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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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Sinodo per l'Africa. Relazione introduttiva del Relatore Generale, Card. Turkson, Arcivescovo di Cape Coast


Pubblichiamo il testo integrale della Relazione prima della discussione del Relatore Generale della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, S.E.M.R. Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana) e Presidente dell'Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa Occidentale (A.C.E.A.O.)
letta questa mattina nell'Aula del Sinodo, in occasione della prima giornata di lavori

Introduzione

Mentre veniva intonato il Te Deum e nell’intera Aula del Sinodo risuonava questo inno di rendimento di grazie, a mezzogiorno del 7 maggio 1994, si concludeva formalmente la I Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo aveva avuto come tema: “La Chiesa in Africa e la sua Missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: ‘Sarete miei testimoni’ (At 1, 8)”. Esso rivolse un messaggio alla Chiesa e al mondo che rispecchiava gli slanci principali del processo sinodale e votò diverse risoluzioni in forma di Proposizioni. A partire da qui i Padri sinodali e l’intera Chiesa attesero intensamente l’Esortazione Apostolica Post-sinodale del Santo Padre, come Presidente del Sinodo, che avrebbe raccolto i frutti del Sinodo in un messaggio che avrebbe contrassegnato la conclusione definitiva dell’esercizio collegiale e consultivo del Sinodo. Cosa che il Santo Padre ha fatto emanando l’Esortazione Post-sinodale Ecclesia in Africa (La Chiesa in Africa) e presentandola all’Africa e al mondo a Yaoundé in Camerun, il 14 settembre 1995, poi a Johannesburg, in Sudafrica, il 17 settembre 1995, e infine a Nairobi, in Kenya, il 19 settembre 1995 [1].

I. Dalla I Assemblea Speciale per l’Africa alla II Assemblea Speciale

Papa Giovanni Paolo II descriveva il Sinodo da lui concluso con la promulgazione dell’Esortazione Post-sinodale Ecclesia in Africa come un “Sinodo di risurrezione e di speranza” [2]. Da quella Assemblea sinodale, convocata sullo sfondo di una visione del mondo prevalentemente pessimistica dell’Africa, di una situazione del continente di particolare sfida e “tragicamente sfavorevole” [3] per la missione evangelizzatrice della Chiesa negli ultimi anni del ventesimo secolo, si attendeva tuttavia che segnasse una svolta nella storia del continente [4].
Quando il Santo Padre e i Padri sinodali si incontrarono per quel primo Sinodo, dovettero considerare “gli elementi sia positivi che negativi (le luci e le ombre) nei ‘segni dei tempi’” [5]. Dovettero contemplare e celebrare i successi dell’evangelizzazione e la crescita delle Chiese locali nel continente, ma anche lamentare e deplorare una serie di miserie e di mali nel continente. Dovettero onorare l’eroismo e lo spirito pionieristico dei missionari, ma anche criticare la mancanza di impegno e di zelo pastorale del personale ecclesiastico, l’emergere di tendenze sincretistiche, la proliferazione delle sette, la politicizzazione dell’islam e la sua intolleranza alle critiche. Dovettero accogliere con ottimismo l’emergere di democrazie e il risveglio di una profonda consapevolezza culturale, sociale, economica e politica nel continente, ma dovettero anche lamentare regimi dispotici e dittatoriali, malgoverno, corruzione diffusa e un’allarmante aumento della povertà. La situazione del continente era fortemente ambivalente quanto paradossale e la rapida successione degli eventi come la fine dell’apartheid e il triste inizio del genocidio ruandese ben rappresentavano questo paradosso.
Tenendo conto di questa situazione paradossale in cui il male e la sofferenza sembravano prevalere sul bene e sulla virtù, il clima pasquale della I Assemblea Speciale per l’Africa ispirò un messaggio di speranza per il continente. Con la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale Ecclesia in Africa, la Chiesa in Africa ebbe nuovo impulso e nuovo slancio per la sua vita e attività nel continente come Chiesa missionaria, ossia Chiesa con una missione. Infatti, il Sinodo nel suo clima pasquale e l’Esortazione Apostolica Post-sinodale diedero alla Chiesa in Africa un nuovo impulso che possiamo così descrivere:
- speranza nel Cristo Risorto, come nuovo impeto per vivere il suo “programma” e la sua missione evangelizzatrice;
- un nuovo paradigma: la Chiesa come famiglia di Dio, per offrire una prospettiva, un sistema di valori per vivere il suo “programma”, ma specialmente per sottolineare l’unità e la comunione di tutti nonostante le differenze;
- un insieme di priorità pastorali: evangelizzazione come Proclamazione, evangelizzazione come Inculturazione, evangelizzazione come Dialogo, evangelizzazione come Giustizia e Pace ed evangelizzazione come Comunicazione per orientare l’attuazione del proprio “programma” e della propria missione in un’Africa con un paradossale accostamento di deplorevoli miserie umane e di straordinari eroismi al di fuori e all’interno della Chiesa [6].

Perciò il periodo successivo alla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale ha rappresentato, come riteneva anche Papa Giovanni Paolo II [7], il tempo dell’approfondimento di questa esperienza sinodale e di applicazione della Ecclesia in Africa, nello sforzo perseverante e concertato di ristabilire un rinnovato vigore e una speranza più concreta in un continente in difficoltà. Questo periodo post-sinodale ha raggiunto il suo quattordicesimo anno; e, mentre la situazione del continente, delle sue isole e della Chiesa presenta ancora alcune delle “luci e ombre” [8] che motivarono il primo Sinodo, essa è anche notevolmente cambiata. Tale nuova realtà richiede un appropriato esame in vista di un rinnovato sforzo di evangelizzazione che esige un approfondimento di alcuni temi specifici importanti per il presente e il futuro della Chiesa cattolica nel grande continente africano [9].
Di conseguenza, riuniti nuovamente in una II Assemblea Speciale per l’Africa quindici anni dopo la prima, dobbiamo radicarci in profondità nel primo Sinodo [10], consapevoli e desiderosi di esplorare in primo luogo i “nuovi dati ecclesiali e sociali del continente” [11], che attualmente influiscono sulla missione della Chiesa nel continente ed esigono che la Chiesa in Africa, oltre a considerarsi come “testimone di Cristo” e “famiglia di Dio”, si consideri anche “sale della terra, luce del mondo” e “a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”.

Nuovi dati sociali ed ecclesiali del continente

Dati ecclesiali

a. Subsidia Fidei: è importante notare che lo slancio e l’impulso che la I Assemblea Speciale per l’Africa ha dato alla Chiesa di questo continente per rinnovarsi, fortificarsi e radicare più saldamente la propria speranza nel Signore, è stato considerevolmente favorito da alcuni eventi ecclesiali successivi e da attività del Papa e della Curia Romana, che potremmo definire come “subsidia fidei” per la Chiesa. Così, il “Sinodo sull’Eucaristia” ha affermato la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa-Famiglia di Dio quale simbolo di unità. Il “Sinodo sul Vescovo: Servitore del Vangelo...” ha ricordato a Vescovi e Pastori il loro ministero essenziale, quali annunciatori del Vangelo in seno alla Chiesa-Famiglia di Dio; e il “Sinodo sulla Parola di Dio” ha ricordato alla Famiglia di Dio il seme eterno e imperituro della sua nascita. Inoltre le Encicliche del Papa “Deus caritas est”, “Spe salvi”, “Caritas in veritate”, le sue omelie e i suoi discorsi nel corso della recente visita apostolica in Africa (Camerun e Angola) hanno offerto catechesi di inestimabile valore alla Chiesa in Africa. Infine i dicasteri della Curia Romana hanno tenuto seminari su:
- “La Liturgia” (Kumasi 2007) allo scopo di offrire una guida per una permanente opera di inculturazione nella liturgia.
- La “Dottrina Sociale della Chiesa” (Dar-es-Salaam 2008) per promuovere la conoscenza e la diffusione degli insegnamenti sociali della Chiesa.
- “La Migrazione” (Nairobi 2008) per parlare della migrazione e delle nuove forme di schiavitù.
- I “Lavori delle Commissioni Teologiche delle Conferenze episcopali” (Dar-es-Salaam 2009) per ricordare ai Vescovi l’importanza del loro compito magisteriale in seno alla Chiesa, anche se si avvalgono di esperti.
Tali incontri hanno accresciuto la consapevolezza della Chiesa in Africa riguardo alla propria vita e al proprio ministero.

b. La crescita eccezionale della Chiesa in Africa: negli ultimi decenni (compresi gli anni successivi alla I Assemblea Speciale per l’Africa) è diventato abituale parlare di una eccezionale crescita della Chiesa in Africa e gli indicatori, come sottolineano i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, sono diversi. Tuttavia, fra questi segnali di crescita della Chiesa del continente e delle isole, le vere novità sono:
- L’ascesa di membri africani di congregazioni missionarie a posizioni e ruoli di guida: membri di consigli, vicari generali e perfino superiori generali.

- Ricerca dell’autosufficienza da parte delle Chiese locali, impegnandosi in operazioni economiche in grado di generare profitti (banche, società finanziarie, compagnie di assicurazioni, agenzie immobiliari e negozi).
- Un incremento visibile delle strutture e istituzioni ecclesiali (seminari, università ed istituti cattolici di istruzione superiore, centri di formazione permanente per i religiosi, i catechisti e i laici, scuole di evangelizzazione) come pure un aumento di esperti e manager per il lavoro di ricerca nel campo della fede, della missione, della cultura e dell’inculturazione, della storia, dell’evangelizzazione e della catechesi.
Tuttavia la Chiesa in Africa affronta anche terribili sfide:
- Quando si parla di una Chiesa prospera in Africa si dimentica il fatto che in vaste aree a nord dell’equatore, essa a malapena esiste. La crescita straordinaria della Chiesa si è verificata soprattutto a sud del Sahara.
- La fedeltà e l’impegno di alcuni sacerdoti e religiosi alla loro vocazione.
- La necessità di evangelizzare (o ri-evangelizzare) per una conversione profonda e permanente.
- La perdita di membri che sono passati a nuovi movimenti religiosi o alle sette. I giovani cattolici vanno all’estero (in Europa e America) e tornano non cattolici, perché nelle Chiese di quei Paesi non si sono trovati a loro agio.
- Il calo degli indici di incremento della popolazione nell’Europa tradizionalmente cristiana e in America.

c. Il Sinodo per l’Africa e il “Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar” (SECAM): l’approfondimento dell’esperienza sinodale africana nel continente e nelle isole è dipeso in larga misura da un organismo specifico della Chiesa continentale, il “SECAM”. Durante il Concilio Vaticano II i Vescovi africani, alla ricerca di mezzi idonei di cooperazione, diedero vita ad un segretariato che coordinasse i loro interventi e presentasse al Concilio un punto di vista comune (africano). Dopo il Concilio e alla presenza di Papa Paolo VI a Kampala (1969), i Vescovi africani decisero di rendere permanente questo organismo di cooperazione del Concilio con la creazione del SECAM. Allora il SECAM era un auspicabile organismo o istituzione permanente per promuovere l’esercizio di una solidarietà pastorale organica nel continente da parte dei suoi Pastori. Doveva essere uno strumento dei vescovi per promuovere nel continente l’ “Evangelizzazione nella corresponsabilità” [12]; ed è stato a questo organismo che Papa Giovanni Paolo II ha attribuito l’idea originaria di un Sinodo per l’Africa [13].
Nel corso della II Assemblea Speciale per l’Africa non sarebbe fuori luogo se i Pastori del continente riesaminassero la necessità dell’esistenza del SECAM e il loro impegno nei suoi confronti.

Dati sociali

Nel trattare “alcuni punti critici della vita delle società africane” [14], l’Instrumentum laboris ha individuato e discusso molti di questi nuovi dati sociali. Vogliamo aggiungere poche note a piè di pagina che potrebbero essere importanti e lasciare all’assemblea sinodale il compito di completare il quadro.


d. Note Socio-storiche all’Instrumentum laboris: nel 1963, nel corso di un incontro dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU), i leader africani decisero di mantenere una delle vestigia dell’era coloniale, conservando i confini coloniali e la descrizione degli stati, indipendentemente dal loro carattere artificiale. Tuttavia tale decisione non è stata seguita da un corrispondente sviluppo del sentimento nazionalista, che avrebbe fatto sì che le differenze etniche si arricchissero vicendevolmente e che avrebbe privilegiato il bene comune della nazione rispetto al campanilismo degli interessi etnici. Per questo motivo la diversità etnica continua a rappresentare un focolaio di conflitti e tensioni, che minano perfino il senso di appartenenza comune alla Chiesa-Famiglia di Dio. La schiavitù e lo schiavismo, che il mondo arabo portò per primo sulla costa dell’Africa orientale e che gli europei , in collaborazione con gli stessi africani, nel XIV secolo incrementarono ed estesero a tutto il continente, hanno portato a un flusso migratorio forzato di africani. Oggi le migrazioni volontarie, dettate da vari motivi, dei figli e delle figlie dell’Africa verso l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente, li pongono in una condizione di occupazione servile che esige la nostra attenzione e la nostra cura pastorale.

e. Nota socio-politica all’Instrumentum laboris: strettamente legate agli sviluppi post-coloniali del continente sono state le celebrazioni di indipendenza e l’emergere di stati e nazioni africane con governi gestiti da soli africani. L’esercizio del potere politico e del governo è stato generalmente criticato e spesso viziato da dispotismi, dittature, politicizzazione della religione o dell’etnia, disprezzo per i diritti dei cittadini, mancanza di trasparenza e di libertà di stampa, ecc.
Ma il periodo successivo alla I Assemblea per l’Africa, vale a dire l’alba del Terzo Millennio, sembrava aver coinciso, nel continente, con un desiderio emergente degli stessi leader africani di un “Rinascimento africano” (Thabo Mbeki), “una nuova contemporanea auto-determinazione africana per la costruzione di una civiltà africana in sintonia con i dettami dei nostri tempi, vale a dire la crescita economica, la libertà politica e la solidarietà sociale” [15].
I leader politici africani sembrano determinati a cambiare il volto dell’amministrazione politica nel continente; e hanno condotto un’auto-valutazione critica che ha identificato nel malgoverno le cause della povertà e delle sofferenze dell’Africa. Hanno quindi tracciato un cammino del buon governo e della formazione della classe politica, in grado di cogliere la parte migliore delle tradizioni ancestrali africane e di integrarla con i principi di governo delle moderne società. Hanno adottato un quadro strategico (NEPAD) per orientare le azioni e guidare il rinnovamento dell’Africa attraverso delle leadership politiche trasparenti [16]. Può, la Chiesa in Africa, riconoscere l’impegno politico dei suoi figli e delle sue figlie e dare loro lo stimolo del messaggio evangelico, che li sfidi ad essere la “luce delle (loro) nazioni” e il “sale delle loro comunità”, offrendo una “leadership a servizio degli altri”?

f. Nota socio-economica all’Instrumentum laboris: il rapporto radicale tra governo ed economia è chiaro; dimostra che un cattivo governo produce una cattiva economia. Ciò spiega il paradosso della povertà di un continente che è senz’altro uno dei più ricchi del mondo di potenzialità. La conseguenza di questa “equazione governo-economia” è che quasi nessun paese africano può rispettare i propri obblighi di bilancio, vale a dire i programmi finanziari nazionali pianificati, senza ricorrere ad aiuti esterni in forma di obbligazioni o prestiti. Questo continuo finanziamento dei bilanci nazionali facendo ricorso a prestiti non fa altro che accrescere un già opprimente debito nazionale. La Chiesa universale con quella Africana hanno messo a punto una campagna per cancellarlo nell’anno del Grande Giubileo.

I rapporti economici tradizionali degli stati africani con i paesi ex-colonizzatori, per esempio il “Commonwealth”, sono stati sostituiti da altre potenti alleanze economiche tra gli stati africani individualmente o in blocco con gli Stati Uniti (Millennium Challenge Account), la Comunità Economica Europea (Lomé Culture, Yaoundé Agreement e il Cotonou Agreement) [17] e il Giappone (TICAD I-III). Recentemente la Cina e l’India, assetate di risorse naturali, si sono affacciate sulla scena manifestando interesse per ogni possibile aspetto delle economie nazionali africane. Al centro della maggior parte di questi protocolli e accordi c’è la discussione sul “commercio e sostegno”, vedendo che i paesi che si sono sviluppati, lo hanno fatto attraverso il commercio (non solo in “materie prime”), e non in conseguenza di una “sindrome di dipendenza dagli aiuti”. Rappresentano quindi un motivo di grande interesse per le giovani economie commerciali africane le decisioni e le condizioni imposte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e dal mondo sviluppato.
Come già detto sopra, i leader africani hanno recentemente dato vita a una struttura strategica (NEPAD) [18] che guidi gli accordi economici dell’Africa, il superamento della povertà e il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals). Come afferma il Dr. Uschi Eid, “Soltanto gli stimoli e gli sforzi che nascono dall’Africa porteranno al successo” [19]. In un certo senso l’uscita dell’Africa dalla sua agonia economica deve essere opera degli africani e guidata da loro stessi [20]. Per questo i cuori devono essere convertiti e gli occhi aperti per trovare nuovi modi di amministrare la ricchezza pubblica per il bene comune; e ciò spetta alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel continente e nelle isole.

g. Note sociali all’Instrumentum laboris: gli effetti delle suddette situazioni (storiche, politiche, economiche) determinano lo stato di salute della società africana (stabile, pacifica, prospera); costituiscono inoltre le sfide di fondo per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel continente e nelle isole.
Esistono inoltre fenomeni globali e iniziative internazionali, di cui occorre valutare l’impatto sulla società africana e su alcune delle sue strutture, che pongono nuove sfide anche alla Chiesa. Mentre l’importanza che viene data sempre di più al posto e al ruolo delle donne nella società è un felice progresso, l’emergere nel mondo di stili di vita, valori, atteggiamenti, associazioni, ecc., che destabilizzano la società, sono motivo di inquietudine. Essi minano le basi stesse della società (matrimonio e famiglia), ne riducono il capitale umano (migrazioni, spaccio di droga, traffico d’armi) e minacciano la vita del pianeta.
Il matrimonio e la famiglia sono sottoposti a pressioni diverse e terribili perché venga ridefinita la loro natura e funzione nella società moderna. I matrimoni tradizionali, che portavano alla creazione di famiglie, sono minacciati da una crescente proposta di unioni e rapporti alternativi, privati del concetto di impegno duraturo, di natura non eterosessuale e senza il fine della procreazione. In alcune parti del continente questi hanno già i loro paladini all’interno della Chiesa. Questo attacco al matrimonio e alla famiglia è portato avanti e sostenuto da gruppi che producono un glossario teso a sostituire i concetti e i termini tradizionali riguardanti il matrimonio e la famiglia con nuove espressioni. Lo scopo è quello di stabilire una nuova etica globale sul matrimonio, la famiglia, la sessualità umana e le istanze correlate dell’aborto, della contraccezione, di aspetti dell’ingegneria genetica, ecc.
Spaccio di droga e traffico di armi: alcune parti del continente sono diventate le vie della droga dall’America Latina all’Europa. Per quanto riguarda l’Africa occidentale, il traffico di droga viene indicato come causa principale dell’instabilità e del disordine politico in Guinea Bissau e ora anche in Guinea. Quando all’inizio di luglio l’esercito della Guinea ha dichiarato il massimo stato di allerta, lo ha fatto in seguito a minacce di invasione sostenute dai cartelli della droga.

La droga non passa semplicemente attraverso parti del continente e delle isole, ma ha trovato consumatori ovunque. L’uso di droghe e la tossicodipendenza tra i giovani sta rapidamente diventando la maggior causa di dispersione del capitale umano in Africa e nelle isole, seconda solo alla migrazione, ai conflitti e alle malattie, quali l’Aids/HIV e la malaria.
Strettamente connesso al traffico di droga e all’avventurismo politico è il traffico di armi: sia di piccolo calibro che pesanti. La Chiesa in Africa, riunita in Assemblea Speciale si unisce alla Santa Sede nel sostenere con soddisfazione le iniziative delle Nazioni Unite volte a fermare il traffico illegale di armi e a rendere il commercio legalizzato degli armamenti più trasparente. Essa sostiene in modo particolare lo studio che è in corso per la messa a punto di un trattato giuridicamente vincolante sull’importazione, l’esportazione e il passaggio di armi convenzionali attraverso l’Africa.
Ambiente e cambiamenti climatici: la nube discontinua di smog che copre la maggior parte dell’Africa orientale, accompagnata da una diminuzione delle precipitazioni, da siccità e carestia, è spesso considerata un effetto del Niño. Ma essa evidenzia quanto siano dure le condizioni climatiche del continente in generale e quanto negativamente il precario equilibrio ecologico di alcune parti dell’Africa possa essere influenzato dai “cambiamenti climatici” osservati nel pianeta. Per questo motivo i vertici delle Nazioni Uniti e mondiali sui cambiamenti climatici, l’emissione di gas serra, l’assottigliamento dello strato di ozono, come quello che si terrà a dicembre a Copenaghen, devono poter contare sull’orante sostegno dell’Africa, mentre si prepara a scoprire e a sviluppare sorgenti alternative di energia pulita (sole, vento, onde marine, biogas, ecc.).
Al termine di questo esame, che è certamente incompleto, è chiaro che, nonostante il continente e la Chiesa nel continente non siano ancora usciti dalle difficoltà, possono però almeno in parte rallegrarsi per i loro successi e i risultati positivi e iniziare a ricusare le generalizzazioni stereotipate sui conflitti, carestie, corruzioni e malgoverni. I quarantotto Paesi che costituiscono l’Africa sub-sahariana presentano grandi differenze nelle situazioni delle loro Chiese, dei loro governi e della loro vita socio-economica. Di queste quarantotto nazioni, solo quattro, la Somalia, il Sudan, il Niger e parti della Repubblica Democratica del Congo, sono attualmente in guerra, e almeno due di queste lo sono a causa di interferenze straniere: la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan. Va detto che vi sono meno guerre in Africa che in Asia.
I mercanti di guerra e i criminali di guerra vengono sempre di più denunciati, processati e perseguiti. Un ufficiale della Repubblica Democratica del Congo è stato processato: Charles Taylor della Liberia sta affrontando la corte internazionale.
La verità è che l’Africa è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità; è tempo di “cambiare marcia”e di dire la verità sull’Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo [21]. I paesi del G-8 e i paesi del mondo devono amare l’Africa nella verità! [22]. Generalmente considerata alla decima posizione nella graduatoria dell’economia mondiale, l’Africa rappresenta tuttavia il secondo mercato mondiale emergente dopo la Cina. Per questo motivo, come l’ha definita il summit del G-8 da poco concluso, è il continente delle opportunità. E ciò dovrebbe valere anche per le popolazioni del continente. Si spera che la ricerca della riconciliazione, la giustizia e la pace, che è eminentemente cristiana per il fatto di essere radicata nell’amore e nella misericordia, ristabilisca l’unità della Chiesa-Famiglia di Dio nel continente e che quest’ultima, in quanto sale della terra e luce del mondo, guarisca “il cuore ferito dell’uomo, in cui si annida la causa di tutto ciò che destabilizza il continente africano” [23]. In tal modo il continente e le sue isole comprenderanno le opportunità e i doni dati loro da Dio.

II. Dall’essere “Famiglia di Dio (evangelizzatori) all’essere servitori (ministri = diakonoi) della riconciliazione, della giustizia e della pace”
  Come precedentemente osservato, quando la I Assemblea speciale per l’Africa si riunì per riflettere sull’evangelizzazione nel continente e nelle isole alle soglie del terzo millennio della fede cristiana, adottò la Chiesa-Famiglia di Dio come il principio guida dell’evangelizzazione in Africa [24]. L’immagine della Chiesa-Famiglia di Dio evocava valori come sollecitudine verso gli altri, solidarietà, dialogo, fiducia, accoglienza e calore nei rapporti. Evocava tuttavia anche le realtà socioculturali di genitorialità, procreazione e filiazione, affinità e fraternità, come pure una rete di rapporti che derivavano da queste realtà sociali e in cui i membri si riconoscevano. I rapporti costituiscono la vita di comunione della famiglia, ma richiedono ai membri un impegno, il cui compimento rappresenta allo stesso tempo la loro giustizia e rende le relazioni armoniose e pacifiche. Tuttavia, quando tali esigenze del rapporto non vengono rispettate, la giustizia viene violata e la vita di comunione risulta offesa, danneggiata, menomata.
L’Instrumentum laboris ne tiene conto e mette in rilievo le numerose sfide alla comunione e all’ordine sociale che il disprezzo per le giuste esigenze di relazione pone al continente. In questi casi la riconciliazione rappresenta il ristabilimento della comunione e del giusto ordine; ed essa prende la forma di restaurazione della giustizia che sola ristabilisce pace ed armonia nella Chiesa-Famiglia di Dio e nella famiglia della società.
Quanto segue si propone di contribuire alla discussione del tema sinodale, fornendo brevi riferimenti biblici ai termini del tema allo scopo di radicare le istanze dei termini e la loro interazione nei rapporti umani (nella società umana) prima e, soprattutto, nel rapporto di Dio con l’uomo (umanità).

a. Servi (diakonoi) di Riconciliazione come Ripristino della Giustizia
Nelle Scritture. La riconciliazione è una iniziativa divina, un moto libero e gratuito di Dio nei confronti dell’umanità; e il suo scopo è quello di sanare e di ristabilire la comunione sancita dall’alleanza, che viene minacciata e infranta dal peccato.
L’insegnamento di San Paolo ai Corinzi sull’argomento è illuminante: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 17-20).
La Riconciliazione quindi è un atto divino di cui noi (umanità) facciamo esperienza e in questa esperienza diventiamo suoi strumenti e ambasciatori.

L’esperienza di Riconciliazione degli Apostoli

I Vangeli hanno presentato la vita e il ministero di Gesù come l’opera di salvezza del Padre per l’umanità. I discepoli di Gesù sono stati i primi a essere chiamati a sperimentare l’offerta di salvezza del Padre in Gesù e l’hanno fatto in vari modi, anche attraverso il perdono e la riconciliazione. Il saluto di “pace” di Gesù ai discepoli la mattina della Resurrezione (Gv 20, 19-21), per esempio, rappresentava il perdono del loro tradimento e del loro abbandono di Gesù, e allo stesso tempo il ristabilimento dell’amicizia.

Gesù non ha preteso un’ammissione di colpa da parte dei discepoli. Non c’è stata alcuna richiesta di perdono e non sono state porte scuse. C’era solo una luce benevola che brillava su tutte le loro mancanze. Sono stati offerti un perdono gratuito e un riconciliante augurio di pace.
La Riconciliazione qui è un gesto conciliatorio gratuito e immeritato in cui l’offeso (Gesù) va incontro ai colpevoli (i discepoli). Incaricati ora di predicare il Vangelo fino ai confini della terra, i discepoli-apostoli di Gesù hanno assolto la loro missione di “evangelizzatori che sono stati evangelizzati” e di “ambasciatori della riconciliazione che hanno fatto esperienza della riconciliazione”.

L’esperienza di Riconciliazione di Paolo

Più tardi Paolo prosegue l’opera dei discepoli-apostoli di Gesù come predicatore dello stesso dono di salvezza in Gesù. Tuttavia, avendo ricevuto l’incarico di annunciare Gesù nelle particolari circostanze del suo incontro con il Signore risorto sulla via di Damasco, anche Paolo comprende che l’offerta di salvezza in Gesù da parte del Padre è l’atto di riconciliazione del Padre [25]. Infatti, come egli stesso ammette: “Io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1 Tm 1, 13-14).
Per Paolo, quindi, l’esperienza della salvezza ha rappresentato anche un passaggio dall’ostilità e l’inimicizia verso Cristo e la sua Chiesa alla fede in Cristo e alla fratellanza con la sua Chiesa. Questo passaggio dall’inimicizia alla fratellanza costituisce la riconciliazione ed è un’esperienza immeritata che solo Dio può suscitare in una persona. In questo, Paolo ha considerato se stesso un esempio per coloro che avrebbero creduto in Cristo (cf. 1 Tm 1, 16).

Riconciliazione con Dio (verticale) e tra gli Esseri Umani (orizzontale)

In Gesù: nella sua vita e nel suo ministero ma in particolare nella sua morte e risurrezione, Paolo ha visto Dio Padre riconciliare il mondo (tutte le cose in cielo e sulla terra) a sé, cancellando i peccati dell’umanità (cf. 2 Cor 5, 19; Rm 5, 10, Col 1, 21-22). Paolo ha visto Dio Padre riconciliare giudei e gentili a sé in un solo corpo attraverso la croce (Ef 2, 16). Ma Paolo ha anche visto Dio riconciliare giudei e gentili creando, dei due, un solo uomo nuovo (Ef 2, 15; 3, 6). In tal modo l’esperienza della riconciliazione stabilisce la comunione su due livelli: comunione tra Dio e umanità e, poiché l’esperienza della riconciliazione rende noi (umanità riconciliata) anche “ambasciatori della riconciliazione”, essa ristabilisce pure la comunione tra gli uomini.

Riconciliazione tra Dio e Umanità

La creazione dell’umanità a immagine e somiglianza di Dio, la scelta di Israele come “parte e eredità di Dio”, la redenzione dell’umanità in Cristo e il sigillo dello Spirito Santo (cf. Ef 1, 13; 4, 30) conducono l’umanità alla comunione con Dio.
Quando l’umanità è alienata e lontana da Dio a causa del peccato (disobbedienza, idolatria, rifiuto di Gesù), la riconciliazione si concretizza nel perdono; e questa è l’opera di Dio [26].

È Dio che ha inaugurato la riconciliazione con Israele e l’umanità, peccatori e distanti, riconducendoli a sé (Sal 80, 3, 7, 19; Os 11; 14) “perché noi fossimo a lode della sua gloria” (Ef 1, 12) e secondo “Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 24); e Gesù “Colui che non aveva conosciuto peccato... Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2 Cor 5, 21; Gal 3, 13; Rm 8, 5) resta il nostro tramite per la riconciliazione. La quale, comunque, è opera dell’amore di Dio.

La Riconciliazione in seno alla Famiglia Umana

Ricordando brevemente la storia di Gesù e Zaccheo (Lc 19), si comprende che l’incontro tra Gesù e Zaccheo non ha portato soltanto a una conversione che ha stabilito la comunione tra Zaccheo e il Signore. Questo incontro ha portato anche a una conversione che ha ristabilito il rapporto di Zaccheo con la sua gente. In questa nuova relazione è cambiata anche la sua visione della sua gente: erano fratelli che non dovevano essere sfruttati o defraudati.
La Riconciliazione quindi non si limita a Dio che attira a sé un’umanità alienata e peccatrice in Cristo attraverso il perdono dei peccati e l’amore. Costituisce anche il ristabilimento delle relazioni tra le persone tramite la composizione delle differenze e l’abbattimento degli ostacoli nei rapporti attraverso l’esperienza dell’amore di Dio. Questa, infatti, è la caratteristica propria della riconciliazione nel ministero di Gesù Cristo. D’altro canto, le Scritture riportano diverse forme di riconciliazione attraverso accomodamenti [27], quali:
- il colpevole ammette l’errore e chiede perdono, riconoscendo così che l’offeso è nel giusto (virtuoso) [28];
- il colpevole nega l’errore e si dà avvio a una mediazione per stabilire chi è nel giusto;
- l’offeso perdona unilateralmente e fa cessare le ostilità, stabilendo la pace e la riconciliazione.
In tutti questi casi tuttavia la riconciliazione, come passaggio dall’inimicizia alla pace, dall’alienazione alla comunione, non è un sacrificio dei diritti e non si sostituisce alla giustizia. Piuttosto, il ripristino della giustizia è il suo frutto.
In sostanza la riconciliazione dell’umanità ancora alienata può assumere la forma di ebrei e gentili che si riuniscono come eredi del regno (Ef 2, 13-15). Può prendere la forma di membri di una comunità di culto che armonizzano le proprie differenze e sono in pace gli uni con gli altri (Mt 5, 23-26; 1 Cor 3, 3); può prendere anche la forma di membri di una comunità che si perdonano reciprocamente le offese (Mt 18, 15; Lc 17, 3-4) e che non nutrono rabbia e rancori (Ef 4, 26). Attraverso il perdono, i membri della famiglia umana costruiscono una comunità di riconciliati (Ef 2, 16-19), il cui perdono reciproco riflette quello del Padre nei cieli (Mt 6, 12, Lc 11, 4), il quale ha dato avvio alla nostra riconciliazione con il suo amore e la sua misericordia.

Una prospettiva per l’Instrumentum laboris

Esiste una spiritualità di riconciliazione nell’Instrumentum laboris che può ispirare la discussione e che deve diventare la disposizione del servitore della riconciliazione. Infatti in una Chiesa che è una famiglia in comunione, la riconciliazione non diventa uno status o un’azione, bensì un processo dinamico, un compito da intraprendere ogni giorno, un obiettivo da raggiungere, un tentativo continuo di ricomporre con l’amore e la misericordia, amicizie interrotte, legami fraterni, speranza e fiducia [29].

b. Servitori (diakonoi) della Giustizia (rettitudine)

Il frutto della riconciliazione tra Dio e gli uomini e all’interno della famiglia umana (tra uomo e uomo), come osservato precedentemente, è il ristabilimento della giustizia e delle giuste esigenze dei rapporti. È allo stesso tempo etico e religioso e scaturisce dall’amore e dalla misericordia.

False forme di giustizia

Il concetto di giustizia si è secolarizzato per significare:
- solamente la legge del più forte;
- un compromesso sociale per evitare mali peggiori; e
- la virtù dell’imparzialità nell’applicazione generale della legge, senza alcun riguardo per la giustizia naturale [30].
L’affermarsi dello “spirito del capitalismo” è andato ad aggiungersi all’alienazione del concetto di giustizia da ogni radice trascendentale [31]. L’etica dell’economia, per esempio, era razionalista e individualista. Suo scopo principale era il profitto e non teneva conto delle esigenze della solidarietà, dell’ “ordo amoris” e di tutti i vincoli religiosi ed etici. Di conseguenza, l’intera nozione di giustizia sociale è stata eliminata e la giustizia applicata a stesure di contratti negoziati conformemente alla legge della domanda e dell’offerta, senza restrizioni per le imprese individuali. Lo stato ha solo applicato l’ordine pubblico e il rispetto dei contratti rimanendo rigorosamente neutrale riguardo al loro contenuto [32].
Invece la giustizia della diakonia cristiana rappresenta il giusto ordine delle cose e il rispetto delle giuste esigenze dei rapporti. È la giustizia e la rettitudine di Dio e del suo regno (Mt 6, 33).
Tuttavia, nell’attuale situazione di peccato umano e di cuori feriti, l’Antico Testamento è saldo nella sua visione secondo cui la giustizia non può giungere all’uomo attraverso la sua forza, ma è un dono di Dio; il Nuovo Testamento sviluppa più pienamente questa visione, facendo della giustizia la suprema rivelazione della grazia salvifica di Dio.

Il Senso della “Rettitudine del Regno” [33]

La rettitudine, o la giustizia del regno, non è una giustizia retributiva, sebbene questo sia talvolta il senso della sua attribuzione a Dio (Ap 15, 4; 19, 2, 11; 16, 5-6; Eb 6, 10; 2 Ts 1, 6).
Non ha neanche il significato di “conformità a una norma o a un insieme di norme”. Almeno, non è questo il suo principale significato e in questo senso non può mai essere applicato a Dio. Presentata diversamente come tsedaqah e tsedek, la giustizia (rettitudine) è l’adempimento dell’esigenza di rapporto sia con Dio che con gli uomini [34]; e quando Dio o l’uomo corrispondono alle condizioni imposte su di lui (lei) dal rapporto, lui (lei) in termini biblici è “giusto” (tsadiq/dikaios).
Fondamentalmente, tre eventi spiegano tutte le relazioni che esistono tra Dio e gli uomini e tra uomo e uomo; essi sono:
- la creazione dell’umanità “a sua immagine e somiglianza” (Gn 1, 26-27) che fa degli esseri umani creature di Dio. Lo stesso atto della creazione tuttavia postula per l’umanità un’origine e una paternità comuni che lega profondamente tutti i membri della famiglia umana l’uno all’altro, come fratelli e sorelle [35];
- l’alleanza-elezione di Dio nei confronti di Israele che fa di Israele “il primogenito di Dio”, “la sua eredità”, “la sua porzione”. Essa rende inoltre anche i figli di Israele “fratelli” (Dt 15, 11-12);
- la nuova alleanza nel sangue di Cristo, per cui tutti i seguaci di Cristo portano il “sigillo dello Spirito Santo” (Ef 1, 13-14) che li rende “templi dello Spirito Santo” e “dimora di Dio”.

Queste sono le basi dei rapporti tra Dio e gli uomini nei diversi momenti della storia. E sono iniziative di Dio e atti del suo amore. In tal senso, la rettitudine è una giustizia radicale ed esauriente di natura religiosa che esige che gli uomini si abbandonino a Dio nell’obbedienza e nella fede e che rende ogni peccato una “injuria”, un’ingiustizia e un’empietà. Esige anche che l’uomo risponda alle giuste esigenze del rapporto che intrattiene a motivo della creazione e della fratellanza universale degli uomini e in virtù della salvezza e della chiamata comune alla santità e alla filiazione in Cristo.

Rettitudine (giustizia) basata sulla creazione

La questione riguardo a dare a Cesare quel che è di Cesare (Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26) ha dato a Gesù l’opportunità di definire il rapporto fondamentale fra Dio e l’uomo come giustizia (rettitudine).
Secondo la risposta di Gesù il denaro apparteneva a Cesare poiché recava il marchio di proprietà ossia la sua effige e la sua iscrizione. Nella giustizia, il possesso della moneta da parte di Cesare doveva essere riconosciuto e sostenuto; per cui “date a Cesare quel che è di Cesare”.
La seconda parte della risposta di Gesù affronta la questione fondamentale, se Dio riceve ciò che gli è dovuto da coloro che recano la sua “immagine e somiglianza” ossia gli esseri umani (Gn 1, 26-27). L’appartenenza dell’umanità a Dio in virtù della sua creazione a “immagine e somiglianza di Dio” è la base della vita di comunione tra Dio e gli uomini; e assume la forma della giustizia: l’umanità che dà a Dio ciò che gli è dovuto. Nelle Scritture l’umanità dà a Dio ciò che gli è dovuto quando l’uomo “obbedisce alla voce di Dio”, “crede in Lui”, Lo “teme” e “Lo adora”; quando ciò non avviene l’umanità deve mostrare che si “converte” (At 17, 30).
Analogamente la paternità comune degli uomini (At 17, 28-29) impone a ciò un “ordo amoris” di solidarietà e di fratellanza universale che è sostenuto dalla giustizia nei rapporti.

Rettitudine (giustizia) basata sulle alleanze di Dio

Le diverse alleanze nell’Antico Testamento hanno istituito diversi rapporti fra Dio e:
- gli individui: Abramo (Gn 17, 4), Isacco (Gn 17, 19, 21), Giacobbe (Es 6, 4), Davide (2Cr 21, 7);
- le tribù e le famiglie: Abramo (Gn 17, 11), Davide (2 Sam 7) e
- il popolo d’Israele (Dt 4, 12-13, quindi Es 19-20;24, 8; Lev 24, 8; Is 24, 5).
Alcune delle alleanze dell’Antico Testamento esprimono anche i rapporti fra gli esseri umani: Isacco e Abimelek (Gn 26, 28-29), Giacobbe e Làbano (Gn 31, 44), Davide e Giònata (1 Sam 20, 16).

Le alleanze hanno stabilito rapporti speciali che hanno posto agli interessati delle esigenze [36]; e la giustizia (rettitudine) era l’osservanza delle esigenze dei rapporti che assicuravano la fratellanza e la comunione, verticalmente fra Dio e gli uomini e, orizzontalmente, fra le persone. Nella Bibbia, i termini opposti sono “malvagio” (malfattore) e “malvagità” (rasha’); e denotano il male commesso contro la persona con cui si è in rapporto. Pertanto i “malvagi” distruggono la comunità (comunione) non adempiendo alle esigenze del rapporto comunitario [37]. Le alleanze tra Dio e gli individui e il popolo di Israele erano iniziative di Dio che coinvolgevano gli individui, le famiglie e il popolo di Israele in un rapporto speciale e richiedevano che essi vivessero le esigenze del rapporto nei confronti di Dio e tra di loro. L’esigenza/le esigenze del rapporto era/erano, da un lato, la sottomissione nella fede e nella fiducia all’offerta di Dio espressa talvolta attraverso la celebrazione di un semplice rito di circoncisione (Gn 17,10-11) ma spesso attraverso l’osservanza delle leggi (torah) di Dio (Es 19, 5; Dt 7, 9, ecc.). D’altra parte, gli israeliti dovevano adempiere a certe esigenze tra loro (giustizia sociale) in virtù del loro rapporto di alleanza con Dio.
Con i suoi numerosi peccati e violazioni delle esigenze del suo rapporto di alleanza con Dio Israele ha agito in modo ingiusto (injuria) e si è collocato al di fuori del rapporto. Non poteva più avere nessuna pretesa nei confronti di Dio quale partner dell’alleanza. Se Dio ha continuato a trattarlo come partner dell’alleanza è stato perché ha ignorato la sua violazione “facendolo ritornare” (Sal 80, 3, 7, 19).
Israele, da parte sua, non poteva fare altro che confessare i propri peccati e permettere a Dio di riportarlo indietro. Era questo il tema principale di Osea e dei profeti post-esilio. La rettitudine di Dio consisteva quindi nel suo giustificare Israele: riportare Israele nel rapporto di alleanza nonostante le sue mancanze. Da parte sua, la rettitudine di Israele consisteva nel confessare i propri peccati riconoscendo le sue mancanze e accettando nella fede la generosa offerta di Dio della salvezza.

Rettitudine (giustizia) basata sulla Nuova Alleanza in Cristo

È su questa linea che Giovanni Battista ha inaugurato il suo ministero; e il suo ministero ha adempiuto a ogni giustizia nel senso che il pentimento e la confessione dei peccati che esso richiedeva erano l’ammissione di Israele (dell’umanità) di non riuscire a essere fedele alle esigenze dell’Alleanza, la sua esperienza immeritata di ricevere comunque il perdono giustificatore e il favore di Dio e il riconoscimento che Dio agisce solo per amore e misericordia. Quando dunque Gesù si è fatto battezzare da Giovanni si è unito all’umanità per professare tutto quanto detto sopra come giustizia di Dio. È per questo che si dice che Gesù ha adempiuto a ogni giustizia!
In Gesù e nel suo ministero si vedono due cose:
- la rivelazione della giustizia come grazia giustificatrice di Dio che ignora le giuste esigenze del rapporto dell’Alleanza e reintegra l’umanità per misericordia [38] e amore in un rapporto di Alleanza. Poiché “Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio” (Ef 2, 8).
- Il dono dello Spirito di Gesù alla Chiesa e ai suoi membri che consente loro di rispondere alla giustizia (rettitudine) di Dio nella fede e di diventare la “giustizia di Dio in Cristo” (2 Cor 5, 21), “giustificandosi” a loro volta l’un l’altro per misericordia e amore [39]: ignorando i loro peccati e la violazione dei diritti, i rapporti socio-politici, ecc. e ripristinando in tal modo la comunione della famiglia di Dio e della famiglia della società.
Questo senso di giustizia e di rettitudine suggerisce che l’invito dell’Instrumentum Laboris a essere servitori della giustizia è anzitutto e soprattutto un invito a un’esperienza spirituale: l’esperienza della giustificazione (grazia giustificatrice) di Dio nella fede e a testimoniarla nella Chiesa e nella società giustificando gli altri. In quale altro modo i dolori e le molteplici lacerazioni che la gente sperimenta nel continente possono essere guariti e può essere ripristinata la comunione?

c. Servitori/Ministri (diakonoi) della pace: il Catechismo della Chiesa Cattolica ripete l’insegnamento di Sant’Agostino secondo cui “la pace è la tranquillità dell’ordine” [40]. E prosegue spiegando come “il rispetto e lo sviluppo della vita umana rchiedono la pace” e come sono “frutto della giustizia ed effetto della carità” [41].

La Pace come opera di Giustizia

Giustizia (rettitudine), come abbiamo visto sopra, è un concetto di rapporto, e il giusto è colui/colei che adempie alle esigenze postegli dal rapporto che intrattiene.
Nel caso della corrotta Israele e dell’umanità caduta (Rm 5, 6 ss), che Dio ha giustificato in Cristo imputando loro la rettitudine, la loro giustizia (rettitudine) consisteva nel riconoscimento del loro bisogno della grazia giustificatrice di Dio e la loro sottomissione ad essa nella fede; e questo sembra precisamente essere l’atteggiamento che predispone l’umanità alla pace di Dio nel Vangelo. Infatti, quando alla nascita di Gesù, l’angelo annuncia la venuta della Pace di Dio in terra,essa era destinata solo a coloro “che Egli ama” (Lc 2, 14).
“La Pace” è destinata, in terra “agli uomini che Egli ama” (Lc 2, 14) e il significato della frase “agli uomini che Egli ama” è, secondo alcuni autori, “chiunque riceverà la grazia di Dio e risponderà con fede” [42]. Questo significato della frase, come ricordiamo, coincide con il senso del “giusto” e “retto” di cui si è detto, e sembrerebbe quindi che i “giusti” (retti), in quanto disposti ad accettare nella fede ciò che Dio opera, sono anche coloro sui quali, in terra, riposa la “pace” di Dio. Inoltre, sembrerebbe che quanti sperimentano la pace di Dio siano proprio coloro che sono disposti a realizzare la pace sulla terra, adempiendo alle esigenze poste dai rapporti che vivono.
È qui evidenziata la stretta relazione tra pace e giustizia (rettitudine), che Isaia vede (Is 32, 17), che il Salmista canta (Sal 85, 10) e che Paolo vede in ogni cristiano che è a posto (giustificato) dinanzi a Dio in Cristo. “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo...” (Rm 5, 1). Dunque la pace viene dal cielo. È un dono di Dio ed è strettamente collegato con la sua giustizia/rettitudine. Anche in terra viene rivelata come dono di Dio dall’alto e viene donata ai giusti/retti (“gli uomini che egli ama”).

La pace come effetto della Carità (l’amore di Dio in Cristo)

Poiché la “pace” è stata così strettamente collegata con l’alleanza e con il vivere le sue esigenze, quando il popolo di Dio non ha rispettato l’alleanza, anche la “pace” è stata allontanata. È stato di nuovo necessario l’intervento di Dio scaturito dalla sua amorevole misericordia per portare la “pace” al suo popolo; ed è in questo senso che gli scritti post-esilio di Israele cominciano a vedere la “pace” come generata dalla punizione del servo di Dio “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui” (Is 53, 5).
Gesù Cristo nella sua missione e ministero, ha realizzato la visione degli ultimi profeti d’Israele. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3, 16); e dopo essere stato “messo a morte per i nostri peccati” (Rm 4, 25), il Figlio di Dio è diventato la nostra “pace”. Dunque se la “pace” viene da Dio (Gal 1, 3; Ef 1, 2; Ap 1, 4) ed è di Dio (Fil 4, 7; Col 3, 15; Rm 15, 33) è Cristo che è quella “pace” (Ef 2, 14). È Lui che la proclama e la stabilisce (Ef 2, 17) ed è Lui la presenza di Dio che porta la pace che il mondo non può dare.

Il significato della Pace di Cristo


La “pace” non ha solamente un significato laico, di assenza di conflitto (Gn 34, 21, Gs 9, 15; 10, 1,4; Lc14, 32), presenza di armonia nella casa e nella famiglia (Is 38, 17, Sal 37, 11, 1 Cor 7, 15, Mt 10, 34; Lc 12, 51), sicurezza e prosperità individuale e comunitaria (nazionale) (Gdc 18, 6; 2 Re 20, 19; Is 32, 18). La “pace” non è solo quando gli esseri umani e le società adempiono ai rispettivi doveri e riconoscono i diritti di altre persone e società” [43] e non è neanche uno dei risultati dell’impegno per la giustizia [44]. La “pace” trascende fondamentalmente il mondo e gli sforzi umani [45]. È un dono di Dio (Is 45, 7; Nm 6, 26) donato ai “retti/giusti”.
Normalmente espresso con “shalom” (Antico Testamento) e “eirn” (LXX e Nuovo Testamento), ogni genere di “pace” è una totalità determinata da Dio e donata “agli uomini che egli ama”, cioè i giusti e i retti.  Dunque, quando Gesù ha perdonato il peccatore (Lc 7, 50) e guarito l’ammalata (Mc 5, 34), li ha mandati via “in pace”: “andate in pace”. “Andate in pace” non era soltanto una benedizione di congedo, ma l’offerta di shalom. Ai perdonati e ai guariti non veniva solo restituita l’integrità del corpo, venivano anche rimessi in pace con Dio per mezzo della loro fede e completamente risanati davanti a Dio e alla comunità [46].
Quest’ultimo è anche il significato del saluto di “pace” di Gesù ai suoi discepoli la mattina della resurrezione (Gv 20, 19-21). Era il perdono del loro tradimento di Gesù e anche il ripristinare l’amicizia. Gesù non aveva bisogno di un’ammissione di colpa da parte dei suoi discepoli. Non c’è stata nessuna richiesta di perdono e nessuna scusa è stata presentata. Semplicemente sono state benevolmente ignorate tutte le mancanze. Invece, è stato concesso un perdono gratuito e un segno conciliatorio di “pace”.
La “pace” di Gesù è la nostra pace per la quale egli si è assunto i nostri castighi (Is 53, 5). È perciò un ripristino gratuito e immeritato dell’interezza e della comunione con Dio e con gli uomini e viene ricevuto da tutti coloro che lo accolgono come grazia di Dio e rispondono con fede, cioè da “coloro che egli ama” (i giusti/retti).
Paolo esorta le sue comunità cristiane a perseguire la pace (Rm 14, 19; Ef 4, 3; Eb 12, 14) come giuste portatrici in terra della pace di Cristo e ad essere in pace gli uni con gli altri (Rm 12, 18; 2 Cor 13, 11), proprio come ora l’Instrumentum laboris auspica che faccia la Chiesa in Africa. Ma è anche in qualità di giusti portatori in terra della pace di Cristo che dobbiamo ricordare, come abbiamo già fatto per la “giustizia”, che la “pace” è un atto che va oltre la giustizia in senso stretto ed esige amore [47]. Essa deriva dalla comunione con Dio ed è tesa al benessere dell’uomo (umanità). Perciò, nell’invitare la Chiesa in Africa e sulle isole a essere “ministri (servitori) della riconciliazione, della giustizia e della pace”, dopo l’invito del Primo Sinodo alla Chiesa a vivere nella comunione della Chiesa-Famiglia di Dio, il Secondo Sinodo invita la Chiesa a sperimentare quelle virtù che fondano la nostra comunione con Dio e a testimoniare/vivere le stesse - ovvero la riconciliazione, la giustizia e la pace attraverso l’amore e la misericordia - nel continente. Le implicazioni di questo ministero sono ciò che il (tema del) Sinodo ora spiega con i simboli del sale e della luce: sale della terra e luce del mondo.

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