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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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13/10/2009 20:27

Conclusione

«Sale» e «Luce» sono metafore/immagini con cui il servo di Dio Giovanni Paolo II descrisse una volta la missione dei fedeli di Cristo, nella molteplicità e diversità di identità e ruolo, in Africa e nelle sue isole. Disse: «Ai nostri giorni, nel contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. “Il compito del fedele laico (...) è quello di essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire”» (18).

Il tema di questo sinodo con il riferimento all'invito di Cristo ai suoi discepoli a essere «sale della terra e luce del mondo» non allude semplicemente alla testimonianza che la Chiesa - Famiglia di Dio in Africa, come i discepoli di Gesù (cfr. Atti, 1, 8) deve dare nel continente, nelle sue Isole e nel mondo. Si tratta di un riferimento anche a un metodo di evangelizzazione e missione apostolica credibile, voluta dal Signore sulle tracce della sua missione.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo proprio Figlio» (Giovanni, 3, 16); e la missione del Figlio di Dio incarnato era descritta da Paolo l'autosvuotamento del Figlio di Dio per diventare uomo: «egli, pur essendo nella condizione di Dio, ... svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 6-7). Come tale, Gesù ha svolto la sua missione sulla terra, portando il suo autosvuotamento alla sua più alta espressione nella sua sofferenza e morte in croce, portando a compimento la profezia del servo di Dio nell'Antico Testamento (Is 52-53 ecc.).

Questo è il carattere del ruolo di servo che il tema del Sinodo evoca per portare la riconciliazione, la giustizia e la pace nel continente e nelle sue Isole. «Servire la Riconciliazione, Giustizia e Pace», come tema del Sinodo invita la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa alla vita pasquale con l'impegno della riconciliazione, della giustizia e della pace, significato della metafora di sale e luce. Così viene fondato il nostro metodo di azione apostolica nel servire la riconciliazione, la giustizia e la pace nel sacrificio che facciamo delle nostre vite e in quello di Cristo. Poiché in noi deve esserci quello che era in Cristo Gesù (cfr. Fil 2, 5).

In questo Sinodo, è stata espressa variamente l'intenzione che la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa deve essere trasformata dal di dentro e che essa deve trasformare il continente, le sue Isole e il mondo come sale e come luce. Essa prospetta una missione apostolica, che i suoi pastori e altri collaboratori pastorali hanno articolato in modo diverso in questa assemblea: liberare la popolazione del continente da ogni paura; assicurare una conversione profonda e permanente e una «solida» formazione in ogni campo: fede, catechesi, morale, media, cultura dell'amore, pace, giustizia, riconciliazione, buongoverno, gestione ecc.; dialogo a tutti i livelli, incluso l'ambiente; difesa di vari interessi e bisogni sociali, specialmente del posto della donna nella società, dell'educazione dei figli e della gioventù; migrazione e varie forme di movimento del popolo e ciò che richiede la nostra cura pastorale; sfida del ministero del cambiamento di attitudini e mentalità, perché si liberino dagli effetti di un passato di colonialismo, sfruttamento ecc.; resistenza del continente e dei suoi popoli alle minacce della globalizzazione e alle esigenti sfide dell'etica globale, ingiuste condizioni commerciali, etnocentrismo, fondamentalismi, ecc.

Il simbolo polivalente del sale esprime le molteplici forme dell'esistenza pasquale, sotto cui la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa deve servire la riconciliazione, la giustizia e la pace (e ora anche la verità, che questa assemblea ha strettamente collegato a esse); e la luce del Vangelo che ci guida.

Domande

Introduzione

1. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa e nelle sue Isole, come anche il resto del mondo cattolico quanto sono coscienti dell'incidenza di questo Sinodo? Cosa può essere fatto? Cosa deve essere fatto?

Riuniti di nuovo in un'assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi

2. Come intendi questo Sinodo in quanto «esercizio di comunione ecclesiale» della Chiesa universale? Cosa si può migliorare di questa comprensione del Sinodo?

Altre strutture di comunione ecclesiale

3. Papa Giovanni Paolo II disse: «...Per costruire una società stabile, l'Africa ha bisogno che tutti i suoi figli uniscano le loro forze ...». Come valuti le varie forme di ministero collegiale e di collaborazione nella Chiesa - Famiglia di Dio in Africa e nelle sue Isole?


Il compito della seconda assemblea: disgrazie o sfide per l'Africa?

4. Papa Giovanni Paolo II disse: «Cuori umani feriti sono il luogo dove infine si nascondono per la causa di tutto ciò che è destabilizzante nel continente africano». Qual è il tuo giudizio di questa affermazione? Puoi presentare esempi ed evidenze?

5. L'Instrumentum laboris 66 dice: «Alcuni ritengono che la ragione profonda dell'instabilità delle società del continente sia legata all'alienazione culturale e alla discriminazione razziale che, nel corso della storia, hanno generato un complesso di inferiorità, il fatalismo e la paura». Cosa ne pensi tu? Come il tema del sinodo può aiutarti a trattarne?

6. Sei d'accordo con l'identificazione dei mali e dei problemi che i padri sinodali hanno riconosciuto in Africa e nelle sue Isole come «sfide»? Quanto reale hai trovato la descrizione della prima Assemblea speciale per l'Africa come «sinodo di speranza e di risurrezione?».

7. Quanto vero è che i padri sinodali tendono a generalizzare le tematiche della Chiesa locale e nazionale, ampliandole e applicandole a tutta l'Africa? Quali situazioni specifiche nella tua Chiesa locale e nel tuo paese risuonano nel tema del sinodo o vi trovano soluzioni?

Rafforzare la fede in Cristo

8. Fino a che punto sei d'accordo che il tema del sinodo è prima di tutto un «programma di spiritualità» e poi un'«attività»?

9. Diversi interventi in aula hanno esposto lamentele circa la qualità della testimonianza cristiana e dell'impegno delle persone verso la propria fede (di fronte a sette, stregoneria, ecc.). Come valutare gli attuali metodi per portare la gente alla fede e dentro la Chiesa? Che fare per assicurare una conversione profonda e permanente?

Cristo nostra riconciliazione

10. Quali aspetti positivi della tradizione e cultura africana possono essere trasferiti nella catechesi cristiana della riconciliazione, della giustizia e della pace? Il sacramento della riconciliazione può assumere forme significative per i nostri fedeli attraverso l'adozione di tali aspetti?

11. Quali elementi della nostra tradizione e cultura costituiscono un ostacolo alla comprensione e celebrazione della riconciliazione?

12. «Molti cristiani hanno testimoniato fino al martirio a favore del Vangelo della fraternità generata dall'acqua del battesimo».

Qual è la tua esperienza dell'opposizione tra i vincoli etnici e il legame ecclesiale nella tua Chiesa locale?

Cristo nostra giustizia

13. Chi qualificheresti come vittima dell'ingiustizia nella tua Chiesa locale e nella tua nazione? Come si può portargli la giustizia? È possibile istituire strutture primarie per la cooperazione con altre religioni nella prevenzione di conflitti e nella formazione di una cultura di giustizia e di pace?

14. Quali passi fare per formare i nostri fedeli laici a un apostolato di guida cristiana nella società?

15. In che modo le donne possono essere favorite nel portare i loro talenti nella prevenzione dei conflitti, nella soluzione dei conflitti e nella riconciliazione all'interno della Chiesa e più ampiamente nella società?

Cristo nostra pace

16. «Nella verità c'è pace» (Papa Benedetto XVI). Questo insegnamento del Santo Padre è riecheggiato molte volte nell'assemblea relativamente alla giustizia e al ruolo della legge. Come trasmetterlo a tutti nella tua Chiesa locale?

17. «Cristo è la nostra pace». Come possiamo attuare nella nostra vita questa affermazione? Come può essere celebrata ordinariamente nelle nostre comunità e nella vita cristiana?

Famiglia

18. Quali piani strategici possono essere messi in atto a livello continentale per salvaguardare e proteggere la famiglia africana? La Chiesa - Famiglia di Dio in questo modo potrebbe offrire il suo contributo alla Chiesa universale per aiutare le altre Chiese dove il processo del declino della famiglia è già in atto.

Dignità della donna e suo compito al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace

19. Come adottare un piano d'azione per restituire dignità alle donne africane e rafforzare le loro capacità perché si impegnino più coscientemente nel costruire la Chiesa - Famiglia di Dio in Africa? Quali programmi concreti attuare perché le donne siano più attivamente partecipi e responsabili di guida nella vita della Chiesa?

Il settore socio-religioso

20. Perché i vincoli di sangue (alleanze umane) sono considerati più del sangue di Cristo (alleanza nuova ed eterna)? Come sviluppare la spiritualità della vita dell'Eucaristia attuata nella vita quotidiana? (Un congresso eucaristico continentale?)

21. Come può essere celebrata la «Riconciliazione» nell'Eucaristia e nel sacramento della penitenza, perché possa condurre a un'autentica ricostituzione dei rapporti e trasformarci in ambasciatori di riconciliazione?

La missione profetica della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa

22. Come ricercare, a partire dalla positiva esperienza delle commissioni Iustitia et Pax o di altre simili iniziative, una pedagogia di riconciliazione suscettibile di rispondere a traumi comunitari spesso dimenticati e di rendere le persone attori responsabili di un cambiamento positivo?

Un piano di azione pastorale è stato proposto dalla Conferenza episcopale Sénégal-Guinea Bissau-Mauritania.

I laici

23. Perché i cristiani sono così poco impegnati nella società politica? Il Vangelo ha qualcosa da dire ai leader cristiani a proposito dei loro impegni?

Mezzi di comunicazione

24. Come ripristinare la funzione positiva della Parola come supporto educativo a riconciliazione, giustizia e pace, quando essa stessa è svalutata da abusi, menzogne, propaganda odiosa o disprezzo di alcuni media?

Il clero

25. I nostri Pastori come possono vivere il «primato del servizio» nelle nostre Chiese e comunità? In quanto agenti di evangelizzazione, come possono considerarsi al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace?

Note

1) L'evidenziatura è mia. Cfr. Lettera del Papa Giovanni Paolo II all'Arcivescovo Nikola Eterovi{l-cacute} in occasione dell'Incontro del Consiglio Speciale per l'Africa del Segretariato generale del Sinodo dei vescovi, Vaticano, 23 Feb. 2005.

2) Il 26 Giugno 2006, alla conferenza stampa in Vaticano, tenuta dal cardinal Francis Arinze, il Consiglio Speciale per l'Africa del Segretariato generale del Sinodo dei vescovi, rese pubblici i Lineamenta della Seconda Assemblea speciale per l'Africa; e il 19 Marzo 2009, a Yaoundé, il Santo Padre ha presentato l'Instrumentum laboris della Seconda Assemblea speciale per l'Africa.

3) Prima Assemblea speciale per l'Africa: Instrumentum laboris 1993, 1.

4) Seconda assemblea speciale per l'Africa, Lineamenta, «Prefazione».

5) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Post-Sinodale Reconciliatio et Paenitentia, 2.

6) Il «malvagio» ( ) è l'opposto del giusto. Egli distrugge la comunione e la comunità trascurando di soddisfare le esigenze di relazione della comunità. (The Interpreter's Dictionary of the Bible, vol. 4, 81).

7) Papa Giovanni Paolo II definisce «misericordia» come «uno speciale potere dell'amore, che prevale sul peccato e l'infedeltà del “popolo eletto”» (Dives in misericordia, 4.3).

8) Così, Papa Giovanni Paolo II insegna che nelle relazioni tra individui e gruppi sociali ecc., «la giustizia non basta». C'è bisogno di «una forza più profonda, che è l'amore» (cfr. Dives in misericordia, 12).

9) Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 3, 63.

10) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304.

11) Benedetto XVI, Omelia, Basilica di San Pietro, domenica 4/10/09.

12) Contra Gentes 1. III, c.128.

13) Ibidem.

14) Giovanni XXIII, Pacem in terris, 172.

15) Concilio ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes, 84.

16) Anche se è un compito, qualcosa per cui lavorare, «pace» è un dono di Dio, qualcosa che la pace terrena soltanto anticipa vagamente.

17) Concilio ecumenico vaticano II, Gaudium et Spes, 78.

18) Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in Africa, 108. Oltre i settori sociali proposti e richiamati nello Instrumentum laboris come ambiti da sottoporre ad attento esame (la famiglia, la dignità della donna, la missione profetica, le comunicazioni e le nuove tecnologie di informazione e comunicazione, l'autosostentamento), in molti interventi di padri sinodali è apparso un nuovo settore: quello socio-religioso.

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La conferenza stampa per la presentazione della relazione dopo il dibattito in aula

I valori positivi dell'Africa

"L'Africa non è solo problemi. Soprattutto non è la Chiesa tra i problemi dell'Africa come invece scrivono i mezzi di comunicazione dando un'immagine distorta del nostro lavoro". Lo ha detto il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, parlando ai giornalisti riuniti nella Sala Stampa della Santa Sede nella mattina di martedì 14 ottobre. Con il cardinale Napier erano il cardinale Sarr, presidente delegato, il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Commissione per l'informazione e l'arcivescovo Mendes Dos Santos, membro della stessa commissione.
Il cardinale Napier ha risposto a numerose domande in relazione agli aiuti che vengono inviati all'Africa. Spesso, ha detto in proposito, chi aiuta l'Africa pone condizioni inaccettabili e cerca di far avanzare un' ideologia insidiosa che tende a cambiare i valori morali dei Paesi stessi. Dunque l'aiuto in questi casi si trasforma in una cosa peggiore del male precedente.
A proposito dell'Aids, ha detto ancora il porporato, mentre la Chiesa cerca di avviare progetti di prevenzione, i media attribuiscono ad essa la recrudescenza della malattia. Nessuno però si preoccupa di controllare l'efficacia dei medicinali, in particolare dei retrovirali, distribuiti nei Paesi colpiti. "Nella mia diocesi - ha detto - abbiamo avviato centri di controllo su questi medicinali" perché stranamente la gente anziché essere curata sviluppava ceppi di resistenza agli antivirali stessi.
Altro argomento affrontato dal cardinale è stato il fenomeno della diffusione dell'aborto in Africa. Anche in questo campo l'incidenza della politica estera o comunque di gruppi di pressione dall'estero finisce per influire negativamente sulla cultura africana. "I padri sinodali - ha aggiunto - non riescono a capire come mai in occidente, nei Paesi industrializzati, il diritto alla vita non venga considerato come un diritto supremo". Diverse domande vertevano sull'incidenza del protocollo di Maputo sulla vita in Africa. Padre Lombardi, riassumendo il pensiero che era stato espresso durante la conferenza stampa - la seconda delle quattro previste per questo Sinodo - ha spiegato come il problema di molti protocolli internazionali sia dovuto al fatto che mescolano cose ottime a cose inaccettabili. Per esempio "non possiamo accettare - è intervenuto il cardinale Napier - che si tratti la gravidanza come se fosse una malattia sessualmente trasmissibile".
Altre numerose domande hanno riguardato i numerosi conflitti tribali. Il cardinale Njue ha risposto portando la testimonianza di quanto accade nel Kenya, il suo Paese. "Gli scontri più gravi non sono causati dalla gente comune ma - è la sua denuncia - nascono perché le piccole differenze vengono strumentalizzate dai politici per rafforzare il proprio potere". Purtroppo, ha riconosciuto il porporato, tra quanti si macchiano di crimini e di violenza molti si dicono cristiani. "Il problema è - ha detto citando Shakespeare - essere o non essere. Cioè vivere  veramente  quello  che  si  dice di essere, vivere cioè il proprio battesimo, o no".
Il cardinale Sarr ha risposto ad una domanda molto specifica sul matrimonio tradizionale africano, sul come si possa conciliare con il matrimonio civile e con quello religioso. "Ci vuole molta prudenza - ha detto - perché bisogna rispettare i riti del matrimonio tradizionale, così come tutte le usanze africane. Tuttavia bisogna stare molto attenti a quello che prevedono le legislazioni dei Paesi nei quali il matrimonio avviene poiché in molti Stati, come nel Senegal, la legislazione prevede la poligamia. Dunque c'è bisogno di fermezza nell'opporsi a questi usi". Infine è stata posta una domanda sulla magia. Il cardinale Napier ha risposto con una battuta:  "Anche voi occidentali credete alla magia:  non è forse vero che se vi ritrovate in tredici a tavola, fate gli scongiuri?".
Ultimo argomento trattato il rischio dell'imperialismo culturale che si tenta di far passare in Africa con gli aiuti che vengono dall'esterno.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
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Iniziato il dibattito nei circoli minori

I problemi dell'Africa al vaglio dei padri sinodali


Un documento di carattere religioso ed ecclesiale che evidenzia la figura di "Cristo nostra riconciliazione, nostra pace e nostra giustizia". Così l'arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha definito la relazione nella quale il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, relatore generale, ha raccolto le indicazioni dei padri sinodali in queste prime giornate di lavoro. Ed è un bene, ha detto ancora l'arcivescovo Eterovic, che a prevalere sia proprio questa dimensione religiosa piuttosto che quella politica, perché "il Sinodo dei vescovi non è un'agenzia delle Nazioni Unite".
Con la relatio post disceptationem si è conclusa la prima parte dei lavori del sinodo. Mercoledì mattina, 14 ottobre, è iniziato il confronto nei circoli minori. Moderatori e relatori si sono incontrati già nella serata di martedì per mettere a punto la metodologia dei lavori. Primo spunto per suscitare il dibattito saranno le venticinque domande che il relatore generale ha posto al termine della sua relazione come linee-guida.
Alla congregazione, svoltasi alla presenza del Papa, hanno partecipato 218 padri sinodali. Presidente delegato di turno il cardinale Arinze. Tredici gli interventi nella discussione libera seguita alla lettura della relazione. Tra i principali temi affrontati - che ora saranno certamente approfonditi nei circoli minori "con una discussione animata" come ha detto il cardinale Arinze - il dramma dei migranti "che mettono a rischio la loro vita nella speranza di trovare un avvenire migliore dall'altra parte del Mediterraneo". In particolare è stato proposto di concordare "con i nostri fratelli europei il modo di accogliere queste persone e come aprire le porte anche a chi è già arrivato". È stata suggerita anche un'analisi più precisa del ruolo dei sacerdoti, dei catechisti e dei diaconi permanenti così come secondo gli intervenuti meritano una riflessione accurata i rapporti tra Paesi del nord e del sud del Sahara, con l'accresciuta esigenza di presbiteri Fidei donum e il confronto con i musulmani, in particolare con il fondamentalismo islamico.
Nel dibattito i padri hanno poi chiesto al sinodo che vengano affrontati nei circoli minori anche i gravi squilibri di povertà tra un Paese e l'altro; la mancanza di sicurezza in troppe parti dell'Africa; le politiche spregiudicate delle multinazionali e dei loro "complici locali"; il controverso contributo del new partnership for Africa's development (nepad); il ruolo delle commissioni giustizia e pace nelle varie Conferenze episcopali; la ricchezza della dottrina sociale della Chiesa come stimolo per la classe politica continentale.




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14/10/2009 18:56



Intervista con il curatore della Liturgia delle ore per l'Africa

Il Kenya, i laici e la preghiera


di Marco Bellizi

I laici sono la speranza dell'Africa. A loro è affidato il compito di condurre questa terra allo sviluppo troppe volte annunciato e non praticato. La formazione del laicato diventa così tema essenziale nei programmi pastorali della Chiesa cattolica in tutti i Paesi del continente. Ma è chiaro che l'Africa deve poter contare su risorse proprie. In campo economico, certamente. Ma anche nella vita ecclesiale. In Kenya è stato portato a termine un progetto importante, quello della realizzazione della Liturgia delle ore pensata proprio, oltre che per quella comunità, per l'intero continente. L'opera è stata presentata al Papa che ne ha fatto dono ai padri sinodali. Ne parla a "L'Osservatore Romano" il comboniano padre Rinaldo Ronzani, che ha curato la realizzazione della Liturgia delle ore.

Come è nata questa iniziativa?

Cinque anni fa i vescovi dell'Association of Members Episcopal Conferences of Africa hanno pensato che fosse venuto il momento di offrire ai loro diaconi, ai sacerdoti e anche ai fedeli una liturgia delle ore che fosse aggiornata e che fosse anche economicamente accessibile. Finora l'Africa ha sempre comprato tutti i libri liturgici dall'estero, quindi o dagli Stati Uniti o dall'Inghilterra, a prezzi per loro esorbitanti. Dell'idea si è poi fatto carico l'allora nunzio in Kenya, l'arcivescovo Giovanni Tonucci. Io ero in una missione e sono stato chiamato a dirigere questa operazione. Poi abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni con l'aiuto di varie conferenze episcopali, per esempio quella degli Stati Uniti, che ci ha fornito tutti i testi biblici gratuitamente, la Commissione internazionale per l'inglese nella liturgia, che ci ha fornito, sempre gratuitamente, tutti i testi liturgici, il Grail-Gia, che ci ha fornito la traduzione, appena rivista, dei salmi, e la Conferenza episcopale italiana, che, grazie ai fondi dell'8 per mille ha pagato le prime 10.000 copie di ogni volume, quindi in totale 40.000 copie stampate. Il costo perciò è accessibile:  i quattro volumi costano 100 dollari, circa 80 euro, il volumetto intermedio 20 euro e quello piccolo 5 euro. L'opera è in due colori, seguendo sostanzialmente l'edizione latina. Si presenta molto bene. La grafica è stata curata da un giovane del Kenya. Suor Teresa Marcazzan, che è la direttrice del Paolines Distribution Centre di Nairobi ha curato la distribuzione, e dal punto di vista del contenuto tutto è stato fatto a Nairobi. La stampa invece è stata fatta in Italia, perché non c'è in Africa nessuna tipografia che possa fare volumi del genere, che richiedono un tipo particolare di carta.

Quale è la motivazione di fondo che ha spinto a un breviario per l'Africa?

La nostra idea di fondo era di avere un'edizione aggiornata. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II sono stati inseriti diversi santi nel calendario generale e purtroppo nel mondo inglese non ci si è adeguati. Mi vengono in mente padre Pio, l'africana Bakita, la memoria del Sacro nome di Maria. La novità è rappresentata dai santi africani:  per la prima volta c'è un libro liturgico che è fatto completamente in Africa - è il primo esperimento che facciamo - con il calendario dei santi africani, sia pure per il momento valido solo per il Kenya. Nel calendario abbiamo però cercato di mettere cristiani laici, religiosi, sacerdoti, vescovi, per far vedere come la chiamata alla santità è per tutta la Chiesa. Abbiamo introdotto santi moderni, degli ultimi cento anni, e anche santi dei primi secoli che non sono conosciuti:  abbiamo avuto santi missionari che dal nord Africa hanno portato la fede in Europa e i santi che dall'Europa hanno portato la fede in Africa, per esempio san Zeno di Verona e Adriano di Canterbury, nordafricani; Giustino de Jacobis, italiano che ha lavorato in Eritrea, del quale hanno scoperto la nazionalità solo quando è morto, oltre ovviamente a Daniele Comboni. Abbiamo inserito alcune feste mariane, come Maria madre dell'Africa. Il 6 novembre c'è la festa di tutti i santi dell'Africa. Adesso i cristiani possono sentire la Chiesa più vicina, in questo richiamo alla santità. Abbiamo voluto che non ci fosse solo la preghiera del clero o dei monaci ma che fosse la preghiera di tutta la comunità cristiana, sviluppando così le indicazioni del concilio Vaticano ii.

Che frutti si spera di avere?

Come esperienza personale, posso dire di avere imparato a gustare i salmi in Africa. Il linguaggio dei salmi può a volte sembrare a noi occidentali un po' distante, fa riferimento a situazioni, circostanze diverse dalla nostra vita quotidiana. In Africa, soprattutto nella realtà rurale, i salmi si possono gustare pienamente, perché ci si accorge di come parlino concretamente dell'esperienza umana come un'esperienza di grazia, di incontro con Dio. Ricordo un episodio personale:  mentre tornavo nella mia missione, dopo la visita ad alcuni cristiani, in Africa, cominciai ad avvertire i primi sintomi della malaria. Avevo già la febbre. E sentivo una grande sete, una sete che si può avvertire solo in quelle circostanze. Ho capito in quella circostanza cosa vuole dire veramente, per quelle popolazioni, avere sete. Lo stesso quando si parla di terra inospitale. Quando non piove da anni e ci sono solo crepe e polvere, ci si rende conto veramente di cosa significhi anche il confronto con la natura, con il ritmo del giorno e della notte. E al tempo stesso si è in grado di capire la grande religiosità che si avverte in Africa, questo legame con Dio che è molto bello e che viene espresso continuamente nei salmi. Un africano non fa niente senza prima pregare. L'africano sa meglio di altri che quello che sta per mangiare è veramente un dono di Dio. È la presenza fedele di Dio nella storia:  e si noti che anche nelle difficoltà l'africano non dice mai "è colpa di Dio" ma si assume le sue responsabilità, il che è di per sé un segno di speranza.

In questo contesto di indubbie e persistenti difficoltà nel continente quale ruolo va riservato alla preghiera?

Anche alla luce del tema del sinodo, la preghiera dei salmi può aiutare. Si pensi ai salmi di supplica:  nella bocca di un africano non sono parole artificiali ma sono l'espressione di una realtà sofferta dove si chiede a Dio veramente di intervenire. Allo stesso tempo la comunità che si raccoglie per pregare o anche il singolo proclama che Dio è il re, non il denaro, né il potere. Dobbiamo orientare le persone, secondo me, a pregare con le scritture; la preghiera della liturgia delle ore è una preghiera sostanzialmente biblica. Adesso l'idea è di fare dei messalini:  ci hanno detto per l'aprile del prossimo anno il messale in inglese dovrebbe essere approvato, quindi l'idea è di vedere quali testi biblici usare per il lezionario e continuare con questi progetti per rendere l'Africa un po' più autonoma. Siamo molto riconoscenti nei confronti di tutti quelli che ci hanno aiutato:  l'Italia, gli Stati Uniti, perché rendono possibile all'Africa fare un passo avanti. È un esempio che le cose si possono fare.

Lei opera da anni in Kenya. I vescovi negli ultimi tempi hanno lanciato diversi allarmi sulla condizione economica e sociale del Paese. Condivide queste preoccupazioni?

Il tentativo di trovare un compromesso fra le fazioni politiche, in occasione delle ultime elezioni ha avuto effetti contrari alle intenzioni. Il grande problema è la corruzione, a tutti i livelli. In Kenya ci sono 40 ministri, guadagnano circa 10.000 euro al mese. La classe media, un infermiere, un poliziotto, un maestro, prende l'equivalente di 150-200 euro. Non c'è la classe media, in pratica. In questi ultimi due anni l'inflazione è salita di circa il 30%. Tutto costa, i prezzi sono raddoppiati. È qui che la corruzione prospera. Non c'è una visione comune. Il tribalismo è ancora molto forte. In questo contesto l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa diventa fondamentale. Se abbiamo una dicotomia profonda fra l'esperienza di fede e la vita civile non riusciremo mai a uscire da questa situazione.

Quali sono le linee di intervento della Chiesa in Kenya?

Alcuni vescovi credono che sia importante superare l'impostazione tribale che non consente di perseguire il bene comune. E quindi spingono sul fattore culturale. L'assistenzialismo - ritengono - deve agire solo a livello di emergenza. Si tenga conto che la grande parte delle istituzioni educative è in mano alla Chiesa cattolica. C'è un grande fermento di movimenti religiosi, ma questi si presentano divisi e non si impegnano nel sociale. C'è un tipo di spiritualismo che arriva a fare credere alla gente di meritare la condizione in cui si trova, un'impostazione di tipo protestante che non aiuta lo sviluppo. Invece noi abbiamo molte riviste, c'è un'emittente radiofonica che è collegata con Radio Vaticana, c'è anche un'agenzia di informazione cattolica, il Catholic Information Service for Africa, l'idea sarebbe anche quella di avere una televisione. Senza questi strumenti ormai non si fa più nulla. Bisogna anche stimolare a progettare il futuro, con un ritmo diverso da quello di adesso. Ce la faremo perché i giovani sono promettenti. Il laicato secondo me è la risorsa decisiva. Senza laici formati adeguatamente non c'è possibilità di riuscita e non potranno venire fuori, inevitabilmente, neanche i sacerdoti.


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Intervista all'arcivescovo di Bujumbura Evariste Ngoyagoye

Il Burundi e la forza della gioventù


di Alessandro Trentin

"Il futuro dell'Africa passa attraverso l'educazione dei giovani ai valori:  e questa è la frontiera sulla quale dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, altrimenti non ci saranno vie d'uscita". È realista l'arcivescovo di Bujumbura, Evariste Ngoyagoye, nel descrivere la situazione del suo Paese, il Burundi, e dell'intera Africa, dove conflitti etnici, corruzione, povertà, ma soprattutto la sfiducia delle nuove generazioni, rischiano di cancellare ogni speranza in un futuro di pace e di prosperità. Il presule, che in questi giorni partecipa ai lavori dell'assemblea sinodale, in un'intervista a "L'Osservatore Romano" punta il dito proprio sulla necessità di rafforzare gli sforzi per coinvolgere in misura maggiore le nuove generazioni sia all'interno della Chiesa che della società. Il Burundi è, infatti, uno dei Paesi africani con il più alto tasso di natalità e i giovani di età compresa tra i diciotto e i vent'anni rappresentano ben il 60 per cento dell'intera popolazione. Pertanto, sottolinea l'arcivescovo, "devono essere aiutati, perché l'alternativa è che finiscano nelle mani sbagliate di coloro che vogliono sfruttarli a fini politici o bellici". Il Sinodo, dunque, è per il presule l'occasione giusta per richiamare l'attenzione su questo aspetto cruciale per l'avvenire del continente, una terra caratterizzata da tragedie antiche ma anche da molteplici risorse.

Il Burundi si affaccia sulla Regione dei Grandi Laghi, resa insanguinata dagli scontri etnici. Qual è il contributo della Chiesa nel processo di riconciliazione ?

L'apporto principale è la visione che abbiamo dell'uomo, perché in questi scontri etnici "l'altra persona a differenza di me non conta per nulla". Allora il fatto di dare un valore alla dignità di ogni persona umana è il primo contributo che offriamo. L'altro contributo è che abbiamo in corso in ogni diocesi del Paese un sinodo locale per far sì che ciascuna comunità cammini accanto alle altre per trovare una via di uscita dalle violenze e favorire il processo di riconciliazione. Abbiamo iniziato tre anni fa e il processo di confronto continua. Si tratta di ascoltare le istanze della gente:  non siamo noi a imporre le soluzioni, ma chiediamo loro in quale modo si possa uscire dalla crisi. Ma soprattutto, tengo a precisare, stiamo cercando di coinvolgere le nuove generazioni che sono la speranza della nazione. Vogliamo favorire gli scambi anche con i coetanei degli altri Paesi, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo e, a tale proposito, a luglio, abbiamo organizzato delle Giornate della gioventù per far capire che in questo modo si può vivere assieme senza odiarsi.

Dal sinodo si sta levando forte la denuncia sullo sfruttamento dell'Africa a opera delle grandi multinazionali straniere. Cosa fare per ridare dignità al continente?

Queste denunce giungono specialmente da quei Paesi che dispongono di ingenti risorse, come per esempio la Repubblica Democratica del Congo; mentre in Burundi il problema esiste in misura minore. Tuttavia, anche noi osserviamo che le multinazionali approfittano della disorganizzazione a livello politico per sfruttare le nazioni e questo fa perdere veramente dignità al continente. Per questo, molti padri sinodali hanno voluto lanciare un appello affinché venga elaborato un regolamento sullo sfruttamento del territorio. Ovvero, consentire lo sfruttamento economico necessario, ma con delle regole ben precise e riconosciute, in quanto capita che gli accordi tra le multinazionali e i Governi vengano fatti tenendo all'oscuro la popolazione e non per il bene di questa. È utile anche che i Governi provvedano a rendersi autosufficienti, mantenendo così la dignità e non offrano loro stessi alle multinazionali occasioni per farsi sfruttare.

E poi c'è la questione degli ingenti aiuti in denaro che giungono in Africa, spesso finendo non alle popolazioni bisognose ma in altre mani. Qual è la sua opinione?

Come Chiesa non abbiamo altro che il nostro potere morale per intervenire su questo. Di quale altro potere, infatti, potremmo disporre, non essendo coinvolti nella gestione quotidiana del Paese? Noi vediamo comunque che questa nuova società civile che sta sorgendo e prendendo parola in Burundi denuncia spesso la corruzione politica. Nella misura in cui la Chiesa entra in contatto con questa società civile può anche dare un supplemento di forza morale a queste reazioni.

Un'altra realtà è la crescita rapida e tumultuosa di movimenti e sette religiosi. Cosa c'è dietro a questo fenomeno?

Il fenomeno, va precisato, non riguarda solo il Burundi ma l'intera Africa e anche altri continenti. Nello scorso febbraio abbiamo censito 203 confessioni religiose, quindi una cifra molto elevata. In particolare, ci sono molte Chiese del Nord America e anche l'islam è in crescita. Io non saprei dire, di preciso, cosa ci sia dietro al fenomeno, però vedo che molta gente si rivolge a queste sette perché si trova in condizioni di estrema povertà. Molti di questi movimenti, infatti, promettono la prosperità. Altri hanno ancora una maniera di presentarsi molto calorosa e usano metodi di evangelizzazione che danno molto spazio, fra l'altro, alla danza e alla musica, suscitando così la curiosità delle persone. È in atto una profonda crisi di valori nella società e per questo la gente va dietro a coloro che promettono una terapia, una guarigione dai mali interiori.

Il sinodo è chiamato a individuare il percorso di una nuova evangelizzazione. Quali le linee da seguire?

La Parola di Dio non è ancora ben conosciuta. Abbiamo gruppi impegnati nelle catechesi, ma la parola di Dio come tale non è abbastanza conosciuta e vissuta. La nuova evangelizzazione passerà attraverso le comunità ecclesiali di base perché al loro interno la gente si conosce meglio, può aiutarsi, può dare più testimonianza. Attualmente c'è una crescita di queste comunità e, anzi, la ritengo necessaria. C'è anche una liturgia più vivente, più forte, perché adesso abbiamo le chiese che sono piene di fedeli dalla mattina alla sera. C'è molta partecipazione e questo è legato a uno sforzo molto grande che la Chiesa ha fatto per rendere gioiosa la partecipazione alla liturgia, dando più spazio per esempio alla musica. Poi bisogna aiutare anche in questo caso i giovani. Abbiamo delle fraternità che si sono moltiplicate attorno ai nuovi movimenti:  in questo processo i giovani trovano così più responsabilità nella gestione della Chiesa. Diverse, infine, sono le comunità e le associazioni di volontariato per la pace nelle quali si svolge il loro impegno:  tra queste c'è la Sant'Egidio, la cui presenza in Burundi è stata da poco avviata.

I giovani, dunque, sono una grande risorsa per la Chiesa in Africa. Come valorizzarli?

I giovani tra i diciotto e i vent'anni rappresentano circa il 60 per cento della popolazione:  si tratta quindi di una forza molto grande. Tuttavia, hanno molti problemi, a partire dal sistema scolastico e dall'angoscia per l'avvenire, perché quando escono da scuola non sanno se riusciranno a trovare un lavoro. Inoltre, i giovani sono stati utilizzati negli anni della guerra, perché hanno forza e generosità e si danno volentieri per una causa ma, per questo, sono stati sfruttati. Ora sono molto delusi e stanchi per il modo in cui sono stati utilizzati e vogliono fare qualcosa di meglio. Sono pronti a vivere insieme per ricostruire la società e hanno bisogno di essere aiutati per avere dei valori etici e sociali più solidi e duraturi. Dobbiamo dare loro una speranza, sostenendoli in particolare nella preparazione al matrimonio e nelle loro famiglie. Altrimenti, il rischio è che cadano nelle mani sbagliate. Il Burundi si dovrà preparare alla prossime elezioni politiche e chiediamo ai giovani di essere critici verso tutti coloro che si impegnano in false promesse.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
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15/10/2009 06:53

Primo bilancio del Sinodo dell'Africa

Del Relatore Generale, il Cardinale Turkson



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Questo martedì pomeriggio è stata presentata al Sinodo dei Vescovi per l'Africa la cosiddetta “Relatio post disceptationem”, la Relazione successiva alla discussione.

Si chiude così la prima parte dell'assemblea sinodale, in cui i padri sinodali hanno avuto l'opportunità, in 13 sessioni plenarie, di presentare le loro proposte, raccolte nella Relazione.

Alla sessione plenaria è stato presente Papa Benedetto XVI, che ha seguito con attenzione il discorso del Relatore Generale del Sinodo, il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, come ha testimoniato padre David Gutiérrez della “Radio Vaticana”.

Il Cardinale Turkson ha articolato la Relazione in 20 grandi temi ricalcati sui 195 interventi dei padri sinodali che si sono succeduti nelle 13 precedenti congregazioni generali.

Nelle proposte dei padri, ha segnalato, ci sono allusioni a molte luci e a vari successi ottenuti negli ultimi 15 anni, soprattutto per l'applicazione del primo Sinodo per l'Africa (1994).

Ad ogni modo, ci sono state anche molte ombre e si sono presentati vari problemi, facendo pensare in qualche momento che l'assemblea assomigliasse più a una riunione delle Nazioni Unite, dove si presentano le lamentele per le difficoltà che si vivono.

Per questo, nella Relazione il Cardinale Turkson, citando un padre sinodale, insiste sul carattere pastorale del Sinodo, che deve esortare la Chiesa in Africa a continuare il suo pellegrinaggio accompagnando i popoli, cercando il miglioramento delle condizioni sociali, politiche ed economiche, rafforzando la fede in Cristo degli abitanti di quel continente.

I 20 temi scelti dal Relatore spaziano dalla natura della riunione alle strutture di comunione ecclesiale, affrontando le sfere socio-culturale, socio-politica e socio-economica per poi soffermarsi a riflettere su Cristo riconciliatore, come giustizia e come pace.

Le parti finali della Relazione sono state dedicate a temi specifici, come la famiglia, la dignità della donna e il suo ruolo nella società e nella Chiesa, i laici, il clero, la vita consacrata, riservando un paragrafo a valutare l'azione dei mezzi di comunicazione in Africa.

Nella sfera socio-culturale, ha riferito il Relatore, i padri sinodali deplorano il fatto che nella società africana, al di là del nomadismo e dei conflitti per l'acqua e le zone di pascolo, ci siano tendenze emergenti che sono divergenti e perfino opposte ai valori tradizionali e hanno un carattere e contenuto morale discutibile.

Molti padri sinodali lamentano il destino della famiglia in Africa con “la distruzione di una autentica visione del matrimonio e la nozione di una sana famiglia”, e considerano l'istituzione seriamente minacciata di instabilità e dissoluzione a causa della povertà, dei conflitti, dei credo e delle pratiche tradizionali, come la stregoneria, e delle malattie, soprattutto la malaria e l'Hiv/Aids.

I padri sinodali hanno anche descritto in vari modi il feroce attacco alla famiglia e all'istituzione fondamentale del matrimonio giunta da Paesi esterni all'Africa e attribuibile a varie fonti: ideologica (ideologi di genere, nuova etica sessuale globale, ingegneria genetica) e clinica (anticoncezionali, pianificazione familiare ed educazione alla salute sessuale, sterilizzazione), e ad emergenti stili di vita “alternativi” (matrimoni omosessuali, unioni di fatto).

Le donne, a cui nella prima Assemblea Speciale per l'Africa si è alluso come a “bestie da soma”, hanno iniziato ad accedere in certi Paesi a posti di spicco e leadership a livello giuridico, politico, di economia e ingegneria, ma in altri Stati subiscono ancora l'esclusione dalle funzioni sociali, dall'eredità, dall'istruzione e dal processo decisionale. Sono inoltre vittime indifese nelle zone di conflitto: vittime di matrimoni poligamici, di abusi, del traffico per la prostituzione.

I bambini, “la parte più sofferente della popolazione africana”, sono descritti come maltrattati (bambini-soldato, lavoro infantile, traffico di esseri umani) e viene loro negato il diritto all'istruzione. Ovunque, tuttavia, sono beneficiari di vigorosi programmi di informatizzazione delle scuole.

Anche i giovani sono stati menzionati tra i problemi dell'Africa a causa della loro esposizione all'abuso di droghe, all'infezione da Hiv/Aids, alle gravidanze adolescenziali, all'emigrazione, al traffico di esseri umani e ai viaggi che li riducono in condizione servile.

Nell'ambito socio-politico, i padri sinodali sottolineano la necessità di avere Governi e politici che esercitino una leadership di servizio con un esercizio del potere trasparente e responsabile, il rispetto dei diritti umani e l'amministrazione della ricchezza nazionale per il benessere pubblico.

Nell'ambito socio-economico, il Relatore segnala che “povero” e “povertà” sono due parole ricorrenti nelle esposizioni dei padri sinodali circa i loro Paesi e Governi, le popolazioni e le Chiese. La povertà ha giustificato innumerevoli interventi della Chiesa per la ricerca di soluzioni efficaci.

La “Relatio post disceptationem”, presentata questo martedì pomeriggio, termina con una serie di 25 domande che guideranno i lavori dei 12 circoli minori, che da questo mercoledì hanno il compito di preparare le proposizioni che saranno portate nelle sessioni plenarie per la loro approvazione e la consegna al Santo Padre.  

I Vescovi africani commentano un recente rapporto sull'aborto

Ribadiscono che il problema non sono gli aborti clandestini




di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
Durante la conferenza stampa che ha offerto questo mercoledì la Santa Sede sulla “Relatio post disceptationem” del Sinodo dei Vescovi dell'Africa, vari giornalisti hanno chiesto se nell'aula sinodale è stato discusso il tema dell'aborto.

La domanda è stata posta nel contesto del rapporto dell'Istituto Guttmacher, pubblicato questo martedì, secondo il quale circa 70.000 donne muoiono ogni anno a causa di aborti, 20.000 dei quali realizzati clandestinamente da persone inesperte nei Paesi in cui l'aborto non è permesso.

Di fronte a questa domanda, il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal), ha affermato che per i Vescovi l'aborto “non è una pratica da incentivare”.

Anche se l'aborto non è stato il tema più ricorrente – che è stato invece quello della riconciliazione, della pace e dell'evangelizzazione –, ha indicato, i presuli hanno ribadito nell'aula del Sinodo che ogni vita merita di essere rispettata “dall'inizio alla fase finale”.

Gli agenti pastorali in Africa devono cercare di aiutare le donne in gravidanza che si trovano in difficoltà, ha segnalato, avvertendo che “c'è una via d'uscita a una maternità difficile che non è l'aborto”.

“Bisogna che alcuni popoli occidentali si distacchino da questa convinzione, dal fatto di pensare che debba essere la regola del mondo”.Le politiche contro la vita dal concepimento alla morte naturale, ha aggiunto, “non devono essere imposte a tutti i popoli”.

Aborto, sinonimo di morte

Dal canto suo, l'Arcivescovo di Durban (Sudafrica), Wilfrid Fox Napier, O.F.M., ha messo in discussione il fatto che l'Istituto Guttmacher cerchi con il suo rapporto di legalizzare una pratica in cui i bambini vengono assassinati nel ventre materno, con la scusa di salvare la vita di molte donne.“Che cos'è la morte?”, si è chiesto. “E' la fine della vita”. “Noi abbiamo grande difficoltà a capire questa cultura che dice che il diritto alla vita è un diritto supremo” ma che va “contro i più indifesi”.

Conferenza di Pechino e Protocollo di Maputo

Il Cardinale Napier ha criticato alcuni eventi mondiali come il Protocollo di Maputo, che ha iniziato ad essere applicato nel 2005 e che, tra le altre cose, ha incentivato i diritti sessuali e riproduttivi della donna in Africa.

Allo stesso modo, si è riferito alla IV Conferenza sulla donna svoltasi a Pechino nel 1995, che vuole “minare il sistema morale giudaico-cristiano”.Il porporato ha ricordato che la Chiesa ha adottato una difesa contro le politiche per le quali “la gravidanza è una malattia”.

“Non vogliamo spegnere la salute sessuale, ma il Protocollo di Maputo ha avuto un effetto devastante sulla donna”, ha dichiarato.

Su questo tema, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha ricordato che il Protocollo di Maputo ha dei vantaggi – come la fine delle mutilazioni genitali femminili –, ma è da considerare un “miscuglio di elementi buoni e di altri assolutamente inaccettabili”.

[Modificato da S_Daniele 15/10/2009 06:53]
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15/10/2009 06:55

Inculturazione della fede e religione tradizionale in Africa

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“La paura e l’incertezza caratterizzano la vita di fede in molte popolazioni africane”: è quanto afferma la Relatio post disceptationem della II Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi a proposito del “settore socio-religioso” che analizza i rapporti tra fede e vita nei credenti.

Paura ed incertezza, si afferma, determinano diffidenza, autodifesa, aggressività così come il ricorrere a pratiche di magia ed occultismo o a tentare il sincretismo tra cristianesimo e religione tradizionale.
Il tema del complesso rapporto tra inculturazione della fede e religione tradizionale è stato ripreso nella conferenza stampa tenutasi oggi a chiusura della prima fase di lavoro del Sinodo.
“Veniamo da lontano, siamo lontani e stiamo andando lontano: questa è la situazione della Chiesa in Africa”, ha affermato il Cardinale Njue, Arcivescovo di Nairobi e Presidente della Conferenza episcopale del Kenya, rispondendo ad alcune sollecitazioni dei giornalisti.
“Se vogliamo essere cristiani – ha proseguito Njue – non possiamo scegliere i valori secondo i quali camminare”. Inculturazione della fede significa “discernere quali valori della tradizione culturale africana siano compatibili con il cristianesimo”.
Riguardo al matrimonio, “noi incoraggiamo gli sposi – ha affermato il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar in Senegal e Vicepresidente del Simposio di Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) – a celebrare il matrimonio religioso, ma chiediamo di tener conto delle loro prassi tradizionali, come la cerimonia a casa del padre della sposa, e verifichiamo che siano state compiute prima che vengano in chiesa”.
Allo stesso modo “chiediamo loro di celebrare il matrimonio civile con l’impegno di scegliere, all’atto del matrimonio, la monogamia e non la poligamia. In Senegal, infatti, dove il codice civile le ammette entrambe, se si sceglie un’opzione non si può più cambiare”.
Un altro aspetto affrontato è quello del persistere delle pratiche esoteriche.
“La relazione con il mistero – ha affermato mons. Manuel Antonio Mendes dos Santos, Vescovo di Sao Tomé e Principe – fa parte della cultura africana. L’ateismo, ad esempio, in questa prospettiva, non è comprensibile per un africano”.
Da questo senso del mistero occorre distinguere “l’esoterismo, spesso solo un mezzo per dare risposte a persone fragili che hanno problemi materiali o psicologici”. Se “va compresa la fragilità esistenziale occorre però opporsi al tentativo di sfruttarla”. Tutto ciò, ha concluso Mendes dos Santos, ci interroga come credenti: “In che modo presentare Cristo come l’uomo nuovo la cui forza non è determinata dalla magia?”.


Lotta contro l’Aids: la Chiesa parte del problema o della soluzione?
Durante la conferenza stampa di presentazione della “Relatio post disceptationem”

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Perché riguardo all’Aids i media continuano a trattare la Chiesa come parte del problema e non della soluzione?”. Lo ha chiesto il Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban in Sudafrica, ai giornalisti riuniti questo mercoledì per la seconda conferenza stampa di presentazione della “Relatio post disceptationem” (relazione dopo la discussione), in occasione del Sinodo dei Vescovi sull'Africa.
La relazione ha raccolto le denunce dei padri sinodali riguardo vari aspetti della società africana, in particolare la minaccia all’istituzione della famiglia derivante da molteplici cause, tra le quali malattie a grande diffusione come l’Aids.
Oltre alla “miracolosa transizione dal regime di apartheid alla democrazia - ha affermato Napier -, l’altro fenomeno per cui è noto il Sudafrica è proprio l’alto tasso di contagiati da Aids e la Chiesa svolge un ruolo molto importante per la cura della malattia e la qualità dell’assistenza”.
Per prima cosa, le istituzioni ecclesiali coinvolte offrono informazioni sulla malattia al fine di evitare il contagio. Quindi danno un sostegno fattivo nell’assistenza e hanno rapporti con le case farmaceutiche intervenendo per verificare se i farmaci retrovirali diffusi siano adatti a tutte le persone malate (per alcune l’effetto non si produce) e per incentivare lo sviluppo della ricerca.
“Cerchiamo di fare del nostro meglio – ha affermato Napier – mettendo in atto programmi di prevenzione che richiedono anche di guardare con attenzione alla causa di questa tremenda diffusione della malattia”.
“Se, in linea generale, la causa è da ricercare in comportamenti sessuali irresponsabili – ha proseguito l’Arcivescovo di Durban – noi non possiamo fare a meno di dire che occorrono comportamenti sessuali responsabili”. Sulla base di due principi: “se si è sposati, occorre essere fedeli al proprio coniuge; se non si è sposati, è necessario astenersi da pratiche irresponsabili”.
Occorre perseguire questo risultato con tutti i mezzi possibili. “Nella nostra diocesi – ha raccontato Napier – abbiamo un programma chiamato ‘Il dono della vita’ che ha l’obiettivo di far comprendere agli adolescenti, in primo luogo, ma anche agli adulti, l’importanza di trasmettere la vita attraverso l’atto sessuale”.
“L’atto sessuale deve portare alla procreazione – ha concluso Napier – e anche se sappiamo che in Occidente avete convinzioni diverse, per noi è importante che l’atto sessuale sia un momento nella creazione della vita”.
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15/10/2009 06:57

La Chiesa in Africa preoccupata per la teoria di genere


Alcune istituzioni cristiane contribuiscono alla sua diffusione, dice un esperto



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“In Africa, per l'azione di certe istituzioni cristiane, la teoria del genere si impone progressivamente nella società e nella Chiesa”.
Lo ha segnalato a ZENIT lo psicoanalista ed esperto in Psichiatria sociale monsignor Tony Anatrella, consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia e del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.

Monsignor Anatrella ha affermato che “gli africani non vogliono essere colonizzati dalle ideologie occidentali” e ha deplorato il fatto che “la maggior parte dei temi sulla teoria del genere continui ad espandersi ampiamente nella Chiesa”.
L'Arcivescovo Robert Sarah, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha pronunciato un intervento sull'ideologia di genere nel dibattito del Sinodo dei Vescovi in svolgimento in Vaticano.
Il presule l'ha definita una teoria “irrealistica e disincarnata”, perfino “assassina” ed estranea ai valori africani.
In questo senso, monsignor Anatrella ha spiegato che in Africa “la cura del senso della famiglia è molto importante e dare vita a molti bambini riguarda la cultura di questo continente”.
“I bambini sono la ricchezza della famiglia e della società – ha indicato –, ma gli esperti di quella teoria affermano, con pregiudizi occidentali, che tre figli per donna è un numero troppo alto che si dovrebbe ridurre”.
“Ciò dicono gli africani è: il bambino è il futuro dell'uomo!”, ha sottolineato monsignor Anatrella.
Anche il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il Cardinale Ennio Antonelli, ha lamentato davanti al Sinodo l'estensione della teoria di genere in Africa per mediazione di istituzioni cristiane in linea con le istituzioni internazionali, le loro agenzie (ONU, OMS, UNICEF, UNESCO) e le ONG.
“In Africa, gli attivisti stanno portando avanti questa azione al margine dei rappresentanti democraticamente eletti nei Parlamenti nazionali”, ha denunciato monsignor Anatrella.
Il presule ha denunciato che questa ideologia si estende anche attraverso sessioni di formazione diretta a sacerdoti, religiosi e religiose e laici cristiani.
Ha anche lamentato che “per ricevere aiuti internazionali (nell'ambito finanziario, sanitario ed educativo), la maggior parte dei Paesi africani è sottoposta, attraverso varie associazioni, al discorso di genere”.
L'esperto ha detto che la preoccupazione di questi attivisti, “ad esempio per la salute e la cura medica delle donne, si traduce unicamente in termini di 'salute riproduttiva'”.
Questa nozione “è molto problematica perché banalizza la contraccezione e l'aborto e mette in discussione i valori familiari, escludendo l'uomo dalle relazioni di cooperazione con la donna e dalla procreazione”.
Secondo monsignor Anatrella, i teorici del genere esercitano pressioni sui Parlamenti nazionali perché legislino e approvino leggi nel senso previsto dalla sua ideologia.
“Anche i Paesi africani sono sottoposti alle pressioni dei Paesi occidentali che, in nome dell'uguaglianza degli orientamenti sessuali, cercano di presentare l'omosessualità come un modello che può realizzarsi in una coppia e nel matrimonio”, ha spiegato.
“Per ora la maggior parte dei deputati resiste a questa visione della coppia, della famiglia e della procreazione che non corrisponde ai valori africani – ha detto –. Purtroppo, questo tipo di idee e comportamenti continua a diffondersi in Africa”.
Molte comunità cristiane africane, tuttavia, sono “più decise e reattive” a tali questioni rispetto ad alcune comunità occidentali.
Secondo quanto ha affermato l'Arcivescovo di Ouagadougou, monsignor Ouédraogo, al Sinodo, “le nostre comunità umane e religiose in Africa, in generale, respingono la pratica giuridica codificata in molti Paesi occidentali; valorizzano la promozione dei valori collegati alla famiglia e alla vita”.


Sinodo: l'abolizione della pena di morte e l'apostolato nelle carceri


Vescovo della Sierra Leone denuncia il trattamento dei prigionieri di guerra


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Il presidente della Conferenza Episcopale della Sierra Leone e Vescovo di Makeni, monsignor George Biguzzi, S.X., ha invitato i padri sinodali a lanciare “un appello inequivocabile per l’abolizione totale e universale della pena di morte”.
Il presule è intervenuto questo lunedì all'11ª congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa.
Monsignor Biguzzi si è riferito al “trattamento disumano dei prigionieri di guerra”, al “sacrificio dei civili durante i conflitti” e all’“arruolamento di bambini-soldati” come a “crimini contro l’umanità, chiaramente espressi nella Convenzione di Ginevra e protocolli allegati”.
“Il cammino verso la pace e la riconciliazione passa attraverso il riconoscimento, il rifiuto e la riparazione di questi crimini – ha dichiarato –. La guerra non giustifica crimini contro l’umanità”.
L'apostolato nelle prigioni
Nella 10ª congregazione generale, un'uditrice, suor Jacqueline Manyi Atabong, assistente della Superiora generale delle Suore di Santa Teresa del Bambin Gesù della Diocesi di Buea (Camerun) e coordinatrice per l'Africa dell'International Catholic Commission for Prison Pastoral Care, ha invitato a riconsiderare l'apostolato nelle carceri.
“Sappiamo che molte nostre carceri sono delle celle sovraffollate di persone povere e svantaggiate – ha affermato –. Sono strutturalmente inadeguate e vi si verificano pratiche disumanizzanti, violente e repressive, che talvolta causano la morte”.
“I diritti dei detenuti non vengono rispettati e il reinserimento degli ex detenuti è un’impresa difficile. Sappiamo che in molte Diocesi l’apostolato delle carceri o non esiste affatto, oppure è organizzato male, con personale scarsamente o per nulla preparato, e che riceve poco o nessun sostegno dalle autorità ecclesiastiche e dallo Stato”, ha aggiunto.
“Occorre una migliore organizzazione della cappellania delle carceri a livello nazionale, diocesano e parrocchiale, coinvolgendo le piccole comunità cristiane, personale adeguatamente formato e un team che possa offrire un’assistenza completa”.
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Le relazioni dei circoli minori al Sinodo dei vescovi

Luci e ombre del continente africano


Luci e ombre dell'Africa sono sintetizzate nei rapporti dei dodici circoli minori che, dopo due giorni di riunioni, hanno passato al vaglio tutte le tematiche proposte dai padri sinodali. Giovedì mattina, 15 ottobre, nel corso della quindicesima Congregazione generale alla presenza del Papa, i relatori dei circoli hanno esposto le osservazioni maturate nella discussione ristretta. Sostanzialmente sono tornati sul tappeto tutti gli argomenti sviluppati in queste giornate che hanno dato dell'Africa un'immagine a volte inquietante - guerre, violenze, corruzione dei politici africani, ingerenze esterne come nuove forme di schiavitù, degrado di valori tradizionali - a volte illuminante per il futuro stesso della Chiesa universale. Tuttavia, secondo alcuni, ci sono stati argomenti che avrebbero meritato un maggiore approfondimento. Il gruppo portoghese, per esempio ha accennato alla situazione della vita consacrata in Africa, al rapporto dei consacrati stessi con i vescovi, alla necessità di guardare alla Parola di Dio come faro che illumina il cammino.
Ricorrente anche il richiamo al ruolo che deve assumere la Chiesa nel contesto attuale. In particolare, padre Gérard Chabanon, superiore generale dei Padri bianchi, a nome del circolo "francese a" ha detto che "il ruolo della Chiesa in Africa dovrebbe avere due indirizzi:  denunciare le ingiustizie e proclamare la buona novella. Denunciare le ingiustizie significa mettere in luce tutto ciò che attenta alla famiglia, quale cellula base della società:  povertà e malgoverno, violenza, irresponsabilità dei padri che abbandonano moglie e figli e l'insufficiente investimento nell'educazione a cominciare dalla mancanza di strutture adeguate per la scolarizzazione delle nuove generazioni". Anche monsignor Obiora Francis Ike, direttore del Catholic Institute for developpement, justice and peace di Enugu in Nigeria, a nome del circolo "inglese c", si è soffermato sulla questione delle donne, il cui contributo alla vita della Chiesa e della società, ha detto, non è sempre apprezzato. Approfondendo la situazione generale del lavoro nel continente monsignor Ike ha rappresentato la proposta del gruppo, affinché il sinodo si adoperi per il riconoscimento della dignità del lavoro, e ha citato un detto:  "l'Africa non mangia quanto produce e mai il contrario".
L'arcivescovo di Ouagadougou, monsignor Philippe Ouédraogo, a nome del circolo "francese c" ha fatto notare che la dimensione privata della colpa non è molto sentita, in quanto si tende a privilegiarne l'aspetto pubblico. Per questo, il sacramento del perdono può arricchire la cultura africana, permettendo il sorgere di una coscienza critica che consenta di riconoscere gli errori personali e non solo quando ledono gli interessi sociali.
Presidente di turno era il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban; erano presenti 224 padri sinodali.




(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2009)
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16/10/2009 07:12

Vescovi africani contro l'imperialismo culturale dell'Occidente

Gli aiuti umanitari non possono essere condizionati



di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Gli aiuti umanitari che arrivano al continente africano sono a volte accompagnati da “una sorta di imperialismo culturale”, ha denunciato il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal).

Il porporato è intervenuto questo mercoledì durante una conferenza stampa nella quale è stato presentato un primo bilancio della seconda Assemblea Sinodale per l'Africa, in svolgimento dal 5 al 24 ottobre.

“Se ci vogliono aiutare, non possono però instillarci idee che non riteniamo corrette. Vogliamo essere aiutati, ma nella verità, e rispettati per quello che siamo”, ha detto.

Per questo, ha esortato a che “i popoli occidentali si distacchino dal pensiero che tutto quel che credono e fanno diventi regola in tutto il mondo”.Da parte sua, il Cardinale John Njue, Arcivescovo di Nairobi (Kenya), ha sottolineato che “la cooperazione e gli aiuti sono necessari”, ma che bisogna anche “rispettare l’indipendenza e il punto di vista, la cultura e la dignità” dei popoli africani.

Il Cardinale Njue ha osservato che “non va bene dare aiuti condizionati al cambiamento dei valori della persona su temi come l'aborto e la concezione della famiglia”, e ha indicato che “gli africani hanno bisogno di cooperazione, ma bisogna rispettare la loro indipendenza, la loro cultura e la dignità della persona umana”.

Dall'altro lato, il Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban (Sudafrica) e presidente delegato del Sinodo, ha affermato che “in Africa persiste una situazione difficile dal punto di vista dei conflitti e delle calamità”, e ha segnalato che, anche se c'è bisogno della cooperazione internazionale, “bisogna che l’indipendenza delle popolazioni africane venga rispettata”.

Ciò che “viene da fuori deve essere nel rispetto della cultura e della dignità della persona umana”. A questo proposito, ha portato ad esempio il settore commerciale, dove “chi soffre alla fine è il produttore”.

Il porporato ha quindi ricordato che l'Africa “ha enormi potenzialità” e che “lo sviluppo deve essere aiutato”, ma che si vuole “una partnership su un piano di parità”.


Sinodo: la discussione si sposta nei circoli minori

di Chiara Santomiero


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Troppo poco tempo per la discussione nei circoli minori: quasi tutti i relatori dei 12 gruppi linguistici nel quali si è spezzettata la riflessione sulla relatio post disceptationem della II Assemblea per l’Africa del Sinodo dei vescovi, lo hanno messo in evidenza riportando oggi in aula la sintesi del confronto avvenuto.
E’ stato possibile, infatti, dedicare alle 25 domande poste a chiusura del documento presentato martedì pomeriggio, solo la giornata di mercoledì, nella quale i lavori sono stati interrotti alle 18.30 per offrire ai partecipanti al Sinodo la visione della sintesi di un’ora del film Rai dedicato a S. Agostino, peraltro molto apprezzata dagli spettatori.

E’ stata lamentata inoltre la stringatezza della relatio in merito ad alcuni argomenti, causata dalla necessità – sottolineata dalla segreteria del Sinodo – di condensare tutto il dibattito dell’aula in 60 mila caratteri.

Tutti gli argomenti proposti sono stati però affrontati, con alcune sottolineature ricorrenti.

Grande gioia ha recato ai partecipanti al Sinodo il carattere universale dato all’assise non solo dall’essere riuniti attorno al Papa, ma dai saluti dei rappresentanti delle conferenze episcopali degli altri continenti e dei delegati fraterni. Lo svolgimento dei lavori del Sinodo sono salutati come “esercizio autentico di comunione e di democrazia nella Chiesa”.

Al documento è stato chiesto “un maggior equilibrio tra gli approfondimenti teologici e i drammi umani dell’Africa ai quali i padri sinodali devono rispondere”. L’Africa deve godere di autonomia nella gestione delle proprie risorse, contro lo sfruttamento, altrimenti “come si può parlare di pace ad un popolo che ha fame?”.

Le ferite del continente devono essere curate attraverso la giustizia, in base a “un doppio approccio: denunciare e annunciare la Buona novella” del Vangelo per restaurare il processo di pace. E se è importante attingere dalla tradizione africana massime e pratiche utili per i riti di riconciliazione, occorre tener conto degli elementi che vi oppongono come “la solidarietà clanica e le categorie di colpe senza perdono”. Si è sottolineato ancora una volta, inoltre, che “la stregoneria è la vera guerra occulta che il continente fa al proprio interno”.

E’ stata proposta la celebrazione di una giornata della pace a livello continentale, oltre a quella del 1° gennaio.

Si è insistito molto sull’importanza della formazione a tutti i livelli. Prima e dopo il matrimonio per rinsaldare la famiglia. Per i laici, da accompagnare nella preparazione professionale, spirituale e sociale, incoraggiando a questo scopo i movimenti laicali e di Azione cattolica. Per i giovani, dei quali valorizzare il ruolo di “protagonisti della riconciliazione” e non solo deplorare la condizione di vittime.

Per i leader politici perché siano sorretti nella loro azione da un’etica di servizio e non di sfruttamento a fini personali e familiari della carica ricoperta. A questo proposito, diversi interventi hanno chiesto l’istituzione di centri per lo studio della Dottrina sociale della Chiesa e di cappellanie presso i Parlamenti nazionali e gli organismi sovranazionali africani.

Per i sacerdoti, affinché siano formati a non concepire il loro ministero come una forma di autorità ma di servizio.

E’ stata particolarmente sottolineata la necessità di valorizzare il ruolo delle donne, promuovendone la formazione e la liberazione dai condizionamenti culturali. E’ stato chiesto che le istituzioni cattoliche come le scuole e i centri di salute “si impegnino risolutamente contro la pratica delle mutilazioni genitali femminili” ed è stata proposta l’istituzione di una commissione per promuovere la dignità della donna presso la Conferenza episcopale africana oltre che la convocazione di un “incontro panafricano delle donne per dare continuità alla riflessione del Sinodo in questo campo”.

Nel campo della promozione della donna, è stato anche sottolineato il ruolo che possono svolgere i consacrati il cui contributo come agenti di riconciliazione nella vita della Chiesa africana è stato poco approfondito nella relatio post disceptationem.

I padri sinodali hanno chiesto con forza il “rispetto degli immigrati africani negli altri continenti”, non solo quando vengono trattenuti in centri di permanenza o rimandati nella loro terra d’origine, ma anche quando si fermano a lavorare e a vivere nei vari paesi.

Da più parti, infine, si è auspicato che i media contribuiscano a diffondere i contenuti del dibattito sinodale oltre che “i molti aspetti positivi del continente africano che meritano l’attenzione del mondo”.

 

Il Sinodo per l'Africa dà spazio all'arte

All'ingresso dell'Aula Paolo VI l'esposizione “Tempo d'Africa”




di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Oltre alle intense ore di interventi e di discussioni libere, i Cardinali, i Vescovi e gli invitati alla seconda Assemblea Sinodale per l'Africa hanno avuto l'opportunità di apprezzare anche l'arte.

Nelle tradizionali pause per il caffè o per il pranzo, all'ingresso dell'Aula Paolo VI i Padri sinodali hanno potuto arricchirsi e ispirarsi con una mostra di pittura religiosa africana.

Le nozze di Cana festeggiate dalle tribù africane, dipinte da Joseph Belly Malenga Mpasi della Repubblica Democratica del Congo, e un angelo che cerca di liberarsi dalla schiavitù di Tondo Mamgengi sono alcune delle opere che si possono ammirare in questi giorni nell'esposizione intitolata “Tempo d'Africa”.La mostra ha la particolarità di avvicinare al cuore della Chiesa le risorse umane, le espressioni complesse e originali e le ricche tradizioni ancestrali dell'arte sacra africana.

E' organizzata con il sostegno del Centro Orientamento Educativo (COE), un'associazione di laici volontari cristiani impegnati in Italia e in vari Paesi del mondo nello sviluppo di una cultura di dialogo, scambio e solidarietà.

Il COE è stato fondato alla fine degli anni Cinquanta, e nel 1974 ha ottenuto il riconoscimento come ONG dal Ministero degli Esteri. In Africa sostiene progetti in vari Paesi, come Camerun, Zambia e Repubblica Democratica del Congo.

ZENIT ha parlato con l'organizzatore della mostra, Joseph Atangana Ndzie, che lavora come coordinatore del COE in Camerun. Per lui, l'esposizione vuole mostrare l'“ereditá cristiana dei fedeli africani e radicare il Vangelo nella loro vita”.

La mostra è nata dal sogno del sacerdote italiano Francesco Pedretti, fondatore del COE, morto dieci anni fa. Inizialmente la voleva realizzare durante il primo Sinodo per l'Africa, nel 1994. “E' un omaggio al Sinodo e al fondatore”, ha detto Joseph Atangana

Un linguaggio universale

L'organizzatore della mostra, che ha studiato arte alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha sottolineato come in ogni opera si possa vedere che gli artisti esprimono “l'universalità del cristianesimo, quella identità cattolica dei fedeli africani. C'è una comunione dei sentimenti”.

“Quando qualcuno vede questo arte, c'è un linguaggio universale che può esprimere la devozione; una partecipazione all'espressione verso Dio singolare che arrichisce l'universalità della Chiesa”, ha osservato.

Per Rosa Scandella, presidente del COE, la mostra fa vedere come gli artisti africani possano essere una specie di “profeti che gridano con le loro opere i grandi valori ideali degli uomini in questo continente, troppo spesso tormentato dalle situazione storiche ma ancora capace di futuro”.

“Tempo d'Africa” rende realtà una delle principali conclusioni dopo il primo Sinodo per l'Africa: il dialogo tra il Vangelo e la cultura africana.

Esprime, come ha detto Atangana, la particolarità degli africani di “esprimere la religiosità con tutto il loro corpo, con la loro natura. Non è una fede solo di testa. E' una fede gioiosa e semplice. E' un'espressione di vita”.

 

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