Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: 1, 2, 3, 4, 5, [6], 7, 8
S_Daniele
00lunedì 12 ottobre 2009 18:57
La denuncia del Sinodo

La corruzione politica frena lo sviluppo dell'Africa


La corruzione degli uomini politici è una delle piaghe più dannose per l'Africa. Un tema, quello della corruzione politica, ricorrente durante la prima settimana dei lavori sinodali, è stato, lunedì mattina 12 ottobre, più volte rilanciato durante i lavori della undicesima Congregazione generale, svoltasi alla presenza del Papa. Erano presenti 221 padri sinodali. Presidente di turno il cardinale Théodore-Adrien Sarr. "La politica - è stato più volte ripetuto - è una cosa troppo importante per essere lasciata soltanto ai politici". La corruzione "figlia di un'assente o ancora immatura cultura politica è la vera piaga dell'Africa". Su questa linea l'intervento del cardinale Wilfrid Napier, arcivescovo di Durban. È vero, ha ricordato, che dal 1994 (anno del precedente Sinodo per l'Africa) ad oggi non ci sono stati molti colpi di Stato nel continente, ma "il mostro della conquista del potere in modo non democratico" ha aggiunto il cardinale, non è certamente stato debellato. Ha solo cambiato faccia e strategia. Si sono verificati anche colpi di Stato silenziosi, soprattutto quando è sempre lo stesso partito politico a monopolizzare il potere accusando gli avversari di essere controrivoluzionari, di essere razzisti. Questo è indice di un cambiamento di mentalità:  dal dittatore unico alla dittatura del partito. Botswana, Angola, Zimbabwe e Mozambico da quando hanno conseguito l'indipendenza sono guidati sempre dagli stessi partiti; niente da eccepire se il popolo conferma liberamente il loro mandato, ma bisogna vigilare che l'ideologia predominante non metta a tacere di fatto tutto ciò che percepisce come estraneo o nemico.
Tra gli altri intervenuti monsignor Cosmas Zumaire Lungu, dello Zambia, ha focalizzato l'attenzione sulla questione dei media. Ha detto che la radio è un potente strumento di evangelizzazione, soprattutto in zone rurali dove l'analfabetismo è molto alto. L'arcivescovo Bressan ha invece posto l'accento sull'aiuto che alla missione in Africa viene offerto dai consacrati italiani. Oggi, ha detto, in Africa lavorano oltre tremilaseicento missionari e molti subiscono ancora violenze e martirio. Ma la santità, ha aggiunto, è il nostro scopo, il resto è una conseguenza.
Monsignor Martin Igwemetzie Uzoukwu, vescovo di Minna, in Nigeria, ha proposto di potenziare le occasioni di incontri di preghiera tra cristiani e musulmani. Ha portato il contributo dell'esperienza maturata nella regione del suo Paese, in cui è in vigore la sharia. Ha raccontato di un gruppo cattolico femminile Zumunta Mata, che promuove iniziative di preghiera insieme a famiglie islamiche e costruisce il dialogo dal basso, nella vita quotidiana. L'arcivescovo Gianfranco Ravasi nel suo intervento si è soffermato sulla ricchezza culturale del continente nero, sottolineando la grande dovizia di classificazioni grammaticali. Di fronte a un simile scrigno di tesori culturali e spirituali fatto di tradizioni popolari e familiari, di simboli e riti religiosi, di sapienza, memoria, folclore, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha poi auspicato che l'Africa custodisca la propria identità spirituale e artistica, impedendo che si dissolva sotto il vento della secolarizzazione e della globalizzazione che soffia con forza anche sulle 53 nazioni africane. L'intervento di Ravasi si è concluso con una citazione da Ostie nere di Léopold Sédar Senghor:  "Ai piedi della mia Africa crocifissa da 400 anni ma che ancora respira, lasciami dire, Signore, la sua preghiera di pace e di perdono. Signore Dio, perdona l'Europa bianca che ha dato caccia ai miei figli come a elefanti selvaggi. Uccidi però, o Signore, anche il serpente dell'odio che ora leva la testa nel nostro cuore e ci spinge a combatterci tra noi africani. Uccidilo, Signore, perché l'Africa prosegua il suo cammino nella riconciliazione e nella pace".
Anche lunedì mattina è entrato nella discussione sinodale il problema delle donne. Ne ha parlato monsignor Théophile Kaboy Ruboneka. Si è soffermato sul dramma che esse vivono, "umiliate sia dalla nuova etica mondiale che dai pregiudizi delle culture tradizionali". Ha proposto l'istituzione di strutture di accoglienza per giovani donne violentate e traumatizzate dalla guerra, visto che "sono le ragazze e le giovani madri che spesso subiscono le peggiori ferite durante i conflitti".
La conferma della drammaticità della situazione è venuta dalla commovente testimonianza di Marguerite Barankitse, fondatrice della Maison Shalom a Ruyigi in Burundi. "Non dimenticherò mai il 24 ottobre del 1993; mi ero rifugiata nel vescovado per sfuggire alla violenza e ho assistito al massacro di 73 persone, compiuto da gente della mia stessa etnia". All'interno pubblichiamo gli interventi dei padri sinodali svolti durante la nona e la decima Congregazione generale.



(©L'Osservatore Romano - 12-13 ottobre 2009)
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 05:36
La terribile violenza contro le donne in Congo

di Chiara Santomiero

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Come parlare di riconciliazione e di autentica pace in una società nella quale i figli sono stati costretti a violentare le loro madri e le loro sorelle davanti allo sguardo impotente dei loro padri? Quale avvenire garantire ai ragazzi arruolati con la forza dai gruppi armati e divenuti carnefici delle loro madri e sorelle? Cosa raccontare ai bambini nati dalle violenze? Quale armonia sociale aspetta una gioventù nata da madri traumatizzate?”.

Le domande di mons. Théophile Kaboy, vescovo coadiutore di Goma nella Repubblica democratica del Congo, riportate dal portavoce nel consueto briefing di fine mattinata, hanno gelato i giornalisti riuniti nella sala stampa della Santa Sede, così come avevano provocato poco prima lo sgomento dei padri sinodali durante l’undicesima congregazione generale.

“I conflitti e le guerre – ha affermato Kaboy nel suo intervento di stamattina – hanno portato, specialmente in Congo, alla vittimizzazione e alla ‘cosificazione’ della donna. Su migliaia di donne sono state perpetrate, da tutti i gruppi armati, violenze sessuali di massa, come arma di guerra, in flagrante violazione delle disposizioni giuridiche internazionali”.

Diverse le proposte avanzate dal vescovo di Goma per lenire le conseguenze di traumi tanto brutali, a partire dalla lotta alla violenza sessuale “risalendo alla sua causa ultima che è la crisi di governabilità causata dalle guerre, i saccheggi e lo sfruttamento anarchico delle risorse naturali, il traffico delle armi, l’assenza di un esercito statale forte”.

Nell’immediato occorre, inoltre, provvedere alla creazione di case di accoglienza che accompagnino il percorso di recupero dal trauma delle donne vittime di violenza.

Tuttavia la risorsa principale contro la cultura della violenza è costituita dalle donne stesse e dal riconoscimento del loro ruolo da parte dell’intera comunità, anche ecclesiale. Diversi interventi in aula degli scorsi giorni lo hanno sottolineato, in particolare quelli di sr. Felicia Harry, Superiora generale delle Suore missionarie di Nostra Signora degli apostoli in Ghana; di sr. Paolina Odia Bukasa, Superiora generale delle Suore “Ba-Maria” di Buta Uele nella Repubblica democratica del Congo e di mons. Telesphore George Mpundu, arcivescovo di Lusaka in Zambia.

“Noi vescovi – aveva affermato mons. Mpundu – dobbiamo parlare in modo più chiaro ed insistente in difesa della dignità delle donne alla luce delle Scritture e della Dottrina sociale della Chiesa”.

“Occorre porre in essere – ha sostenuto a sua volta mons. Kaboy - delle strutture di promozione delle donne” al fine di ottenerne il pieno coinvolgimento a livello parrocchiale e diocesano. La stessa formazione attraverso la catechesi e l’alfabetizzazione deve mirare “a una presa di coscienza delle donne che permetta loro di svolgere adeguatamente il proprio ruolo”.

Sono altresì necessari “centri di formazione delle donne alla pace” così come “il coinvolgimento diretto delle donne nelle Commissioni ‘Giustizia e pace’ perché le donne promuovano la pace e lottino contro le idee che le umiliano veicolate dalla nuova etica mondiale e da certe tradizioni culturali”.

Purtroppo contro violenze devastanti che calpestano tanto profondamente la dignità umana, gli interrogativi sorpassano i tentativi di soluzione e riconciliazione.

“Quale accompagnamento offrire ai bambini frutto di tali violenze, alle loro madri e a comunità che li respingono perché vedono in loro i segni permanenti dei propri traumi?”, si è chiesto mons. Kaboy.

Si tratta di un problema, ha concluso “per il quale aspettiamo l’aiuto di questa assemblea”.

Il Sinodo rende omaggio alle “nigrizie” americane

Intervento di monsignor Jorge Enrique Jiménez Carvajal



di Jesús Colina


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Il Sinodo dei Vescovi dell'Africa ha avuto una parola anche per gli uomini e le donne che vivono nel continente americano ma i cui antenati sono stati strappati dalle terre africane.

Monsignor Jorge Enrique Jiménez Carvajal, C.I.M., Arcivescovo di Cartagena, in Colombia, è intervenuto venerdì all'assemblea, alla quale sta partecipando per nomina esplitica di Benedetto XVI.

Le sue parole sono servite a ricordare che “migliaia e migliaia di esseri umani di razza nera giunsero in America per essere venduti all’asta e condannati a lavorare fino alla morte”.

Cartagena, la città del Vescovo, “ebbe la triste fortuna di essere uno dei porti principali di questo infame commercio, ma ebbe quella più grande di accogliere la grande testimonianza di santità del gesuita Pedro Claver, apostolo degli schiavi, il cui corpo riposa nella nostra Cattedrale, il quale visse per proteggerli, guidarli verso la fede e insegnar loro l’amore verso Dio e l’amore di Dio, amore che senza dubbio li aiutò a sopravvivere e che oggi permette loro di esprimersi dalla prospettiva della fede cristiana”.

“Pedro Claver aspettava le 'navi negriere' in un’ottica diversa da quella di coloro che commerciavano con esse. Per quei trafficanti, arrivavano 'schiavi da lavoro', ma per l’apostolo arrivavano 'figli di Dio' che chiedevano di conoscere tutta la verità del Vangelo”.

Il presule ha quindi spiegato ciò che hanno sentito gli africani portati in America: “Il Nero cresce nella Fede e la vive, ma si domanda perché il compagno, che professa la stessa fede, usi la frusta e non trova risposta”.

“Tutto questo capitolo della 'Storia Universale dell’Infamia'” “è stato scritto 15 secoli dopo l’avvento di nostro Signore Gesù e fa parte di una tenebra che dobbiamo lasciarci alle spalle per raggiungere livelli di dignità più elevati in un mondo 'falsamente globalizzato'”, ha avvertito.

“L’Africa è la 'Grande Patria' di tutte le nostre nigrizie, dal Canada fino alla Terra del Fuoco, ivi compresa la meravigliosa presenza di questa razza nelle Antille e nei Caraibi”.

“Tante delle cose che hanno reso grande il Continente americano sono state possibili unicamente grazie al contributo dei neri, eredi di tante ricchezze ancor oggi sconosciute, eredi di una grande abbondanza di simboli che con il tempo avrebbero arricchito il messaggio cristiano, eredi di quella stessa gioia con cui i loro antenati abbracciarono la fede, non importa quanto la vita sia stata dura con loro. La storia dell’Africa in America non è storia di ieri, è un oggi vivo”, ha aggiunto.

Per questo motivo, crede che il Sinodo debba “spendere una parola per i neri americani”, sottolineando di aver usato la parola “americano” per riferirsi a tutta l’America.

“Gran parte del loro cuore è ancora vivo e continuerà a vivere in Africa, per tanto percepiranno e vivranno come proprio ciò che accadrà in quel continente”, ha dichiarato.

 Un Cardinale smaschera gli “assassini finanziari” dell'Africa

Le istituzioni finanziarie che impongono crediti che non si pagano mai


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Il Cardinale Bernard Agré della Costa d'Avorio ha preso la parola nel Sinodo dei Vescovi per l'Africa per smascherare gli “assassini finanziari”, uomini e istituzioni che affogano con prestiti iniqui i Paesi del continente.

L'Arcivescovo emerito di Abidjan ha iniziato il suo intervento spiegando che “le giovani Nazioni dell’Africa hanno dovuto fare ricorso a banche internazionali e ad altri organismi finanziari per realizzare i numerosi progetti volti al loro sviluppo”.

“Molto spesso – ha denunciato – i dirigenti poco preparati non sono stati molto attenti e sono caduti nelle trappole di coloro, uomini e donne, che gli intenditori chiamano 'gli assassini finanziari', sciacalli mandati da organismi avvezzi ai contratti sleali, destinati ad arricchire le organizzazioni finanziarie internazionali abilmente sostenute dai loro stati o da altre organizzazioni immerse nel complotto del silenzio e della menzogna”.

“I profitti strabilianti vanno agli assassini finanziari, alle multinazionali e ad alcuni personaggi potenti del Paese stesso che fanno da paravento agli affari stranieri”, ha constatato.

In questo modo, “la maggior parte delle Nazioni continua a marcire nella povertà e nelle frustrazioni che questa genera”.

Gli “assassini finanziari”, “si mettono d’accordo con i loro interlocutori locali, affinché gli ingenti importi prestati col sistema degli interessi composto non possano mai essere rimborsati in breve tempo e interamente”.

“I contratti di esecuzione e di manutenzione sono devoluti abitualmente, sotto forma di monopolio, ai rappresentanti dei prestatori. I Paesi beneficiari ipotecano le loro risorse naturali. Gli abitanti, per generazioni, sono incatenati, prigionieri per lunghi anni”.

Per rimborsare questi “debiti inestinguibili”, che rappresentano “una minaccia, come la spada di Damocle sulla testa degli Stati”, la voce del debito incide pesantemente sul bilancio statale, nell’ordine del 40-50% del Prodotto nazionale lordo.

“Legato in tal modo, il Paese respira male, deve stringere la cintura davanti agli investimenti, le spese necessarie per l’istruzione, la salute, lo sviluppo in generale”.

Il debito diviene quindi “un paravento politico per non soddisfare le legittime rivendicazioni, con il seguito di frustrazioni, disordini sociali, ecc. Il debito nazionale sembra una malattia programmata da specialisti degni dei tribunali che giudicano i crimini contro l’umanità, la cospirazione malvagia per soffocare intere popolazioni”.

In questo senso, secondo il Cardinale, la Chiesa, “luce del mondo”, deve “svolgere il suo ruolo profetico” impegnandosi “concretamente in questa lotta per far emergere la verità”.

“Gli esperti sanno che da anni la maggior parte dei debiti è stata effettivamente rimborsata. Sopprimerli, puramente e semplicemente, non è più un atto di carità, ma di giustizia”.

Per questo, il Cardinale ha chiesto al Sinodo per l'Africa di considerare il problema del condono del debito.Per “non fermarsi soltanto all’aspetto sentimentale”, suggerisce che “una Commissione internazionale, composta di esperti dell’alta finanza, pastori bene informati, uomini e donne del Nord e del Sud”, prenda in mano il problema.

La Commissione dovrà “studiare la fattibilità dell’operazione”, “prendere ogni tipo di provvedimento per evitare di ricadere nelle stesse situazioni”, “sorvegliare concretamente l’uso trasparente delle somme così economizzate” ed “evitare che dalle ricadute di questa abbondante manna del secolo traggano vantaggio sempre le stesse persone”. 
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 05:38
Presentato al Papa e ai padri sinodali il “Breviario per l'Africa”

“Uno splendido dono per la Chiesa africana”, spiega il curatore



ROMA, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

E' stato presentato questo venerdì al Papa e ai padri sinodali il “Breviario per l'Africa”, la nuova edizione della Liturgia delle Ore delle Pauline Publications Africa la cui preparazione è iniziata 4 anni fa su richiesta dei Vescovi dell'Associazione dei Membri delle Conferenze Episcopali dell'Africa Orientale (AMECEA).

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha incoraggiato il progetto, che contiene alcune novità, a cominciare dal fatto che “la celebrazione domenicale della preghiera del mattino e della sera è stata arricchita da nuove antifone al Benedictus e al Magnificat in conformità al Vangelo di ogni domenica”, che “sottolineano splendidamente il legame tra l'Eucaristia domenicale e la Liturgia delle Ore”, ricorda il curatore, padre Rinaldo Ronzani, mccj.

Accanto a questo, figurano “tutti i nuovi Memoriali inseriti nel Calendario Generale Romano negli ultimi anni” e “il Calendario Specifico per il Kenya, che include santi africani di vari luoghi e tempi e alcune celebrazioni in onore della Madonna”, così come alcuni missionari che hanno portato la fede in Africa.Il testo completo della Liturgia delle Ore appare in quattro volumi: Avvento e Tempo di Natale; Quaresima, Triduo Santo e Tempo Pasquale; Tempo Ordinario settimane 1-17 e Tempo Ordinario settimane 18-34.

Accanto ai quattro volumi ce ne sono anche due più piccoli: il primo conterrà fondamentalmente tutti i testi dei quattro volumi tranne l'Ufficio delle Letture ed è dedicato ai seminaristi e ai laici che vogliono pregare la Liturgia delle Ore in comunione della Chiesa; il secondo offrirà solo la preghiera del mattino, dei vespri e della sera.

Per padre Ronzoni, questa nuova edizione della Liturgia delle Ore è “uno splendido dono per la Chiesa africana”, oltra a rappresentare la prima occasione in cui un progetto di questo tipo viene sviluppato nel continente.

Il Breviario è stato presentato ai padri sinodali il 9 ottobre durante il secondo Sinodo per l'Africa, “una chiamata al rinnovamento spirituale e a un nuovo sforzo di evangelizzazione”.

“Per la prima volta la Chiesa in Africa ha la propria Liturgia delle Ore”, “il più grande dono alla Chiesa universale e un grande onore di cui può essere fiera”, ha spiegato suor Teresa Marcazzan, direttrice delle Edizioni Paoline per l'Africa, in occasione della presentazione.

“Speriamo e preghiamo che questo Breviario possa diventare uno strumento di rinnovamento spirituale per i sacerdoti e il popolo di Dio in Africa”, ha aggiunto.

Il ruolo della Chiesa nel Darfur

di Chiara Santomiero


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Oltre a quello di pregare incessantemente per la pace, quale può essere il ruolo della Chiesa nella difficile situazione politica del Darfur, in Sudan? Come intervenire per risolvere la grave crisi umanitaria ancora in atto? Quali sono le forze attive in campo? Quale ruolo gioca una grande potenza come la Cina?

Soprattutto domande nei quattro interventi liberi che hanno seguito, il 10 ottobre scorso, il contributo dell’invitato speciale Rodolphe Adada, già rappresentante speciale congiunto del Segretario generale delle Nazioni Unite e del Presidente della Commissione dell’Unione africana nel Darfur, la cui dettagliata esposizione della complessa situazione della regione sudanese ha occupato un largo spazio della nona congregazione generale.

“La Chiesa – aveva affermato Adada nel suo intervento, tratteggiando i possibili scenari dell’immediato futuro del Darfur – ha un ruolo preminente da svolgere in un Sudan pluralista, fra il Sud cristiano e animista e il Nord musulmano dove c’è il Darfur”.

E’ quanto ha ribadito nella replica agli interventi: “La Chiesa deve avere uno sguardo d’insieme sui problemi in gioco ed elevare la sua voce come un grido”.Adada ha quindi esplicitato alcuni dei molti aspetti da considerare, oltre a quelli già citati nella relazione. La stessa “natura dello stato sudanese dopo l’accordo di pace è confusa” e sono in vigore due leggi: “nel nord musulmano, vige la sharia”. Il Sudan meridionale, a sua volta, soffre di disorganizzazione e “il referendum per l’autodeterminazione previsto nel 2011 probabilmente sancirà la secessione dal resto del paese”.

Bisogna considerare il peso delle lotte inter-tribali: “a gennaio – ha raccontato Adada – in occasione della festa per la pace, sono scoppiate grandi violenze tra gruppi tribali che hanno provocato decine di morti”. Per quale motivo? “Non erano riusciti a mettersi d’accordo su quale gruppo dovesse ballare per la pace nei festeggiamenti”.

“Quello del Darfur è un problema internazionale” ha sottolineato Adada, che nella relazione aveva ricordato come “il Sudan è il più grande paese dell’Africa, alla cerniera di due mondi – l’Africa e il mondo arabo – e confina con 9 paesi africani”.

Va considerata, per esempio, la presenza di ribelli anche in Uganda e il rapporto non facile con l’Eritrea, mentre “l’Etiopia è interessata alla pace ed ha contribuito mettendo a disposizione 5 elicotteri”. Quanto alla Cina “è vero che fornisce armi ma è una forza da utilizzare perché, al tempo stesso, contribuisce al processo di pace”.

“Per la pace del Sudan – ha concluso Adada – è necessario l’intervento della comunità internazionale e il contributo di tutti”.
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 17:57


L'intervento di Jacques Diouf al Sinodo per l'Africa

Il mondo degli affamati si attende molto dalla Chiesa


Il Papa il 16 novembre prossimo al vertice della Fao sulla sicurezza alimentare

Il mondo degli affamati si aspetta molto dalla Chiesa, dalla sua capacità di diffondere la dottrina sociale. Così come si aspetta molto dalla convergenza degli insegnamenti religiosi, "in particolare della Chiesa cattolica e dell'islam", nell'ottica della responsabilità sociale di una gestione razionale delle risorse a disposizione dell'umanità intera. È stato con un elogio all'azione dei missionari in Africa che Jacques Diouf, direttore dell'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), ha esordito nel pomeriggio di lunedì 12 ottobre, nel suo intervento a conclusione dei lavori della dodicesima congregazione generale dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi. "Voglio sottolineare - ha ripetuto - l'azione della Chiesa cattolica e dell'islam nel vagliare una strategia d'azione che rispetti le persone e i beni di questo mondo, senza eccessi e senza sprechi".
Un impegno, quello della Chiesa cattolica, che sarà ribadito da Benedetto XVI lunedì 16 novembre prossimo, quando inaugurerà il vertice mondiale sulla sicurezza alimentare a Roma, nella sede della Fao. Un appuntamento rilevante considerando l'aggravarsi dell'insicurezza alimentare mondiale, che continua a essere una delle più pericolose minacce per l'umanità.
Diouf ne ha dato conto al Sinodo elencando i dati più recenti sul fenomeno, raccolti dalla Fao. Ha fatto notare che, nonostante nell'ormai lontano 1996 per la prima volta il vertice mondiale sull'alimentazione si impegnò a dimezzare la sotto-alimentazione del pianeta, le statistiche più recenti non mostrano segni di miglioramento. E rispondendo a quanti cercano di indicare come causa del fallimento dei programmi alimentari l'aumento della popolazione, Diouf ha smentito nel modo più assoluto ogni possibile accostamento in questo senso. Ha indicato invece una serie di mancanze di cui soffrono tanti Paesi, da quella dell'acqua, all'assoluta indisponibilità di tecnologie, di una benché minima organizzazione strutturale. Ed è impossibile, ha ribadito, vincere la fame e la povertà in Africa senza aumentare la produttività agricola. Per avere un'idea di quanto affermato dal direttore, basti pensare che in America il solo 4 per cento della popolazione che si occupa di agricoltura, produce per il restante 96 per cento. Mentre nei Paesi poveri l'86 per cento della popolazione impegnata in lavori agricoli non riesce neppure a sfamare sé stessa. Dunque il problema del rapporto fame-aumento della popolazione è un falso problema, poiché, come ha ripetuto Diouf rispondendo a un'altra domanda di un padre sinodale, questa volta sugli ogm, è una questione di disponibilità di risorse e di sementi buone e non avariate o improduttive, di strutture per la conservazione. In sostanza la riaffermazione di quanto aveva detto poco prima nel suo discorso ufficiale:  "Una visione di un mondo libero dalla fame è possibile solo se esiste una volontà politica ai livelli più alti". E per la formazione di questa volontà una grande fiducia è riposta proprio in quelle "grandi forze spirituali e morali" che ha ribadito il direttore generale della Fao "sono per noi un sostegno inestimabile".
Martedì mattina, tredicesima congregazione, presenti 219 padri sinodali, il presidente delegato di turno era il cardinale Arinze. Ci sono stati 27 interventi. Anche questa mattina si è rinnovato l'appello per l'abolizione della pena di morte laddove ancora è praticata.
Tra gli intervenuti, Monsignor Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou in Ciad, ha sottolineato gli effetti collaterali negativi dell'assistenzialismo. Contare su un benefattore per ogni necessità - ha detto - rende pigri. L'aiuto deve essere teso a rendere autosufficienti le giovani generazioni locali, e non abituarle ad aspettarsi la risoluzione dei problemi dall'esterno. Dello stesso avviso monsignor Matthias N'Gartéri Mayadi, arcivescovo di N'Djaména, che ha parlato della difficile situazione politica del Ciad. Monsignor John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, in Uganda, ha parlato della piaga dei bambini soldato, purtroppo molto diffusa negli ultimi anni nella sua diocesi; secondo stime recenti dai 20 ai 30 mila bambini hanno subito questa terribile violenza che "grida vendetta agli occhi di Dio".


(©L'Osservatore Romano - 14 ottobre 2009)
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 20:26

“Relatio post disceptationem” del Cardinale Turkson


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 13 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della “Relatio post disceptationem” svolta dal Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Relatore generale al Sinodo dei Vescovi, nel pomeriggio di martedì.




* * *


Introduzione

La Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi offre un'opportunità singolare per approfondire la comprensione della Chiesa come Famiglia di Dio e per riflettere sulla propria missione permanente in Africa e nelle sue Isole. In questo senso, sarebbe auspicabile che il riferimento alla «Chiesa in Africa» nel tema del Sinodo suoni «Chiesa - Famiglia di Dio in Africa».

Quando, nel suo discernimento apostolico, il servo di Dio Giovanni Paolo II riconobbe che il tempo era arrivato per passare dall'attuazione di Ecclesia in Africa alla convocazione di una seconda Assemblea Speciale per l'Africa, fece riferimento di nuovo alle «luci ed ombre» nel continente e nelle sue Isole per esortarlo ad uno sforzo di collaborazione ed a rafforzare la sua fede in Cristo. «... L'Africa», disse, «deve sempre affrontare terribili flagelli, come i conflitti armati, la povertà persistente, le malattie e le loro conseguenze devastanti, cominciando dal dramma sociale dell'Aids, dal diffuso senso di insicurezza ed infine, dalla corruzione che esiste in molte regioni. Tutto ciò indebolisce l'Africa e estenua la sua energia, colpisce le sue giovani generazioni ed ipoteca il suo futuro. Per costruire una società prospera e stabile, l'Africa ha bisogno che tutti i suoi figli uniscano le loro forze... Possa la futura Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa favorire anche un rafforzamento della fede nel Cristo Salvatore e un'autentica riconciliazione!» (1).

L'attuale è quella «futura assemblea speciale per l'Africa», grazie a Sua Santità Papa Benedetto XVI, che benevolmente ha confermato il progetto del suo predecessore e ne ha formulato il tema (2).

Passando in rassegna le istanze e le riflessioni su queste «luci ed ombre», come i padri sinodali le hanno espresse, le considereremo come sfide ed opportunità per la conversione, alla luce della nostra fede in Cristo, che il primo Sinodo chiamò «nostra speranza e nostra risurrezione». La trasformazione di queste «luci ed ombre» in Cristo ci dovrebbe portare al rafforzamento della nostra fede in Cristo, nostro Salvatore, nostra riconciliazione, e nostra giustizia e pace (Instr. Lab., 46).

Riuniti di nuovo in un'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi

Benché sia chiaro che la maggior parte dei partecipanti alla nostra assemblea siano Africani o a loro collegati, ciò non può venire a detrimento né diminuire il carattere ecclesiale veramente universale di questa assise e del suo esercizio collegiale. Esso è un esercizio di comunione ecclesiale; e la nostra assemblea vi è stata richiamata diverse volte. Quindi, questo Sinodo, come ogni Sinodo, celebra il suo stretto vincolo tra il Sommo Pontefice ed i Vescovi, assiste il Vescovo di Roma nella sua missione universale, e studia e riflette insieme con il Santo Padre sui problemi e sugli argomenti in relazione alle attività della Chiesa nel mondo. Così è la Chiesa universale che è riunita in Sinodo circa la propria presenza in Africa, che sia presente a pregare con il Santo Padre e ad esprimere opinioni o che sia fisicamente assente, ma unita in pensiero e nella preghiera con l'assemblea sinodale. Questo è un esercizio della famiglia di Dio universale e del corpo mistico... unito in sé nella comune vita in Cristo. Non è quindi un affare esclusivamente Africano né un'assemblea con partecipanti non-Africani. Piuttosto è il discernimento della Chiesa universale su come mantenere sano per l'umanità l'enorme polmone spirituale dell'Africa (cfr. Omelia del Papa), per realizzare la sua missione di sale e luce.

Altre strutture di comunione ecclesiale

Partendo dalla natura di «Sinodo» come esercizio di comunione ecclesiale, i padri sinodali hanno proseguito osservando e sottolineando la necessità dell'unità dei Vescovi (Instr. Lab., 110), della loro vita in comunione ecclesiale, da loro testimoniata nelle varie forme ed organi di condivisione nel ministero. Al riguardo, molti padri sinodali si sono riferiti al secam, ed alla necessità per i pastori del continente di collaborare con questo organismo, che i loro predecessori fondarono 40 anni fa, per promuovere l'«Evangelizzazione nella corresponsabilità». Le altre Conferenze episcopali continentali: celam (America Latina), fabc (Asia), e ccee (Europa) desiderano stabilire e continuare legami col secam, come anche uscbc (Nord America) e così via.

Si prevede che il secam cerchi di ottenere il ruolo di osservatore presso l'Unione Africana e le Conferenze regionali dovrebbero fare ugualmente con i parlamenti regionali e nazionali, come in Sud Africa.

Una testimonianza attuale di questo desiderio di vivere in un'attiva comunione ecclesiale è la decisione delle due Conferenze episcopali regionali dell'Africa occidentale finora distinte, quella anglofona (aecawa) e quella francofona (cerao), di formare un'unica Conferenza episcopale regionale (recowa/cerao).

Allo stesso modo, gli Istituti di vita consacrata hanno ugualmente confermato la loro esigenza di vivere in comunione, ed i vari gruppi già formati sondano strade di ministero in collaborazione ai livelli della Chiesa continentale, nazionale e locale (es. mac, cosmam ecc.).

Il compito della Seconda assemblea: disgrazie o sfide per l'Africa?

Fin dalla Prima assemblea speciale per l'Africa, sono stati registrati — sia nella Chiesa sia nella parte più ampia della società Africana — alcuni cambiamenti veramente positivi. Alcuni di questi positivi cambiamenti sono attribuibili direttamente agli effetti dello stesso sinodo. Ciononostante, quindici anni dopo la conclusione della Prima assemblea peraltro descritta come il Sinodo della Resurrezione e della Speranza e attesa per segnare un punto di svolta nella storia del continente, permangono ancora alcune ombre all'interno della Chiesa e della società (3).

A proposito di queste «ombre», i padri del sinodo avevano richiamato alcune urgenze e alcune riflessioni in diverse sessioni della stessa assemblea. Così, a proposito delle:

Chiese locali

I padri del sinodo avevano candidamente riconosciuto una inadeguata valorizzazione della donna e dei giovani nelle loro comunità locali e la loro povera formazione alla fede. Gli uomini politici, come altre persone con impegni nella società civile, non avevano sempre goduto di un accompagnamento e di una formazione che li rendesse capaci di una adeguata testimonianza della fede nella loro vita e nel loro lavoro. L'uso dei media avrebbe dovuto essere sviluppato attraverso il ricorso a stazioni Radio locali. La testimonianza della Chiesa, poi, era talvolta compromessa dalle difficoltà che alcuni operatori pastorali hanno nel vivere una vita fedele ai loro voti, alla loro vocazione e al loro stato di vita.

Ambito socio-culturale

I padri del sinodo hanno espresso un gran numero di denunce verso aspetti della società africana. Più ancora che la solitaria menzione del nomadismo e dei conflitti per l'uso dell'acqua e dei terreni di pascolo, molta amarezza è venuta ai padri sinodali dalle linee di tendenza emergenti in una società che, in questo modo, si allontana e si contrappone ai valori tradizionali ed appare moralmente discutibile nelle sue qualità e nelle soddisfazioni che offre. Questa situazione ha originato la suggestione che, piuttosto che di «conflitto di culture», il sinodo dovrebbe considerare questa esperienza come «incontro di culture». Per il resto molte osservazioni riguardavano i soggetti della società.

Molti padri sinodali hanno lamentato la sorte che la famiglia sta correndo in Africa: «la distruzione di una autentica visione del matrimonio e la nozione di una sana famiglia» (Instr. Lab., 31). Hanno indicato che questa istituzione è sotto una seria minaccia di instabilità e dissoluzione a causa della povertà, dei conflitti, delle credenze e delle pratiche tradizionali (stregoneria), delle malattie, principalmente la malaria e l'Hiv-Aids. Vi sono così state indicazioni su iniziative volte a liberare la donna da negative pratiche culturali.

Ma i padri sinodali hanno anche richiamato aspri attacchi alla famiglia ed alla correlata fondamentale istituzione del matrimonio provenienti da ambienti esterni al mondo africano ed attribuibili a matrici diverse: ideologica (ideologia del «genere», nuova globale etica sessuale, ingegneria genetica), clinica (Pianificazione delle nascite, Educazione sanitaria riproduttiva, sterilizzazione), «alternativi» stili di vita oggi emergenti (matrimoni omosessuali, libere convivenze). Ma, da fuori l'Africa arrivano anche alcune nobili iniziative come: la Fondazione Jimmy Carter contro forme di parassitismo in Africa, la Fondazione Tony Blair per una azione interreligiosa contro, ad esempio, la malaria.

La donna, presentata alla Prima assemblea speciale per l'Africa come un «animale da soma», ha cominciato ad ottenere rilievo in alcuni Paesi e ad avere ruoli da leader nel diritto, nella politica, nell'economia e nel mondo tecnologico. In alcune società, tuttavia, le donne sono ancora «risorse sottosviluppate»: subiscono una esclusione dai ruoli sociali, nelle eredità, nei luoghi di educazione e nei centri decisionali. Sono poi vittime senza difesa nelle zone di conflitto: vittime di matrimoni poligamici, di traffici di prostituzione ecc. Ma, anche qui, il nepad chiede ai Governi di accelerare l'accesso delle donne ai centri di potere.

I bambini, «la parte più sofferente della popolazione africana» (Omelia del Santo Padre, 04.10.09), subiscono abusi (bambini-soldato, vengono sottoposti a lavori o venduti) e vengono negati i loro diritti alla educazione. Altrove, però, sono beneficiari di forti programmi scolastici e di accesso alla computerizzazione.

Tra i problemi dell'Africa meritano una particolare menzione i giovani, per la loro esposizione all'abuso della droga, all'infezione da Hiv-Aids, a gravidanze precoci, alle migrazioni, al traffico di persone e ai lavori che li riducono in condizioni servili. Queste sventure fanno risaltare anche la povertà delle politiche governative circa l'educazione o circa programmi di occupazione, le scarse relazioni di questi governi con la Chiesa, in base alla scarsa qualità e incremento della formazione e alla loro opposizione alla Chiesa. Ma, anche qui, occorre menzionare la Hewlett Foundation che lavora per stabilire poli di eccellenza nelle città africane e per arginare le migrazioni e la fuga dei cervelli.

Merita poi una particolare menzione il problema della «migrazione», in rapporto alla attuale produzione di legislazioni dei Paesi occidentali che sembrano mirare a tener lontani gli Africani.

L'Assemblea ha invitato a considerare anche la questione della «etnicità». Quando questa sviluppa atteggiamenti di esclusione, allora distrugge le comunità vive, diventa intollerante verso altre culture e gruppi etnici, quasi una forma di razzismo.

Ambito socio-politico

Lasciando da parte la solitaria menzione della stabilità politica del Senegal, del governo democratico del Sud-Africa e del crescente successo del governo democratico del Ghana, la più parte dei riferimenti alle politiche ed ai governi del continente aveva un tono molto critico per diverse ragioni. I padri hanno proposto che le Chiese locali stabilissero cappellanie e che accompagnassero gli uomini politici con una formazione alla «Dottrina sociale della Chiesa». Il grande bisogno era qui quello di avere governi e politici in grado di assicurare una leadership al servizio dello Stato, con un esercizio trasparente e responsabile del potere, un rispetto dei diritti umani e una amministrazione delle risorse nazionali per il bene comune.

Anche qui, il nepad, sottoscritto da tutti gli stati-membri della Unione Africana, chiede che vi sia rispetto per i governi democratici, che non si tollerino colpi di stato, e che si dia forma a una «Revisione dei meccanismi di Uguaglianza» per correggere le scelte dei governi.

Ambito socio-economico

«Poveri» e «povertà» sono state due espressioni ricorrenti che i padri sinodali hanno usato generalmente riguardo ai loro Paesi, Governi, popolazioni e Chiese. La povertà della popolazione ha giustificato, in molti interventi, lo sviluppo di progetti da parte della Chiesa. Questo ha ispirato iniziative di credito auto-gestito (banche, beni immobili, compagnie di assicurazioni, ecc.), ed è stata occasione di generosa condivisione di esperienze in questa materia. Ma è stata anche motivo per i padri sinodali di richiesta di aiuto.

A livello di nazioni e di Governi, l'Assemblea ha criticato l'incidenza di corruzione e compensi in denaro e di trattative per contratti di investimento, in particolare con industrie che estraggono risorse minerarie, che non portano profitti alla popolazione, ma causano conflitti e degrado ambientale.

L'industrializzazione è scarsa nella maggior parte dei Paesi africani; e le loro economie sono basate sull'agricoltura, sulla produzione di materie prime. Le condizioni stabilite per il commercio dall'Organizzazione mondiale per il Commercio (World trade Organization) e dai Paesi occidentali è questione di vita o di morte per molte economie africane.

Le materie prime (materiale grezzo) che producono benessere economico (economies) sono economie che producono basso reddito, che necessitano di sostegno dai Governi stranieri, dalla Banca mondiale, e da fondi monetari internazionali per finanziare i loro bilanci e portare avanti progetti di sviluppo. Questa è la causa più comune da cui ha «origine la calamità» («les origines calamiteuses», come un padre sinodale ha detto), del peso del debito che è stato menzionato in Assemblea.

Inoltre, si può osservare che gli obiettivi primari di nepad, come struttura strategica di sviluppo economico, sono di eradicare la povertà, collocare i paesi africani sulla via della crescita e dello sviluppo sostenibile, arrestare l'emarginazione dell'Africa nel processo di globalizzazione.

Certamente, l'Africa non è ancora fuori dai problemi. Ci sono ancora «ombre»; ma essa ha fatto alcuni progressi molto modesti. «Mentre la situazione del continente, delle sue Isole e della Chiesa, ancora porta ancora il carico delle «luci ed ombre» che hanno motivato il primo sinodo, essa è cambiata considerevolmente» (4).

Così, nonostante le ombre, la speranza dell'Africa, come dichiarato al primo sinodo, non l'ha mai ingannata. Perché «la speranza non inganna» (Rm 5, 5). In verità, è «nella speranza (che) siamo salvati» (Rm 8, 24), perché noi sappiamo in chi abbiamo creduto (cfr. 2 Tim 1, 12). È la nostra fede nel Signore risorto, che ci dà questa speranza.

Si conviene che la Chiesa può vedere le attuali e persistenti ombre in Africa come sfide ed opportunità per crescere nell'intimità con il Signore.

Le suddette sfide e quelle, molte di più, che sono state menzionate nell'Assemblea (es. l'ambiente, il traffico di armi, ecc.), ci invitano ad una vera conversione del cuore — «i cuori umani feriti, gli ultimi luoghi reconditi all'origine di ogni destabilizzazione del continente Africano» (5) — cosicché noi possiamo essere strumenti effettivi dello Spirito Santo e al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.

Rafforzare la fede in Cristo

Una volta si è ricordato all'Assemblea che «un Sinodo dei vescovi non può essere considerato come una sessione speciale delle Nazioni Unite per l'Africa, con le sue dichiarazioni pubbliche». Questa è stata una potente riscoperta per l'Assemblea sinodale della sua prerogativa di Chiesa riunita e di assemblea di fede che in potere dello Spirito Santo professa la fede in Dio e in Cristo, Suo Figlio, e si riunisce per discernere la volontà di Dio e le direttive per la Sua famiglia in Africa.

Questo è stato seguito da un altro invito dall'Assemblea a vederci come «figli di Dio in Cristo» (comune figliolanza) con tutta l'umanità.

La Prima assemblea speciale, per come può essere richiamato, ha dato alla Chiesa il compito dell'inculturazione, a riconoscersi come famiglia di Dio. Come Chiesa, comunque, questa identità è realizzabile solo in Dio, che è comunione («famiglia»), e mediante Gesù che lo rivela, con la proclamazione del Suo Vangelo.

Come «primogenito di molti fratelli» è Gesù, il Figlio di Dio, che condivide il Suo essere Figlio con noi, costituendo tutti noi come figli (in Lui) ed introducendoci nella vita della Trinità come famiglia di Dio.

Il riferimento alla Chiesa come famiglia di Dio è, allora, non una semplice applicazione di una concezione antropologica; è un'espressione della verità della Chiesa e della sua identità come compartecipazione alla vita del Dio trino e uno mediante Cristo. La missione di Cristo che diviene la vita e il ministero della Chiesa deriva, pertanto, dalla vita di Dio trino e uno; e quando ciò è riconciliazione, giustizia e pace, allora è necessario che si veda che queste scaturiscono dalla vita di Dio. Esse appartengono al Regno di Dio; e sono vissute mediante la fede in Cristo, mediante il quale noi diventiamo figli (e figlie) del Regno.

Allora i padri sinodali in vario modo nei loro interventi hanno affermato la centralità di Cristo nel tema del sinodo, e la necessità di accostarlo e viverlo incentrati in Cristo. L'Instrumentum laboris ha iniziato la discussione del tema del sinodo con un capitolo sulle «Riflessioni teologiche sul tema del sinodo» (pp. 13-18), e ha proseguito con una sezione su «Attingere forza nella fede in Cristo» (75-86).

La presentazione del tema del sinodo nella «Relatio ante disceptationem» è stata fortemente centrata in Dio e in Cristo. Nelle loro presentazioni, i padri sinodali e gli altri partecipanti sono stati chiamati a vario titolo a svolgere una riflessione cristologica, eucaristica, pneumatologica e perfino escatologica sul tema del sinodo.

Gli attori del tema, in accordo con l'Assemblea, devono evangelizzarsi, convertirsi, formarsi nella fede e testimoniare con la vita l'essere discepoli di Cristo (come Charles de Foucauld); per questo è il nostro comune essere figli in Cristo che costituisce la base della nostra giustizia e della nostra riconciliazione.

Allora tutte le forme di esperienza e di (pratica) concretizzazione del tema del sinodo (riconciliazione, giustizia e pace) necessitano di essere «evangelizzate» dal Vangelo.

Cristo nostra riconciliazione

Nell'Assemblea si è osservato (Relatio ante disceptationem) che «in una Chiesa, che è una famiglia nella comunione, la riconciliazione diventa non uno stato o un agire, ma un processo dinamico, un compito da comprendere ogni giorno, uno scopo per cui lottare, una realtà da ristabilire senza fine, con amore, misericordia, amicizia tollerante, legami fraterni, fiducia e confidenza». Ed è della massima importanza, che ciò è richiesto dalla nostra natura e dalla nostra identità: che noi siamo con Dio, e con Cristo prima che con Dio. È la nostra relazione con Dio e l'uno con l'altro, in Cristo, che richiede riconciliazione; e il suo scopo è di porre rimedio e ristabilire la comunione che fondano il legame con Dio e la nostra Figliolanza in Cristo, che il peccato minaccia e spezza.

È in Cristo, allora, che noi abbiamo la comunione con Dio: ed è in Lui che noi abbiamo la riconciliazione con Dio. In verità, Egli è la nostra riconciliazione; ed è attraverso di Lui ed in Lui che noi diamo e riceviamo la riconciliazione.

Così, secondo le parole di San Paolo,

1. «se uno è in Cristo è una nuova creatura». La relazione e la comunione stabilite tra l'uomo e Dio a motivo della creazione dell'uomo ad immagine e somiglianza di Dio è superata dalla sua redenzione e filiazione. La relazione tra Dio e l'uomo appartiene adesso al regime della grazia (opera gratuita di Dio): la redenzione in Cristo. Noi siamo salvati per grazia mediante la fede in Cristo (cfr. Ef 2, 8).

2. Dio per Cristo ci ha riconciliati a Sé non imputandoci i nostri peccati. La riconciliazione è un atto di perdono gratuito; ed è un atto di amore misericordioso.

3. Dio ha affidato a noi il Suo messaggio di riconciliazione... cioè, a coloro che hanno fatto esperienza della riconciliazione con Lui. È nell'esperienza della riconciliazione con Dio che noi diventiamo ministri di riconciliazione, sentendo l'urgenza di riparare i rapporti e i legami fuori dalla misericordia e dall'amore.

I padri sinodali hanno ascoltato testimonianze della summenzionata urgenza di riconciliazione dei nemici, e constatato quanto essa sia un atto di verità e amore misericordioso. La liturgia e il sacramento della Penitenza offrono momenti privilegiati per la loro celebrazione.

I padri sinodali hanno enumerato anche diversi metodi tradizionali di riconciliazione, e si sono chiesti se elementi di questi riti tradizionali non potessero arricchire le forme di celebrazione dei Sacramenti nella Chiesa. Così facendo, non dovrebbe esserci confusione sull'efficacia della celebrazione; poiché, come è stato detto nell'assemblea, è «la buona novella del sangue prezioso di Cristo, dato per la redenzione del mondo intero che trasforma il calice della sofferenza delle moltissime vittime dei massacri nel continente». Ciò richiede una spiritualità, e non una strategia!

Cristo nostra giustizia

La Riconciliazione, come è stato affermato in Assemblea, è la restaurazione della giustizia e delle giuste esigenze di rapporti (Rel. ante discept). Paolo descrive anche il frutto della nostra riconciliazione con Dio come diventare giustizia di Dio (2 Cor 5, 21).

Nell'attuale situazione umana di peccato, di cuori feriti, tuttavia, è forte la visione dell'Antico Testamento che la giustizia non può venire all'umanità per sua propria forza. Può venire solo come dono di Dio. E il Nuovo Testamento sviluppa questa visione più pienamente, facendo della giustizia la suprema rivelazione della grazia salvifica di Dio (cfr. Ap 15, 4; 19, 2.11; 16, 5-6; Eb 6, 10; 2 Ts 1, 6), e diversi interventi in assemblea abbiano riflettuto questo senso della giustizia. Ciò non ha anche il senso di «conformità ad una norma o ad una serie di norme». Almeno questo non è il suo significato primario; e non può essere mai applicato a Dio in quel senso. Eppure alcuni interventi hanno riflettuto questo significato.

Ancora, come affermato nell'Assemblea, il senso di questa giustizia del regno non è proprio quello di una giustizia retributiva, sebbene sia stato questo talvolta il senso della giustizia attribuita a Dio.

La giustizia (l'essere giusto) di Dio e il Suo Regno è una rivelazione di Dio, che è destinata ad essere la giustizia degli esseri umani. È la rivelazione della giustizia / l'essere giusto di Dio che giustifica, rendendo il peccatore nuovamente giusto e degno del rapporto di comunione e di alleanza con Dio (6). È la rivelazione di Cristo, «che mentre eravamo ancora peccatori ha dato la vita per noi» (Rm 5, 9) a dimostrare l'amore di Dio per noi. È questa, pertanto, la rivelazione di Cristo come giustizia/essere giusto. La giustizia dell'uomo, in questo caso, consiste nella confessione dei suoi peccati, nell'ammissione del suo fallimento, e nell'accettazione nella fede dell'offerta di comunione da parte di Dio, cioè della salvezza in Cristo.

In Gesù e nel Suo ministero, si vede la grazia giustificante di Dio all'opera, che guarda alle giuste esigenze di un rapporto di alleanza e ristabilisce l'umanità, tagliata fuori dalla misericordia (7) e dall'amore, in un rapporto di alleanza. Si vede anche la costituzione di una nuova comunità fondata sull'alleanza, la Chiesa, dotata di Spirito Santo e in grado, quindi, di rispondere alla giustizia di Dio nella fede mediante la confessione dei peccati.

La giustizia della diaconia cristiana e la giustizia del nostro vivere da cristiani nella Chiesa in Africa è la giustizia del regno; e la sua principale caratteristica è che è giustizia esercitata nell'amore e nella misericordia (8).

È questo senso di giustizia che i padri sinodali hanno proposto di coltivare, prima nella famiglia, come virtù familiare prima che diventi virtù sociale.

Tutto ciò che è dovuto a una persona in ragione della sua dignità e vocazione alla comunione delle persone (9).

La Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sud Africa, la Commissione Nazionale per la Riconciliazione del Ghana e altre (Nigeria, Sierra Leone, Togo) che i padri sinodali hanno menzionato, mirano prioritariamente a questo senso di giustizia. Il risarcimento non è il loro scopo principale. Essi mirano a risanare attraverso l'ammissione della colpa e il perdono.

Cristo nostra pace

Pace è una delle parole la cui definizione (come «istruzione», come «sviluppo» e come «giustizia») è stata citata spesso dai padri sinodali. Riconoscendo che la richiedono sia il rispetto della vita umana che il suo sviluppo (10), e che è la «condizione necessaria per il vero progresso dell'uomo e della società» (11) i padri sinodali e gli altri partecipanti hanno invitato appassionatamente alla crescita di una «cultura di pace» nelle Chiese, nelle case, nelle comunità e nelle nazioni. Un riferimento specifico è stato fatto ad alcune strutture istituzionali nazionali come «Il Consiglio Nazionale per la Pace» del Ghana e la «Commissione per la Pace e la Riconciliazione» della Liberia e del Togo; e la loro diffusione è stata propugnata.

I partecipanti al Sinodo hanno riconosciuto nelle donne e bambini, che sono le facili vittime della violenza domestica e della mancanza di pace a causa di conflitti, la materia per organizzare in eccezionali gruppi propugnatori di pace in tutto il continente e nelle sue isole. E dove l'assenza di pace è causata da costumi e pratiche tradizionali oppressivi, l'assemblea ha suggerito l'istituzione di «Centri di Studio Culturali» per guidarne la revisione e la riforma.

Ma la pace, che è emersa dall'assemblea sinodale come la condizione di vita e attività umana più ambita nel continente e nelle sue isole, ironicamente è fuori della portata dell'uomo e del suo mondo. L'Instrumentum laboris, quindi, chiede all'assemblea sinodale quale pace cerca! (46).

La propria opinione è che «la pace del mondo è precaria e fragile»; poiché la pace non è innanzitutto il frutto di strutture e non si realizza fuori della persona. La pace nasce prima di tutto dal di dentro, all'interno degli individui e delle comunità che essi creano. La pace, quindi sembra essere il frutto della «disposizione spirituale» di una persona; e se fiorisce dove c'è giustizia, allora, come la giustizia e la riconciliazione, essa pure è il frutto dell'amore.

Quando Tommaso d'Aquino insegnò che pace ed armonia sono conservate dalla giustizia, egli sosteneva anche che per conservare la pace e la giustizia tra gli uomini, i precetti della giustizia non sono sufficienti. È essenziale che tra essi ci sia l'amore (12). Di conseguenza, il «Catechismo della Chiesa Cattolica», rifacendosi alla Scrittura e alla ricca tradizione della Chiesa, insegna anche che la «pace è il frutto della giustizia e l'effetto della carità» (13); ed è in questo senso che Cristo è identificato dalla Scrittura come nostra pace.

La «pace» che è Cristo non ha semplicemente un senso profano, in quanto assenza di conflitto (cfr. Gen 34, 21; Gs 9, 15; 10: 1, 4; Lc 14, 32), presenza di armonia nella casa e all'interno della famiglia (cfr. Is 38, 17; Sal 37, 11; 1 Cor. 7, 15; Mt 10, 34; Lc 12, 51), sicurezza e prosperità individuale e pubblica (nazionale) (cfr. Gdc 18, 6; 2 Re 20, 19; Is 32, 18). La «pace» non è soltanto quando gli esseri umani e le loro società eseguono i rispettivi doveri e riconoscono i diritti delle altre persone e società» (14); e non è soltanto uno dei risultati di aver lavorato per la giustizia (15). La «pace» essenzialmente trascende gli sforzi del mondo e quelli umani (16). È una totalità determinata da Dio e conferita all'uomo/donna di giustizia. È un dono di Dio (cfr. Is 45, 7; Nm 6, 26) per i «giusti»: «coloro su cui si posa il suo favore» (Lc 2, 14).

Ed è noi, in quanto giusti portatori sulla terra della pace di Cristo, che Paolo esorta, come membri delle sue comunità cristiane, a portare avanti la pace (cfr. Rm 14, 19; Ef 4, 3; Eb 12, 14) e a essere in pace l'uno con l'altro (cfr. Rm 12, 18; 2 Cor 13, 11). Ma a tali giusti portatori sulla terra della pace di Cristo dobbiamo anche ricordare, come abbiamo fatto con la «giustizia», che la «pace» è un'attività che va oltre la semplice giustizia e richiede l'amore (17). Deriva dalla comunione con Dio e punta al benessere dell'umanità.

Il primo Sinodo invitò la Chiesa in Africa e nelle sue isole a vivere nella comunione della Chiesa-famiglia di Dio. Questo secondo Sinodo ora invita la Chiesa-famiglia di Dio, in ogni parte della sua composizione, a fare un'esperienza di quelle virtù che stabiliscono la nostra comunione con Dio ed a testimoniare ed a vivere le stesse (riconciliazione, giustizia, pace) per amore e misericordia nel continente e nelle sue isole.

Nelle pagine seguenti c'è la presentazione di alcune componenti della Chiesa-famiglia di Dio che servono la riconciliazione, la giustizia, e la pace nel continente, come i padri sinodali le hanno prefigurate; e le implicazioni del loro ministero sono esposte nei simbolismi di sale e luce: sale della terra e luce del mondo.

Discepoli, servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace

Illuminata e trasformata dal mistero pasquale di Cristo e ricolmata di Spirito Santo, la comunità dei discepoli è inviata per una missione: l'annuncio a tutti e dovunque di tutto ciò che essa ha contemplato, ascoltato e toccato del Verbo di vita... (cfr. 1 Gv 1, 1). Questa missione consiste nel rendere visibile Cristo in ogni circostanza ed in tutti i luoghi in cui lo Spirito la sospinge (cfr. At 13, 2). Essi hanno coscienza di essere una comunità che condivide i beni spirituali e materiali senza alcuna discriminazione etnica o culturale.

Sospinto dallo «Spirito del Signore», il diacono Filippo convertì un funzionario etiope che, a sua volta, divenne missionario presso la sua gente (cfr. At 8, 26-39). Questo conferma che l'Africa è la patria di Cristo che vi resta presente senza discontinuità in quella comunità ecclesiale che vi nasce e della quale i padri sinodali hanno ascoltato il Patriarca. La Chiesa, famiglia di Dio in Africa, è orgogliosa delle sue origini apostoliche e fiera per i suoi antenati nella fede; è poi chiamata a trovare nei loro esempi il coraggio per continuare ad annunciare il vangelo della Riconciliazione, della giustizia e della pace.

Essa fonda la sua azione nella contemplazione del suo Maestro, il Cristo «via, verità e vita» (Gv 14, 6), che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45). Il suo autosvuotamento ci innalza e ci introduce nella famiglia di Dio, in una umanità rinnovata, riconciliata e animata dal suo Spirito (cfr. Fil 2, 6-11).

Per rendere più forte questa sua missione di riconciliazione, di giustizia e di pace, la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa deve prendere coscienza della sua identità, ripensare il suo modo di essere e di agire con attenzione alla verità e nella fedeltà alla sua missione. I suoi membri devono riconciliarsi in essa e imitare Cristo-Servo. La comunione tra i pastori, la loro testimonianza di vita, le loro relazioni con i collaboratori ed il trattamento degli impiegati sono altrettanti ambiti da analizzare.

I padri sinodali si sono presi il tempo di ascoltarsi e di rendersi conto dei differenti aspetti di questa missione e dei diversi soggetti che vi sono implicati: persone singole, famiglie, ragazzi, giovani, comunità ecclesiali di base, laici, religiosi/e, chierici...

Oltre i settori sociali proposti e richiamati nell'Instrumentum laboris come ambiti da sottoporre ad attento esame in molti interventi di padri sinodali è apparso un nuovo settore: quello socio-religioso.

Famiglia

I padri sinodali hanno colto come primo compito della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa la riabilitazione della famiglia africana nella sua dignità e nella sua vocazione dato che essa è minacciata da pericolose ideologie (ideologia sul «genere»). La grande stima dell'istituto familiare è rimarchevole in tutte le culture africane così che non è senza motivo che la Chiesa che è in Africa si definisca come Chiesa - Famiglia di Dio, terminologia consacrata nel precedente sinodo ma che avrebbe ancora da guadagnare col dare alla «Famiglia» una solida base antropologica cristiana, suscettibile di manifestare meglio la sua identità e la sua vita nella luce della Chiesa universale. I padri sinodali hanno chiaramente denunciato le ideologie e i programmi internazionali che vengono imposti alle nostre nazioni sia con erronee motivazioni sia come condizionamenti in vista dell'aiuto per lo sviluppo. Sono dannosi per la famiglia. Per questo bisogna formare persone competenti e abilitarle, se necessario, a formare associazioni di famiglie cattoliche e altri movimenti di laici che difendono il bene della famiglia e si impegnano in pubblici dibattiti (conferenze, trasmissioni radio...). Occorre poi introdurre nei seminari, nei noviziati, e nelle altre case di formazione delle contestuali analisi socio-pastorali allo scopo di evidenziare, valutare e prevenire ogni rischio o pericolo che possa minacciare l'istituzione famigliare.

Vi è poi l'urgenza di ridefinire la famiglia come «Chiesa domestica» e primo luogo di educazione all'amore, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Le famiglie cristiane diventeranno così stabili basi di comunità ecclesiali di base che saranno allora «comunità-famiglia», vere scuole di evangelizzazione. La pastorale familiare deve integrare questi elementi.

Dignità della donna e suo compito al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace

La donna è al servizio della vita e educa gli altri membri della famiglia a essere veramente umani, ma viene bloccata nella manifestazione di questo compito dalla cultura tradizionale (mutilazioni genitali) e derisa dalla cultura della modernità (pornografia, prostituzione, violenze e ogni sorta di umiliazione sociale).

I padri sinodali hanno ascoltato il grido delle donne, riproposto da alcuni tra loro. La Chiesa - Famiglia di Dio è invitata a fare qualcosa contro le gravi ingiustizie perpetrate contro di loro. Esse hanno bisogno di essere riconosciute, nella società come nella Chiesa, come membri attivi impegnati nella vita della Chiesa. Il loro contributo allo sviluppo e alla salvaguardia della famiglia umana, anche in tempo di conflitti, deve essere riconosciuto e apprezzato nel suo giusto valore.

Come madri esse assicurano la prima educazione dei bambini: all'amore e alla socialità. Come spose fidate dei mariti... I padri sinodali sono chiamati a riservare alle donne seria considerazione e attenzione e ad aver l'audacia di apprezzare le loro capacità, già dimostrate nella gestione della vita familiare... Loro sono capaci di adoperarsi ampiamente per la Chiesa.

Di conseguenza, un'evangelizzazione profonda della cultura tradizionale le aiuterà a liberarsi da comportamenti e costumi contrari al vangelo ma sempre presenti in molte società (poligamia, violenze domestiche, discriminazione nel diritto di eredità, matrimoni forzati, prime vittime dell'Hiv/Aids...).

La loro autoaffermazione (amore, rispetto e riconoscimento dei loro diritti...) renderà più concreto e più efficace il loro contributo, soprattutto nel suscitare e mantenere una cultura di pace. Esse vi sono naturalmente inclinate per il loro proprio «genio» e per i loro doni di pazienza, di accoglienza, di ascolto e di educazione.

Il settore socio-religioso

La paura e l'incertezza caratterizzano la vita di fede in molte popolazioni africane (diffidenza, sospetto, autodifesa, aggressività, ciarlatanismo, magia, occultismo e sincretismo...). Un'analisi portata a fondo mostra che un insaziabile desiderio di possesso egoistico è alla radice dei grandi conflitti che certe regioni dell'Africa hanno conosciuto. I fedeli cattolici si imbattono nel richiamo delle sette a causa di eventuali problemi sociali e a motivo del loro desiderio di soluzioni rapide per le loro problematiche fisiche o psicologiche. Le sette abusano della debolezza o dell'ignoranza dei fedeli. Certi gruppi poi attaccano la Chiesa con pratiche di occultismo.

I padri sinodali sono stati invitati da taluni di loro a riprendere in mano la prima catechesi per aiutare i fedeli a vivere la loro vita quotidiana coerentemente con la fede cristiana. Una spiritualità equilibrata può aiutare i cristiani a resistere alla pressione delle sette.

Nell'ambito di gravi ingiustizie subite (conflitti armati, violenze...) i padri sinodali hanno ascoltato testimonianze commoventi di persone che hanno fatto l'esperienza del perdono; ne è risultato che giustizia-perdono-verità sono inseparabili. Le ingiustizie provocate non possono essere riparate se non riconoscendo e confessando il male. Il perdono domandato e accordato, dopo aver liberato la vittima e il carnefice, stabilisce una nuova, più forte relazione. Questa forza di amare e di perdonare è un dono di Dio (cfr. testimonianza ascoltata in aula).

I fedeli impareranno a fondare le loro relazioni e i loro comportamenti su: l'assicurazione data da Cristo della sua permanente presenza tra loro: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt, 28, 20); l'abbondanza di vita che Lui solo può donare sacrificando la sua (cfr. Gv, 17, 2-3); la pace che Lui solo può donare ma non alla maniera del mondo (cfr. Gv, 14, 27); la sua giustizia che sorpassa ogni giustizia umana (cfr. Mt 5, 38)

I sacramenti, in particolare l'Eucaristia e la Riconciliazione, costituiscono la sorgente inesauribile di forze per costruire la Chiesa - Famiglia di Dio. Dio è l'unica sorgente della vita: Cristo, ... primogenito dai morti ci ha riconciliato con Dio per mezzo del sangue della sua croce ... (cfr. Col 1, 15ss). Noi siamo legati da un legame di sangue con Cristo che ci introduce in una grande fraternità di cui è il maggiore.

È allora urgente convincere i fedeli di Cristo che i legami fraterni stabiliti da Cristo con l'acqua del battesimo e con il suo sangue sono più forti di quelli biologici. Egli è il fratello maggiore di una moltitudine di fratelli e, per questo, stabilisce una co-filiazione che restaura la dignità dell'uomo africano, lo riconcilia con se stesso e con gli altri, lo guarisce personalmente, socialmente, culturalmente, politicamente ed economicamente. Di conseguenza la dignità del carattere sacro di ogni persona andrà riconosciuta e rispettata chiunque egli sia e comunque sia la situazione in cui essa si trova. Questo domanda: solidarietà, partecipazione, rispetto degli altri, ospitalità, raduno e riconciliazione a opera di una giustizia restaurativa ...

L'Eucaristia, sorgente e vertice della vita cristiana, dovrà essere il luogo della migliore espressione della riconciliazione e della pace (cfr. Preghiera eucaristica 3). È il medesimo Corpo di Cristo che ci raccoglie e il medesimo Sangue di Cristo che scorre nelle nostre vene.

Una catechesi di approfondimento dei sacramenti può aiutare i fedeli a vivere l'Eucaristia con più profondità e profitto dato che in molte comunità la «messa» resta una parentesi nella giornata o nella settimana: l'Eucaristia non ha ancora trasformato la vita e l'agire quotidiano di molti fedeli: come prova si pensi allo scambio della pace che avviene o senza comprenderlo o snaturandolo. L'Eucaristia è l'occasione per inviare ogni membro partecipante a una particolare missione di riconciliazione e di guarigione, di giustizia e di pace nel mondo che gli è più prossimo.

La doppia dimensione, personale e comunitaria, della celebrazione del sacramento della Riconciliazione dovrà venire fortemente sottolineata. La celebrazione comunitaria della Riconciliazione è, in certe occasioni, molto adatta per placare e guarire le ferite della società e delle famiglie devastate da situazioni di violenze, di conflitti e di guerre. Il peccato ha una dimensione sociale e la Riconciliazione deve quindi impegnare tutta la comunità.

La missione profetica della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa

La Chiesa - Famiglia di Dio — per la sua natura, la sua coerente dottrina sociale, la sua ripartizione geografica e la sua preoccupazione dell'unico bene dell'uomo — è più adatta di ogni altra organizzazione e affrontare le sfide della riconciliazione, della giustizia e della pace.

I padri sinodali hanno riconosciuto la grande necessità di un'attiva presenza della Chiesa negli ambiti decisionali in cui si affrontano i problemi dello sviluppo umano, lo stabilirsi di buone relazioni tra gruppi in conflitto e il ristabilirsi di relazioni in grado di garantire un futuro di pace.

Per parlare di riconciliazione, di giustizia e di pace e per garantire un impegno più attento e coordinato, è necessario che i vescovi parlino con un'unica voce, attraverso la stessa conferenza episcopale (nazionale, regionale o continentale). Occorre dar vita a una sinergia tra tutte le istituzioni ecclesiali (Secam, Cosmam, associazioni e organizzazioni laiche continentali) per discernere insieme tutti i diversi aspetti della vita e degli insegnamenti della Chiesa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.

Occorre creare delle strutture specializzate (Osservatori) se sono necessarie per affrontare nuove sfide, per sviluppare iniziative o per seguire l'evoluzione di certe situazioni o problematiche come l'interferenza estera, la brama di beni materiali, le problematiche etniche... cause potenziali di conflitti etnici. Tutte le radici di conflittualità delle società africane vanno affrontate senza paura o soggezioni e devono diventare oggetto di piani di azione pastorale continentale o di direttive pastorali precise.

Gli episcopati africani hanno pure un grande interesse a rinforzare la loro presenza nelle organizzazioni continentali (U.A.) in armonia con l'azione della Santa Sede per stimolare, incoraggiare e garantire le iniziative tendenti a promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace.

Il disastro provocato dalla pandemia Hiv/Aids non è stato perso di vista dai padri sinodali. Essi incoraggiano tutti coloro che si stanno impegnando nel prendersi cura e dare speranza a persone infettate o ammalate così che resistano alla tentazione della disperazione. La missione della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa di portare i cristiani a vivere secondo il vangelo di Cristo la impegna sia nello sforzo di ridurre la negativa visione sociale di queste persone infette sia a sostituire la violenza con la costruzione di ponti di riconciliazione, di giustizia e di pace. Occorre interpellare in proposito i poteri pubblici così da parlare in nome dei «senza voce». Un appello è stato indirizzato per una più grande sinergia e solidarietà perché, in Africa, i malati ricevano lo stesso trattamento che in Europa.

Nella lotta per la preservazione delle vite umane e per assicurare maggiormente la pace tra gli uomini, molte voci si sono levate per domandare il blocco delle fabbriche che costruiscono armi e alimentano i conflitti in Africa. Dopo i conflitti per territori vitali e per lo sfruttamento delle miniere, è la guerra dell'acqua che si profila all'orizzonte. Occorre prevenirla restando vigili sul degrado dell'ambiente a causa del riscaldamento climatico.

I padri sinodali riconoscono che le cause dei conflitti armati in Africa non sono dovuti al tribalismo ma alla bramosia delle multinazionali e al loro desiderio di appropriarsi in modo esclusivo di giacimenti strategici (petrolio, uranio, coltan...): è questo a generare i conflitti. Essi incoraggiano la messa in atto di quadri giuridici internazionali per garantire un controllo delle multinazionali e delle industrie estrattive transnazionali.

Laici

I conflitti in Africa non possono non rimandarci alla recente storia (pericolo dell'acutizzazione dei nazionalismi e di ideologie razziali che sono anti-cristiane). I cristiani sono abbastanza numerosi nell'amministrazione pubblica, nella vita politica e nei vari livelli decisionali. Malgrado ciò, leggi contrarie alla morale cristiana, pure riguardo alla sfera familiare, sono votate e approvate.

C'è dunque il bisogno di formare degli uomini politici cristiani e di garantire loro una formazione cristiana solida e degli strumenti giuridici per difendere i valori cristiani, la famiglia in particolare, e così contribuire positivamente all'elaborazione dei testi legislativi che rispettino la morale cristiana. I padri sinodali hanno riconosciuto che non basta formare i fedeli laici al leadership politico nei nostri Paesi, ma bisogna pure accompagnarli nei loro impegni... per farli diventare responsabili del cambiamento nella società.

Vari movimenti d'apostolato dei laici possono contribuire al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. La Chiesa attraverso le sue istituzioni specializzate, può impegnarsi nella società civile e con tutte le ong affidabili o con altre confessioni religiose per, assieme, affrontare la lotta per la promozione integrale dei diritti umani.

Mezzi di comunicazione

L'aumento dei conflitti africani e la loro strumentalizzazione da parte dei media costituiscono una sfida per la Chiesa - Famiglia di Dio in Africa. I padri sinodali sono stati informati degli sforzi compiuti da molte diocesi per dotarsi di radio diocesane. Queste permettono di promuovere l'ideale della fraternità e della coabitazione pacifica, della riconciliazione, della giustizia e della pace presso i popoli. La potenza dei mezzi di comunicazione può servire alla diffusione della Buona Novella pure in un continente dove sono ancora presenti una tradizione e una cultura orale.

Una buona formazione tecnica e religiosa dei comunicatori cattolici, soprattutto nella dottrina sociale della Chiesa, è fondamentale. Allo stesso tempo è necessario formare i pastori stessi e gli agenti pastorali al linguaggio e al buon utilizzo dei mezzi di comunicazione. I fedeli laici in generale imparino a esercitare il discernimento e lo spirito critico dinanzi alle ideologie che circolano nei media.

Un'attenzione particolare è da rivolgere ai giovani. Essi sono le prime vittime degli effetti distruttivi della mondializzazione dei costumi dei sistemi dei valori. Da ciò il bisogno di un'educazione integrante e integrale a tutti i livelli (infanzia, giovani e adulti), alla pratica dei valori sociali indispensabili per una coesistenza armoniosa: la promozione della vita umana, l'unione del genere umano e l'uguale dignità delle persone, il rispetto del bene comune e il diritto di tutti di profittarne.

Ciò comincia dalla famiglia e continua negli stabilimenti e nelle scuole cattoliche che restano luoghi d'educazione per eccellenza ai valori della vita cristiana e pure alla cultura della tolleranza, della convivenza, del servizio agli altri, della riconciliazione, della giustizia e della pace.

Il clero

La formazione dei seminaristi deve essere curata e una buona armonizzazione fra la filosofia e la teologia permetterà di rispondere con saggezza agli interrogativi del mondo. È necessario redigere una ratio nationalis intitutionis sacerdotalis per favorire il discernimento, la formazione spirituale e affettiva adattata alle circostanze e alle persone. Questo li predisporrà a essere delle persone solidamente ancorate alle loro culture e fedeli agli insegnamenti della Chiesa.

La preoccupazione di avere formatori competenti deve essere prioritaria. Il coinvolgimento della famiglia e della comunità cristiana in una testimonianza di fedeltà nella pratica dei consigli evangelici li aiuterà a fondare le loro vite sulla sola appartenenza a Cristo.


La vita consacrata

La vita consacrata è in veloce crescita nella Chiesa - Famiglia di Dio in Africa. Come nelle vocazioni sacerdotali, si constatano insufficienze in materia di discernimento e di formatori. I padri sinodali sono chiamati ad aiutare la vita consacrata per perdurare nella missione profetica con l'appoggio nella realizzazione della missione ad gentes e a incoraggiare una testimonianza di comunione. Essi sono stati informati di alcune ragazze africane inviate in Europa per la formazione alla vita religiosa, ma a volte l'esito non è stato positivo: alcune si rifiutano di ritornare e finiscono per trovarsi in pericolo. Questa materia ha bisogno di essere trattata dai padri sinodali.

La Cosmam sta diventando una realtà nel continente e costituisce una struttura di direzione della vita consacrata in Africa e nell'ambito del dialogo coi vescovi del continente (Secam).

Una sola Chiesa - Famiglia di Dio con vari volti

La Chiesa - Famiglia di Dio, a nord e a sud del Sahara, ha una medesima missione di servizio. La Chiesa - Famiglia di Dio a nord del Sahara ha la stessa missione di servizio della Chiesa a sud del Sahara. Non è ancora integrata nella Chiesa - Famiglia di Dio in Africa. È una Chiesa crocevia, con tanti sentieri che si incrociano, e tuttavia è chiamata a essere la Chiesa della Pentecoste perché diventa una Chiesa multiculturale grazie all'importante presenza di studenti sud-sahariani. Questi ultimi imparano a vivere la loro fede in un contesto nuovo e affrontano coraggiosamente il loro avvenire senza scoraggiarsi davanti alle ingiustizie.

Malgrado la sua costituzione di minoranza cristiana in mezzo a un ambiente musulmano, la Chiesa mantiene un buon rapporto di dialogo con l'islam ed è impegnata in diversi servizi della società: sociale, culturale ed educativo.

I vescovi padri sinodali di queste Chiese hanno chiamato i loro confratelli vescovi ad andare all'incontro e al dialogo con altre religioni, senza complessi, superando paure e pesi del passato (per esempio il rapporto fra mondo arabo e Africa nera) e a stabilire delle relazioni di collaborazione con i musulmani di buona volontà e così riuscire a ridurre le tensioni.

Essi vorrebbero: come minoranza cristiana in mezzo all'islam, fare parte del Sinodo dei vescovi del 2010 (Medio Oriente); l'organizzazione di un colloquio continentale di condivisione e di scambio d'esperienze delle varietà delle situazioni dei rapporti con l'islam (da Tunisi a Johannesburg); ricordare santi, beati e martiri della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa.

Oltre ai santi e ai beati dell'Africa che il Papa non manca mai di ricordare, i padri sinodali hanno ricordato la memoria dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e religiose, dei laici e dei seminaristi che sono rimasti in stato di servizio, fino al dono delle loro vite come Cristo.

Altre persone sono morte tragicamente nel servizio al bene comune. Bisogna fare memoria anche di loro, «insieme» con i membri della Chiesa. Tutti questi eroi del servizio e della riconciliazione meritano di essere presentati ai giovani come modelli.

Interpellare la coscienza della comunità internazionale sulle ingiustizie e sulle violenze che si perpetrano nell'Africa, e invitarla a una maggiore solidarietà.

Invitare la comunità internazionale a compromettersi per la ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra.
 
Continua...

S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 20:27

Conclusione

«Sale» e «Luce» sono metafore/immagini con cui il servo di Dio Giovanni Paolo II descrisse una volta la missione dei fedeli di Cristo, nella molteplicità e diversità di identità e ruolo, in Africa e nelle sue isole. Disse: «Ai nostri giorni, nel contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. “Il compito del fedele laico (...) è quello di essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire”» (18).

Il tema di questo sinodo con il riferimento all'invito di Cristo ai suoi discepoli a essere «sale della terra e luce del mondo» non allude semplicemente alla testimonianza che la Chiesa - Famiglia di Dio in Africa, come i discepoli di Gesù (cfr. Atti, 1, 8) deve dare nel continente, nelle sue Isole e nel mondo. Si tratta di un riferimento anche a un metodo di evangelizzazione e missione apostolica credibile, voluta dal Signore sulle tracce della sua missione.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo proprio Figlio» (Giovanni, 3, 16); e la missione del Figlio di Dio incarnato era descritta da Paolo l'autosvuotamento del Figlio di Dio per diventare uomo: «egli, pur essendo nella condizione di Dio, ... svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 6-7). Come tale, Gesù ha svolto la sua missione sulla terra, portando il suo autosvuotamento alla sua più alta espressione nella sua sofferenza e morte in croce, portando a compimento la profezia del servo di Dio nell'Antico Testamento (Is 52-53 ecc.).

Questo è il carattere del ruolo di servo che il tema del Sinodo evoca per portare la riconciliazione, la giustizia e la pace nel continente e nelle sue Isole. «Servire la Riconciliazione, Giustizia e Pace», come tema del Sinodo invita la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa alla vita pasquale con l'impegno della riconciliazione, della giustizia e della pace, significato della metafora di sale e luce. Così viene fondato il nostro metodo di azione apostolica nel servire la riconciliazione, la giustizia e la pace nel sacrificio che facciamo delle nostre vite e in quello di Cristo. Poiché in noi deve esserci quello che era in Cristo Gesù (cfr. Fil 2, 5).

In questo Sinodo, è stata espressa variamente l'intenzione che la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa deve essere trasformata dal di dentro e che essa deve trasformare il continente, le sue Isole e il mondo come sale e come luce. Essa prospetta una missione apostolica, che i suoi pastori e altri collaboratori pastorali hanno articolato in modo diverso in questa assemblea: liberare la popolazione del continente da ogni paura; assicurare una conversione profonda e permanente e una «solida» formazione in ogni campo: fede, catechesi, morale, media, cultura dell'amore, pace, giustizia, riconciliazione, buongoverno, gestione ecc.; dialogo a tutti i livelli, incluso l'ambiente; difesa di vari interessi e bisogni sociali, specialmente del posto della donna nella società, dell'educazione dei figli e della gioventù; migrazione e varie forme di movimento del popolo e ciò che richiede la nostra cura pastorale; sfida del ministero del cambiamento di attitudini e mentalità, perché si liberino dagli effetti di un passato di colonialismo, sfruttamento ecc.; resistenza del continente e dei suoi popoli alle minacce della globalizzazione e alle esigenti sfide dell'etica globale, ingiuste condizioni commerciali, etnocentrismo, fondamentalismi, ecc.

Il simbolo polivalente del sale esprime le molteplici forme dell'esistenza pasquale, sotto cui la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa deve servire la riconciliazione, la giustizia e la pace (e ora anche la verità, che questa assemblea ha strettamente collegato a esse); e la luce del Vangelo che ci guida.

Domande

Introduzione

1. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa e nelle sue Isole, come anche il resto del mondo cattolico quanto sono coscienti dell'incidenza di questo Sinodo? Cosa può essere fatto? Cosa deve essere fatto?

Riuniti di nuovo in un'assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi

2. Come intendi questo Sinodo in quanto «esercizio di comunione ecclesiale» della Chiesa universale? Cosa si può migliorare di questa comprensione del Sinodo?

Altre strutture di comunione ecclesiale

3. Papa Giovanni Paolo II disse: «...Per costruire una società stabile, l'Africa ha bisogno che tutti i suoi figli uniscano le loro forze ...». Come valuti le varie forme di ministero collegiale e di collaborazione nella Chiesa - Famiglia di Dio in Africa e nelle sue Isole?


Il compito della seconda assemblea: disgrazie o sfide per l'Africa?

4. Papa Giovanni Paolo II disse: «Cuori umani feriti sono il luogo dove infine si nascondono per la causa di tutto ciò che è destabilizzante nel continente africano». Qual è il tuo giudizio di questa affermazione? Puoi presentare esempi ed evidenze?

5. L'Instrumentum laboris 66 dice: «Alcuni ritengono che la ragione profonda dell'instabilità delle società del continente sia legata all'alienazione culturale e alla discriminazione razziale che, nel corso della storia, hanno generato un complesso di inferiorità, il fatalismo e la paura». Cosa ne pensi tu? Come il tema del sinodo può aiutarti a trattarne?

6. Sei d'accordo con l'identificazione dei mali e dei problemi che i padri sinodali hanno riconosciuto in Africa e nelle sue Isole come «sfide»? Quanto reale hai trovato la descrizione della prima Assemblea speciale per l'Africa come «sinodo di speranza e di risurrezione?».

7. Quanto vero è che i padri sinodali tendono a generalizzare le tematiche della Chiesa locale e nazionale, ampliandole e applicandole a tutta l'Africa? Quali situazioni specifiche nella tua Chiesa locale e nel tuo paese risuonano nel tema del sinodo o vi trovano soluzioni?

Rafforzare la fede in Cristo

8. Fino a che punto sei d'accordo che il tema del sinodo è prima di tutto un «programma di spiritualità» e poi un'«attività»?

9. Diversi interventi in aula hanno esposto lamentele circa la qualità della testimonianza cristiana e dell'impegno delle persone verso la propria fede (di fronte a sette, stregoneria, ecc.). Come valutare gli attuali metodi per portare la gente alla fede e dentro la Chiesa? Che fare per assicurare una conversione profonda e permanente?

Cristo nostra riconciliazione

10. Quali aspetti positivi della tradizione e cultura africana possono essere trasferiti nella catechesi cristiana della riconciliazione, della giustizia e della pace? Il sacramento della riconciliazione può assumere forme significative per i nostri fedeli attraverso l'adozione di tali aspetti?

11. Quali elementi della nostra tradizione e cultura costituiscono un ostacolo alla comprensione e celebrazione della riconciliazione?

12. «Molti cristiani hanno testimoniato fino al martirio a favore del Vangelo della fraternità generata dall'acqua del battesimo».

Qual è la tua esperienza dell'opposizione tra i vincoli etnici e il legame ecclesiale nella tua Chiesa locale?

Cristo nostra giustizia

13. Chi qualificheresti come vittima dell'ingiustizia nella tua Chiesa locale e nella tua nazione? Come si può portargli la giustizia? È possibile istituire strutture primarie per la cooperazione con altre religioni nella prevenzione di conflitti e nella formazione di una cultura di giustizia e di pace?

14. Quali passi fare per formare i nostri fedeli laici a un apostolato di guida cristiana nella società?

15. In che modo le donne possono essere favorite nel portare i loro talenti nella prevenzione dei conflitti, nella soluzione dei conflitti e nella riconciliazione all'interno della Chiesa e più ampiamente nella società?

Cristo nostra pace

16. «Nella verità c'è pace» (Papa Benedetto XVI). Questo insegnamento del Santo Padre è riecheggiato molte volte nell'assemblea relativamente alla giustizia e al ruolo della legge. Come trasmetterlo a tutti nella tua Chiesa locale?

17. «Cristo è la nostra pace». Come possiamo attuare nella nostra vita questa affermazione? Come può essere celebrata ordinariamente nelle nostre comunità e nella vita cristiana?

Famiglia

18. Quali piani strategici possono essere messi in atto a livello continentale per salvaguardare e proteggere la famiglia africana? La Chiesa - Famiglia di Dio in questo modo potrebbe offrire il suo contributo alla Chiesa universale per aiutare le altre Chiese dove il processo del declino della famiglia è già in atto.

Dignità della donna e suo compito al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace

19. Come adottare un piano d'azione per restituire dignità alle donne africane e rafforzare le loro capacità perché si impegnino più coscientemente nel costruire la Chiesa - Famiglia di Dio in Africa? Quali programmi concreti attuare perché le donne siano più attivamente partecipi e responsabili di guida nella vita della Chiesa?

Il settore socio-religioso

20. Perché i vincoli di sangue (alleanze umane) sono considerati più del sangue di Cristo (alleanza nuova ed eterna)? Come sviluppare la spiritualità della vita dell'Eucaristia attuata nella vita quotidiana? (Un congresso eucaristico continentale?)

21. Come può essere celebrata la «Riconciliazione» nell'Eucaristia e nel sacramento della penitenza, perché possa condurre a un'autentica ricostituzione dei rapporti e trasformarci in ambasciatori di riconciliazione?

La missione profetica della Chiesa - Famiglia di Dio in Africa

22. Come ricercare, a partire dalla positiva esperienza delle commissioni Iustitia et Pax o di altre simili iniziative, una pedagogia di riconciliazione suscettibile di rispondere a traumi comunitari spesso dimenticati e di rendere le persone attori responsabili di un cambiamento positivo?

Un piano di azione pastorale è stato proposto dalla Conferenza episcopale Sénégal-Guinea Bissau-Mauritania.

I laici

23. Perché i cristiani sono così poco impegnati nella società politica? Il Vangelo ha qualcosa da dire ai leader cristiani a proposito dei loro impegni?

Mezzi di comunicazione

24. Come ripristinare la funzione positiva della Parola come supporto educativo a riconciliazione, giustizia e pace, quando essa stessa è svalutata da abusi, menzogne, propaganda odiosa o disprezzo di alcuni media?

Il clero

25. I nostri Pastori come possono vivere il «primato del servizio» nelle nostre Chiese e comunità? In quanto agenti di evangelizzazione, come possono considerarsi al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace?

Note

1) L'evidenziatura è mia. Cfr. Lettera del Papa Giovanni Paolo II all'Arcivescovo Nikola Eterovi{l-cacute} in occasione dell'Incontro del Consiglio Speciale per l'Africa del Segretariato generale del Sinodo dei vescovi, Vaticano, 23 Feb. 2005.

2) Il 26 Giugno 2006, alla conferenza stampa in Vaticano, tenuta dal cardinal Francis Arinze, il Consiglio Speciale per l'Africa del Segretariato generale del Sinodo dei vescovi, rese pubblici i Lineamenta della Seconda Assemblea speciale per l'Africa; e il 19 Marzo 2009, a Yaoundé, il Santo Padre ha presentato l'Instrumentum laboris della Seconda Assemblea speciale per l'Africa.

3) Prima Assemblea speciale per l'Africa: Instrumentum laboris 1993, 1.

4) Seconda assemblea speciale per l'Africa, Lineamenta, «Prefazione».

5) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Post-Sinodale Reconciliatio et Paenitentia, 2.

6) Il «malvagio» ( ) è l'opposto del giusto. Egli distrugge la comunione e la comunità trascurando di soddisfare le esigenze di relazione della comunità. (The Interpreter's Dictionary of the Bible, vol. 4, 81).

7) Papa Giovanni Paolo II definisce «misericordia» come «uno speciale potere dell'amore, che prevale sul peccato e l'infedeltà del “popolo eletto”» (Dives in misericordia, 4.3).

8) Così, Papa Giovanni Paolo II insegna che nelle relazioni tra individui e gruppi sociali ecc., «la giustizia non basta». C'è bisogno di «una forza più profonda, che è l'amore» (cfr. Dives in misericordia, 12).

9) Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 3, 63.

10) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304.

11) Benedetto XVI, Omelia, Basilica di San Pietro, domenica 4/10/09.

12) Contra Gentes 1. III, c.128.

13) Ibidem.

14) Giovanni XXIII, Pacem in terris, 172.

15) Concilio ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes, 84.

16) Anche se è un compito, qualcosa per cui lavorare, «pace» è un dono di Dio, qualcosa che la pace terrena soltanto anticipa vagamente.

17) Concilio ecumenico vaticano II, Gaudium et Spes, 78.

18) Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in Africa, 108. Oltre i settori sociali proposti e richiamati nello Instrumentum laboris come ambiti da sottoporre ad attento esame (la famiglia, la dignità della donna, la missione profetica, le comunicazioni e le nuove tecnologie di informazione e comunicazione, l'autosostentamento), in molti interventi di padri sinodali è apparso un nuovo settore: quello socio-religioso.

S_Daniele
00mercoledì 14 ottobre 2009 18:45

La conferenza stampa per la presentazione della relazione dopo il dibattito in aula

I valori positivi dell'Africa

"L'Africa non è solo problemi. Soprattutto non è la Chiesa tra i problemi dell'Africa come invece scrivono i mezzi di comunicazione dando un'immagine distorta del nostro lavoro". Lo ha detto il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, parlando ai giornalisti riuniti nella Sala Stampa della Santa Sede nella mattina di martedì 14 ottobre. Con il cardinale Napier erano il cardinale Sarr, presidente delegato, il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Commissione per l'informazione e l'arcivescovo Mendes Dos Santos, membro della stessa commissione.
Il cardinale Napier ha risposto a numerose domande in relazione agli aiuti che vengono inviati all'Africa. Spesso, ha detto in proposito, chi aiuta l'Africa pone condizioni inaccettabili e cerca di far avanzare un' ideologia insidiosa che tende a cambiare i valori morali dei Paesi stessi. Dunque l'aiuto in questi casi si trasforma in una cosa peggiore del male precedente.
A proposito dell'Aids, ha detto ancora il porporato, mentre la Chiesa cerca di avviare progetti di prevenzione, i media attribuiscono ad essa la recrudescenza della malattia. Nessuno però si preoccupa di controllare l'efficacia dei medicinali, in particolare dei retrovirali, distribuiti nei Paesi colpiti. "Nella mia diocesi - ha detto - abbiamo avviato centri di controllo su questi medicinali" perché stranamente la gente anziché essere curata sviluppava ceppi di resistenza agli antivirali stessi.
Altro argomento affrontato dal cardinale è stato il fenomeno della diffusione dell'aborto in Africa. Anche in questo campo l'incidenza della politica estera o comunque di gruppi di pressione dall'estero finisce per influire negativamente sulla cultura africana. "I padri sinodali - ha aggiunto - non riescono a capire come mai in occidente, nei Paesi industrializzati, il diritto alla vita non venga considerato come un diritto supremo". Diverse domande vertevano sull'incidenza del protocollo di Maputo sulla vita in Africa. Padre Lombardi, riassumendo il pensiero che era stato espresso durante la conferenza stampa - la seconda delle quattro previste per questo Sinodo - ha spiegato come il problema di molti protocolli internazionali sia dovuto al fatto che mescolano cose ottime a cose inaccettabili. Per esempio "non possiamo accettare - è intervenuto il cardinale Napier - che si tratti la gravidanza come se fosse una malattia sessualmente trasmissibile".
Altre numerose domande hanno riguardato i numerosi conflitti tribali. Il cardinale Njue ha risposto portando la testimonianza di quanto accade nel Kenya, il suo Paese. "Gli scontri più gravi non sono causati dalla gente comune ma - è la sua denuncia - nascono perché le piccole differenze vengono strumentalizzate dai politici per rafforzare il proprio potere". Purtroppo, ha riconosciuto il porporato, tra quanti si macchiano di crimini e di violenza molti si dicono cristiani. "Il problema è - ha detto citando Shakespeare - essere o non essere. Cioè vivere  veramente  quello  che  si  dice di essere, vivere cioè il proprio battesimo, o no".
Il cardinale Sarr ha risposto ad una domanda molto specifica sul matrimonio tradizionale africano, sul come si possa conciliare con il matrimonio civile e con quello religioso. "Ci vuole molta prudenza - ha detto - perché bisogna rispettare i riti del matrimonio tradizionale, così come tutte le usanze africane. Tuttavia bisogna stare molto attenti a quello che prevedono le legislazioni dei Paesi nei quali il matrimonio avviene poiché in molti Stati, come nel Senegal, la legislazione prevede la poligamia. Dunque c'è bisogno di fermezza nell'opporsi a questi usi". Infine è stata posta una domanda sulla magia. Il cardinale Napier ha risposto con una battuta:  "Anche voi occidentali credete alla magia:  non è forse vero che se vi ritrovate in tredici a tavola, fate gli scongiuri?".
Ultimo argomento trattato il rischio dell'imperialismo culturale che si tenta di far passare in Africa con gli aiuti che vengono dall'esterno.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
S_Daniele
00mercoledì 14 ottobre 2009 18:46
Iniziato il dibattito nei circoli minori

I problemi dell'Africa al vaglio dei padri sinodali


Un documento di carattere religioso ed ecclesiale che evidenzia la figura di "Cristo nostra riconciliazione, nostra pace e nostra giustizia". Così l'arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha definito la relazione nella quale il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, relatore generale, ha raccolto le indicazioni dei padri sinodali in queste prime giornate di lavoro. Ed è un bene, ha detto ancora l'arcivescovo Eterovic, che a prevalere sia proprio questa dimensione religiosa piuttosto che quella politica, perché "il Sinodo dei vescovi non è un'agenzia delle Nazioni Unite".
Con la relatio post disceptationem si è conclusa la prima parte dei lavori del sinodo. Mercoledì mattina, 14 ottobre, è iniziato il confronto nei circoli minori. Moderatori e relatori si sono incontrati già nella serata di martedì per mettere a punto la metodologia dei lavori. Primo spunto per suscitare il dibattito saranno le venticinque domande che il relatore generale ha posto al termine della sua relazione come linee-guida.
Alla congregazione, svoltasi alla presenza del Papa, hanno partecipato 218 padri sinodali. Presidente delegato di turno il cardinale Arinze. Tredici gli interventi nella discussione libera seguita alla lettura della relazione. Tra i principali temi affrontati - che ora saranno certamente approfonditi nei circoli minori "con una discussione animata" come ha detto il cardinale Arinze - il dramma dei migranti "che mettono a rischio la loro vita nella speranza di trovare un avvenire migliore dall'altra parte del Mediterraneo". In particolare è stato proposto di concordare "con i nostri fratelli europei il modo di accogliere queste persone e come aprire le porte anche a chi è già arrivato". È stata suggerita anche un'analisi più precisa del ruolo dei sacerdoti, dei catechisti e dei diaconi permanenti così come secondo gli intervenuti meritano una riflessione accurata i rapporti tra Paesi del nord e del sud del Sahara, con l'accresciuta esigenza di presbiteri Fidei donum e il confronto con i musulmani, in particolare con il fondamentalismo islamico.
Nel dibattito i padri hanno poi chiesto al sinodo che vengano affrontati nei circoli minori anche i gravi squilibri di povertà tra un Paese e l'altro; la mancanza di sicurezza in troppe parti dell'Africa; le politiche spregiudicate delle multinazionali e dei loro "complici locali"; il controverso contributo del new partnership for Africa's development (nepad); il ruolo delle commissioni giustizia e pace nelle varie Conferenze episcopali; la ricchezza della dottrina sociale della Chiesa come stimolo per la classe politica continentale.




(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
S_Daniele
00mercoledì 14 ottobre 2009 18:56


Intervista con il curatore della Liturgia delle ore per l'Africa

Il Kenya, i laici e la preghiera


di Marco Bellizi

I laici sono la speranza dell'Africa. A loro è affidato il compito di condurre questa terra allo sviluppo troppe volte annunciato e non praticato. La formazione del laicato diventa così tema essenziale nei programmi pastorali della Chiesa cattolica in tutti i Paesi del continente. Ma è chiaro che l'Africa deve poter contare su risorse proprie. In campo economico, certamente. Ma anche nella vita ecclesiale. In Kenya è stato portato a termine un progetto importante, quello della realizzazione della Liturgia delle ore pensata proprio, oltre che per quella comunità, per l'intero continente. L'opera è stata presentata al Papa che ne ha fatto dono ai padri sinodali. Ne parla a "L'Osservatore Romano" il comboniano padre Rinaldo Ronzani, che ha curato la realizzazione della Liturgia delle ore.

Come è nata questa iniziativa?

Cinque anni fa i vescovi dell'Association of Members Episcopal Conferences of Africa hanno pensato che fosse venuto il momento di offrire ai loro diaconi, ai sacerdoti e anche ai fedeli una liturgia delle ore che fosse aggiornata e che fosse anche economicamente accessibile. Finora l'Africa ha sempre comprato tutti i libri liturgici dall'estero, quindi o dagli Stati Uniti o dall'Inghilterra, a prezzi per loro esorbitanti. Dell'idea si è poi fatto carico l'allora nunzio in Kenya, l'arcivescovo Giovanni Tonucci. Io ero in una missione e sono stato chiamato a dirigere questa operazione. Poi abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni con l'aiuto di varie conferenze episcopali, per esempio quella degli Stati Uniti, che ci ha fornito tutti i testi biblici gratuitamente, la Commissione internazionale per l'inglese nella liturgia, che ci ha fornito, sempre gratuitamente, tutti i testi liturgici, il Grail-Gia, che ci ha fornito la traduzione, appena rivista, dei salmi, e la Conferenza episcopale italiana, che, grazie ai fondi dell'8 per mille ha pagato le prime 10.000 copie di ogni volume, quindi in totale 40.000 copie stampate. Il costo perciò è accessibile:  i quattro volumi costano 100 dollari, circa 80 euro, il volumetto intermedio 20 euro e quello piccolo 5 euro. L'opera è in due colori, seguendo sostanzialmente l'edizione latina. Si presenta molto bene. La grafica è stata curata da un giovane del Kenya. Suor Teresa Marcazzan, che è la direttrice del Paolines Distribution Centre di Nairobi ha curato la distribuzione, e dal punto di vista del contenuto tutto è stato fatto a Nairobi. La stampa invece è stata fatta in Italia, perché non c'è in Africa nessuna tipografia che possa fare volumi del genere, che richiedono un tipo particolare di carta.

Quale è la motivazione di fondo che ha spinto a un breviario per l'Africa?

La nostra idea di fondo era di avere un'edizione aggiornata. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II sono stati inseriti diversi santi nel calendario generale e purtroppo nel mondo inglese non ci si è adeguati. Mi vengono in mente padre Pio, l'africana Bakita, la memoria del Sacro nome di Maria. La novità è rappresentata dai santi africani:  per la prima volta c'è un libro liturgico che è fatto completamente in Africa - è il primo esperimento che facciamo - con il calendario dei santi africani, sia pure per il momento valido solo per il Kenya. Nel calendario abbiamo però cercato di mettere cristiani laici, religiosi, sacerdoti, vescovi, per far vedere come la chiamata alla santità è per tutta la Chiesa. Abbiamo introdotto santi moderni, degli ultimi cento anni, e anche santi dei primi secoli che non sono conosciuti:  abbiamo avuto santi missionari che dal nord Africa hanno portato la fede in Europa e i santi che dall'Europa hanno portato la fede in Africa, per esempio san Zeno di Verona e Adriano di Canterbury, nordafricani; Giustino de Jacobis, italiano che ha lavorato in Eritrea, del quale hanno scoperto la nazionalità solo quando è morto, oltre ovviamente a Daniele Comboni. Abbiamo inserito alcune feste mariane, come Maria madre dell'Africa. Il 6 novembre c'è la festa di tutti i santi dell'Africa. Adesso i cristiani possono sentire la Chiesa più vicina, in questo richiamo alla santità. Abbiamo voluto che non ci fosse solo la preghiera del clero o dei monaci ma che fosse la preghiera di tutta la comunità cristiana, sviluppando così le indicazioni del concilio Vaticano ii.

Che frutti si spera di avere?

Come esperienza personale, posso dire di avere imparato a gustare i salmi in Africa. Il linguaggio dei salmi può a volte sembrare a noi occidentali un po' distante, fa riferimento a situazioni, circostanze diverse dalla nostra vita quotidiana. In Africa, soprattutto nella realtà rurale, i salmi si possono gustare pienamente, perché ci si accorge di come parlino concretamente dell'esperienza umana come un'esperienza di grazia, di incontro con Dio. Ricordo un episodio personale:  mentre tornavo nella mia missione, dopo la visita ad alcuni cristiani, in Africa, cominciai ad avvertire i primi sintomi della malaria. Avevo già la febbre. E sentivo una grande sete, una sete che si può avvertire solo in quelle circostanze. Ho capito in quella circostanza cosa vuole dire veramente, per quelle popolazioni, avere sete. Lo stesso quando si parla di terra inospitale. Quando non piove da anni e ci sono solo crepe e polvere, ci si rende conto veramente di cosa significhi anche il confronto con la natura, con il ritmo del giorno e della notte. E al tempo stesso si è in grado di capire la grande religiosità che si avverte in Africa, questo legame con Dio che è molto bello e che viene espresso continuamente nei salmi. Un africano non fa niente senza prima pregare. L'africano sa meglio di altri che quello che sta per mangiare è veramente un dono di Dio. È la presenza fedele di Dio nella storia:  e si noti che anche nelle difficoltà l'africano non dice mai "è colpa di Dio" ma si assume le sue responsabilità, il che è di per sé un segno di speranza.

In questo contesto di indubbie e persistenti difficoltà nel continente quale ruolo va riservato alla preghiera?

Anche alla luce del tema del sinodo, la preghiera dei salmi può aiutare. Si pensi ai salmi di supplica:  nella bocca di un africano non sono parole artificiali ma sono l'espressione di una realtà sofferta dove si chiede a Dio veramente di intervenire. Allo stesso tempo la comunità che si raccoglie per pregare o anche il singolo proclama che Dio è il re, non il denaro, né il potere. Dobbiamo orientare le persone, secondo me, a pregare con le scritture; la preghiera della liturgia delle ore è una preghiera sostanzialmente biblica. Adesso l'idea è di fare dei messalini:  ci hanno detto per l'aprile del prossimo anno il messale in inglese dovrebbe essere approvato, quindi l'idea è di vedere quali testi biblici usare per il lezionario e continuare con questi progetti per rendere l'Africa un po' più autonoma. Siamo molto riconoscenti nei confronti di tutti quelli che ci hanno aiutato:  l'Italia, gli Stati Uniti, perché rendono possibile all'Africa fare un passo avanti. È un esempio che le cose si possono fare.

Lei opera da anni in Kenya. I vescovi negli ultimi tempi hanno lanciato diversi allarmi sulla condizione economica e sociale del Paese. Condivide queste preoccupazioni?

Il tentativo di trovare un compromesso fra le fazioni politiche, in occasione delle ultime elezioni ha avuto effetti contrari alle intenzioni. Il grande problema è la corruzione, a tutti i livelli. In Kenya ci sono 40 ministri, guadagnano circa 10.000 euro al mese. La classe media, un infermiere, un poliziotto, un maestro, prende l'equivalente di 150-200 euro. Non c'è la classe media, in pratica. In questi ultimi due anni l'inflazione è salita di circa il 30%. Tutto costa, i prezzi sono raddoppiati. È qui che la corruzione prospera. Non c'è una visione comune. Il tribalismo è ancora molto forte. In questo contesto l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa diventa fondamentale. Se abbiamo una dicotomia profonda fra l'esperienza di fede e la vita civile non riusciremo mai a uscire da questa situazione.

Quali sono le linee di intervento della Chiesa in Kenya?

Alcuni vescovi credono che sia importante superare l'impostazione tribale che non consente di perseguire il bene comune. E quindi spingono sul fattore culturale. L'assistenzialismo - ritengono - deve agire solo a livello di emergenza. Si tenga conto che la grande parte delle istituzioni educative è in mano alla Chiesa cattolica. C'è un grande fermento di movimenti religiosi, ma questi si presentano divisi e non si impegnano nel sociale. C'è un tipo di spiritualismo che arriva a fare credere alla gente di meritare la condizione in cui si trova, un'impostazione di tipo protestante che non aiuta lo sviluppo. Invece noi abbiamo molte riviste, c'è un'emittente radiofonica che è collegata con Radio Vaticana, c'è anche un'agenzia di informazione cattolica, il Catholic Information Service for Africa, l'idea sarebbe anche quella di avere una televisione. Senza questi strumenti ormai non si fa più nulla. Bisogna anche stimolare a progettare il futuro, con un ritmo diverso da quello di adesso. Ce la faremo perché i giovani sono promettenti. Il laicato secondo me è la risorsa decisiva. Senza laici formati adeguatamente non c'è possibilità di riuscita e non potranno venire fuori, inevitabilmente, neanche i sacerdoti.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
S_Daniele
00mercoledì 14 ottobre 2009 18:57
Intervista all'arcivescovo di Bujumbura Evariste Ngoyagoye

Il Burundi e la forza della gioventù


di Alessandro Trentin

"Il futuro dell'Africa passa attraverso l'educazione dei giovani ai valori:  e questa è la frontiera sulla quale dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, altrimenti non ci saranno vie d'uscita". È realista l'arcivescovo di Bujumbura, Evariste Ngoyagoye, nel descrivere la situazione del suo Paese, il Burundi, e dell'intera Africa, dove conflitti etnici, corruzione, povertà, ma soprattutto la sfiducia delle nuove generazioni, rischiano di cancellare ogni speranza in un futuro di pace e di prosperità. Il presule, che in questi giorni partecipa ai lavori dell'assemblea sinodale, in un'intervista a "L'Osservatore Romano" punta il dito proprio sulla necessità di rafforzare gli sforzi per coinvolgere in misura maggiore le nuove generazioni sia all'interno della Chiesa che della società. Il Burundi è, infatti, uno dei Paesi africani con il più alto tasso di natalità e i giovani di età compresa tra i diciotto e i vent'anni rappresentano ben il 60 per cento dell'intera popolazione. Pertanto, sottolinea l'arcivescovo, "devono essere aiutati, perché l'alternativa è che finiscano nelle mani sbagliate di coloro che vogliono sfruttarli a fini politici o bellici". Il Sinodo, dunque, è per il presule l'occasione giusta per richiamare l'attenzione su questo aspetto cruciale per l'avvenire del continente, una terra caratterizzata da tragedie antiche ma anche da molteplici risorse.

Il Burundi si affaccia sulla Regione dei Grandi Laghi, resa insanguinata dagli scontri etnici. Qual è il contributo della Chiesa nel processo di riconciliazione ?

L'apporto principale è la visione che abbiamo dell'uomo, perché in questi scontri etnici "l'altra persona a differenza di me non conta per nulla". Allora il fatto di dare un valore alla dignità di ogni persona umana è il primo contributo che offriamo. L'altro contributo è che abbiamo in corso in ogni diocesi del Paese un sinodo locale per far sì che ciascuna comunità cammini accanto alle altre per trovare una via di uscita dalle violenze e favorire il processo di riconciliazione. Abbiamo iniziato tre anni fa e il processo di confronto continua. Si tratta di ascoltare le istanze della gente:  non siamo noi a imporre le soluzioni, ma chiediamo loro in quale modo si possa uscire dalla crisi. Ma soprattutto, tengo a precisare, stiamo cercando di coinvolgere le nuove generazioni che sono la speranza della nazione. Vogliamo favorire gli scambi anche con i coetanei degli altri Paesi, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo e, a tale proposito, a luglio, abbiamo organizzato delle Giornate della gioventù per far capire che in questo modo si può vivere assieme senza odiarsi.

Dal sinodo si sta levando forte la denuncia sullo sfruttamento dell'Africa a opera delle grandi multinazionali straniere. Cosa fare per ridare dignità al continente?

Queste denunce giungono specialmente da quei Paesi che dispongono di ingenti risorse, come per esempio la Repubblica Democratica del Congo; mentre in Burundi il problema esiste in misura minore. Tuttavia, anche noi osserviamo che le multinazionali approfittano della disorganizzazione a livello politico per sfruttare le nazioni e questo fa perdere veramente dignità al continente. Per questo, molti padri sinodali hanno voluto lanciare un appello affinché venga elaborato un regolamento sullo sfruttamento del territorio. Ovvero, consentire lo sfruttamento economico necessario, ma con delle regole ben precise e riconosciute, in quanto capita che gli accordi tra le multinazionali e i Governi vengano fatti tenendo all'oscuro la popolazione e non per il bene di questa. È utile anche che i Governi provvedano a rendersi autosufficienti, mantenendo così la dignità e non offrano loro stessi alle multinazionali occasioni per farsi sfruttare.

E poi c'è la questione degli ingenti aiuti in denaro che giungono in Africa, spesso finendo non alle popolazioni bisognose ma in altre mani. Qual è la sua opinione?

Come Chiesa non abbiamo altro che il nostro potere morale per intervenire su questo. Di quale altro potere, infatti, potremmo disporre, non essendo coinvolti nella gestione quotidiana del Paese? Noi vediamo comunque che questa nuova società civile che sta sorgendo e prendendo parola in Burundi denuncia spesso la corruzione politica. Nella misura in cui la Chiesa entra in contatto con questa società civile può anche dare un supplemento di forza morale a queste reazioni.

Un'altra realtà è la crescita rapida e tumultuosa di movimenti e sette religiosi. Cosa c'è dietro a questo fenomeno?

Il fenomeno, va precisato, non riguarda solo il Burundi ma l'intera Africa e anche altri continenti. Nello scorso febbraio abbiamo censito 203 confessioni religiose, quindi una cifra molto elevata. In particolare, ci sono molte Chiese del Nord America e anche l'islam è in crescita. Io non saprei dire, di preciso, cosa ci sia dietro al fenomeno, però vedo che molta gente si rivolge a queste sette perché si trova in condizioni di estrema povertà. Molti di questi movimenti, infatti, promettono la prosperità. Altri hanno ancora una maniera di presentarsi molto calorosa e usano metodi di evangelizzazione che danno molto spazio, fra l'altro, alla danza e alla musica, suscitando così la curiosità delle persone. È in atto una profonda crisi di valori nella società e per questo la gente va dietro a coloro che promettono una terapia, una guarigione dai mali interiori.

Il sinodo è chiamato a individuare il percorso di una nuova evangelizzazione. Quali le linee da seguire?

La Parola di Dio non è ancora ben conosciuta. Abbiamo gruppi impegnati nelle catechesi, ma la parola di Dio come tale non è abbastanza conosciuta e vissuta. La nuova evangelizzazione passerà attraverso le comunità ecclesiali di base perché al loro interno la gente si conosce meglio, può aiutarsi, può dare più testimonianza. Attualmente c'è una crescita di queste comunità e, anzi, la ritengo necessaria. C'è anche una liturgia più vivente, più forte, perché adesso abbiamo le chiese che sono piene di fedeli dalla mattina alla sera. C'è molta partecipazione e questo è legato a uno sforzo molto grande che la Chiesa ha fatto per rendere gioiosa la partecipazione alla liturgia, dando più spazio per esempio alla musica. Poi bisogna aiutare anche in questo caso i giovani. Abbiamo delle fraternità che si sono moltiplicate attorno ai nuovi movimenti:  in questo processo i giovani trovano così più responsabilità nella gestione della Chiesa. Diverse, infine, sono le comunità e le associazioni di volontariato per la pace nelle quali si svolge il loro impegno:  tra queste c'è la Sant'Egidio, la cui presenza in Burundi è stata da poco avviata.

I giovani, dunque, sono una grande risorsa per la Chiesa in Africa. Come valorizzarli?

I giovani tra i diciotto e i vent'anni rappresentano circa il 60 per cento della popolazione:  si tratta quindi di una forza molto grande. Tuttavia, hanno molti problemi, a partire dal sistema scolastico e dall'angoscia per l'avvenire, perché quando escono da scuola non sanno se riusciranno a trovare un lavoro. Inoltre, i giovani sono stati utilizzati negli anni della guerra, perché hanno forza e generosità e si danno volentieri per una causa ma, per questo, sono stati sfruttati. Ora sono molto delusi e stanchi per il modo in cui sono stati utilizzati e vogliono fare qualcosa di meglio. Sono pronti a vivere insieme per ricostruire la società e hanno bisogno di essere aiutati per avere dei valori etici e sociali più solidi e duraturi. Dobbiamo dare loro una speranza, sostenendoli in particolare nella preparazione al matrimonio e nelle loro famiglie. Altrimenti, il rischio è che cadano nelle mani sbagliate. Il Burundi si dovrà preparare alla prossime elezioni politiche e chiediamo ai giovani di essere critici verso tutti coloro che si impegnano in false promesse.


(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2009)
S_Daniele
00giovedì 15 ottobre 2009 06:53
Primo bilancio del Sinodo dell'Africa

Del Relatore Generale, il Cardinale Turkson



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Questo martedì pomeriggio è stata presentata al Sinodo dei Vescovi per l'Africa la cosiddetta “Relatio post disceptationem”, la Relazione successiva alla discussione.

Si chiude così la prima parte dell'assemblea sinodale, in cui i padri sinodali hanno avuto l'opportunità, in 13 sessioni plenarie, di presentare le loro proposte, raccolte nella Relazione.

Alla sessione plenaria è stato presente Papa Benedetto XVI, che ha seguito con attenzione il discorso del Relatore Generale del Sinodo, il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, come ha testimoniato padre David Gutiérrez della “Radio Vaticana”.

Il Cardinale Turkson ha articolato la Relazione in 20 grandi temi ricalcati sui 195 interventi dei padri sinodali che si sono succeduti nelle 13 precedenti congregazioni generali.

Nelle proposte dei padri, ha segnalato, ci sono allusioni a molte luci e a vari successi ottenuti negli ultimi 15 anni, soprattutto per l'applicazione del primo Sinodo per l'Africa (1994).

Ad ogni modo, ci sono state anche molte ombre e si sono presentati vari problemi, facendo pensare in qualche momento che l'assemblea assomigliasse più a una riunione delle Nazioni Unite, dove si presentano le lamentele per le difficoltà che si vivono.

Per questo, nella Relazione il Cardinale Turkson, citando un padre sinodale, insiste sul carattere pastorale del Sinodo, che deve esortare la Chiesa in Africa a continuare il suo pellegrinaggio accompagnando i popoli, cercando il miglioramento delle condizioni sociali, politiche ed economiche, rafforzando la fede in Cristo degli abitanti di quel continente.

I 20 temi scelti dal Relatore spaziano dalla natura della riunione alle strutture di comunione ecclesiale, affrontando le sfere socio-culturale, socio-politica e socio-economica per poi soffermarsi a riflettere su Cristo riconciliatore, come giustizia e come pace.

Le parti finali della Relazione sono state dedicate a temi specifici, come la famiglia, la dignità della donna e il suo ruolo nella società e nella Chiesa, i laici, il clero, la vita consacrata, riservando un paragrafo a valutare l'azione dei mezzi di comunicazione in Africa.

Nella sfera socio-culturale, ha riferito il Relatore, i padri sinodali deplorano il fatto che nella società africana, al di là del nomadismo e dei conflitti per l'acqua e le zone di pascolo, ci siano tendenze emergenti che sono divergenti e perfino opposte ai valori tradizionali e hanno un carattere e contenuto morale discutibile.

Molti padri sinodali lamentano il destino della famiglia in Africa con “la distruzione di una autentica visione del matrimonio e la nozione di una sana famiglia”, e considerano l'istituzione seriamente minacciata di instabilità e dissoluzione a causa della povertà, dei conflitti, dei credo e delle pratiche tradizionali, come la stregoneria, e delle malattie, soprattutto la malaria e l'Hiv/Aids.

I padri sinodali hanno anche descritto in vari modi il feroce attacco alla famiglia e all'istituzione fondamentale del matrimonio giunta da Paesi esterni all'Africa e attribuibile a varie fonti: ideologica (ideologi di genere, nuova etica sessuale globale, ingegneria genetica) e clinica (anticoncezionali, pianificazione familiare ed educazione alla salute sessuale, sterilizzazione), e ad emergenti stili di vita “alternativi” (matrimoni omosessuali, unioni di fatto).

Le donne, a cui nella prima Assemblea Speciale per l'Africa si è alluso come a “bestie da soma”, hanno iniziato ad accedere in certi Paesi a posti di spicco e leadership a livello giuridico, politico, di economia e ingegneria, ma in altri Stati subiscono ancora l'esclusione dalle funzioni sociali, dall'eredità, dall'istruzione e dal processo decisionale. Sono inoltre vittime indifese nelle zone di conflitto: vittime di matrimoni poligamici, di abusi, del traffico per la prostituzione.

I bambini, “la parte più sofferente della popolazione africana”, sono descritti come maltrattati (bambini-soldato, lavoro infantile, traffico di esseri umani) e viene loro negato il diritto all'istruzione. Ovunque, tuttavia, sono beneficiari di vigorosi programmi di informatizzazione delle scuole.

Anche i giovani sono stati menzionati tra i problemi dell'Africa a causa della loro esposizione all'abuso di droghe, all'infezione da Hiv/Aids, alle gravidanze adolescenziali, all'emigrazione, al traffico di esseri umani e ai viaggi che li riducono in condizione servile.

Nell'ambito socio-politico, i padri sinodali sottolineano la necessità di avere Governi e politici che esercitino una leadership di servizio con un esercizio del potere trasparente e responsabile, il rispetto dei diritti umani e l'amministrazione della ricchezza nazionale per il benessere pubblico.

Nell'ambito socio-economico, il Relatore segnala che “povero” e “povertà” sono due parole ricorrenti nelle esposizioni dei padri sinodali circa i loro Paesi e Governi, le popolazioni e le Chiese. La povertà ha giustificato innumerevoli interventi della Chiesa per la ricerca di soluzioni efficaci.

La “Relatio post disceptationem”, presentata questo martedì pomeriggio, termina con una serie di 25 domande che guideranno i lavori dei 12 circoli minori, che da questo mercoledì hanno il compito di preparare le proposizioni che saranno portate nelle sessioni plenarie per la loro approvazione e la consegna al Santo Padre.  

I Vescovi africani commentano un recente rapporto sull'aborto

Ribadiscono che il problema non sono gli aborti clandestini




di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
Durante la conferenza stampa che ha offerto questo mercoledì la Santa Sede sulla “Relatio post disceptationem” del Sinodo dei Vescovi dell'Africa, vari giornalisti hanno chiesto se nell'aula sinodale è stato discusso il tema dell'aborto.

La domanda è stata posta nel contesto del rapporto dell'Istituto Guttmacher, pubblicato questo martedì, secondo il quale circa 70.000 donne muoiono ogni anno a causa di aborti, 20.000 dei quali realizzati clandestinamente da persone inesperte nei Paesi in cui l'aborto non è permesso.

Di fronte a questa domanda, il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal), ha affermato che per i Vescovi l'aborto “non è una pratica da incentivare”.

Anche se l'aborto non è stato il tema più ricorrente – che è stato invece quello della riconciliazione, della pace e dell'evangelizzazione –, ha indicato, i presuli hanno ribadito nell'aula del Sinodo che ogni vita merita di essere rispettata “dall'inizio alla fase finale”.

Gli agenti pastorali in Africa devono cercare di aiutare le donne in gravidanza che si trovano in difficoltà, ha segnalato, avvertendo che “c'è una via d'uscita a una maternità difficile che non è l'aborto”.

“Bisogna che alcuni popoli occidentali si distacchino da questa convinzione, dal fatto di pensare che debba essere la regola del mondo”.Le politiche contro la vita dal concepimento alla morte naturale, ha aggiunto, “non devono essere imposte a tutti i popoli”.

Aborto, sinonimo di morte

Dal canto suo, l'Arcivescovo di Durban (Sudafrica), Wilfrid Fox Napier, O.F.M., ha messo in discussione il fatto che l'Istituto Guttmacher cerchi con il suo rapporto di legalizzare una pratica in cui i bambini vengono assassinati nel ventre materno, con la scusa di salvare la vita di molte donne.“Che cos'è la morte?”, si è chiesto. “E' la fine della vita”. “Noi abbiamo grande difficoltà a capire questa cultura che dice che il diritto alla vita è un diritto supremo” ma che va “contro i più indifesi”.

Conferenza di Pechino e Protocollo di Maputo

Il Cardinale Napier ha criticato alcuni eventi mondiali come il Protocollo di Maputo, che ha iniziato ad essere applicato nel 2005 e che, tra le altre cose, ha incentivato i diritti sessuali e riproduttivi della donna in Africa.

Allo stesso modo, si è riferito alla IV Conferenza sulla donna svoltasi a Pechino nel 1995, che vuole “minare il sistema morale giudaico-cristiano”.Il porporato ha ricordato che la Chiesa ha adottato una difesa contro le politiche per le quali “la gravidanza è una malattia”.

“Non vogliamo spegnere la salute sessuale, ma il Protocollo di Maputo ha avuto un effetto devastante sulla donna”, ha dichiarato.

Su questo tema, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha ricordato che il Protocollo di Maputo ha dei vantaggi – come la fine delle mutilazioni genitali femminili –, ma è da considerare un “miscuglio di elementi buoni e di altri assolutamente inaccettabili”.

S_Daniele
00giovedì 15 ottobre 2009 06:55
Inculturazione della fede e religione tradizionale in Africa

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“La paura e l’incertezza caratterizzano la vita di fede in molte popolazioni africane”: è quanto afferma la Relatio post disceptationem della II Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi a proposito del “settore socio-religioso” che analizza i rapporti tra fede e vita nei credenti.

Paura ed incertezza, si afferma, determinano diffidenza, autodifesa, aggressività così come il ricorrere a pratiche di magia ed occultismo o a tentare il sincretismo tra cristianesimo e religione tradizionale.
Il tema del complesso rapporto tra inculturazione della fede e religione tradizionale è stato ripreso nella conferenza stampa tenutasi oggi a chiusura della prima fase di lavoro del Sinodo.
“Veniamo da lontano, siamo lontani e stiamo andando lontano: questa è la situazione della Chiesa in Africa”, ha affermato il Cardinale Njue, Arcivescovo di Nairobi e Presidente della Conferenza episcopale del Kenya, rispondendo ad alcune sollecitazioni dei giornalisti.
“Se vogliamo essere cristiani – ha proseguito Njue – non possiamo scegliere i valori secondo i quali camminare”. Inculturazione della fede significa “discernere quali valori della tradizione culturale africana siano compatibili con il cristianesimo”.
Riguardo al matrimonio, “noi incoraggiamo gli sposi – ha affermato il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar in Senegal e Vicepresidente del Simposio di Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) – a celebrare il matrimonio religioso, ma chiediamo di tener conto delle loro prassi tradizionali, come la cerimonia a casa del padre della sposa, e verifichiamo che siano state compiute prima che vengano in chiesa”.
Allo stesso modo “chiediamo loro di celebrare il matrimonio civile con l’impegno di scegliere, all’atto del matrimonio, la monogamia e non la poligamia. In Senegal, infatti, dove il codice civile le ammette entrambe, se si sceglie un’opzione non si può più cambiare”.
Un altro aspetto affrontato è quello del persistere delle pratiche esoteriche.
“La relazione con il mistero – ha affermato mons. Manuel Antonio Mendes dos Santos, Vescovo di Sao Tomé e Principe – fa parte della cultura africana. L’ateismo, ad esempio, in questa prospettiva, non è comprensibile per un africano”.
Da questo senso del mistero occorre distinguere “l’esoterismo, spesso solo un mezzo per dare risposte a persone fragili che hanno problemi materiali o psicologici”. Se “va compresa la fragilità esistenziale occorre però opporsi al tentativo di sfruttarla”. Tutto ciò, ha concluso Mendes dos Santos, ci interroga come credenti: “In che modo presentare Cristo come l’uomo nuovo la cui forza non è determinata dalla magia?”.


Lotta contro l’Aids: la Chiesa parte del problema o della soluzione?
Durante la conferenza stampa di presentazione della “Relatio post disceptationem”

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“Perché riguardo all’Aids i media continuano a trattare la Chiesa come parte del problema e non della soluzione?”. Lo ha chiesto il Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban in Sudafrica, ai giornalisti riuniti questo mercoledì per la seconda conferenza stampa di presentazione della “Relatio post disceptationem” (relazione dopo la discussione), in occasione del Sinodo dei Vescovi sull'Africa.
La relazione ha raccolto le denunce dei padri sinodali riguardo vari aspetti della società africana, in particolare la minaccia all’istituzione della famiglia derivante da molteplici cause, tra le quali malattie a grande diffusione come l’Aids.
Oltre alla “miracolosa transizione dal regime di apartheid alla democrazia - ha affermato Napier -, l’altro fenomeno per cui è noto il Sudafrica è proprio l’alto tasso di contagiati da Aids e la Chiesa svolge un ruolo molto importante per la cura della malattia e la qualità dell’assistenza”.
Per prima cosa, le istituzioni ecclesiali coinvolte offrono informazioni sulla malattia al fine di evitare il contagio. Quindi danno un sostegno fattivo nell’assistenza e hanno rapporti con le case farmaceutiche intervenendo per verificare se i farmaci retrovirali diffusi siano adatti a tutte le persone malate (per alcune l’effetto non si produce) e per incentivare lo sviluppo della ricerca.
“Cerchiamo di fare del nostro meglio – ha affermato Napier – mettendo in atto programmi di prevenzione che richiedono anche di guardare con attenzione alla causa di questa tremenda diffusione della malattia”.
“Se, in linea generale, la causa è da ricercare in comportamenti sessuali irresponsabili – ha proseguito l’Arcivescovo di Durban – noi non possiamo fare a meno di dire che occorrono comportamenti sessuali responsabili”. Sulla base di due principi: “se si è sposati, occorre essere fedeli al proprio coniuge; se non si è sposati, è necessario astenersi da pratiche irresponsabili”.
Occorre perseguire questo risultato con tutti i mezzi possibili. “Nella nostra diocesi – ha raccontato Napier – abbiamo un programma chiamato ‘Il dono della vita’ che ha l’obiettivo di far comprendere agli adolescenti, in primo luogo, ma anche agli adulti, l’importanza di trasmettere la vita attraverso l’atto sessuale”.
“L’atto sessuale deve portare alla procreazione – ha concluso Napier – e anche se sappiamo che in Occidente avete convinzioni diverse, per noi è importante che l’atto sessuale sia un momento nella creazione della vita”.
S_Daniele
00giovedì 15 ottobre 2009 06:57
La Chiesa in Africa preoccupata per la teoria di genere


Alcune istituzioni cristiane contribuiscono alla sua diffusione, dice un esperto



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

“In Africa, per l'azione di certe istituzioni cristiane, la teoria del genere si impone progressivamente nella società e nella Chiesa”.
Lo ha segnalato a ZENIT lo psicoanalista ed esperto in Psichiatria sociale monsignor Tony Anatrella, consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia e del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.

Monsignor Anatrella ha affermato che “gli africani non vogliono essere colonizzati dalle ideologie occidentali” e ha deplorato il fatto che “la maggior parte dei temi sulla teoria del genere continui ad espandersi ampiamente nella Chiesa”.
L'Arcivescovo Robert Sarah, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha pronunciato un intervento sull'ideologia di genere nel dibattito del Sinodo dei Vescovi in svolgimento in Vaticano.
Il presule l'ha definita una teoria “irrealistica e disincarnata”, perfino “assassina” ed estranea ai valori africani.
In questo senso, monsignor Anatrella ha spiegato che in Africa “la cura del senso della famiglia è molto importante e dare vita a molti bambini riguarda la cultura di questo continente”.
“I bambini sono la ricchezza della famiglia e della società – ha indicato –, ma gli esperti di quella teoria affermano, con pregiudizi occidentali, che tre figli per donna è un numero troppo alto che si dovrebbe ridurre”.
“Ciò dicono gli africani è: il bambino è il futuro dell'uomo!”, ha sottolineato monsignor Anatrella.
Anche il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il Cardinale Ennio Antonelli, ha lamentato davanti al Sinodo l'estensione della teoria di genere in Africa per mediazione di istituzioni cristiane in linea con le istituzioni internazionali, le loro agenzie (ONU, OMS, UNICEF, UNESCO) e le ONG.
“In Africa, gli attivisti stanno portando avanti questa azione al margine dei rappresentanti democraticamente eletti nei Parlamenti nazionali”, ha denunciato monsignor Anatrella.
Il presule ha denunciato che questa ideologia si estende anche attraverso sessioni di formazione diretta a sacerdoti, religiosi e religiose e laici cristiani.
Ha anche lamentato che “per ricevere aiuti internazionali (nell'ambito finanziario, sanitario ed educativo), la maggior parte dei Paesi africani è sottoposta, attraverso varie associazioni, al discorso di genere”.
L'esperto ha detto che la preoccupazione di questi attivisti, “ad esempio per la salute e la cura medica delle donne, si traduce unicamente in termini di 'salute riproduttiva'”.
Questa nozione “è molto problematica perché banalizza la contraccezione e l'aborto e mette in discussione i valori familiari, escludendo l'uomo dalle relazioni di cooperazione con la donna e dalla procreazione”.
Secondo monsignor Anatrella, i teorici del genere esercitano pressioni sui Parlamenti nazionali perché legislino e approvino leggi nel senso previsto dalla sua ideologia.
“Anche i Paesi africani sono sottoposti alle pressioni dei Paesi occidentali che, in nome dell'uguaglianza degli orientamenti sessuali, cercano di presentare l'omosessualità come un modello che può realizzarsi in una coppia e nel matrimonio”, ha spiegato.
“Per ora la maggior parte dei deputati resiste a questa visione della coppia, della famiglia e della procreazione che non corrisponde ai valori africani – ha detto –. Purtroppo, questo tipo di idee e comportamenti continua a diffondersi in Africa”.
Molte comunità cristiane africane, tuttavia, sono “più decise e reattive” a tali questioni rispetto ad alcune comunità occidentali.
Secondo quanto ha affermato l'Arcivescovo di Ouagadougou, monsignor Ouédraogo, al Sinodo, “le nostre comunità umane e religiose in Africa, in generale, respingono la pratica giuridica codificata in molti Paesi occidentali; valorizzano la promozione dei valori collegati alla famiglia e alla vita”.


Sinodo: l'abolizione della pena di morte e l'apostolato nelle carceri


Vescovo della Sierra Leone denuncia il trattamento dei prigionieri di guerra


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Il presidente della Conferenza Episcopale della Sierra Leone e Vescovo di Makeni, monsignor George Biguzzi, S.X., ha invitato i padri sinodali a lanciare “un appello inequivocabile per l’abolizione totale e universale della pena di morte”.
Il presule è intervenuto questo lunedì all'11ª congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa.
Monsignor Biguzzi si è riferito al “trattamento disumano dei prigionieri di guerra”, al “sacrificio dei civili durante i conflitti” e all’“arruolamento di bambini-soldati” come a “crimini contro l’umanità, chiaramente espressi nella Convenzione di Ginevra e protocolli allegati”.
“Il cammino verso la pace e la riconciliazione passa attraverso il riconoscimento, il rifiuto e la riparazione di questi crimini – ha dichiarato –. La guerra non giustifica crimini contro l’umanità”.
L'apostolato nelle prigioni
Nella 10ª congregazione generale, un'uditrice, suor Jacqueline Manyi Atabong, assistente della Superiora generale delle Suore di Santa Teresa del Bambin Gesù della Diocesi di Buea (Camerun) e coordinatrice per l'Africa dell'International Catholic Commission for Prison Pastoral Care, ha invitato a riconsiderare l'apostolato nelle carceri.
“Sappiamo che molte nostre carceri sono delle celle sovraffollate di persone povere e svantaggiate – ha affermato –. Sono strutturalmente inadeguate e vi si verificano pratiche disumanizzanti, violente e repressive, che talvolta causano la morte”.
“I diritti dei detenuti non vengono rispettati e il reinserimento degli ex detenuti è un’impresa difficile. Sappiamo che in molte Diocesi l’apostolato delle carceri o non esiste affatto, oppure è organizzato male, con personale scarsamente o per nulla preparato, e che riceve poco o nessun sostegno dalle autorità ecclesiastiche e dallo Stato”, ha aggiunto.
“Occorre una migliore organizzazione della cappellania delle carceri a livello nazionale, diocesano e parrocchiale, coinvolgendo le piccole comunità cristiane, personale adeguatamente formato e un team che possa offrire un’assistenza completa”.
S_Daniele
00giovedì 15 ottobre 2009 18:19


Le relazioni dei circoli minori al Sinodo dei vescovi

Luci e ombre del continente africano


Luci e ombre dell'Africa sono sintetizzate nei rapporti dei dodici circoli minori che, dopo due giorni di riunioni, hanno passato al vaglio tutte le tematiche proposte dai padri sinodali. Giovedì mattina, 15 ottobre, nel corso della quindicesima Congregazione generale alla presenza del Papa, i relatori dei circoli hanno esposto le osservazioni maturate nella discussione ristretta. Sostanzialmente sono tornati sul tappeto tutti gli argomenti sviluppati in queste giornate che hanno dato dell'Africa un'immagine a volte inquietante - guerre, violenze, corruzione dei politici africani, ingerenze esterne come nuove forme di schiavitù, degrado di valori tradizionali - a volte illuminante per il futuro stesso della Chiesa universale. Tuttavia, secondo alcuni, ci sono stati argomenti che avrebbero meritato un maggiore approfondimento. Il gruppo portoghese, per esempio ha accennato alla situazione della vita consacrata in Africa, al rapporto dei consacrati stessi con i vescovi, alla necessità di guardare alla Parola di Dio come faro che illumina il cammino.
Ricorrente anche il richiamo al ruolo che deve assumere la Chiesa nel contesto attuale. In particolare, padre Gérard Chabanon, superiore generale dei Padri bianchi, a nome del circolo "francese a" ha detto che "il ruolo della Chiesa in Africa dovrebbe avere due indirizzi:  denunciare le ingiustizie e proclamare la buona novella. Denunciare le ingiustizie significa mettere in luce tutto ciò che attenta alla famiglia, quale cellula base della società:  povertà e malgoverno, violenza, irresponsabilità dei padri che abbandonano moglie e figli e l'insufficiente investimento nell'educazione a cominciare dalla mancanza di strutture adeguate per la scolarizzazione delle nuove generazioni". Anche monsignor Obiora Francis Ike, direttore del Catholic Institute for developpement, justice and peace di Enugu in Nigeria, a nome del circolo "inglese c", si è soffermato sulla questione delle donne, il cui contributo alla vita della Chiesa e della società, ha detto, non è sempre apprezzato. Approfondendo la situazione generale del lavoro nel continente monsignor Ike ha rappresentato la proposta del gruppo, affinché il sinodo si adoperi per il riconoscimento della dignità del lavoro, e ha citato un detto:  "l'Africa non mangia quanto produce e mai il contrario".
L'arcivescovo di Ouagadougou, monsignor Philippe Ouédraogo, a nome del circolo "francese c" ha fatto notare che la dimensione privata della colpa non è molto sentita, in quanto si tende a privilegiarne l'aspetto pubblico. Per questo, il sacramento del perdono può arricchire la cultura africana, permettendo il sorgere di una coscienza critica che consenta di riconoscere gli errori personali e non solo quando ledono gli interessi sociali.
Presidente di turno era il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban; erano presenti 224 padri sinodali.




(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2009)
S_Daniele
00venerdì 16 ottobre 2009 07:12
Vescovi africani contro l'imperialismo culturale dell'Occidente

Gli aiuti umanitari non possono essere condizionati



di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Gli aiuti umanitari che arrivano al continente africano sono a volte accompagnati da “una sorta di imperialismo culturale”, ha denunciato il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal).

Il porporato è intervenuto questo mercoledì durante una conferenza stampa nella quale è stato presentato un primo bilancio della seconda Assemblea Sinodale per l'Africa, in svolgimento dal 5 al 24 ottobre.

“Se ci vogliono aiutare, non possono però instillarci idee che non riteniamo corrette. Vogliamo essere aiutati, ma nella verità, e rispettati per quello che siamo”, ha detto.

Per questo, ha esortato a che “i popoli occidentali si distacchino dal pensiero che tutto quel che credono e fanno diventi regola in tutto il mondo”.Da parte sua, il Cardinale John Njue, Arcivescovo di Nairobi (Kenya), ha sottolineato che “la cooperazione e gli aiuti sono necessari”, ma che bisogna anche “rispettare l’indipendenza e il punto di vista, la cultura e la dignità” dei popoli africani.

Il Cardinale Njue ha osservato che “non va bene dare aiuti condizionati al cambiamento dei valori della persona su temi come l'aborto e la concezione della famiglia”, e ha indicato che “gli africani hanno bisogno di cooperazione, ma bisogna rispettare la loro indipendenza, la loro cultura e la dignità della persona umana”.

Dall'altro lato, il Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban (Sudafrica) e presidente delegato del Sinodo, ha affermato che “in Africa persiste una situazione difficile dal punto di vista dei conflitti e delle calamità”, e ha segnalato che, anche se c'è bisogno della cooperazione internazionale, “bisogna che l’indipendenza delle popolazioni africane venga rispettata”.

Ciò che “viene da fuori deve essere nel rispetto della cultura e della dignità della persona umana”. A questo proposito, ha portato ad esempio il settore commerciale, dove “chi soffre alla fine è il produttore”.

Il porporato ha quindi ricordato che l'Africa “ha enormi potenzialità” e che “lo sviluppo deve essere aiutato”, ma che si vuole “una partnership su un piano di parità”.


Sinodo: la discussione si sposta nei circoli minori

di Chiara Santomiero


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Troppo poco tempo per la discussione nei circoli minori: quasi tutti i relatori dei 12 gruppi linguistici nel quali si è spezzettata la riflessione sulla relatio post disceptationem della II Assemblea per l’Africa del Sinodo dei vescovi, lo hanno messo in evidenza riportando oggi in aula la sintesi del confronto avvenuto.
E’ stato possibile, infatti, dedicare alle 25 domande poste a chiusura del documento presentato martedì pomeriggio, solo la giornata di mercoledì, nella quale i lavori sono stati interrotti alle 18.30 per offrire ai partecipanti al Sinodo la visione della sintesi di un’ora del film Rai dedicato a S. Agostino, peraltro molto apprezzata dagli spettatori.

E’ stata lamentata inoltre la stringatezza della relatio in merito ad alcuni argomenti, causata dalla necessità – sottolineata dalla segreteria del Sinodo – di condensare tutto il dibattito dell’aula in 60 mila caratteri.

Tutti gli argomenti proposti sono stati però affrontati, con alcune sottolineature ricorrenti.

Grande gioia ha recato ai partecipanti al Sinodo il carattere universale dato all’assise non solo dall’essere riuniti attorno al Papa, ma dai saluti dei rappresentanti delle conferenze episcopali degli altri continenti e dei delegati fraterni. Lo svolgimento dei lavori del Sinodo sono salutati come “esercizio autentico di comunione e di democrazia nella Chiesa”.

Al documento è stato chiesto “un maggior equilibrio tra gli approfondimenti teologici e i drammi umani dell’Africa ai quali i padri sinodali devono rispondere”. L’Africa deve godere di autonomia nella gestione delle proprie risorse, contro lo sfruttamento, altrimenti “come si può parlare di pace ad un popolo che ha fame?”.

Le ferite del continente devono essere curate attraverso la giustizia, in base a “un doppio approccio: denunciare e annunciare la Buona novella” del Vangelo per restaurare il processo di pace. E se è importante attingere dalla tradizione africana massime e pratiche utili per i riti di riconciliazione, occorre tener conto degli elementi che vi oppongono come “la solidarietà clanica e le categorie di colpe senza perdono”. Si è sottolineato ancora una volta, inoltre, che “la stregoneria è la vera guerra occulta che il continente fa al proprio interno”.

E’ stata proposta la celebrazione di una giornata della pace a livello continentale, oltre a quella del 1° gennaio.

Si è insistito molto sull’importanza della formazione a tutti i livelli. Prima e dopo il matrimonio per rinsaldare la famiglia. Per i laici, da accompagnare nella preparazione professionale, spirituale e sociale, incoraggiando a questo scopo i movimenti laicali e di Azione cattolica. Per i giovani, dei quali valorizzare il ruolo di “protagonisti della riconciliazione” e non solo deplorare la condizione di vittime.

Per i leader politici perché siano sorretti nella loro azione da un’etica di servizio e non di sfruttamento a fini personali e familiari della carica ricoperta. A questo proposito, diversi interventi hanno chiesto l’istituzione di centri per lo studio della Dottrina sociale della Chiesa e di cappellanie presso i Parlamenti nazionali e gli organismi sovranazionali africani.

Per i sacerdoti, affinché siano formati a non concepire il loro ministero come una forma di autorità ma di servizio.

E’ stata particolarmente sottolineata la necessità di valorizzare il ruolo delle donne, promuovendone la formazione e la liberazione dai condizionamenti culturali. E’ stato chiesto che le istituzioni cattoliche come le scuole e i centri di salute “si impegnino risolutamente contro la pratica delle mutilazioni genitali femminili” ed è stata proposta l’istituzione di una commissione per promuovere la dignità della donna presso la Conferenza episcopale africana oltre che la convocazione di un “incontro panafricano delle donne per dare continuità alla riflessione del Sinodo in questo campo”.

Nel campo della promozione della donna, è stato anche sottolineato il ruolo che possono svolgere i consacrati il cui contributo come agenti di riconciliazione nella vita della Chiesa africana è stato poco approfondito nella relatio post disceptationem.

I padri sinodali hanno chiesto con forza il “rispetto degli immigrati africani negli altri continenti”, non solo quando vengono trattenuti in centri di permanenza o rimandati nella loro terra d’origine, ma anche quando si fermano a lavorare e a vivere nei vari paesi.

Da più parti, infine, si è auspicato che i media contribuiscano a diffondere i contenuti del dibattito sinodale oltre che “i molti aspetti positivi del continente africano che meritano l’attenzione del mondo”.

 

Il Sinodo per l'Africa dà spazio all'arte

All'ingresso dell'Aula Paolo VI l'esposizione “Tempo d'Africa”




di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Oltre alle intense ore di interventi e di discussioni libere, i Cardinali, i Vescovi e gli invitati alla seconda Assemblea Sinodale per l'Africa hanno avuto l'opportunità di apprezzare anche l'arte.

Nelle tradizionali pause per il caffè o per il pranzo, all'ingresso dell'Aula Paolo VI i Padri sinodali hanno potuto arricchirsi e ispirarsi con una mostra di pittura religiosa africana.

Le nozze di Cana festeggiate dalle tribù africane, dipinte da Joseph Belly Malenga Mpasi della Repubblica Democratica del Congo, e un angelo che cerca di liberarsi dalla schiavitù di Tondo Mamgengi sono alcune delle opere che si possono ammirare in questi giorni nell'esposizione intitolata “Tempo d'Africa”.La mostra ha la particolarità di avvicinare al cuore della Chiesa le risorse umane, le espressioni complesse e originali e le ricche tradizioni ancestrali dell'arte sacra africana.

E' organizzata con il sostegno del Centro Orientamento Educativo (COE), un'associazione di laici volontari cristiani impegnati in Italia e in vari Paesi del mondo nello sviluppo di una cultura di dialogo, scambio e solidarietà.

Il COE è stato fondato alla fine degli anni Cinquanta, e nel 1974 ha ottenuto il riconoscimento come ONG dal Ministero degli Esteri. In Africa sostiene progetti in vari Paesi, come Camerun, Zambia e Repubblica Democratica del Congo.

ZENIT ha parlato con l'organizzatore della mostra, Joseph Atangana Ndzie, che lavora come coordinatore del COE in Camerun. Per lui, l'esposizione vuole mostrare l'“ereditá cristiana dei fedeli africani e radicare il Vangelo nella loro vita”.

La mostra è nata dal sogno del sacerdote italiano Francesco Pedretti, fondatore del COE, morto dieci anni fa. Inizialmente la voleva realizzare durante il primo Sinodo per l'Africa, nel 1994. “E' un omaggio al Sinodo e al fondatore”, ha detto Joseph Atangana

Un linguaggio universale

L'organizzatore della mostra, che ha studiato arte alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha sottolineato come in ogni opera si possa vedere che gli artisti esprimono “l'universalità del cristianesimo, quella identità cattolica dei fedeli africani. C'è una comunione dei sentimenti”.

“Quando qualcuno vede questo arte, c'è un linguaggio universale che può esprimere la devozione; una partecipazione all'espressione verso Dio singolare che arrichisce l'universalità della Chiesa”, ha osservato.

Per Rosa Scandella, presidente del COE, la mostra fa vedere come gli artisti africani possano essere una specie di “profeti che gridano con le loro opere i grandi valori ideali degli uomini in questo continente, troppo spesso tormentato dalle situazione storiche ma ancora capace di futuro”.

“Tempo d'Africa” rende realtà una delle principali conclusioni dopo il primo Sinodo per l'Africa: il dialogo tra il Vangelo e la cultura africana.

Esprime, come ha detto Atangana, la particolarità degli africani di “esprimere la religiosità con tutto il loro corpo, con la loro natura. Non è una fede solo di testa. E' una fede gioiosa e semplice. E' un'espressione di vita”.

 

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 23:41.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com