le Chiese locali intensifichino il loro apostolato per la cura spirituale di quanti sono in cariche pubbliche, designino zelanti cappellani per loro ed organizzino uffici di collegamento ad alto livello per evangelizzare i parlamenti. Vi esortiamo, tutti voi fedeli laici in politica, di approfittare pienamente di tali programmi là dove esistono. Molti cattolici in posizioni di prestigio deplorevolmente non hanno corrisposto adeguatamente all’esercizio delle loro cariche. Il Sinodo invita tali persone a pentirsi o a lasciare la pubblica arena e così cessare di causare rovina al popolo dare cattiva fama alla Chiesa Cattolica.

24. Rivolgiamo ora l’ attenzione alle nostre care famiglie cattoliche in Africa. Ci congratuliamo con voi per essere rimaste tenacemente fedeli agli ideali della famiglia cristiana e per aver conservato i valori migliori della nostra famiglia africana. Vi mettiamo in guardia contro gli attacchi di velenose ideologie provenienti dall’estero, che pretendono di essere cultura “moderna”. Continuate ad accogliere i bambini come dono di Dio ed allevateli nella conoscenza e nel timore di Dio, per essere persone di riconciliazione, di giustizia e di pace nel futuro. Siamo coscienti che molte delle nostre famiglie sono oggetto di grande pressione. La povertà spesso rende i genitori incapaci di prendersi buona cura dei propri figli, con conseguenze disastrose. Invitiamo i governi e le autorità civili a ricordare che il paese la cui legislazione distrugge le famiglie, lo fa a scapito proprio. La maggior parte delle famiglie chiedono solo quanto è sufficiente per sopravvivere. Esse hanno il diritto a vivere.

25. Il Sinodo ha una parola speciale per voi, care donne cattoliche. Voi siete spesso la spina dorsale della nostra Chiesa locale. In molti paesi le Organizzazioni delle Donne Cattoliche sono una grande forza per l’apostolato della Chiesa. Ecclesia in Africa raccomandava che nella Chiesa “le donne, adeguatamente formate, vengano rese partecipi, ai livelli appropriati, dell’attività apostolica della Chiesa” (n. 121). In molti luoghi si registra un progresso in questa direzione. Ma ancora molto resta da fare. Il contributo specifico delle donne dovrebbe essere riconosciuto e promosso, non solo in casa come mogli e madri, ma più generalmente anche nella sfera sociale. Il Sinodo raccomanda alle nostre Chiese locali di spingersi al di là dell’affermazione generale di Ecclesia in Africa e di creare strutture cpncrete per assicurare la reale partecipazione delle donne “a livelli appropriati”. La Santa Sede ci ha dato il buon esempio a questo riguardo nominando donne a cariche dei più alti livelli. Ovunque in Africa si parla molto dei diritti delle donne, specialmente attraverso i piani d’azione preparati da alcune agenzie dell’ONU. Molto di ciò che dicono è giusto e corrisponde a quanto la Chiesa va dicendo. Ma c’è bisogno di grande cautela nei progetti concreti da loro proposti, spesso per secondi fini. Noi incarichiamo voi, donne cattoliche, ad essere pienamente coinvolte nei programmi per le donne dei vostri paesi, con gli occhi della fede ben aperti. Munite di una buona informazione e della dottrina sociale della Chiesa, dovreste fare in modo che le buone idee non vengano distorte dagli spacciatori di ideologie straniere e moralmente velenose che riguardano il genere e la sessualità umana. Nel far questo vi guidi Maria nostra Madre, sede della Sapienza.

26. Il Sinodo chiede ugualmente a voi, cari uomini cattolici, di svolgere i vostri importanti ruoli di padri responsabili e di mariti retti e fedeli. Seguite l’esempio di S. Giuseppe (cfr.Mt 2,13-23) nella cura della famiglia, nella protezione della vita dal momento del concepimento e nell’educazione dei figli. Fate in modo di organizzarvi in associazioni ed in gruppi di Azione Cattolica che vi rendano capaci di migliorare la qualità della vita cristiana e l’impegno per la Chiesa. Ciò vi metterebbe anche in una posizione migliore per interpretare ruoli di guida nella società e per diventare testimoni più efficaci e promotori di riconciliazione, giustizia e pace, come sale della terra e luce del mondo.

27. Infine ci rivolgiamo a voi, nostri figli e figlie, giovani delle nostre comunità. Voi non siete solo il futuro della Chiesa: voi siete già il presente in grande numero. In molti paesi d’Africa più del 60% della popolazione è sotto i 25 anni. La percentuale nella Chiesa non dovrebbe essere molto differente. Voi dovete essere strumenti di pace e all’avanguardia di un cambiamento sociale positivo. Sentiamo di dover dare un’attenzione particolare a voi, giovani adulti. Voi siete spesso trascurati, lasciati alla deriva come bersagli per ideologie e sette di ogni tipo. Voi siete molto spesso reclutati ed assunti per pratiche violente. Esortiamo tutte le Chiese locali a considerare l’apostolato verso i giovani come un’alta priorità.

28. Gesù ha detto: “Lasciate che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli”(Mt 19,14). Il Sinodo non ha dimenticato voi, cari bambini. Voi siete sempre oggetto di della nostra tenera attenzione. Ma noi riconosciamo e desideriamo valorizzare il vostro entusiasmo ed impegno come forze attive di evangelizzazione, specialmente tra i vostri coetanei. A voi pure deve essere assicurato uno spazio adeguato, mezzi e direzione per abilitarvi all’apostolato. Vi raccomandiamo specialmente l’organizzazione per i bambini delle Pontificie Opere Missionarie: l’ Opera della Santa Infanzia.

PARTE V
UN APPELLO ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

29. La famiglia di Dio si estende al di là dei confini visibili della Chiesa, essa include l’umanità intera. Quando pensiamo ad argomenti come riconciliazione, giustizia e pace, tutti ci incontriamo al livello più profondo della nostra comune umanità. Questo progetto riguarda tutti e richiede un’azione comune. Noi allora alziamo la nostra voce per un appello a tutti gli uomini e donne di buona volontà. In modo particolare ci rivolgiamo a coloro con i quali professiamo la stessa fede in Gesù Cristo, e anche a uomini e donne di altre fedi.

30. In genere le agenzie dell’ONU svolgono un buon lavoro in Africa, per lo sviluppo, il mantenimento della pace, la difesa dei giusti diritti delle donne e dei bambini, la lotta alla povertà, alle malattie,al HIV/AIDS, alla malaria, alla tubercolosi ed altri problemi. Il Sinodo loda il lavoro positivo che stanno svolgendo. Tuttavia chiediamo loro di essere più coerenti e trasparenti nel realizzare i loro programmi. Raccomandiamo vivamente i paesi di Africa a valutare con attenzione i servizi che sono offerti alla nostra gente, di assicurarsi che essi sia buoni per noi. In particolare il Sinodo denuncia tutti i tentativi furtivi di distruggere e scalzare i preziosi valori Africani della famiglia e della vita umana (per esempio: il detestabile art. 14 del Protocollo di Maputo ed altre proposte simili).

31. La Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta contro l’HIV/AIDS e nella cura delle persone infette e contagiate da esso. Il Sinodo ringrazia tutti quelli che sono generosamente coinvolti in questo difficile apostolato di amore e di attenzione. Invochiamo un appoggio prolungato perché possiamo coprire i bisogni dei molti che chiedono assistenza (EIA, 31). Con il Santo Padre Benedetto XVI, questo Sinodo avverte che il problema non può essere superato con la distribuzione di profilattici. Chiediamo a tutti coloro che sono genuinamente interessati ad arrestare la trasmissione sessuale dell’ HIV/AIDS di riconoscere il successo già ottenuto dai programmi che consigliano l’astinenza tra i non sposati e la fedeltà tra gli sposati. Questo modo di procedere non solo offre la miglior protezione contro la diffusione di questa malattia ma è pure in armonia con la morale cristiana. Ci rivolgiamo particolarmente a voi, giovani. Non permettete che nessuno vi inganni nel pensare che non potete autocontrollarvi: sì, con la grazie di Dio, lo potete.

32. Ai grandi poteri di questo mondo rivolgiamo una supplica: trattate l’Africa con rispetto e dignità. L’Africa da tempo reclama un cambiamento nell’ordine economico mondiale a riguardo delle strutture ingiuste accumulatesi pesantemente su di essa. La recente turbolenza nel mondo finanziario mostra il bisogno di un radicale cambiamento di regole. Ma sarebbe una tragedia se le modifiche fossero fatte solo negli interessi dei ricchi ed ancora a discapito dei poveri. Molti dei conflitti, guerre e povertà dell’Africa derivano principalmente da queste strutture ingiuste.

33. L’umanità ha molto da guadagnare se ascolta le parole sapienti del Santo Padre Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate. Un ordine mondiale nuovo e giusto non è soltanto possibile, ma necessario per il bene di tutta l’umanità. Un cambiamento è richiesto circa il debito che pesa sui paesi poveri, uccidendo letteralmente i bambini. Le società multinazionali devono cessare la devastazione criminale dell’ambiente per il loro ingordo sfruttamento delle risorse naturali. È una politica miope quella di fomentare guerre per ottenere profitti rapidi dal caos, al prezzo di vite umane e di sangue. E’ possibile che nessuno sia capace e voglia interrompere questi crimini contro l’umanità?

PARTE VI
“AFRICA, ALZATI!”

34. Si dice che la culla del genere umano si trovi in Africa. Il nostro continente ha una lunga storia di grandi imperi e di civiltà illustri. La storia futura del continente deve essere ancora scritta. Dio ci ha benedetto con ampie risorse naturali ed umane. Nella quotazione internazionale dello sviluppo materiale, i paesi dell’Africa sono spesso agli ultimi posti. Non è questa una ragione per disperare.. Ci sono stati gravi atti di ingiustizia storica, come la tratta degli schiavi ed il colonialismo, le cui conseguenze negative ancora persistono. Ma queste non sono più scuse per non muoverci in avanti. Di fatto molte cose stanno accadendo. Lodiamo gli sforzi per liberare l’Africa dall’alienazione culturale e dalla schiavitù politica. Ora l’Africa deve affrontare la sfida di dare ai propri figli un degno livello di condizioni di vita. A livello politico, c’è un progresso verso l’integrazione continentale: l’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU) è diventata l’Unione Africana (AU). L’Unione Africana ed altri raggruppamenti regionali, a volte in collaborazione con le Nazioni Unite, hanno intrapreso iniziative per risolvere conflitti e per mantenere la pace in molte situazioni di crisi. A livello economico, l’Africa ha cercato di tagliarsi su misura una struttura strategica per lo sviluppo chiamata NEPAD (Nuovo Partenariato Economico per lo Sviluppo Africano). Ha previsto anche un APRM (African Peer Review Mechanism) per il monitoraggio e la misura dell’attuazione di ciò da parte dei vari paesi. Il Sinodo loda questi sforzi poiché questi programmi collegano chiaramente l’emancipazione economica dell’Africa con l’insediamento di un buon governo. Purtroppo qui sta il punto di stallo. Per la gran parte dei paesi africani i bei documenti del NEPAD restano ancora lettera morta. Ci attendiamo perciò un miglioramento generale del buon governo in Africa.

35. Il Sinodo felicemente si congratula con i pochi paesi in Africa che hanno intrapreso la strada di una genuina democrazia. Essi stanno già mostrando i buoni risultati del metodo di fare le cose bene. Alcuni di essi sono usciti da molti anni di guerre e conflitto e stanno gradualmente ricostruendo la loro nazione disastrate. Noi speriamo che il loro buon esempio solleciti altri a cambiare le cattive abitudini.

36. Il Sinodo nota con tristezza che la situazione in parecchi paesi resta molto vergognosa. Pensiamo in particolare alla triste situazione della Somalia, immersa in un conflitto virulento da quasi due decenni che coinvolge già i paesi vicini. Non dimentichiamo la tragica condizione di milioni di persone nella regione dei Grandi Laghi e la crisi che ancora perdura nell'Uganda settentrionale, nel Sudan meridionale, nel Darfur, in Guinea Conakry ed in altri luoghi. Coloro che controllano le sorti di queste nazioni devono assumersi piena responsabilità per il loro deplorevole comportamento. Nella maggior parte dei casi, abbiamo a che fare con avidità di poter e di ricchezza a spese della popolazione e della nazione. Qualunque sia l’incidenza di interessi stranieri, c'è sempre la vergognosa e tragica collusione dei leader locali: politici che tradiscono e svendono le loro nazioni, uomini d’affari corrotti che sono in collusione con multinazionali rapaci, commercianti e trafficanti di armi africani, che fanno fortuna con il commercio di piccole armi che causano grande distruzione di vite umane, e agenti locali di alcune organizzazioni internazionali che vengono pagati per diffondere letali ideologie in cui essi stessi non credono.

37. La conseguenza negativa di tutto ciò sta davanti al mondo intero: povertà, miseria e malattie; rifugiati dentro e fuori del paese e oltremare, la ricerca di più verdi pascoli che porta alla fuga dei cervelli, emigrazione clandestina e traffico di persone umane, guerre e spargimento di sangue, spesso su commissione, l'atrocità dei bambini soldato e indicibile violenza contro le donne. Come si può essere orgogliosi di “presiedere” su un tale caos? Che ne è del nostro tradizionale senso africano di vergogna? Questo Sinodo lo proclama forte e chiaro: è tempo di cambiare abitudini, per amore delle generazioni presenti e future.

PARTE VII
UNIONE DELLE FORZE SPIRITUALI

38. Noi desideriamo richiamare nuovamente ciò che il Papa Benedetto XVI ha detto nella sua omelia durante la messa di inaugurazione del Sinodo: l'Africa è il “polmone spirituale” dell'umanità di oggi. Questa è una preziosa risorsa, più preziosa dei nostri minerali e del petrolio. Ma egli ci ha messi in guardia che questo polmone corre il rischio di essere infettato dal duplice virus del materialismo e del fanatismo religioso. Nella sua determinazione a preservare il nostro patrimonio spirituale, contro tutti gli attacchi e le infezioni il Sinodo invita a una sempre più grande collaborazione ecumenica con i nostri fratelli e sorelle di altre tradizioni cristiane. Desideriamo anche che ci sia più dialogo e cooperazione con i mussulmani e gli aderenti alla Religione Tradizionale Africana (RTA) e persone di altre fedi.

39. Il fanatismo religioso si sta diffondendo in tutto il mondo. Esso è causa di rovina in molte parti dell'Africa. Dalla cultura religiosa tradizionale gli Africani hanno assorbito un profondo senso di Dio Creatore. Hanno portato questo nella loro conversione al Cristianesimo e all'Islam. Quando questo fervore religioso è male indirizzato dai fanatici o manipolato dai politici, si creano conflitti che tendono a sommergere ognuno. Ma, dirette e guidate in modo appropriato, le religioni sono una grande forza di bene, specialmente per la pace e per la riconciliazione.

40. Il Sinodo ha ascoltato la testimonianza di molti padri sinodali che hanno percorso con successo la strada del dialogo con i musulmani. Hanno dato testimonianza del fatto che il dialogo è efficace e la collaborazione è possibile e spesso efficace. I temi della riconciliazione, della giustizia e della pace generalmente interessano in intere comunità a prescindere dal loro credo. Lavorando sui molti valori condivisi tra le due fedi, musulmani e cristiani possono dare un grande contributo a ristabilire la pace e la riconciliazione nelle nostre nazioni. Questo si è già verificato in molti casi. Il Sinodo loda questi sforzi e li raccomanda per altri.

41. Il dialogo e la collaborazione prospereranno quando c’è rispetto reciproco. Come vescovi cattolici, abbiamo chiare direttive per il dialogo per restare saldi nella nostra fede, ma lasciando agli altri la libertà di scelta. Il Sinodo ha avuto buone notizie a riguardo di comunità islamiche che concedono alla Chiesa libertà di culto. Esse anche accolgono lietamente e traggono benefici dalle opere sociali della Chiesa. Nel lodare tutto ciò, noi insistiamo nel dire che questo non è sufficiente. La libertà di religione comprende anche la libertà di condividere la propria fede, di proporla, non di imporla, di accettare e accogliere coloro che si convertono. Quelle nazioni che per legge proibiscono ai loro cittadini di abbracciare la fede cristiana privano i loro cittadini del diritto umano fondamentale di decidere liberamente sul credo da abbracciare. Sebbene questo continui da molto tempo, è ora di rivedere la situazione alla luce del rispetto dei diritti umani fondamentali. Questo Sinodo denuncia tale restrizione di libertà perché sovverte un dialogo sincero e frustra un’autentica collaborazione. Poiché i cristiani che decidono di cambiare la loro religione sono ben accolti tra le fila mussulmane, ci deve essere reciprocità in questo campo. Il rispetto reciproco è la strada da percorrere. Nel nuovo mondo che sta nascendo, abbiamo bisogno di dare spazio ad ogni fede perché contribuisca pienamente al bene dell'umanità.

CONCLUSIONE

42. Cari fratelli nell'episcopato, cari figli e figlie della Chiesa, Famiglia di Dio in Africa, tutti voi uomini e donne di buona volontà in Africa e altrove, condividiamo con voi la forte convinzione di questo Sinodo: l'Africa non è impotente. Il nostro destino è ancora nelle nostre mani. Tutto ciò che essa chiede è lo spazio per respirare e per prosperare. L'Africa si è già messa in moto e la Chiesa si muove con lei, offrendole la luce del Vangelo. Le acque possono essere burrascose, ma con lo sguardo puntato su Cristo Signore (cfr. Mt 14,28-32) arriveremo sicuri al porto della riconciliazione, della giustizia e della pace.

Africa, alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina! (Gv 5,8)

“Per il resto, fratelli, siate gioiosi,
tendete alla perfezione,
fatevi coraggio a vicenda,
abbiate gli stessi sentimenti,
vivete in pace
e il Dio dell'amore e della pace
sarà con voi” (2 Cor 13,11).
Amen.

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24/10/2009 18:38



Una parola concreta ma spirituale
per tutta la Chiesa



Benedetto XVI ha riconosciuto il buon lavoro del sinodo per il continente africano

A conclusione della diciannovesima congregazione generale, sabato 24 ottobre, Benedetto XVI ha pranzato con i padri sinodali, numerosi collaboratori e ospiti nell'atrio dell'Aula Paolo vi. Al termine il Papa ha rivolto un breve discorso. "È adesso - ha detto Benedetto XVI - l'ora di dire grazie. Grazie anzitutto al Signore che ci ha convocato, ci ha riunito, ci ha aiutato ad ascoltare la sua Parola, la voce dello Spirito Santo. E così ha dato anche la possibilità di trovare la strada dell'unità nella molteplicità delle esperienze, l'unità della fede e la comunione nel Signore. Perciò l'espressione "Chiesa famiglia di Dio" non è più solo un concetto, un'idea, è un'esperienza viva di queste settimane. Siamo realmente stati qui riuniti come famiglia di Dio".
"Abbiamo fatto, con l'aiuto del Signore, un buon lavoro", ha proseguito Benedetto XVI, che ha sottolineato come il tema non fosse una sfida facile, con due pericoli:  "Il tema "riconciliazione, giustizia e pace" implica certamente una forte dimensione politica, anche se è evidente che riconciliazione, giustizia, pace non sono possibili senza una profonda purificazione del cuore, senza un rinnovamento del pensiero, una metànoia, senza una novità che deve risultare proprio dall'incontro con Dio. Ma anche se è così, se questa dimensione spirituale è profonda e fondamentale, pure la dimensione politica è molto reale, perché senza realizzazioni politiche queste novità dello Spirito comunemente non si realizzano. Perciò la tentazione poteva essere di politicizzare il tema, di parlare meno da pastori e più da politici, con una competenza che non è nostra".
Per evitare la politicizzazione, l'altro pericolo - ha continuato il Papa - era quello di ritirarsi in un mondo puramente spirituale, magari astratto e bello ma non realistico:  "Il discorso di un pastore deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola". Quindi la mediazione consiste nell'essere da una parte realmente attenti alla realtà, e dall'altra nel non cadere in situazioni tecnicamente politiche; cioè "indicare - ha sottolineato Benedetto XVI - una parola concreta, ma spirituale"; era questo il grande problema che il Sinodo doveva superare e "siamo, grazie a Dio, riusciti" a farlo. "E per me è anche questo motivo di gratitudine perché facilita molto l'elaborazione del documento post-sinodale".
Il Papa ha poi ringraziato i presidenti delegati - "che hanno moderato con grande sovranità e anche con allegria, le sedute del Sinodo" ha detto Benedetto XVI - e i relatori rilevando che "hanno portato il più grande peso del lavoro", anche di notte, anche di domenica, anche durante i pranzi, e che "adesso meritano realmente un grande applauso da parte nostra", ha aggiunto il Papa tra gli applausi che si sono poi moltiplicati quando ha poi annunciato di avere nominato il cardinale Turkson presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace come successore del cardinale Martino:  "Grazie, Eminenza, per  aver  accettato. Siamo contenti - ha detto Benedetto XVI - di averla tra poco fra noi. Grazie poi a tutti i Padri, ai delegati fraterni, agli uditori, agli esperti". E "grazie soprattutto al segretario generale, al suo team, che ci ha guidato e organizzato silenziosamente tutto molto bene. Il Sinodo finisce e non finisce. I lavori vanno avanti non solo con l'esortazione post-sinodale. Synodos vuol dire cammino comune. E rimaniamo - ha concluso il Papa - nel comune cammino con il Signore, andiamo avanti al Signore per preparargli le strade, per aiutarlo ad aprirgli le porte del mondo in modo che possa creare il suo regno tra di noi".


(©L'Osservatore Romano - 25 ottobre 2009)
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24/10/2009 18:39



Approvate le cinquantasette proposizioni dei padri sinodali

Le attese del continente africano


Con le cinquantasette proposizioni - lette dal relatore generale, cardinale Turkson, e votate in aula tra venerdì pomeriggio e sabato mattina - i padri sinodali hanno chiesto al Papa di valutare l'opportunità di un documento sulla Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Un testo, dunque, che riassuma i contenuti del sinodo e offra indicazioni e prospettive per il futuro del continente. Le proposte al Pontefice - ha spiegato il cardinale ghanese - si aggiungono così a un corpus di documenti che comprende anche i Lineamenta, l'Instrumentum laboris, le relazioni prima e dopo la discussione, tutti i testi degli interventi presentati in aula e per iscritto, le discussioni e le relazioni dei circoli minori.

Il testo definitivo delle proposizioni è stato presentato ai giornalisti - nell'ultima conferenza stampa del sinodo svoltasi sabato mattina - dal cardinale Turkson e dai due segretari speciali, l'arcivescovo Antonio Damião Franklin e il vescovo Edmond Djitangar. In apertura è stata annunciata la nomina del cardinale Turkson a presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, incarico che, per motivi pastorali, ricoprirà a partire dal 6 gennaio del prossimo anno.
Con le proposizioni, i partecipanti al sinodo hanno innanzitutto voluto comunicare a Benedetto XVI di aver vissuto il sinodo come una nuova Pentecoste, dopo che la precedente assemblea africana del 1994 era stata considerata un'esperienza di risurrezione e speranza. La prima proposta punta a raggiungere una maggiore comunione ecclesiale a ogni livello, incoraggiando la cooperazione all'interno della Chiesa. Per i padri si tratta di ravvivare le strutture di comunione ecclesiale che già ci sono ma anche di promuoverne altre:  l'idea che sottopongono al Papa è di fondare consigli continentali per il clero, per i laici e le donne cattoliche. In questa direzione c'è pure il suggerimento a dare indicazioni pratiche per una più adeguata formazione di sacerdoti, religiosi e laici nei loro ruoli specifici, anche con una presenza più puntuale e professionale dei cattolici nei media.
Le cinquantasette proposizioni riaffermano, in sostanza, tutti i punti chiave delle tre settimane di sinodo. Viene ribadita l'irreversibilità del dialogo ecumenico e interreligioso, con un approccio particolare con l'islam:  le proposizioni invitano a superare qualsiasi forma di discriminazione, di intolleranza e di fondamentalismo religioso e a prevedere una collaborazione su temi sociali e sulla riconciliazione.
Tra le proposte concrete anche una serie di appelli ai Governi perché si imbocchi, una volta per tutte, la strada della riconciliazione, della giustizia e della pace. Dunque, appelli perché si faccia di tutto per combattere la povertà, sradicare le violenze, gli sfruttamenti, le ingiustizie, le corruzioni. Da parte sua la Chiesa deve mettere in campo tutta l'efficacia della dottrina sociale. Mentre va incoraggiata la partecipazione dei cattolici alla vita pubblica, è considerato decisivo dai padri sinodali assicurare ai responsabili politici ed economici una formazione spirituale, dottrinale, pastorale e pratica. A questo proposito pensano di fondare nuove facoltà di scienze politiche nelle università cattoliche.
Tra le idee nuove, la creazione di un fondo di solidarietà continentale attraverso la Caritas e di un programma africano di pace e solidarietà per contribuire a trovare soluzioni ai conflitti. Poi la costituzione di consigli per la pace, ben forniti di personale e mezzi.
Nelle proposizioni c'è anche la proposta di appoggiare lo studio in corso per un trattato sul commercio delle armi da parte delle Nazioni Unite:  l'obiettivo dichiarato è bandire dalla faccia della terra le armi nucleari, biologiche e di distruzione di massa.
Forte risalta l'invocazione per l'abolizione totale e universale della pena di morte, accompagnata dalla denuncia che questa misura definitiva e inappellabile colpisce soprattutto la povera gente che non può difendersi da sola e viene usata per eliminare gli oppositori politici. Piuttosto, si rileva, è opportuno che i Governi provvedano a riforme penali che garantiscano almeno gli standard minimi internazionali per il trattamento dei prigionieri.
Particolarmente sentita dal sinodo è la questione dell'aids che non è un problema semplicemente medico-farmaceutico ma un'istanza di sviluppo integrale e di giustizia. I malati di aids in Africa, accusano le proposizioni, non ricevono la stessa qualità di trattamento di altri Paesi. Insomma, i fondi di aiuto devono davvero arrivare a destinazione. In una delle proposizioni è contenuta la proposta di un manuale specifico per gli operatori pastorali. Da riaffermare anche il no all'aborto e la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale.
Infine dalle proposizioni sinodali arriva anche una denuncia dei soprusi contro i bambini e le donne e il rilievo delle poche opportunità per i giovani costretti così a emigrare. Una parola di solidarietà è rivolta ai quindici milioni di migranti che cercano un futuro. Constatato che per i passeggeri africani ci sono discriminazioni anche negli aeroporti, per i padri le politiche e le leggi migratorie restrittive violano i diritti umani mentre servono regole internazionali giuste e solidali.


(©L'Osservatore Romano - 25 ottobre 2009)
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24/10/2009 18:40

Si conclude l'assemblea sinodale

Risvegli


È un'Africa letta con occhi di simpatia quella che esce disegnata dal secondo sinodo dei vescovi. Un continente rigenerato che guarda avanti e ritiene possibile tessere con il resto del mondo rapporti liberati dal triste ricordo dello schiavismo e del colonialismo. Riunendosi per tre settimane con Benedetto XVI a Roma anziché in una città africana, i sinodali potevano sperare in una qualche attenzione in più di quanto normalmente si riserva all'Africa da parte dei media internazionali. La soluzione dei gravi problemi delle società africane non è solo questione degli africani, ma riguarda tutti. L'Africa resta, infatti, un "polmone spirituale" per un'umanità che - per dirla con il Papa - "appare in crisi di fede e di speranza". Ma essa è anche una crescente riserva di risorse che non giova a nessuno sperperare, come finora  è  avvenuto,  senza  regole  e misura.
Il sinodo ha sviluppato giorno dopo giorno la sua riflessione ampia e libera, ha elaborato proposte sagge e lungimiranti. Ma, contrariamente alle attese, ciò è avvenuto in una quasi solitudine mediatica, a conferma che l'Africa non è una priorità nell'agenda delle politiche e dell'economia mondiali che contano. Ora che l'assemblea è terminata con un meticoloso esame sulla presenza dei cattolici africani - lanciando un appello pieno di dignità a tutta la Chiesa e alla comunità internazionale e formulando infine 57 proposte su prospettive da pensare e realizzare per il futuro - si può riconoscere che il sinodo ha immesso nel dibattito internazionale semi di possibili risvegli e resipiscenze da parte anzitutto dell'Occidente. L'Africa rientra in gioco nello scacchiere mondiale con una nuova coscienza di sé. È questa coscienza emersa nei lavori sinodali a rendere credibile la nuova partenza del continente e auspicabile una considerazione attenta dei testi sottoscritti. Sfogliandoli si avrà la sorpresa di trovarsi di fronte a un vero patrimonio:  spunti, temi, prospettive fuori dai luoghi comuni.
La Chiesa cattolica in Africa è cresciuta molto; si è inserita a pieno titolo a difesa dei traguardi raggiunti e dei diritti degli africani, ma criticando, al tempo stesso, i tanti mali sociali e politici che ancora affliggono il continente. Le denunce dei soprusi consumati da agenzie e da società multinazionali per mantenere il continente in sudditanza, vanno di pari passo con il biasimo per una classe politica e amministrativa africana, di frequente corrotta, sensibile più ai propri guadagni e alle lusinghe straniere che alla domanda di giustizia che sale da popolazioni strette tra fame e conflitti.
Per la capacità di lettura della situazione e per i rimedi suggeriti, il sinodo avrà certamente importanti ricadute sulle Chiese di altri continenti. La trattazione di questioni sociali urgenti - e a volte spinose pure in altre aree del mondo - si alterna a scelte concrete sul piano della formazione e della pastorale. Il buongoverno, l'acqua, l'immigrazione, il commercio delle armi, la giustizia, la violenza sulle donne e i bambini, il voto elettorale, la fuga dei cervelli, la distribuzione degli utili, la cura dell'Aids, sono alcuni argomenti contenuti nel vasto materiale elaborato dai padri sinodali che verrà sottoposto al papa per la pubblicazione di un documento applicativo.
Spunti interessanti riguardano temi quali la pratica individuale e comunitaria della penitenza, il dialogo ecumenico, la promozione delle donne nella Chiesa, l'inculturazione della fede e della teologia, la formazione del clero, la catechesi invitata a recepire la dottrina sociale, che costituiscono materia di riflessione anche nei Paesi di antica tradizione cristiana. Sono toccate con rinnovata chiarezza anche questioni sulle quali, nel passato e nel presente, sono state alimentate campagne polemiche nei confronti della Chiesa accusata di ritardi storici come è stato, ad esempio, pure di recente a proposito della pena di morte. Questo sinodo, invocandone l'abolizione totale e universale, rimuove possibili ambiguità.
Aprendo l'assemblea sinodale, il Papa aveva chiesto di lasciarsi guidare dallo Spirito. È ragionevole pensare che ciò sia accaduto. Benedetto XVI rilevava che "la vocazione della Chiesa, comunità di persone riconciliate con Dio e tra di loro, è quella di essere profezia e fermento di riconciliazione tra i vari gruppi etnici, linguistici ed anche religiosi, all'interno delle singole nazioni e in tutto il continente". Aprendosi alla grazia di Dio l'Africa "diventerà una benedizione per la Chiesa universale, apportando un contributo proprio e qualificato all'edificazione di un mondo più giusto e fraterno". I padri sinodali, gli uditori e le uditrici che sono intervenuti, non hanno deluso.

c. d. c.


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24/10/2009 18:59

Il bilancio del Sinodo nelle parole del cardinale Turkson, nominato dal Papa nuovo presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace

Al termine della congregazione di questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede ha avuto luogo l’ultima conferenza stampa a conclusione del Sinodo per l’Africa. Tra gli interventi quello del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, nominato questa mattina dal Papa presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Il porporato, finora arcivescovo di Cape Coast in Ghana e relatore generale del Sinodo, succede al cardinale Renato Raffaele Martino, dal 2002 alla guida del dicastero che lascia per raggiunti limiti di età. Ascoltiamo il cardinale Turkson al microfono di Paolo Ondarza.

R. – Grazie al Signore, stiamo per terminare il nostro lavoro, che è durato tre settimane. Mi sembra che i partecipanti siano abbastanza soddisfatti per quanto riguarda lo stile di lavoro, il metodo utilizzato e i risultati stessi. Devo dire che per i Padri sinodali questa è stata una bella esperienza: hanno potuto condividere tante questioni, dopo essersi espressi sui problemi di ciascuna diocesi. Da quanto si è svolto in aula, sono nate non soltanto soluzioni, ma il coraggio e la speranza di andare avanti. Cioè, ci sentiamo incoraggiati a fare qualcosa!

D. – E questo attraverso la comunione e lo stare insieme, l’essere Chiesa cattolica...

R. – Andiamo via da qui nella consapevolezza che la Chiesa universale sta dietro a ciascun vescovo, e questo per me è una cosa molto importante: non ci si sente soli, anche se la situazione è molto difficile nelle nostre diocesi, nelle nostre parrocchie. Questo senso di solidarietà, che abbiamo potuto esprimere in aula, è la cosa più bella che è accaduta qui.

D. – Sarebbe importante, in prospettiva, un altro Sinodo per l'Africa?

R. – Questo dipende sempre dal Santo Padre! Prima dobbiamo vedere il documento che il Santo Padre preparerà sulla base di quello che abbiamo fatto, perché ora tutti gli interventi che sono stati fatti in aula vengono sottoposti a lui; vedremo quindi cosa ne farà lui. Forse, la possibilità di un terzo Sinodo spunterà dalle indicazioni che egli stesso darà nel suo documento. Poi, dipende anche da noi, perché la celebrazione di ciascun Sinodo è anche un impegno per coloro che partecipano al Sinodo. Nel primo Sinodo – “Chiesa in Africa” – abbiamo accettato di adottare il paradigma secondo cui dobbiamo sentirci come famiglia: questo è un compito, un impegno. Ogni pastore, ogni vescovo deve ora organizzare la propria Chiesa in maniera tale che si percepisca come una famiglia.

D. - L’esortazione “Alzati Africa”: l’Africa ha le risorse per alzarsi, la capacità?

R. – Le capacità ci sono e ci sono i mezzi ma ci vuole un buon programma, ben elaborato.

D. – La Chiesa può essere importante in questo?

R. – Certo! Io credo che in questo momento ci si possa ispirare a ciò che questa stessa fede e il Vangelo hanno fatto altrove. Lo sviluppo dell’università, lo sviluppo di tante altre cose qui in Europa è stato aiutato in gran parte da questa esperienza del Vangelo. Ugualmente, credo che possiamo e che abbiamo le risorse. Cosa manca? E’ la leadership che manca: la leadership nella Chiesa e nello Stato. Questo è ciò che si deve cercare di dare al continente.

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Discorso del Papa al termine della colazione offerta ai Padri sinodali

Clicca qui per ascoltare l'audio del discorso del Santo Padre.

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