Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:35
Messaggio al Sinodo per l'Africa, dei delegati capitolari Comboniani


"A noi Missionari Comboniani, nati in Africa e per l’Africa, sta a cuore più di ogni altra cosa il futuro di questo continente e soprattutto della sua Chiesa, che - sorta dall’opera di tanti missionari provenienti da nazioni e congregazioni diverse - è chiamata da Dio ad essere sale e luce per tutta la società”. E’ quanto scrivono i partecipanti al Capitolo generale dei Missionari Comboniani, in corso a Roma, in un loro Messaggio ai partecipanti alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi. “Con gioia abbiamo visto crescere la Chiesa africana – prosegue il testo ripreso dall'agenzia Fides - solidamente fondata sulla Parola incarnata in tanti martiri e testimoni, antenati nella fede, che hanno dato la vita per Cristo e a servizio delle comunità locali. Proprio per questo nostro amore per l’Africa, per le sue popolazioni e per la sua Chiesa, auspichiamo che il vostro riunirvi in assemblea sinodale rappresenti un momento di grazia e di comunione per un profondo esame della vitalità della Chiesa stessa e del suo essere per tutti luce e ispirazione”. I Comboniani inviano il loro saluto ai vescovi, quindi sottolineano come il tema scelto sia “di capitale importanza per il futuro del continente la cui popolazione soffre immensamente a causa di complessi conflitti che si prolungano nel tempo rimanendo irrisolti”. Rilevano le situazioni di ingiustizia “per la cui soluzione è indispensabile una sincera conversione del cuore e delle culture stesse, affinchè nel riconoscimento reciproco e nel rispetto della diversità intesa come ricchezza si rendano protagoniste attive nella costruzione di una società giusta, rispettosa delle differenze, tollerante ed impegnata nella ricerca del bene comune”. A conclusione del messaggio, i delegati al Capitolo generale assicurano la loro preghiera affinché “questa sia l’occasione voluta da Dio per un profondo rinnovamento interno alla Chiesa stessa, da rafforzarla nel suo grande ruolo morale e ispiratore di una nuova cultura di fratellanza universale”, ed invocano lo Spirito Santo per intercessione di san Daniele Comboni, Patrono dell'Africa. (R.P.)

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:37
GROCHOLEWSKI


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S.Em.R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)



I centri cattolici di educazione hanno svolto un ruolo importantissimo nell'opera di evangelizzazione e hanno contribuito molto allo sviluppo sociale e culturale del continente. Proprio al livello dell'insegnamento ed educazione la Chiesa in Africa ha da affrontare la più grande sfida.

a.) L'educazione più importante è quella dei seminaristi. Riguardo ai seminari, la Congregazione per l'Educazione Cattolica (CEC) è competente nei territori delle missioni soltanto “per quanto concerne il piano generale degli studi” e non in quello che si riferisce alla “formazione”. Circa l'insegnamento nei seminari è da sottolineare che già 70 istituti sono stati affiliati a una facoltà ecclesiastica, e principalmente alla Pont. Università Urbaniana (questo è un sesto di tutti i seminari affiliati nel mondo), che è obbligata a svolgere un regolare controllo dell'insegnamento. In questa materia c'è da preoccuparsi comunque del mancato talvolta collegamento organico fra l'insegnamento filosofico, che si svolge spesso in un luogo diverso o si appoggia su un istituto non adeguato, e l'insegnamento di teologia.

Comunque i problemi più gravi concernenti la formazione del clero in Africa (adeguato discernimento, formazione spirituale ed affettiva, ecc.) esulano dalla competenza della CEC, anche se l'insegnamento e la formazione sacerdotale sono elementi strettamente legati tra di loro. Nella prospettiva della formazione si deve soprattutto esigere che in ogni nazione sia elaborata una appropriata "Ratio institutionis sacerdotalis" (richiesta espressamente dal Concilio: OT, 1) e approvata dall'Autorità competente della Santa Sede che dovrebbe redigere un adeguato regolamento generale come richiesto dalla prima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dell'anno 1967. Ci vogliono, inoltre, le visite apostoliche regolari e qualificate nonché una preoccupazione costante per la formazione dei formatori, e in modo particolare una solida formazione spirituale di quei sacerdoti che studiano a Roma, in quanto principalmente loro saranno insegnanti e formatori nei seminari.

b.) Riguardo alle scuole cattoliche, la loro presenza in Africa è significativa: quasi 12.500 scuole materne con oltre 1.260.000 alunni; oltre 33.250 scuole primarie con circa 14.000.000 di alunni; e quasi 10.000 scuole secondarie con circa 4.000.000 allievi. Tale vasta realtà offre alla Chiesa un prezioso strumento di evangelizzazione, di dialogo e di servizio alle popolazioni del continente. È importante che queste scuole conservino e rafforzino la loro chiara identità cattolica. Ciò esige che la formazione degli insegnanti non sia solo professionale ma anche spirituale, perché considerino il loro lavoro come un apostolato da svolgere.

c.) Per quanto concerne gli istituti di studi superiori, il loro numero negli ultimi decenni si è moltiplicato. Oggi vi sono 23 Università Cattoliche, 5 Facoltà Teologiche e 3 Facoltà Filosofiche. Tutte queste istituzioni costituiscono un luogo privilegiato per evangelizzare le culture e formare uomini retti, operatori di pace, di riconciliazione, testimoni della fede. Vorrei proporre al riguardo alcuni accorgimenti utili:

- Piace sottolineare lo sforzo dato dalle facoltà ecclesiastiche al problema dell'inculturazione: questa esige una acuta saggezza evangelica ed è da affrontare seriamente alla luce dell'insegnamento della Chiesa.

- In tutte le università cattoliche, deve essere presente il pensiero teologico almeno con le cattedre dell'insegnamento teologico per i laici, della dottrina sociale della Chiesa, ecc.

- Ai tempi odierni si deve attribuire una particolare importanza a founare cattolici altamente qualificati per i mass media che “sono il nuovo areopago del nostro secolo”.

- Occorre anche intensificare la pastorale nelle università statali.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:39
Intervento del Card. Emmanuel WAMALA, Arcivescovo emerito di Kampala, Uganda

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. Em. R. Card. Emmanuel WAMALA, Arcivescovo emerito di Kampala (UGANDA)



Mi rallegro con tutte quelle Chiese particolari che stanno “innalzando un inno di ringraziamento per la liberazione dai regimi dittatoriali”.

Quel che non riusciamo a comprendere è che una nuova stirpe di dittatori sta sostituendo quella precedente. Preferiremo chiamarli “blandi dittatori”, ma sempre di dittatori si tratta.

“La cultura dei principi democratici”, menzionata nei testi, non è quella che cercano di coltivare. Infatti non credono in alcun solido principio democratico. Credono in un unico principio e questo è quello dell’ingegneria politica. Nella maggior parte dei paesi dell’Africa, la politica esistente è una politica senza Dio. È questo stile di leadership che dà origine ai conflitti. Lo scenario politico generale nel continente africano e in Madagascar è chiaramente descritto nelle seguenti parole, n. 23: “Essi ( i nostri leader) incitano alla divisione per poter regnare (e talvolta far regnare i propri figli). In alcuni luoghi, il partito al potere tende a identificarsi con lo Stato”. Gli esempi di situazioni di questo tipo abbondano in molti paesi dell’Africa: questa è la tendenza.

Il ministero di riconciliazione che ci è stato affidato, come leggiamo in Cor 5, 18, è un compito estremamente impegnativo. Dobbiamo andare alle cause radicali dei conflitti e perfino delle guerre. Una leadership senza sani principi è, secondo me, una delle principali.

Come possiamo affrontare questo problema? Non vedo altra via d’uscita se non l’istruzione. Dovremmo influenzare le famiglie e la scuola affinché comprendano quei principi democratici fondamentali che troviamo nella dottrina sociale della Chiesa.

Le strutture esistenti nella Chiesa, a cominciare dalla famiglia, dalle piccole comunità cristiane, dalle scuole e altri organismi, sono alcuni dei fori in cui, con prudenza, può iniziare la formazione di leader con sani principi. Ed è da queste che può prendere l’avvio la riconciliazione tra gruppi di individui e tribù.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:40

Intervento di Mons. Vincent LANDEL, Arcivescovo di Rabat, MAROCCO


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat, Presidente della Conferenza Episcopale Conférence Episcopale Régionale du Nord de l'Afrique (C.E.R.N.A.) (MAROCCO)



Studenti dell’Africa subsahariana nel Maghreb: più di 30.000.

Ingiustizia

- Essi scoprono un mondo in cui l’Islam è sociale e dove praticamente non esiste libertà religiosa per un magrebino.

- Essi scoprono l’ingiustizia vedendo assegnare le borse di studio ai potenti e alle famiglie privilegiate.

- Per alcuni di loro, la Chiesa è l’ispirazione ed essi sono la vita delle nostre comunità cristiane.

Come potrà la Chiesa aiutare questi giovani a ritrovarsi per riflettere sul proprio futuro senza scoraggiarsi?

Pace

- Questi studenti scoprono il messaggio sociale della Chiesa e tutta la sua testimonianza di pace.

- La Chiesa non deve forse compiere un’opera di evangelizzazione a partire dal compendio?

Riconciliazione

- Questi studenti e stagisti scoprono il mondo dell’Islam con il quale devono riconciliarsi ma, allo stesso tempo, si aprono su altri mondi, altre culture, altre religioni. Ciò permetterà la riconciliazione.

- Possa la Chiesa del Maghreb aiutarli ad aprirsi al mondo.

- Possa la Chiesa in Africa aiutarli a diventare cristiani responsabili.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:41
Intervento di Mons. Jean-Noël DIOUF, Vescovo di Tambacounda, SENEGAL

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Jean-Noël DIOUF, Vescovo di Tambacounda, Presidente della Conferenza Episcopale (SENEGAL)



1. La descrizione di una liturgia di penitenza nei paesi Ndut (Senegal) in passato

Se veniva concesso il perdono, la riconciliazione era celebrata nella gioia. In caso contrario, si infliggeva talvolta la condanna a morte con l’uccisione di un rappresentante della parte avversa.

2. Le riflessioni dei membri della Conferenza Episcopale del Senegal, della Mauritania, di Capo Verde, della Guinea Bissau in cinque punti:

Primo punto: riconciliazione, giustizia e pace esigono umiltà, amore e conversione. In altre parole, “un cuore nuovo e uno spirito nuovo”.

Secondo punto: cristiani a messa e pagani nella vita. Occorre tornare a essere “discepoli” di Cristo.

Terzo punto: il turbine della globalizzazione. Occorre resistere costruendo ripari saldi, quali comunità cristiane evangelizzate ed evangelizzanti.

Quarto punto: essere “sale e luce” per preservare l’Africa dalla disgregazione e dallo scoraggiamento: custodire il Vangelo e i valori africani.

Quinto punto: un congresso eucaristico per approfondire i risultati del Sinodo.

3. Ricorrere alla pianificazione pastorale che si sta mettendo a punto nell’Africa occidentale francofona.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:43
Intervento di Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Djibouti, SOMALIA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Djibouti, Amministratore Apostolico "ad nutum Sanctæ Sedis" di Mogadiscio (SOMALIA)



Da alcuni anni nella ricorrenza della morte di Mons. Salvatore Colombo OFM, vescovo di Mogadiscio ucciso il 9.7.1989, ho incominciato a ricordare nella Messa non solo lui, ma anche una serie di altre persone che sono state uccise mentre erano a servizio della giustizia, della pace e dei poveri in Somalia. Tra di essi vi sono stati alcuni cattolici, come la dottoressa Fumagalli, Annalena Tonelli e Sr. Leonella; vi sono stati dei fratelli “protestanti”; vi sono stati dei musulmani somali, e sono stati la maggioranza in questo paese musulmano; vi sono state anche altre persone non appartenenti ad alcuna fede. Chiamo questa giornata del 9 luglio “giornata dei martiri della Somalia”. Essa ci serve a ricordare che molte persone di convinzioni diverse hanno sacrificato la loro vita per più giustizia, più fraternità e più pace in Somalia.

Non siamo solo noi cattolici a volere riconciliazione, giustizia e pace in Somalia o in Africa. Ci sono tante altre persone e istituzioni di buona volontà. Due domeniche fa il Vangelo ci diceva: “chi non è contro di noi, è per noi” (Mc 9, 40). Questo significa che abbiamo il dovere di collaborare con tutti.

Concretamente vi suggerisco alcuni punti non esaustivi, pensando sia alla Somalia che all'Africa: 1. fare la memoria “insieme agli altri” delle persone migliori che hanno servito al bene di un dato popolo;

2. avere dei momenti di preghiera in comune con i credenti di altre fedi a favore della pace;

3. arrestare il traffico di armi e la libera circolazione di criminali di guerra;

4. invitare la comunità internazionale a una più grande collaborazione non solo alla lotta contro la pirateria, ma anche per la ricostruzione dello stato in Somalia;

5. collaborare con i musulmani di buona volontà per isolare e neutralizzare l'opera nefasta di gruppi islamici radicali che sono la causa di problemi anzitutto per i musulmani stessi e poi per gli altri;

6. appoggiare e sviluppare l' azione della Santa Sede e dei suoi diplomatici.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:44
Intervento di Mons. Michael Dixon BHASERA, Vescovo di Masvingo, ZIMBABWE

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Michael Dixon BHASERA, Vescovo di Masvingo (ZIMBABWE)



I nostri fedeli cristiani sono legati da una riscontrabile cultura comune che si esprime in un gran numero di varianti. Tale eredità culturale, che ci conferisce identità, è a rischio di estinzione a causa degli eventi storici, i processi naturali e i progetti umani. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa non potrà mai essere autentica se la sua base culturale, che è ricca e può essere usata per risolvere tanti problemi, viene erosa.

Le sfide che dobbiamo affrontare sono determinate sia dal processo di globalizzazione sia da fattori locali. Si tratta di un insieme di problemi complessi creati dall’uomo, come la corruzione, l’avidità, l’oppressione e il totalitarismo. Nutriamo la speranza che questo Sinodo affronti questi temi in modo adeguato.

La nostra forza ci viene dal rapporto che abbiamo con Cristo. Alimentiamo tale rapporto mediante i sacramenti, in particolare il Sacramento dell’Eucaristia in cui veniamo plasmati nella famiglia di Dio e ognuno di noi è investito del compito di essere agente di riconciliazione, salvezza, giustizia e pace.

L’idea dei rapporti piace all’Africa perché nasce dal cuore delle sue culture. Partecipando ai sacramenti, siamo vincolati da un unico sangue, il Sangue di Cristo. Il vincolo sacramentale può essere più forte di quello biologico che unisce le famiglie. Ciò evidenzia i valori della famiglia africana, quali la solidarietà, la condivisione, il rispetto, l’ospitalità, lo stare insieme e la riconciliazione attraverso la giustizia riparatrice.

La Chiesa-Famiglia diventa segno visibile e vero strumento di giustizia, di pace e di riconciliazione, quando è compresa e vissuta in modo corretto. Dopo il turbamento, la riconciliazione genuina si esprime mediante la restituzione e la riparazione.

Alcuni africani ricorrono alle sette o alla stregoneria quando devono affrontare le difficoltà. Inoltre, è doloroso vedere i cattolici che si rivoltano contro i loro fratelli cattolici a causa di conflitti politici, sociali, economici e regionali. Il problema è la scarsa conoscenza del significato di Chiesa come Famiglia (di Dio). Questa Catechesi dovrebbe iniziare già in famiglia per poi continuare nelle nostre istituzioni educative, sanitarie, di sviluppo sociale e di formazione. .Quando i fedeli hanno raggiunto la comprensione di “chi siamo”, essi possono cominciare a orientarsi verso il dialogo ecumenico e promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:45
Intervento di Mons. Sithembele Anton SIPUKA, Vescovo di Umtata, SUDAFRICA

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Sithembele Anton SIPUKA, Vescovo di Umtata (SUDAFRICA)



Dopo parecchi decenni di conflitti e di tensioni, i sudafricani sono riusciti a negoziare una soluzione pacifica ai loro problemi politici in quanto nazione e hanno creato strutture e politiche democratiche che operano per la pace. Sussiste tuttavia il problema che tali principi di democrazia non sono giunti fino alle radici. Mentre il paese si è trasformato sia legalmente che politicamente, a livello umano quotidiano dei rapporti personali, le persone si comportano ancora secondo l’antico sistema, sentendosi ancora diverse e perfino nemiche fra loro.

Ciò dimostra che è più facile cambiare le strutture esteriori piuttosto che cambiare mentalità, e finché non cambiano sia le strutture esterne che le mentalità, la democrazia non può essere apprezzata e sostenuta in Sud Africa. La Chiesa, il cui obiettivo principale di evangelizzazione è il cambiamento dei cuori, può offrire un importante contributo a questo proposito.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:47
Intervento di Mons. Jean MBARGA, Vescovo di Ebolowa, CAMERUN


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Jean MBARGA, Vescovo di Ebolowa (CAMERUN)



Per il presente Sinodo, la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa ha la missione di contribuire alla ricostruzione di un’Africa in preda a crisi tanto numerose quanto ricche di potenzialità, rinnovando la sua pastorale sulla base di un’ecclesiologia di apertura alle sfide della società: quale Africa per la Chiesa? Quale Chiesa per l’Africa?

Nelle sue diverse dimensioni, questa missione consiste nell’estinguere i conflitti, nel ricostruire l’Africa sulla base del Vangelo e della fede in modo che:

- laddove la fede cristiana si indebolisce o non esiste, le comunità ecclesiali testimonino la vita evangelica, la pratica ecclesiale e l’impegno sociale;

- laddove la cultura è combattuta tra tradizione e globalizzazione, la Chiesa ispiri opere culturali umanizzanti che diffondano valori autentici degni dell’uomo;

- laddove lo stato sfrutta il popolo, le comunità ecclesiali si impegnino a favore della democrazia e della buona gestione di beni e persone, della cultura della gratuità e del dono;

- laddove imperversano guerre e ribellioni, vi sia una mobilitazione di tutti per la pace.

Per essere segno e strumento di questi valori, la Chiesa-Famiglia che è al servizio sarà quindi una Chiesa che vive in pace e può dare la pace, che si evangelizza e che evangelizza la società.

- Sarà una Chiesa madre ed educatrice, che dona all’Africa una carta dei valori;

- una Chiesa avvocata e profetica, che promuove politiche, legislazioni e strutture sociali illuminate da un umanesimo africano e cristiano;

- una Chiesa mediatrice, che riconcilia le parti in contrasto, lavora alla prevenzione dei conflitti e anima costantemente il dialogo sociale;

- una Chiesa mobilitante, che promuove un apostolato associativo militante e una leadership dei fedeli laici, un clero e persone consacrate formate per la società attuale;

- una Chiesa comunicatrice, che produce, con le nuove tecnologie, opere che diffondono una cultura africana e cristiana;

- una Chiesa che agisce attraverso opere sociali e programmi pastorali adeguati, che promuovono la sanità, l’educazione e il lavoro produttivo.

Questo sinodo può proporre la creazione di missioni o di commissioni più specifiche che chiariscano e intensifichino questa ecclesiologia e questa pastorale di apertura alle sfide della società attuale.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:48
Intervento di Mons. Thomas KABORÉ, Vescovo di Kaya, BURKINA FASO

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Thomas KABORÉ, Vescovo di Kaya (BURKINA FASO)



L’educazione alla giustizia e alla pace è una missione essenziale della Chiesa-Famiglia di Dio. I figli di Dio sono artefici di pace; “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” proclama il Signore Gesù. Se la Chiesa che è in Africa è Famiglia di Dio è un luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace.

In un continente tanto lacerato dai conflitti e dalle lotte, è Dio che ci invita ad essere una Chiesa-Famiglia, luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace. Per questo, i Padri del primo sinodo per l’Africa “hanno subito riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane... Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l'amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d'interesse” [ Ecclesia in Africa § 89.].

Per assumere questa missione, dobbiamo dunque lavorare per trasformare le nostre Comunità Cristiane di Base (CCB). Esse devono diventare delle vere famiglie: questo vuol dire conversione “premura per l'altro, solidarietà, calore delle relazioni, accoglienza, dialogo e fiducia” [Ecclesia in Africa § 63]. Chiamiamo quindi queste Piccole Comunità, delle Comunità-famiglie. Saranno esse a dare alla Chiesa il suo volto e la sua realtà di famiglia, per farne luoghi di riconciliazione.

Il lavoro fondamentale per giungere a questa edificazione della famiglia sarà prima di tutto l’Evangelizzazione. Il primo scopo di queste Comunità-famiglie è di essere Scuole di Evangelizzazione; è necessario che tutta la Chiesa diventi una comunione di comunità-famiglia e che tutta la Chiesa sia evangelizzata, ovvero sia interiormente rinnovata e diventi un’umanità nuova. Ciò presuppone che i Pastori diventino predicatori itineranti della Buona Novella, andando di comunità in comunità.

L’Evangelizzazione sarà più una questione di testimoni che di metodo o di tecnica: “Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco” [Ecclesia in Africa § 77.].

Edificare la Chiesa-Famiglia di Dio vuol dire dunque suscitare delle Comunità-famiglie che saranno vere famiglie di Dio, luogo di integrazione fra cristiani di diverse etnie, regioni e condizioni sociali.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:50
DONO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



DONO DEL SANTO PADRE



In chiusura della Terza Congregazione Generale, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ha comunicato che il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso che a tutti i Padri sinodali e agli
altri Participanti alla II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi fosse offerto in dono la medaglia commemorativa del suo Viaggio Apostolico in Camerun e Angola. (17-23 Marzo 2009). La medaglia è stata realizzata della scultrice Eva Olah, per conto della Società Johnson 1832 di Baranzate, provincia di Milano. Ha un diametro di 50 mm. Sul dritto è raffigurato il ritratto del Santo Padre, e l’iscrizione commemorativa del Viaggio Apostolico: “Benedictus XVI P.M. * Cammarunia-Angolia * XVII-XXIII Martii MMIX”. Sul rovescio è riprodotta una candela accesa che illumina simbolicamente il continente africano, interpretazione del verseto di Matteo: “Vos estis lux mundi”.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:53
Intervento di Mons. François Xavier MAROY RUSENGO, Arcivescovo di Bukavu, REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. François Xavier MAROY RUSENGO, Arcivescovo di Bukavu (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)



Partendo dai danni provocati dalle guerre e dalle violenze nella parte orientale del nostro paese, la Repubblica Democratica del Congo e, in particolare, nella nostra arcidiocesi di Bukavu, riteniamo che la riconciliazione non possa più limitarsi semplicemente ad armonizzare le relazioni interpersonali. Essa deve inevitabilmente prendere in considerazione le cause profonde della crisi delle relazioni che si collocano a livello degli interessi e delle risorse naturali del Paese, da sfruttare e gestire nella trasparenza e nell’equità a vantaggio di tutti. Dato che le cause delle violenze nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo sono essenzialmente le risorse naturali.

A tale scopo, ricordiamo il lavoro che la commissione Giustizia e Pace sta facendo nell’arcidiocesi di Bukavu affinché la riconciliazione si attui attraverso la ricostruzione comunitaria.

L’obiettivo è di aiutare le persone a riconciliarsi fra loro e con la propria storia nonché ad impegnarsi per costruire assieme un nuovo futuro.

Un’attenzione tutta speciale viene data ai giovani. Per loro, proponiamo attività ricreative e culturali in grado di favorire la riconciliazione al loro livello, grazie al coinvolgimento di tutti e di ciascuno di essi nella ricostruzione del proprio ambiente.

Questo tipo di approccio va inteso come risposta ai traumatismi comunitari spesso dimenticati, allo scopo di rendere la gente responsabile e protagonista di un cambiamento positivo. Esso richiede il potenziamento dell’educazione basilare e dell’organizzazione delle popolazioni in vista di una migliore presa in carico comunitaria. Richiede anche la creazione di spazi e quadri di scambio e di dialogo per un’effettiva partecipazione della popolazione alla gestione delle ricchezze che devono ormai concorrere alla ricostruzione, allo sviluppo, alla riconciliazione e ad una coabitazione pacifica.

Mentre prendiamo la parola in queste riunioni, gli agenti pastorali nella nostra arcidiocesi vengono attaccati dai nemici della pace. Una delle parrocchie della nostra arcidiocesi è stata incendiata venerdì 2 ottobre 2009, i sacerdoti sono stati maltrattati, altri presi in ostaggio da uomini in uniforme che hanno preteso grosso riscatto che siamo stati costretti a pagare per risparmiare la vita dei nostri sacerdoti che essi minacciavano di massacrare. Con queste azioni, è la Chiesa, rimasta l’unico sostegno di un popolo terrorizzato, umiliato, sfruttato, dominato, che si vorrebbe ridurre al silenzio. Signore sia fatta la tua volontà, venga il tuo regno di pace” (cfr. Mt 10, 6-7).

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:55
Intervento del Card. Walter KASPER, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S.Em.R. Card. Walter KASPER, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani (CITTÀ DEL VATICANO)



Mentre, grazie a Dio, vi è stata una rapida crescita della Chiesa in Africa, purtroppo si è verificata anche una frammentazione sempre più grande tra i cristiani. Pur non essendo, questa situazione, peculiare dell’Africa, è troppo facile ritenere che tali divisioni derivino dall’eredità del cristianesimo diviso che l’Africa ha ricevuto, poiché in Africa vi sono anche numerose nuove divisioni - basti pensare più di recente alle comunità carismatiche e pentecostali, alle chiese cosiddette indipendenti e alle sette. La loro diffusione a livello mondiale è estesa e la loro vitalità nel continente africano è rispecchiata dall’aumento delle Chiese indipendenti africane, che ora hanno creato un’istituzione ufficiale, l’OAIC con sede a Nairobi. Attualmente è in corso, ad un certo livello, un dialogo attraverso il Global Christian Forum, che si è di recente riunito a Nairobi.

Ad altri livelli, il dialogo con questi gruppi non è facile e spesso è del tutto impossibile a causa del loro comportamento aggressivo e - per non dire altro - per il loro basso standard teologico. Dobbiamo affrontare questa sfida urgente con un atteggiamento di autocritica. Infatti, non basta dire che cosa è sbagliato in loro, dobbiamo domandarci che cosa è sbagliato o che cosa manca nel nostro lavoro pastorale. Perché tanti cristiani abbandonano la nostra Chiesa? Che cosa manca loro da noi e che cosa cercano altrove? Il PCPCU ha cercato di fornire qualche risposta con due simposi per vescovi e teologi, celebrati uno a Nairobi e l’altro a Dakar. Siamo pronti ad aiutare anche in futuro. In questo contesto, vorrei menzionare solo due punti importanti: la formazione catechetica ecumenica e la costituzione di piccole comunità cristiane in seno alle nostre parrocchie.

Consentitemi ora di parlare di alcune delle altre numerose sfide e dei compiti:

1. Possiamo ora guardare indietro a quasi cinquant’anni di dialogo ecumenico. Dal Concilio Vaticano II sono stati compiuti progressi ecumenici importanti, ma il cammino verso la piena comunione ecclesiale probabilmente è ancora lungo e arduo a causa delle difficoltà che continuano a esserci nei nostri dialoghi teologici. Occorre fare adesso dei passi adeguati per impegnarci insieme con i nostri interlocutori ecumenici in un processo di accoglimento dei frutti del dialogo. L’impegno della Chiesa a livello universale deve essere tradotto e recepito nelle Chiese locali. Ciò deve avvenire nella catechesi e nella formazione teologica, a livello diocesano e parrocchiale.

2. Mentre la Chiesa cattolica in Africa tradizionalmente ha mantenuto un dialogo costante con le tradizioni protestanti storiche e oggi anche con quelle più giovani, la recente rapida diffusione dell’ortodossia nel continente rende fondamentale, per la Chiesa cattolica in Africa, impegnarsi in un dialogo e in rapporti positivi anche con i nostri fratelli e le nostre sorelle ortodossi.

3. La Chiesa cattolica in Africa deve dare slancio alle relazioni ecumeniche con i movimenti evangelici, carismatici e pentecostali nel continente africano, anche per la rilevanza delle loro espressioni indigene e della loro affinità con la visione del mondo culturale tradizionale africana. Un tale impegno ecumenico esige una fedeltà ispirata ai principi della Chiesa sull’ecumenismo da una parte (UR, 2-4), e una comprensione specifica delle espressioni culturali africane, dall’altra. Il dialogo e la ricerca dell’unità devono pertanto tener conto del contesto delle radici culturali africane. Infatti, le radici di alberi diversi separati ma vicini tra loro si intrecceranno, anche se continuano ad essere distinte nella lotta per accedere alle stesse sorgenti di vita che sono il suolo e l’acqua. Questo intrecciarsi è emblematico dell’avvicinamento ecumenico, collegato all’intera questione dell’inculturazione e della rilevanza del contesto.

4. La nostra ricerca di unità nella verità e nell’amore non deve mai perdere di vista la percezione che l’unità della Chiesa è opera e dono dello Spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi. Pertanto, l’ecumenismo spirituale, specialmente la preghiera, è il cuore dell’impegno ecumenico (UR, 8). Tuttavia, l’ecumenismo non darà frutti duraturi se non sarà accompagnato da gesti concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la guarigione dei ricordi e dei rapporti. Come afferma il Decreto sull’Ecumenismo, “non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione” (UR, 7). Una tale metanoia (UR, 5-8; UUS 15s; 83ss) ci porterà più vicino a Dio, al centro della nostra vita, in modo tale da avvicinarci di più anche gli uni agli altri.

Pertanto, il tema del sinodo rappresenta una sfida alla Chiesa in Africa affinché acuisca la propria visione ecumenica e offra ai popoli dell’Africa la ricerca dell’unità come tesoro autentico del Vangelo. La Chiesa cattolica in Africa viene incoraggiata a continuare a costruire ponti di amicizia e, attraverso un ecumenismo spirituale orante e il conseguente discernimento della volontà di Dio, a impegnarsi nel “ministero della riconciliazione” (2Cor 5, 18), che ci è stato affidato per mezzo di Cristo. È questa la base del nostro impegno ecumenico. Il rinnovamento della vita interiore del nostro cuore e della nostra mente è il punto cruciale di ogni dialogo e riconciliazione, facendo dell’ecumenismo un impegno reciproco di comprensione, rispetto e amore, affinché il mondo creda.


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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:57
Intervento di Mons. François EID, Vescovo del Cairo dei Maroniti, EGITTO

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. François EID, O.M.M., Vescovo del Cairo dei Maroniti (EGITTO)



Faccio questo intervento a nome mio personale e mi riferirò ai nn. 102, 126 e 128 che parlano dei rapporti con le religioni, pur insistendo sulla necessità di passare dal dialogo fra le culture alla cultura del dialogo, attraverso la formazione dei futuri sacerdoti in Africa.

Un pensatore asiatico, Wesley Ari raja, diceva: “Abbiamo bisogno non solo della conoscenza dell’altro, ma piuttosto dell’altro per conoscerci meglio”. Premesso ciò, possiamo constatare che la questione del dialogo si pone come una problematica culturale e spirituale per eccellenza, dato che è collegata piuttosto alla comprensione di noi stessi che alla nostra presa di posizione nei confronti dell’altro.

La storia ci insegna che la sorgente del dinamismo che rinnova le identità culturali sta nella sua massima apertura universalista che lo porta ad abbracciare le diversità e a creare una continua osmosi che arricchisce; l’isolamento culturale, invece, porta alla perdita dell’identità.

Il termometro della buona salute di un popolo o di una comunità sta nella centralità dell’altro nel suo cammino comunitario. Ciò spiega la centralità dell’amore per il prossimo nel cristianesimo che fa della Chiesa una diaconia al servizio dell’uomo.

In tal senso, una delle Lettere dei Patriarchi cattolici d’Oriente affermava che “la presenza degli altri nella nostra vita rappresenta la voce di Dio e la nostra relazione con loro è una componente essenziale della nostra identità spirituale: perciò occorre andare oltre la convivialità verso una comunione fraterna più responsabile”.

Traggo qualche conclusione:

1. A mio avviso, la formazione dei futuri sacerdoti africani alla sola appartenenza a Nostro Signore Gesù, maestro e modello, costituisce l’unica alternativa per fare di questi sacerdoti degli strumenti di pace e di riconciliazione. Così, la loro missione non sarà più considerata luogo in cui concorrono interessi personali, familiari o tribali, ma, al contrario, luogo di incontro tra fratelli amati dal Signore e chiamati a costruire insieme, nella carità, il suo Regno di Pace e di Giustizia.

2. A questo punto, vedo l’urgenza di una formazione sacerdotale adeguata che metta davanti a tutte le altre priorità il passaggio dal dialogo fra le culture alla cultura del dialogo. Questa missione farà dei futuri sacerdoti africani i messaggeri del Vangelo della pace, per un’Africa nuova, dove la solidarietà spirituale e umana induca tutti e ciascuno a portare le difficoltà, le sofferenze, le speranze e le sfide dell’altro che è nostro fratello davanti a Dio. Passiamo così dall’emarginazione all’accoglienza, dal rifiuto all’accettazione e dalla rivalità alla fraternità.

La cultura del dialogo fa eco a quanto diceva sant’Agostino: “Et in omnia caritas”.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:59
Intervento di Mons. Simon NTAMWANA, Arcivescovo di Gitega, BURUNDI


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Simon NTAMWANA, Arcivescovo di Gitega, Presidente dell'Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa Centrale (A.C.E.A.C.) (BURUNDI)



Diverse categorie e gruppi, nella nostra sub-regione, soffrono oggi sotto il peso di diversi mali che sono stati appena ricordati. Le famiglie sono dislocate, destabilizzate, impoverite. Alcune non hanno né case adeguate in cui abitare, né terre da coltivare per sopravvivere, né mezzi per educare i figli, né di che pagare le cure mediche, ecc. A queste carenze si aggiungono fenomeni come la violenza contro le donne, l’arruolamento di bambini nei gruppi armati, ecc. Se la responsabilità di questa situazione è da addebitarsi a tutti le componenti della società, alcune di queste hanno però una responsabilità maggiore rispetto ad altre. Pensiamo soprattutto alla classe politica dirigente. In effetti, tra le altre cose, si deplora il fatto che uomini politici si servano dei conflitti etnici per conquistare il potere e per mantenerlo. Alcuni di essi considerano la loro funzione unicamente comune una fonte di arricchimento personale o delle loro famiglie e dei loro amici, facendo in tal modo trionfare il clientelismo e il tribalismo sui valori autentici e compromettendo gravemente la pace sociale.

In questo processo la Chiesa ha avuto un ruolo, con i suoi messaggi e le sue esortazioni, ma anche attraverso la sua testimonianza di fraternità al di là delle frontiere e delle barriere generate dai conflitti armati e dalle guerre. Alcuni nostri fratelli nell’episcopato hanno perfino dovuto dirigere delle Conferenze Nazionali Sovrane per assicurare la mediazione tra le diverse componenti del loro paese. D’altronde, le nostre commissioni di “Giustizia e pace” in alcuni paesi hanno partecipato alla preparazione delle elezioni fornendo un’educazione civica ed elettorale. Le commissioni Caritas-Sviluppo hanno, in queste situazioni di guerra, soccorso migliaia di persone indifese.

Tuttavia, non c’è solo la povertà spirituale da curare, ma anche l’impoverimento generalizzato e la sfrontata pauperizzazione dei nostri popoli, per i quali occorre trovare dei rimedi adeguati. In effetti, è proprio perché le popolazioni sono povere o impoverite che sono diventate vulnerabili. Persone ricche le manipolano a piacimento; e alcuni, pescando in acque torbide, utilizzano per esempio le separazioni etniche per dividere la gente, allo scopo di continuare ad arricchirsi in una situazione di conflitto in cui le persone non possono rivendicare i propri diritti.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:00
Intervento di Mons. Martin MUNYANYI, Vescovo di Gweru, ZIMBABWE


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Martin MUNYANYI, Vescovo di Gweru (ZIMBABWE)



La Chiesa nello Zimbabwe apprezza moltissimo che l’Instrumentum laboris si sia occupato di questioni di grande preoccupazione per il nostro paese - quali la povertà, la violenza, la mancanza di riconoscimento delle donne, dei bambini e dei gruppi di minoranza - e anche di problemi relativi all’ingiustizia nella Chiesa, come le condizioni di lavoro dei suoi impiegati.

Lo Zimbabwe ha vissuto esperienze socio-politiche molto difficili ed inumane risalenti ai periodi precoloniale, coloniale e postcoloniale che devono essere trattate con urgenza. Nella ricerca di una riconciliazione durevole, sarebbe un errore chiedere alle persone di dimenticare semplicemente il passato.

C’è bisogno di riconciliazione non solo nel paese in generale, ma anche nella Chiesa, dato che vediamo ribollire la tensione in alcune nostre parrocchie a causa delle differenze linguistiche ed etniche.

In Africa, quando parliamo di giustizia, parliamo certamente di parti coinvolte, che comprendono anche le famiglie. Le comunità hanno bisogno di riunirsi a discutere i loro problemi in uno scenario di “arbre à palabre”. E dovrebbe esserci una giustizia retributiva e riparatrice prima della morte di una delle parti in causa.

Le questioni di giustizia nella Chiesa riguardano ovviamente il non pagare ai nostri lavoratori

la somma corrispondente al giusto salario e il cattivo uso delle risorse della Chiesa da parte di sacerdoti a spese delle comunità. Alcune pratiche della Chiesa tendono ad avere pregiudizi contro le bambine. Per esempio la bambina viene punita mentre il bambino no.

In quanto Chiesa locale abbiamo istituito strutture come la Commissione per la giustizia e la pace per dedicarci agli aspetti storici negativi della nostra esperienza.

L’intero compito dovrebbe cominciare in un luogo quale la famiglia come ha precisato giustamente Papa Benedetto XVI: “La famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace... perché permette di fare determinanti esperienze di pace”.

Nel far ciò si dovrebbero prendere sul serio, letteralmente, le parole di Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Questo è il regno della giustizia propugnato nell’Instrumentum laboris che riassume il messaggio evangelico di riconciliazione, giustizia e pace.


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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:01

Intervento di Mons. Daniel MIZONZO, Vescovo di Nkayi, REPUBBLICA DEL CONGO

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Daniel MIZONZO, Vescovo di Nkayi (REPUBBLICA DEL CONGO)



L’obiettivo di questo Sinodo - ci sembra - è l’impegno di tutti gli attori e le istituzioni ad instaurare una pace autentica, reale e duratura in Africa, in altri termini la venuta del Regno di Dio in questo continente. Per raggiungere questo obiettivo, il nostro principale compito consiste nella ricerca onto-teologica della Verità.

Infatti, in quasi tutti i nostri paesi, in Africa, in particolare in quelli che hanno conosciuto o ancora conoscono la guerra, abbiamo avuto cerimonie e atti di riconciliazione nazionale, processi agli autori dei genocidi in nome della giustizia, gesti simbolici di pace e altre iniziative. Ma nonostante tali sforzi, la pace autentica, reale e duratura, benché all’ordine del giorno, in Africa non è ancora giunta. Perché? Perché è mancata la verità.

“Quid est veritas?”, Gv 18, 38. L’interrogativo di Pilato rimane attuale in Africa. Le risposte di Gesù sono illuminanti: “Io sono la via, la verità e la vita”, Gv 14, 6. “Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”, Gv 18, 37b. Nel Regno di Dio “Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” Sal 84(85), 11.12.

La pace è di Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”, Gv 14, 27a.

Anche san Paolo sottolinea che Cristo “è la nostra pace”, Ef 2, 14 perché è ontologicamente Verità.

Incoraggiamo l’Istituzione dei Tribunali Internazionali (TPI), delle Commissioni di verità e riconciliazione per la pace, che sono stati un bene per l’Africa del Sud, perché solo “la verità ci farà liberi”, Gv 8, 32b e ci porterà la pace autentica, reale e duratura. “Africa semper novi”.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:04
Intervento di Mons. Claude RAULT, M. Afr., Vescovo di Laghouat, ALGERIA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Claude RAULT, M. Afr., Vescovo di Laghouat (ALGERIA)



La nostra Chiesa del Nordafrica si trova in una posizione di “crocevia” geografico e umano che ci colloca all’incrocio di Europa, Medio Oriente e Africa Sub-sahariana. La popolazione è composta da Arabi e Berberi, ma anche, cosa che spesso dimentichiamo, da una frangia di popolazioni nere nella parte meridionale di questa vasta regione. La religione dominante e quasi esclusiva è l’islam, anch’esso attraversato da molteplici correnti. È in questo universo geografico, umano e religioso che noi, cristiani e cristiane, viviamo la nostra vocazione all’Incontro e al Dialogo.

- Prima di tutto, bisogna dire quanto è difficile per noi situarci e ancorarci al cuore della Chiesa d’Africa. Eppure, il nome stesso dell’Africa ha avuto origine nel Maghreb, derivando da “Ifriqiya”, paese di sant’Agostino. Facciamo parte della Chiesa d’Africa e il nostro desiderio profondo è di consolidare la nostra appartenenza in seno a questa Chiesa.

- L’eredità coloniale pesa ancora sulle nostre spalle. La Chiesa del Maghreb ne è ancora segnata. A questo, aggiungiamo una relazione storica difficile fra il mondo arabo e il mondo africano, dovuta in parte alla schiavitù che non è stata, purtroppo, l’unico fatto degli Occidentali.

- Ma la nostra situazione è una grazia da cogliere. Siamo una Chiesa sempre più multiculturale, grazie alla marcata presenza di religiosi, religiose, sacerdoti e laici, studenti e migranti venuti da oltre il Sahara o da altri continenti.

Questi elementi danno, della Chiesa, un’immagine più universale. Ma questo fatto pone una seria sfida alla nostra Chiesa del Maghreb: quella della sua unità e della sua comunione. La partecipazione alla nostra vita ecclesiale di cristiani e cristiane di ogni condizione venuti dall’Europa, dall’America, dall’Asia, dal continente africano, dal Medio Oriente, ma anche dell’Africa del Nord, tutto questo costituisce una novità che esige da parte nostra un’apertura all’universale. È con tutte le nostre differenze e le nostre complementarità coniugate che, malgrado la nostra piccolezza, uomini e donne, costruiamo la Chiesa di Cristo, una Chiesa della Pentecoste.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:05
Intervento di Mons. Antoine NTALOU, Arcivescovo di Garoua, CAMERUN


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Antoine NTALOU, Arcivescovo di Garoua (CAMERUN)



In Camerun, come in diversi altri paesi africani, si osserva che molti cittadini in posizioni di responsabilità si riconoscono figli della Madre Chiesa; li troviamo praticamente in tutti i settori della vita, sia nell’ambito della sanità che in quello dell’educazione, della politica, degli affari economici, della cultura, della vita associativa, ecc.; del resto, non di rado queste persone sono fiere di ciò che hanno ricevuto dalla Chiesa nella loro infanzia o in gioventù. Ma spesso facciamo anche amara esperienza del divario non trascurabile che esiste fra l’organizzazione della vita sociale e le esigenze del messaggio evangelico.

Ci troviamo qui di fronte ad un problema molto serio, del quale occorre determinare la causa principale per trovare un rimedio. Da parte mia, ritengo che, anche a causa dell’età delle nostre Chiese in Africa, alcune carenze nell’organizzazione della pastorale nella maggior parte delle nostre diocesi spieghino, senza per questo giustificarla, la situazione di cui intendo parlare. Si tratta della carente formazione dottrinale dei cristiani che oggi assumono ruoli di responsabilità in seno alle strutture dei nostri paesi. Per la maggior parte di loro, dunque, l’unico bagaglio dottrinale è quello ricevuto al momento della preparazione ai sacramenti d’iniziazione. Non bisogna quindi stupirsi che spesso, nel dialogo sociale, non hanno molto da offrire laddove invece altri gruppi d’interesse o di pressione sono dotati di armi potenti per la lotta ideologica; i nostri fedeli non hanno altro da offrire che la loro buona volontà.

È dunque più che mai urgente assicurare una formazione cristiana solida ai figli e alle figlie della nostra Chiesa che s’impegnano nella politica, nell’economia e negli altri settori chiave della vita dei nostri paesi africani. Il programma di tale formazione, tra le altre materie dovrà lasciare ampio spazio alla dottrina sociale della Chiesa, alla Bibbia, alla teologia, alla morale e alla storia della Chiesa. Ci si dovrà preoccupare soprattutto di formare la coscienza delle nostre élite. Ringraziando Dio, qua e là nel continente sono già nate iniziative positive (scuole di teologia) e sta incominciando a formarsi un laicato consapevole delle proprie responsabilità in un mondo che deve essere trasformato dall’interno. Attualmente, queste esperienze sono ancora troppo limitate perché l’impatto del fermento evangelico sia chiaramente percepibile nei riflessi e nelle abitudini degli individui e dei gruppi. Ma la direzione intrapresa è quella giusta.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:10
Intervento di Mons. Michael WÜSTENBERG, Vescovo di Aliwal, SUDAFRICA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Michael WÜSTENBERG, Vescovo di Aliwal (SUDAFRICA)



I laici e la gerarchia spesso non sono in perfetta sintonia. È necessaria la riconciliazione in seno alla Chiesa. Un piano pastorale ha portato allo sviluppo di una comunità migliore. Questa riconciliazione in seno alla Chiesa ha inciso sull’impegno di evangelizzazione dei laici per riconciliare un mondo diviso. L’unità e cooperazione della Conferenza episcopale sostiene i laici nel creare reti di collaborazione. Le piccole comunità cristiane - radicate nella fede - collaborano nel campo sociale per trasformare la società a livello locale. Questo impegno si svolge anche attraverso diverse istituzioni. Con la mancanza, largamente constatata, di una catechesi più profonda, questo impegno in “tutti gli strati dell’umanità” richiede un’accurata formazione. Le istituzioni che lavorano a diversi livelli assistono gli operatori di pastorale e i laici con una formazione integrale. Tuttavia, occorre fare di più per creare reti solide ed efficienti. La collaborazione dei vescovi con i laici nei forum pastorali può essere ulteriormente sviluppata perfino a livello regionale o continentale. Il ministero di riconciliazione dei laici deve essere riconosciuto attraverso celebrazioni che consolidino, confermino e addirittura preparino per questa missione. L’esperienza sacramentale offre una formazione aperta al divino. La celebrazione spesso carente del sacrificio della riconciliazione durante l’Eucaristia impedisce un’esperienza regolare del rapporto intimo con Cristo, con se stessi e con gli altri. Questo squilibrio nella vita sacramentale della Chiesa deve essere eliminato per il bene della spiritualità comprensiva della riconciliazione.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:11
Intervento di Mons. Armando Umberto GIANNI, Vescovo di Bouar, REPUBBLICA CENTROAFRICANA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Armando Umberto GIANNI, O.F.M. Cap., Vescovo di Bouar, Presidente della Conferenza Episcopale (REPUBBLICA CENTROAFRICANA)



Abbiamo cercato di approfondire la crisi che ci ha portato sofferenze fisiche e morali. Ci siamo riuniti per dar modo a tutti di esprimere il proprio pensiero.

In tutti c'è il desiderio di venirne fuori, di ritrovare la via del dialogo, della conversione.

Ci aspetta il delicato ma necessario compito di aiutare i sacerdoti che hanno problemi a ritrovare il cammino di verità. Aspettiamo dal sinodo una parola chiara e persuasiva su questo tema.

Poi la sfida più grande: come aiutare i sacerdoti a formare delle vere famiglie sacerdotali. Si sente l'esigenza di avere un direttorio di vita sacerdotale.

Se la nostra crisi ci ha apportato sofferenza ci aiuterà a crescere più armoniosamente. Abbiamo bisogno di intensificare l'unione profonda con Cristo.

Il nostro paese da più di 15 anni è alla ricerca di una pace sociale, di un equilibrio che apporti più sicurezza e stabilità, necessarie per attirare investimenti, far ripartire l'attività economica, sviluppare i servizi sociali: scuola, sanità, dialogo sociale.

Purtroppo l'impunità continua a coprire crimini e ingiustizie varie. I conflitti di interesse che affliggono il Darfour, si ripercuotono anche nel nostro paese.

La Chiesa è rimasta presente dappertutto nel paese. Anche nelle zone cosiddette rosse, cioè insicure; ha continuato a prestare la sua opera nelle scuole, nella sanità, vicino alle persone sfollate e handicappate.

Voglio far rimarcare la disponibilità data dal personale delle missioni in questo contesto di insicurezza per assicurare il servizio della mediazione tra forze governative e ribelli, a volte anche con i banditi.

Con questi accordi ha potuto far giungere dappertutto cibo, medicine, ed assicurare incontri di dialogo fra le parti in causa, che hanno contribuito a far diminuire le tensioni.

Mi pare che la Chiesa abbia vocazione ad essere là, in questi luoghi umili e nascosti, per aiutare a spegnere sul nascere questi conflitti di casa. La sua voce è ascoltata e cercata, perché gode di credibilità.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:13
Intervento di Mons. Giovanni Innocenzo MARTINELLI, LIBIA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Giovanni Innocenzo MARTINELLI, O.F.M., Vescovo titolare di Tabuda, Vicario Apostolico di Tripoli (LIBIA)



Sappiamo che nel continente africano vi sono più di dieci milioni di sfollati, di migranti che cercano una patria, una terra di pace.

Il fenomeno di questo esodo rivela un volto d’ingiustizia e di crisi sociopolitica in Africa. In Libia viviamo tutta la tragedia di questo fenomeno... Venire in Libia per essere respinti dall’Europa...

Vi sono migliaia di immigrati che entrano in Libia ogni anno, provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana. La maggior parte di questi fugge dalla guerra e dalla povertà del proprio paese e arriva in Libia, dove cerca un lavoro per aiutare la famiglia oppure un modo per andare in Europa nella speranza di trovarvi una vita migliore e più sicura. Molti di loro si sono lasciati ingannare dalle promesse di un lavoro ben retribuito e si trovano costretti a svolgere lavori mal pagati e pericolosi oppure non ne trovano affatto. Molte donne, fatte venire nel paese, sono costrette alla prostituzione e alla schiavitù. Tutti gli immigrati illegali rischiano il carcere, la deportazione o, peggio ancora, non hanno accesso né all’assistenza legale né ai servizi sanitari.

In Libia vi sono diversi centri di raccolta di tutti i clandestini, ma tutti coloro che si rivolgono al Centro di Servizio Sociale della Chiesa sono originari dell’Eritrea e della Nigeria, etiopi, sudanesi e congolesi...

L’immigrazione è per molti una tragedia, soprattutto perché fatti oggetto di traffico, sfruttamento (le donne in particolare) e del disprezzo dei diritti umani. Ma ringraziamo il Signore per la loro testimonianza cristiana. È una comunità che soffre, che cerca, precaria ma piena di gioia nell’espressione della fede! E che in un contesto sociale e religioso musulmano rende la Chiesa credibile... e vive il dialogo della vita con molti musulmani. Sono la nostra Chiesa in Libia, pellegrina e straniera, luce di Gesù e sale per la gente che ci circonda.

Chiedo ai loro Pastori di non dimenticarli in questo esodo forzato!

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:14
Intervento di Mons. Lucius Iwejuru UGORJI, Vescovo di Umuahia, NIGERIA

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Lucius Iwejuru UGORJI, Vescovo di Umuahia (NIGERIA)



Le multinazionali sfruttano le risorse naturali in Africa in una misura che non ha precedenti nella storia. Utilizzano le risorse che si sono accumulate in tanto tempo senza preoccuparsi se le generazioni future verranno lasciate senza mezzi di sussistenza. Questo sfruttamento sconsiderato dell’ambiente ha un impatto negativo sugli africani e minaccia le loro prospettive di vivere in pace.

Collegato a questo problema è il degrado ambientale in Africa. Aree intere vengono distrutte a causa della deforestazione, dell’estrazione di petrolio, come pure dello smaltimento dei rifiuti tossici, di contenitori di plastica e materiale in cellofan. Inoltre, l’erosione causata dall’uomo porta via terreni agricoli, distrugge le strade e insabbia le sorgenti d’acqua. Questi fattori impoveriscono le comunità africane, aumentando le tensioni e i conflitti.

I doni del creato provengono da un Padre amorevole. Ogni generazione ne ha bisogno per il proprio sostentamento. Devono essere custoditi (Gn 2, 15) e utilizzati con moderazione. Le attuali sfide ecologiche sono il risultato dei peccati dell’uomo: egoismo, avidità, mancanza di sensibilità verso i danni ambientali e incapacità di prendersi cura della terra.

La Chiesa in Africa deve suscitare una “conversione ecologica” attraverso un’educazione intensiva. Deve educare le persone in Africa ad essere più sensibili verso il crescente disastro ambientale e la necessità di ridurlo. Tutti devono essere resi sempre più consapevoli che le generazioni future hanno il diritto di vivere in un ambiente intatto e sano e di godere delle sue risorse.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:16
Intervento del Rev. Guillermo Luis BASAÑES, Consigliere Generale per la Regione Africa-Madagascar della Società Salesiana, USA

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



Rev. Guillermo Luis BASAÑES, S.D.B., Consigliere Generale per la Regione Africa-Madagascar della Società Salesiana (STATI UNITI D'AMERICA)



Alla luce del tema di questo Sinodo credo che il contributo più prezioso e più urgente della Vita Consacrata sia oggi quello della profezia della comunione: il suo essere oggi nella Chiesa e per i popoli d'Africa signum fraternitatis.

Là dove oggi alcune popolazioni in Africa sono tentate di dichiarare l'impossibilità di coesistere, di vivere insieme, di condividere la stessa terra, i religiosi e le religiose, chiamati a vivere la carità perfetta in comunità, non solo annunciano a tutti i popoli ed etnie in Africa che è possibile vivere insieme nella diversità o che è possibile tollerarsi, ma che vivere e lavorare insieme è fecondo, è utile e perfino bello.

Propongo dunque che più che parlare delle "persone consacrate" come attori di riconciliazione, di giustizia e di pace, si sottolinei piuttosto le "comunità di vita consacrata".

A questo proposito vedo con molta urgenza la necessità che i nostri Pastori in Africa possano continuare ad aiutare la Vita Consacrata perché sia fedele alla sua vocazione di profonda comunione e di riconciliazione:

- promuovendo nelle Chiese la conoscenza della natura della Vita Consacrata e più specificamente della sua profezia di comunione;

- esortando perchè nella formazione alla Vita Consacrata in Africa, si dia centralità alla formazione alla vita comunitaria interculturale, internazionale, interetnica;

- evitando che la richiesta di servizi pastorali, ogni volta più vasti, urgenti e diversificati, arrivi a minare la testimonianza comunitaria della Vita Consacrata con il rischio che il sale perda il suo buon sapore;

- incoraggiando i diversi Istituti Religiosi nati in Africa ad aprirsi al più presto alla missione ad gentes per mostrare con chiarezza che nessun carisma è legato di modo esclusivo ad una etnia o nazione (cf. VC 78).

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:19
Intervento di Mons. Berhaneyesus Demerew SOURAPHIEL, C.M., Arcivescovo Metropolita di Addis Abeba, ETIOPIA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Berhaneyesus Demerew SOURAPHIEL, C.M., Arcivescovo Metropolita di Addis Abeba, Presidente della Conferenza Episcopale, Presidente del Consiglio della Chiesa Etiopica (ETIOPIA)



Spero che questo sinodo per l’Africa studi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, delle persone sfollate, dei lavoratori domestici sfruttati (specialmente le donne in Medio Oriente), dei rifugiati e dei migranti, specialmente degli africani che giungono sui barconi e dei richiedenti asilo, e che sortisca posizioni e proposte concrete per mostrare al mondo che la vita degli africani è sacra e non priva di valore, come invece sembra essere presentata e vista da molti media.

Come è noto, l’Unione Africana (UA) ha sede ad Addis Abeba, dove è stata fondata. L’UA è il forum della leadership politica in Africa. È utile sapere che quasi il 50% dei membri dell’UA appartengono alla Chiesa cattolica. Finora, il Nunzio Apostolico in Etiopia è stato invitato a partecipare come osservatore alle assemblee generali dell’UA quando si svolgono ad Addis Abeba. È mio auspicio che la Santa Sede nomini un rappresentante permanente presso l’UA, che partecipi a tutti gli incontri ogniqualvolta si svolgano e che possa mantenere un contatto personale con i membri cattolici di questa importante istituzione.

Questo rappresentante speciale dovrebbe preferibilmente possedere le stesse credenziali diplomatiche di un Nunzio Apostolico. Verrebbe nominato per dedicarsi a tempo pieno alla sua missione e per essere sempre disponibile, così da poter partecipare agli incontri e incontrare le persone che hanno una influenza determinante nel processo decisionale.

Sempre presso l’UA, è necessario anche un rappresentante del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), perlomeno a livello di osservatore, affinché la Chiesa cattolica in Africa abbia voce presso l’UA e sia di incoraggiamento per i fedeli laici cattolici che vi lavorano.

Da parte nostra, come Chiesa locale in Etiopia, ci impegniamo a fare del nostro meglio per accogliere un tale rappresentante speciale della Santa Sede o del SECAM e, se desidera risiedere ad Addis Abeba, per facilitarne il lavoro e collaborare con la sua missione. Sono certo che l’Unione Africana sarebbe disponibile ad accettare questi rappresentanti e che i membri laici cattolici di questo organismo si sentirebbero particolarmente sostenuti dalla Chiesa cattolica nella loro missione.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:20
Intervento di Mons. Ildefonso OBAMA OBONO, Arcivescovo di Malabo, GUINEA EQUATORIALE


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Ildefonso OBAMA OBONO, Arcivescovo di Malabo, Presidente della Conferenza Episcopale (GUINEA EQUATORIALE)



Tralasciando il capitolo IV dell’Instrumentum laboris, mi riferisco agli attori e alle istituzioni chiamati a dare testimonianza della fede in Cristo in tutti gli ambiti e settori della società, tenendo in considerazione l’aspetto locale.

Anni fa - come riferimento storico - i cristiani conobbero difficoltà con quella persecuzione religiosa, ormai superata, di segno marxista e comunista. Attualmente i cristiani vivono l’inquietudine del materialismo nella vita, che pregiudica i valori del regno di Dio. Per questo il messaggio “combattere la povertà, costruire la pace” è molto attuale per la dignità di tutti e per il bene comune.

Quanto alle istituzioni, ci impegniamo a promuovere la fede con la Parola di Dio e a diffondere la celebrazione e adorazione della santa Eucaristia, vincolo di carità. Sappiamo che il contenuto della Nuova Evangelizzazione è Gesù Cristo, l’Inviato dal Padre. Per Lui, confidiamo nella forza della fede e della Parola di Dio in sé stessa, per purificare i cuori.

In questa prospettiva, la riconciliazione, la giustizia e la pace si fondano sull’amore, sul perdono e sulla misericordia di Dio in Cristo. Per questo, nella realtà pastorale, incide l’insegnamento della “Caritas in veritate” che afferma: “La carità è la via maestra della dottrina sociale” (n. 2). Con la sua diffusione e applicazione.

Conclusione: 1. - La cultura della solidarietà è un’urgenza dei nostri tempi di fronte a coloro che propugnano il motto “dividi e vincerai”, nelle ostilità e nelle rivalità tribali, e favoriscono la violenza, il terrorismo e le guerre: la cultura della morte. “La pace nasce in un cuore nuovo”. Crediamo nella speranza. Il Dio della pace ci darà la pace che gli uomini non possono dare. 2. - Il nostro compito è di instaurare la civiltà dell’amore. Una proposta valida per la presenza della Chiesa nella società è la conversione all’amore forte e sincero, come l’amore di Dio in Cristo morto e risorto, per la convivenza fraterna, l’umanizzazione e la salvezza integrale.

Per il resto, l’Africa è la riserva spirituale del mondo e nuova patria di Cristo.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 14:23

Intervento di Mons. Emílio SUMBELELO, Vescovo di Uíje, ANGOLA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Emílio SUMBELELO, Vescovo di Uíje (ANGOLA)



Nel nostro contesto angolano, la giustizia deve procedere di pari passo con il perdono. Senza perdono non può esservi riconciliazione e, di conseguenza, la pace, visto che lo sviluppo di qualsiasi popolo o nazione risulta ritardato indefinitamente in assenza di meccanismi di perdono.

Negli ultimi 30 anni una buona parte dei paesi africani - e l’Angola non sfugge alla regola - ha subito cambiamenti profondi. Le innumerevoli ed enormi agitazioni della popolazione, collegate alla guerra, hanno trasformato la società africana. Attualmente oltre la metà della popolazione vive in zone urbane. Una delle prime conseguenze riguarda la sua identità etnico-tribale: popoli di origine e sostrato sociale diversi ora vivono insieme nello stesso ambiente urbano, dando origine a una fusione culturale. Seconda conseguenza sono i conflitti interetnici, generati dalle condizioni di disagio economico e di grande disuguaglianza sociale.

Il vero perdono deve comprendere la ricerca della verità. Fa parte di questa verità riconoscere il male fatto e, se possibile, porvi rimedio. Infatti, il perdono non elimina né diminuisce l’esigenza di riparazione che è propria della giustizia, ma che esige di reintegrare le persone e i gruppi nella società. Passi concreti: 1) promuovere attraverso le CIP, Pro Pace, opportuni studi sulle prevaricazioni dei gruppi etnici o sulle ingiustizie, per accertare la verità come primo passo per la riconciliazione. 2) Puntare sulla “ricostruzione umana” che passa attraverso la modificazione del comportamento della personalità male impostata e/o che ha sofferto qualche scossa nelle sue strutture e/o nelle strutture della sua società. La “ricostruzione umana” è quindi un lavoro che ci si attende dalla Chiesa, affinché l’“individuo distrutto” torni a farsi persona, ad accettare se stesso e impari a dare nuovi impulsi che si trasformino in capacità di accettare gli altri.


Interventod di Mons. José NAMBI, Vescovo di Kwito-Bié, ANGOLA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano




S. E. R. Mons. José NAMBI, Vescovo di Kwito-Bié (ANGOLA)



La cultura democratica sta progredendo, sebbene timidamente. In Angola ancora non si tengono elezioni con la periodicità che sarebbe auspicabile. Ci sono politici che desiderano un vero cambiamento della situazione, ma altri fanno resistenza, sono insensibili e si preoccupano solo dei propri interessi. I venti della democrazia si fanno sentire più nella capitale che in altre zone del paese e con pochi mezzi di comunicazione sociale. Si constata la mancanza di una vera educazione civica dei cittadini, cosa che favorisce la manipolazione. Tutto ciò, unito all’analfabetismo in ambiente rurale, rende molto precaria la situazione. La coscienza critica delle persone è debole. Alcuni ritengono vero tutto quanto detto dai mezzi di comunicazione sociale. Per questo è urgente promuovere l’educazione civica dei cittadini e rafforzare la loro coscienza critica. Ciò significa anche promuovere la difesa della libertà di espressione e di opinione come appannaggio della democrazia e spazi di sviluppo. I laici che militano nelle diverse istituzioni civili, nei partiti politici, in Parlamento, sono chiamati a dare una vera testimonianza della riconciliazione, della giustizia e della pace. Perciò riteniamo fondamentale continuare a puntare sulla loro formazione a tutti i livelli.

Il continente africano è considerato un continente ricco, ma i suoi popoli continuano ad essere poveri. Si sta facendo qualcosa di positivo per ridurre la povertà. In Angola si osserva un grande sforzo per uscire dalla povertà. A questo scopo sono stati concepiti progetti grandi e piccoli. Ciononostante la differenza fra ricchi e poveri continua ad essere enorme. La concentrazione delle ricchezze nelle mani di poche persone è impressionante e ciò genera e può sempre generare conflitti. La popolazione delle zone rurali è attratta dalla vita delle città e questo comporta varie conseguenze sociali. L’immigrazione a partire dai paesi vicini si sta acuendo e porta con sé diverse conseguenze sociali. C’è il problema delle terre occupate a danno dei piccoli agricoltori, cosa che ha causato conflitti.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 15:45
Violenze anticristiane e rispetto dei migranti al centro del Sinodo. Intervista col vicario apostolico di Tripoli



È entrato nel vivo il secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, della giustizia e della pace. Oggi, prima sessione di lavoro per i Circoli minori. In mattinata, inoltre, una delegazione dei Padri Sinodali si è recata in Campidoglio per un incontro con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Ieri pomeriggio, intanto, i lavori del Sinodo sono proseguiti con la quarta Congregazione generale. Numerosi i temi emersi dall’Aula, come le violenze contro i cristiani, la necessità di una “conversione ecologica” dell’Africa e il problema delle migrazioni. Ce ne parla Isabella Piro:

Una sessione pomeridiana punteggiata da diversi applausi, quella di ieri pomeriggio: applausi di solidarietà, incoraggiamento, approvazione di temi più sentiti, emersi dai lavori. Ad aprire la seduta, la testimonianza toccante della Repubblica Democratica del Congo, dove alcune parrocchie hanno subito attacchi ed atti di intimidazione. Gesti con i quali, si è detto in Aula, si vorrebbe ridurre al silenzio la Chiesa, l’unico sostegno di un popolo terrorizzato, umiliato e sfruttato.
 
Poi, il grande tema dei rapporti con le sètte: una sfida urgente da affrontare anche con autocritica, hanno ribadito i Padri Sinodali, cercando di capire cosa non è sufficiente nel lavoro pastorale. Auspicato anche un nuovo slancio nelle relazioni ecumeniche e una comprensione specifica delle espressioni culturali africane.
 
Quindi, l’Aula del Sinodo ha lanciato un appello perché la Chiesa in Africa susciti una “conversione ecologica” attraverso l’educazione, così che il Paese non sia più vittima dello sfruttamento petrolifero, della deforestazione, dello smaltimento dei rifiuti tossici. Centrale anche la necessità di una formazione sacerdotale adeguata, che punti al passaggio dal “dialogo tra le culture” alla “cultura del dialogo”.
 
E ancora, l’incoraggiamento ai laici, che possono fare da “interfaccia” evangelizzatrice tra la Chiesa e il mondo, e il sostegno ai Tribunali Penali Internazionali, affinché ristabiliscano giustizia e pace sulla base della verità. Perché, come diceva Giovanni Paolo II, “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Da segnalare, inoltre, l’auspicio che l’Unione Africana includa un rappresentante permanente della Santa Sede e un osservatore del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar.
 
Infine, la pagina tragica dei migranti, degli sfollati, dei richiedenti asilo, una realtà che in Africa riguarda più di dieci milioni di persone, vittime di sfruttamento e del disprezzo dei diritti umani. Molte di esse vanno in Libia, Paese-ponte verso l’Europa, ma poi spesso rimangono nell’illegalità, sono vittime di sfruttamento sessuale, rischiano il carcere, non hanno accesso all’assistenza legale e sanitaria, Di qui, la speranza che il Sinodo studi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, del dramma dei “barconi”, per dimostrare al mondo che la vita degli africani è sacra, e non è priva di valore, come invece viene presentata da molti mass media.
 
Sul dramma degli immigrati africani, che come abbiamo detto riguarda oltre dieci milioni di persone, ieri al Sinodo è intervenuto mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tabuda e vicario apostolico di Tripoli, in Libia. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – Noi siamo testimoni di una presenza di immigrati che vengono da tutte le parti dell’Africa. Non voglio entrare in merito ai respingimenti, ma ho sottolineato più volte l’importanza di non rifiutarli, di assisterli almeno in Libia, perché rigettarli e disinteressarsi di loro è contro i diritti dell’uomo ed è anche contro la nostra civiltà umana, cristiana o quello che sia.
 
D. – Qual è l’azione di soccorso della Chiesa in Libia verso queste persone?
 
R. – Noi, nel nostro piccolo, in Libia, cerchiamo di seguire questa massa di gente nei centri di raccolta, dove i libici danno possibilità di incontrarla, di visitarla, di assisterla spiritualmente e pastoralmente. Lo facciamo per i cristiani, ma anche per tutti gli altri, e ce ne sono tanti. Noi cerchiamo di assisterli sul piano materiale, offrendo da mangiare. Abbiamo assistito persone, portando coperte e vestiti, e le abbiamo assistite soprattutto sul piano medico. Settimanalmente le nostre suore si interessano di tante donne gestanti e devono, quindi, essere accompagnate all’ospedale. Non hanno documenti e la suora offre il proprio passaporto, si prende cura di loro, cercando di assisterle, affinché possano dare alla luce i loro bambini. Hanno attraversato il deserto e sono persone veramente povere. Mi riferisco in particolare a questa massa di eritrei che arriva in Libia, decisa a non ritornare nel proprio Paese, ma piuttosto ad essere accolta in Occidente.
 
D. – Quante delle persone respinte, da quello che lei ha potuto conoscere e sapere, sono richiedenti asilo?
 
R. – Non sono in grado di capire se tutta questa gente ha diritto di avere asilo politico o meno. Io non guardo in faccia le persone. Vedo che hanno bisogno di mangiare, hanno bisogno di essere curate. Non vedo se hanno diritto o non hanno diritto. Io vedo gente che ha bisogno. Non domandiamo niente: hanno bisogno e quindi diamo. Se c’è qualcuno che riusciamo a capire che vuole ritornare al proprio Paese, lo accompagniamo agli uffici competenti. Accompagniamo le altre persone all’ufficio delle Nazioni Unite per avere una carta delle Nazioni Unite, la carta di rifugiato, che è un documento di identità, che come ben si sa non è riconosciuto dalla Libia. Questo forse potrebbe essere un appello: facciamo in modo che abbiano un documento che sia riconosciuto, accettato anche dalle autorità libiche. Allora, mi domando, come fare, perché questa gente possa avere un documento per farsi valere nella propria identità.

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S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 18:02
Il Sinodo per l'Africa

I vescovi denunciano sfruttamento e corruzione


Organizzazioni non governative e organismi internazionali presenti in Africa, spesso con la scusa di aiutare, vogliono imporre un'ideologia. È una denuncia emersa durante gli interventi liberi dei Vescovi nella quarta Congregazione generale del Sinodo, svoltasi martedì pomeriggio 6 ottobre. A questo atto di accusa è seguito quello sullo sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali da parte di alcune multinazionali e di potenze straniere. Per contrastare questo saccheggio è stato proposto di stilare un codice di condotta per quanti vogliono operare sul territorio africano.
Uno degli aspetti più inquietanti dello sfruttamento della natura in Africa è la lotta per il controllo delle risorse idriche. Proprio il problema della privatizzazione dell'acqua da parte di grandi imprese agricole e di multinazionali produce conflitti sociali. È quanto ha evidenziato un padre sinodale, definendolo una delle emergenze più acute per il futuro del continente. La Santa Sede - è stato fatto notare - già da tempo propone che l'accesso all'acqua sia riconosciuto come un diritto umano. Un'altra voce si è levata contro la tratta delle donne e dei bambini. Esiste una rete di persone senza scrupoli che sfrutta i più poveri soprattutto per alimentare il turpe mercato della prostituzione. È stata poi denunciata la presenza di organizzazioni che operano anche fuori del continente implicate nel traffico umano.
Riconosciute le emergenze e le urgenze dell'Africa, sono state anche individuate alcune possibilità di intervento. Prima fra tutte la denuncia del malgoverno, della corruzione e degli interessi economici privati di alcuni governanti. La Chiesa dovrebbe collaborare con le istituzioni ma esserne anche la coscienza critica. Altro contributo è quello di proporre e insegnare la dottrina sociale ai politici e a quanti vogliono partecipare alla vita politica. La formazione dei laici è stata più volte segnalata come priorità ineludibile per preparare persone capaci e mature. Altra proposta è stata quella di lanciare un appello a nome di tutto il Sinodo per l'abolizione della pena di morte, troppe volte usata come strumento per eliminare gli avversari politici. Infine, è stata espressa solidarietà a monsignor Maroy Rusengo, arcivescovo di Bukavu nella Repubblica Democratica del Congo, che ha lasciato il Sinodo per far rientro in patria dopo aver denunciato le aggressioni subite dai cristiani nella sua diocesi.
I lavori sono proseguiti questa mattina con la prima riunione dei circoli minori.



(©L'Osservatore Romano - 8 ottobre 2009)
S_Daniele
00giovedì 8 ottobre 2009 10:18
La Chiesa, unico sostegno di un popolo terrorizzato e umiliato

Parla mons. Francois Xavier Maroy Rusengo, Arcivescovo di Bukavu


di Chiara Santomiero

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Mentre prendiamo la parola in queste riunioni, gli agenti pastorali nella nostra arcidiocesi vengono attaccati dai nemici della pace”. La violenza e il terrore sono entrati drammaticamente nell’aula del Sinodo, martedì, attraverso la denuncia di mons. Francois Xavier Maroy Rusengo, Arcivescovo di Bukavu, nella Repubblica democratica del Congo, che ha annunciato di dover lasciare i lavori dell’assemblea per tornare al fianco delle sue comunità minacciate.

“Una parrocchia è stata incendiata lo scorso 2 ottobre – ha raccontato il presule –, i sacerdoti sono stati maltrattati, altri presi in ostaggio da uomini in uniforme che hanno preteso un grosso riscatto che siamo stati costretti a pagare per risparmiare la vita dei nostri sacerdoti”.

“La Chiesa – ha affermato Rusengo – è rimasta l’unico sostegno di un popolo terrorizzato, umiliato, sfruttato, dominato che si vorrebbe ridurre al silenzio”. Una Chiesa che lavora attivamente per la riconciliazione dopo le guerre e le violenze che hanno sconvolto la parte orientale del Paese con la consapevolezza che “la riconciliazione non possa più limitarsi semplicemente ad armonizzare le relazioni interpersonali”.

Vanno, infatti, prese in considerazione “le cause profonde delle violenze che sono essenzialmente le risorse naturali”. In questa prospettiva si colloca il lavoro della Commissione Giustizia e pace dell’arcidiocesi “affinché la riconciliazione si attui attraverso la ricostruzione comunitaria”.

“Questo tipo di approccio – ha spiegato Rusengo – va inteso come risposta ai traumi comunitari, spesso dimenticati, allo scopo di rendere la gente responsabile e protagonista di un cambiamento positivo”.

Esso richiede “il potenziamento dell’istruzione di base e la creazione di spazi di dialogo per un’effettiva partecipazione della popolazione alla gestione delle ricchezze per concorrere alla ricostruzione, allo sviluppo, alla riconciliazione e a una coabitazione pacifica”.

A mons. Rusengo e alla sua comunità hanno espresso la propria vicinanza molti padri sinodali i quali nei successivi interventi liberi hanno richiesto che la solidarietà dell’assemblea venga espressa in maniera esplicita attraverso una menzione nel messaggio finale di tutti i fratelli che soffrono a causa della fede.Il presidente di turno dell’assemblea, il Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban, ha assicurato a mons. Rusengo la preghiera della comunità sinodale.


Card. Kasper: rafforzare il dialogo con le chiese ortodosse in Africa

E' importante “tener conto del contesto delle radici culturali africane”



di Chiara Santomiero

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Il tema del Sinodo rappresenta una sfida alla Chiesa in Africa affinché acuisca la propria visione ecumenica”: lo ha affermato martedì nel suo intervento in aula, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

“La Chiesa cattolica in Africa – ha spiegato Kasper – ha mantenuto un dialogo costante con le tradizioni protestanti storiche e oggi anche con quelle più giovani”. La recente rapida diffusione nel continente dell’ortodossia “rende fondamentale impegnarsi in rapporti positivi anche con i nostri fratelli e le nostre sorelle ortodosse”. Sono necessari, secondo il porporato “un mutuo andarsi incontro e una grande capacità di dialogo”.

Vanno pure incentivate le relazioni ecumeniche con “i movimenti evangelici, carismatici e pentecostali, anche per la rilevanza delle loro espressioni indigene e della loro affinità con la visione del mondo culturale tradizionale africano”.

Il dialogo e la ricerca dell’unità devono “tener conto del contesto delle radici culturali africane”. “Infatti le radici di alberi diversi – ha dichiarato Kasper –, separati ma vicini tra loro, si intrecceranno anche se continuano ad essere distinte nella lotta per accedere alle stesse sorgenti di vita che sono il suolo e l’acqua”.

Questo intrecciarsi “è emblematico dell’avvicinamento ecumenico, collegato all’intera questione dell’inculturazione”.

“La Chiesa cattolica in Africa – ha concluso Kasper – viene incoraggiata a costruire ponti di amicizia” e a “offrire ai popoli del continente la ricerca dell’unità come tesoro autentico del Vangelo”.

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