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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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10/10/2009 06:33

“Tossici rifiuti spirituali” esportati verso l'Africa

Ideologia di genere e relativismo



di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Il continente africano è sempre più vulnerabile ai “tossici rifiuti spirituali”che importa soprattutto dal primo mondo, come ha affermato Papa Benedetto XVI durante l'omelia di inaugurazione del Sinodo per l'Africa domenica scorsa.

Ciò avviene anche se il cattolicesimo è ben rappresentato nei Parlamenti dei Paesi africani (il 22% dei parlamentari è cattolico).Su questi temi sono intervenuti in modo particolare questo giovedì mattina nell'Aula del Sinodo il Cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e monsignor Philippe Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso).Il Papa non è stato presente durante la sessione del mattino perché doveva ricevere Mahmoud Abbas, presidente dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e dell'Autorità Nazionale Palestinese.

Ideologia di “genere”

Il Cardinale Antonelli ha espresso la sua preoccupazione constatando che in Africa l'“ideologia di genere” inizia a infiltrarsi in modo “molto camuffato” nelle associazioni, “negli ambienti governativi e anche in alcuni ambienti ecclesiali”.

Le differenze tra uomo e donna non corrispondono – affermano i sostenitori dell'ideologia di genere – a una natura “data”, ma sarebbero mere costruzioni culturali in base ai ruoli e agli stereotipi assegnati ai sessi in ogni società.

Il porporato ha spiegato che quanti applicano queste ideologie partono da problemi reali ai quali bisogna rimediare, “come le ingiustizie, le violenze subite dalle donne, la mortalità infantile, la malnutrizione, la fame, i problemi di alloggio e lavoro”.

Le soluzioni che offrono, ha aggiunto, risultano però “ambigue nei loro nuovi significati antropologici”.A tale proposito, ha citato l'esempio del diritto all'uguaglianza tra uomini e donne, che non è sempre visto come la dignità che ha ciascuno di loro, ma come l'irrilevanza che viene attribuita alla differenza tra i due sessi cercando un'uniformità di tutti gli individui “come se fossero sessualmente indifferenziati”, provocando un'“equivalenza di tutti gli orientamenti e i comportamenti sessuali”.

Si tratta di una visione errata della libertà che vuole che “ogni individuo abbia il diritto di compiere liberamente (ed eventualmente di maturare) le proprie scelte secondo i suoi desideri e le sue preferenze”.

La libertà della donna, ha segnalato il Cardinale, non significa solo emancipazione o competenza, rivalità o antagonismo, ma vivere la complementarietà con l'uomo.

Questa ideologia si diffonde in programmi di salute sessuale e riproduttiva che cercano la collaborazione del Governo e delle associazioni locali, anche ecclesiali, “che generalmente non si rendono conto delle loro implicazioni antropologiche, eticamente inaccettabili”.

Il porporato ha concluso il suo intervento esortando “alla vigilanza” le istituzioni che assistono i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi, le organizzazioni della Caritas e altri operatori pastorali laici.

Tirannia del relativismo

Monsignor Philippe Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso), ha affermato che un altro dei “tossici rifiuti” che arrivano in Africa è l'imposizione del “pensiero unico”, retto soltanto dalla legge del libertinaggio e del relativismo morale.“Il rumore mediatico suscitato dai mezzi di comunicazione nel viaggio del Santo Padre in Camerun e Angola a marzo rappresenta un esempio evidente”, ha aggiunto il presule.

“Programmi rivolti a persone di lingua francese, sia europee che africane, fanno credere che le religiose e i religiosi africani, studenti o missionari a Roma o in altri luoghi d'Europa, vivano di mendicità e prostituzione, abbandonati dal Vaticano e dalle congregazioni religiose”.

Il presule ha concluso il suo intervento affermando che “gli africani non possono usare la violenza per combattere l'imperialismo e la tirannia del pensiero unico”.

“Ad ogni modo, chiediamo loro un po' di moderazione e prudenza, di rispetto e tolleranza, e soprattutto di onestà intellettuale dietro l'espressione delle loro idee”, ha chiesto. 
Durante il Sinodo, una religiosa del Ruanda testimonia la riconciliazione

La suora ha perso la sua famiglia nel genocidio ruandese


di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La testimonianza di suor Geneviève Uwamariya, della comunità di Santa Maria di Namur in Ruanda, ha fatto rabbrividire questa mattina i presenti nell'Aula del Sinodo.

Suor Geneviève ha perso il padre e vari familiari durante il genocidio avvenuto nel Paese nel 1994, uno degli episodi più sanguinosi del XX secolo, in cui da aprile a luglio è stato massacrato sistematicamente un numero di persone che oscilla tra 800.000 e 1.701.000.

La religiosa ha voluto condividere un'esperienza personale avvenuta tre anni dopo questa tragedia che, secondo lei, ha cambiato la sua vita e mostra come si deve vivere la riconciliazione in un continente ferito da violenza, crude violazioni dei diritti umani e innumerevoli problemi sociali.La suora ha ricordato che il 27 agosto 1997, attraverso un gruppo della Divina Misericordia, ha incontrato a Kybuye, il suo villaggio di origine, un gruppo di prigionieri, vari dei quali autori materiali del genocidio.

L'obiettivo dell'incontro era prepararli al Giubileo del 2000. Durante l'incontro, la suora disse: "Se sei stato vittima offri il perdono e perdona chi ti ha ferito", dicendo che solo così la vittima si sarebbe liberata dal carico di rancore e il criminale dal peso di aver commesso il male."Subito un prigioniero si alzò chiedendo misericordia", ha raccontato la religiosa. "Sono rimasta pietrificata riconoscendo l'amico di famiglia che era cresciuto con noi".

"Mi ha confessato di aver ucciso mio padre. Mi ha descritto i dettagli della morte dei miei cari", ha aggiunto. La suora lo ha abbracciato e gli ha detto: "Sei e continuerai ad essere mio fratello".

Suor Geneviève ha confessato di aver sentito che le era stato "tolto un peso". "Ho ritrovato la pace interiore e ho ringraziato la persona che avevo tra le braccia".

Con sua grande sorpresa, ha sentito quell'uomo gridare: "La giustizia può fare il suo corso e mi potrà condannare a morte, ma ora sono libero!"."Anch'io volevo gridare a chi mi voleva ascoltare; 'Anche tu puoi ritrovare la pace interiore!'", ha rivelato.

Da quel momento, suor Geneviève Uwamariya si incarica di portare la posta dalle carceri per chiedere perdono ai sopravvissuti. In questo modo sono state distribuite 500 lettere, e con alcune risposte che hanno ricevuto molti prigionieri hanno recuperato l'amicizia con le vittime e hanno sperimentato il vero perdono.Ciò ha fatto sì che le vittime si riuniscano. "Sono azioni che sono servite affinché molti vivessero la riconciliazione", ha testimoniato. Suor Geneviève ha affermato che il suo popolo è pieno di vedove e orfani e che dal 1994 è stato ricostruito dai prigionieri. Nelle parrocchie del Ruanda sono nate molte associazioni di ex carcerati e sopravvissuti, e funzionano bene.

"Da questa esperienza deduco che la riconciliazione non è solo voler riunire due persone o gruppi in conflitto", ha spiegato. "Si tratta di 'insediare' in ciascuno l'amore e di lasciare che avvenga la guarigione interiore, che permette la liberazione".

"Per questo - ha concluso - la Chiesa è importante nei nostri Paesi, perché può offrire una parola che cura, libera e riconcilia".


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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